Quel giorno era cominciato come tutti gli altri. Jimmy e Gibson avevano fatto tranquillamente colazione insieme, senza parlare perché entrambi erano assorbiti nei propri problemi. Jimmy viveva in uno stato che era esatto definire estatico, anche se ogni tanto soffriva momenti di nero avvilimento al pensiero che tra poco avrebbe dovuto separarsi da Irene, Gibson si chiedeva se dalla Terra fosse arrivata finalmente una risposta in merito alla sua richiesta di soggiorno su Marte. A volte era convinto di aver fatto un’enorme sciocchezza, e si sorprendeva persino a sperare che le sue carte si fossero smarrite, ma in realtà era decisissimo a restare fermo nei suoi propositi, e quel mattino pensò di passare dall’Amministrativo per vedere di sollecitare un po’ le cose.
Capì subito che c’era qualcosa per aria non appena ebbe messo il piede nell’ufficio. La signora Smyth, la segretaria di Hadfield, lo accolse con un sorriso come lo accoglieva sempre quando lui andava dal presidente. Di solito, però, o lo faceva entrare subito, o gli spiegava che Hadfield era occupatissimo, oppure che aspettava una chiamata urgente dalla Terra, e lo pregava quindi di ripassare più tardi. Ma quella mattina si limitò ad annunciargli: «Mi dispiace, signor Gibson, ma il signor Hadfield non c’è. Tornerà solo domani.»
«Ah, sì?» disse Gibson. «È andato a Skia?»
«No» rispose la signora Smyth, cortese ma decisa a non violare le consegne. «Mi dispiace ma non posso dirvi dov’è andato. Comunque sarà di ritorno tra ventiquattr’ore.»
Gibson decise di rimandare a più tardi la soluzione di quel mistero. Immaginando che la signora Smyth fosse al corrente di tutto, e perciò anche delle sue questioni personali, chiese: «Sapete se c’è qualche risposta alla mia richiesta di soggiorno?»
La signora Smyth sembrò confusa.
«È arrivato qualcosa» rispose, «ma si trattava di una comunicazione personale al signor Hadfield e perciò io non ne so niente. Credo che voglia parlarvene lui stesso non appena torna.»
Era una situazione esasperante. Era già seccante non aver saputo ancora niente, ma era ancora peggio sapere che la risposta era arrivata e non poterla conoscere. Gibson sentì che la pazienza lo abbandonava.
«Non vedo per quale motivo non me lo possiate dire» protestò, «soprattutto considerato che domani lo saprò comunque.»
«Mi rincresce infinitamente, signor Gibson, ma sono certa che il signor Hadfield si seccherebbe molto se ve lo dicessi io adesso senza aspettare il suo ritorno.»
«E va bene!» disse Gibson, e se ne andò infuriato.
Decise di slogarsi andando a parlare col maggiore Whittaker, convinto di trovare in città almeno lui. C’era infatti, ma non sembrò particolarmente felice di vedere Gibson, il quale però si sistemò comodamente sulla poltrona degli ospiti con l’evidente intenzione di restare a lungo.
«Sentite un po’, Whittaker» cominciò, «io sono un tipo paziente, e spero converrete con me che non faccio spesso richieste irragionevoli.»
Visto che il maggiore non aveva nessuna intenzione di rispondere, Gibson si affrettò ad aggiungere: «Qui sta succedendo qualcosa di molto strano, e io sono ansioso di andare in fondo a questo mistero.»
Whittaker sospirò. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe venuto. Era un vero peccato che Gibson non avesse la pazienza di aspettare fino al giorno dopo. Fra ventiquattr’ore non avrebbe più avuto nessuna importanza.
«Come siete arrivato tutto a un tratto a una simile conclusione?» chiese.
«Riflettendo su alcuni particolari. E poi non è stato tutto a un tratto. Pochi minuti fa ho cercato di vedere Hadfield, e la signora Smyth mi ha informato che non è in città, e poi, non appena ho tentato di farle qualche domanda innocente, si è chiusa come un’ostrica.»
«Oh, me la immagino!» esclamò Whittaker ridendo.
«Ma se voi cercherete di fare altrettanto, mi metterò a spaccare tutto, qua dentro, e poi continuerò fuori… Se proprio non potete dirmi che cosa sta succedendo, ditemi almeno perché non me lo potete dire. Si tratta del Progetto Aurora, vero?»
«Come lo sapete?» chiese Whittaker sussultando.
«Non preoccupatevi. So essere ostinato anch’io, quando mi ci metto.»
«Ma io non ho nessuna intenzione di essere ostinato» disse Whittaker in tono quasi lamentoso. «Non crediate che amiamo il segreto per il piacere di fare i misteriosi, anzi, è una seccatura tremenda. Ma cominciate a dirmi voi quello che sapete.»
«Se può servire a smuovervi, benissimo. Il Progetto Aurora ha certamente a che fare con le colture di piante che avete lassù tra le colline. Come diavolo le chiamate quelle piante… oxyfera?, bene. Ma siccome mi sembra assurdo tenere segreta una scoperta così semplice, sono costretto a supporre che faccia parte di un piano molto più grandioso, nel quale sospetto che c’entri Phobos, anche se non sono assolutamente in grado di dirvi come. Siete riusciti a conservare il segreto così bene, che i pochi qui su Marte che ne sanno qualcosa non osano nemmeno aprire bocca. Ma più che a Marte, vi siete preoccupati di tenere nascosta la cosa alla Terra. Si può sapere perché?»
Whittaker non aveva affatto l’aria confusa.
«Devo farvi i miei complimenti per la vostra… come definirla… perspicacia» disse infine. «E giacché siamo sull’argomento, forse vi interesserà anche sapere che un paio di settimane fa avevo consigliato al Presidente di mettervi al corrente del progetto, ma lui ha ritenuto più opportuno aspettare. Da quel giorno, gli eventi si sono svolti assai più rapidamente di quanto nessuno di noi si sarebbe mai immaginato.»
Disegnò distrattamente alcuni scarabocchi su un blocco per appunti, poi sembrò prendere una decisione improvvisa.
«Sentite» disse, «io non sono autorizzato a parlare, quindi non posso dirvi quello che sta succedendo in questo momento. Posso però raccontarvi una storia che forse vi divertirà. Naturalmente qualsiasi riferimento a luoghi e persone realmente esistenti è puramente… come si dice di solito in questi casi?… puramente casuale.»
«Va bene, ho capito!» disse Gibson ridendo. «Continuate pure.»
«Immaginiamo dunque che nel primo entusiasmo delle conquiste interplanetarie il pianeta A abbia fondato una colonia sul pianeta B. Dopo qualche anno, A scopre che B gli costa molto di più di quello che aveva previsto, senza ricompensare in nessun modo la spesa. Allora sul pianeta d’origine si formano due fazioni. La prima, conservatrice, vuol chiudere baracca e burattini, tagliare cioè i viveri a B e non occuparsene più. L’altro gruppo invece, quello progressista, vuole continuare l’esperimento perché ritiene che l’Uomo è destinato a esplorare tutto l’universo, per vivere e cercare nuove esperienze e per non ridursi a stagnare nel suo vecchio pianeta. Ma questa argomentazione non ha alcuna presa sui cittadini che pagano le tasse, e i conservatori cominciano a prendere il sopravvento.
«Questo stato di cose mette in agitazione i coloni, nei quali si va formando una mentalità sempre più indipendente, e che non sono affatto contenti di essere considerati come parenti poveri costretti a vivere di carità. Però non riescono a trovare una via d’uscita finché un giorno viene fatta una scoperta scientifica rivoluzionaria. Avrei dovuto premettere che il pianeta B ha interessato e attirato i migliori cervelli di A, il che costituisce un’altra delle ragioni per cui A è tanto seccato. Questa scoperta apre orizzonti pressoché illimitati all’avvenire di B, ma la sua applicazione comporta certi rischi, oltre che l’assorbimento di una buona parte delle limitate risorse di B. Con tutto questo, il progetto viene presentato, e A lo boccia immediatamente. Tra le quinte si svolge un prolungato tira e molla, ma il pianeta d’origine rimane incrollabile nel suo rifiuto.
«Ai coloni si offrono due alternative. Possono proclamare apertamente i loro diritti, e rivolgersi all’opinione pubblica di A. Ma questo può dare molti svantaggi, perché i pezzi grossi di laggiù cercherebbero in ogni modo di boicottarli. L’altra alternativa suggerisce invece di mettere in attuazione il progetto senza informarne la Terra, volevo dire A. E alla fine vien deciso di adottare questa soluzione.
«Naturalmente nel dissidio sono implicati molti fattori politici e personali, oltre che scientifici. Si dà poi il caso che il capo dei coloni sia uomo di tenacia inconsueta il quale non ha paura di nessuno, né su un pianeta né sull’altro. Inoltre è fiancheggiato da un gruppo di scienziati di prim’ordine i quali lo aiutano in ogni modo. Così il progetto viene messo allo studio, ma nessuno può dire se riuscirà o no. Mi rincresce di non potervi raccontare la fine della storia. Sapete anche voi come sono questi romanzetti a puntate: s’interrompono proprio nel momento più emozionante.»
«Credo che mi abbiate detto più o meno tutto» disse Gibson. «Tutto, cioè, tranne un piccolo particolare tutt’altro che trascurabile, perché ancora non so che cosa sia il Progetto Aurora.» Si alzò per accomiatarsi. «Domani tornerò per farmi raccontare l’ultima puntata del vostro interessantissimo romanzo.»
«Non ne avrete bisogno» disse Whittaker, e involontariamente diede un’occhiata all’orologio. «Prima di domani saprete tutto.»
Mentre lasciava il Palazzo dell’Amministrazione, Gibson fu rincorso da Jimmy.
«Dovrei essere al lavoro» disse il ragazzo, ansimando, «ma dovevo vedervi assolutamente. Sta succedendo qualcosa di molto importante.»
«Lo so» rispose Gibson quasi con impazienza. «Il Progetto Aurora è arrivato a maturazione e Hadfield ha lasciato la città.»
«Oh» fece Jimmy, un po’ mortificato. «Credevo che non lo sapeste. Ma c’è una cosa che non potete sapere certamente… Irene è sconvolta. Mi ha detto che ieri sera suo padre l’ha salutata come… come se ci fosse la possibilità che non la vedesse più.»
Gibson fece un fischio significativo. Questo poneva la situazione sotto una luce diversa. Dunque il Progetto Aurora non era soltanto una grossa impresa ma era anche una faccenda pericolosa. Non aveva pensato a quell’eventualità.
«Comunque vadano le cose» disse «domani sapremo. Me l’ha detto adesso Whittaker. Ma credo di capire dove si trovi Hadfield in questo momento.»
«Dove?»
«Su Phobos. Sono convinto che la chiave del Progetto Aurora è in quella piccola luna, ed è lì che potrai scovare il presidente, se è questo che t’interessa.»
Gibson sarebbe stato pronto a scommettere qualsiasi somma sulla sua supposizione, e fu una vera fortuna per lui che non ci fosse nessuno ad accettare la scommessa, perché in caso contrario avrebbe dovuto pagare. In quel momento Hadfield era ugualmente distante sia da Phobos sia da Marte. In quel preciso momento se ne stava infatti seduto alquanto scomodamente in una piccola astronave, zeppa di scienziati e di loro apparecchiature smontate in tutta fretta. Giocava a scacchi, e molto male, contro uno dei più insigni fisici del Sistema Solare. Anche il suo avversario del resto giocava malissimo, e chiunque avrebbe capito che gli scacchi erano solo un modo per passare il tempo. Come qualsiasi abitante di Marte, anche loro aspettavano. Loro però erano i soli a sapere esattamente che cosa.
Quel giorno interminabile, uno dei più lunghi vissuti da Gibson, si trascinò lentamente. Fu una giornata all’insegna delle chiacchiere e delle supposizioni. A Porto Lowell avevano tutti una loro teoria in proposito. Ma siccome quelli che sapevano la verità se ne stavano muti come pesci, mentre quelli che non sapevano niente gracchiavano come cornacchie, quando scese la notte la città si trovava in uno stato di confusione estrema. Gibson era incerto se restare alzato o meno, ma verso mezzanotte decise di andare a letto. Era profondamente addormentato nel momento in cui invisibilmente, silenziosamente, il Progetto Aurora raggiunse la sua fase finale. Soltanto gli uomini chiusi nella nave spaziale la videro attuarsi, e da bravi scienziati si trasformarono di colpo in scolari urlanti di gioia al pensiero di andare in vacanza.
Nelle primissime ore del mattino Gibson fu svegliato da un vigoroso colpo alla porta. Era Jimmy che gli gridò di alzarsi subito e di uscire. Si vestì in tutta fretta, ma quando fu pronto Jimmy era già in strada. Lo raggiunse davanti all’albergo. Da ogni parte arrivava gente. Tutti si fregavano gli occhi ancora pieni di sonno, e si chiedevano l’un l’altro che cosa fosse successo. Si udiva ovunque un brusìo di voci, e grida lontane. Porto Lowell aveva tutte le caratteristiche di un alveare nel quale fosse stato improvvisamente infilato un bastoncino.
Ci volle un minuto buono prima che Gibson capisse che cosa aveva svegliato la città. L’alba stava spuntando in quel momento: il cielo a est era rischiarato dai primi raggi del Sole nascente. A est? Gran Dio, ma il chiarore si stava diffondendo a ovest!
Gibson non era affatto superstizioso, ma per un attimo la sua mente fu sommersa da un’onda di pensieri irrazionali. Ma solo per un attimo. Subito la logica riprese il sopravvento. La luce che si allargava sull’orizzonte era sempre più luminosa. Poi i primi raggi toccarono le colline intorno alla città. Si muovevano in fretta, troppo in fretta per essere i raggi del Sole. E a un tratto una meteora dorata, fiammeggiante, si alzò sopra il deserto e salì verso lo zenith con moto quasi verticale.
Fu proprio la sua stessa velocità a tradirne la vera natura. Quello era Phobos, o meglio, quello che fino a poche ore prima era stato Phobos. Adesso invece era un giallo disco di fuoco, e Gibson poteva sentirne il calore sulla faccia. La città intorno a lui era ammutolita nella contemplazione del miracolo, conscia, anche se ancora confusamente, di ciò che quel miracolo avrebbe significato per Marte.
Ecco dunque il Progetto Aurora. Gli avevano dato un nome appropriato! Adesso finalmente tutte le tessere del mosaico combaciavano, però lo scopo primo non era ancora chiaro. Aver trasformato Phobos in un piccolo sole secondario era un prodigio di… di ingegneria nucleare, forse, ma Gibson non vedeva ancora come questo avrebbe contribuito a risolvere i problemi della colonia. Si stava tormentando con mille interrogativi, quando il sistema di altoparlanti di Porto Lowell, che veniva usato raramente, si svegliò all’improvviso e la voce di Whittaker riempì le strade.
«Buon giorno a tutti» disse la voce del maggiore. «Immagino che a quest’ora siate svegli e abbiate assistito a quanto è successo. Il Presidente è sulla via del ritorno dal suo viaggio interspaziale e vorrebbe parlarvi. Gli cedo il microfono.»
S’intese uno scatto metallico, poi qualcuno disse sottovoce: «Siete in comunicazione con Porto Lowell.» Un attimo dopo dagli altoparlanti uscì la voce di Hadfield. Era stanca ma trionfante: era la voce di un uomo che aveva combattuto una battaglia di importanza vitale e l’aveva vinta con tutti gli onori.
«Salve, amici» disse. «È Hadfield che vi parla. Mi trovo ancora nello spazio ma sto tornando da voi. Atterrerò fra un’ora. Spero che il vostro nuovo sole vi piaccia. Secondo i nostri calcoli dovranno trascorrere quasi mille anni prima che si spenga. Abbiamo bombardato Phobos quando era ancora molto basso rispetto al vostro orizzonte, per timore che la fase iniziale della irradiazione fosse troppo forte. La reazione si è ora stabilizzata al livello esatto che noi desideravamo, anche se potrà aumentare di qualche centesimo nella prossima settimana. Nel complesso si tratta di una reazione a risonanza mesonica, molto efficace ma non eccessivamente violenta, e dato il materiale che compone Phobos non c’è pericolo che si verifichi un’esplosione atomica vera e propria.
«Il vostro nuovo sole vi darà un decimo del calore solare, il che farà salire la temperatura di Marte a un livello quasi pari a quello della temperatura terrestre. Ma questa non è la ragione per la quale abbiamo bombardato Phobos, o perlomeno non è la ragione principale. Assai più che di calore Marte ha bisogno di ossigeno. Ebbene tutto l’ossigeno necessario a fornirgli un’atmosfera respirabile quasi quanto quella terrestre giace sotto i vostri piedi, imprigionato nella sabbia marziana. Due anni fa è stata scoperta una pianta che riesce a disintegrare la sabbia e a liberarne l’ossigeno. È una pianta tropicale che può esistere soltanto all’equatore e non dappertutto riesce a fiorire. Ma se ci fosse calore sufficiente, potrebbe propagarsi su tutta la superficie del nostro pianeta, naturalmente sollecitata dal nostro intervento, e fra cinquant’anni qui ci sarebbe un’atmosfera respirabile per l’uomo. È a questo che puntiamo, e quando avremo raggiunto lo scopo, potremo girare per Marte come ci parrà e piacerà senza bisogno di città incapsulate in cupole e maschere per respirare. È un sogno che molti di voi vedranno realizzato, e significherà che avremo dato un mondo nuovo al genere umano.
«Fin da questo momento, però, ne trarremo benefici tangibili. Prima di tutto farà più caldo, almeno quando Phobos e il Sole splenderanno insieme, e gli inverni saranno più miti. Anche se Phobos non sarà visibile oltre i settanta gradi di latitudine, i nuovi venti di convezione scalderanno anche le regioni polari, e impediranno che l’umidità, tanto preziosa per noi, resti imprigionata nelle calotte glaciali per la durata di sei mesi.
«Naturalmente ci saranno anche alcuni svantaggi, perché le stagioni e le notti diventeranno molto complicate, adesso, ma saranno largamente superati dai vantaggi. E ogni giorno, quando vedrete salire nel cielo il faro che abbiamo appena acceso, ripenserete al nuovo mondo a cui abbiamo dato vita. In questo momento, ricordatevelo, stiamo creando una nuova èra storica, perché questa è la prima volta che l’Uomo si è cimentato a mutare la faccia di un pianeta. Se noi ci siamo riusciti qui, altri riusciranno altrove, e nei secoli futuri civiltà intere, su mondi che oggi neppure conosciamo, dovranno la loro esistenza a quanto è stato fatto questa notte.
«È questo che volevo dirvi. Può darsi rimpiangiate il sacrificio che siamo stati costretti a compiere per ridare vita a questo pianeta. Ma rammentate una cosa: Marte ha perso una luna ma ha guadagnato un sole. Chi metterebbe in dubbio quale dei due beni sia il più prezioso? E adesso… buona notte a tutti!»
Ma a Porto Lowell nessuno pensò di tornare a letto. Per quello che riguardava la città la notte era finita e il nuovo giorno era spuntato. Com’era possibile staccare gli occhi dal minuscolo disco dorato che proseguiva la sua scalata al cielo, mentre il suo calore cresceva di minuto in minuto? Gibson si chiese che cos’avrebbero pensato di quel nuovo fenomeno le piante marziane. Avanzò lungo la strada verso il limite più vicino della cupola, e guardò attraverso la parete trasparente. Era proprio come aveva previsto: le piccole piante si erano tutte risvegliate e avevano rivolto la faccia al nuovo sole. Chissà come sarebbero state contente, pensò Gibson, quando nel cielo i due astri avessero brillato insieme.
Il razzo del Presidente atterrò un’ora più tardi, ma Hadfield e gli scienziati del Progetto Aurora evitarono la folla entrando in città a piedi dalla Cupola Sette e inviando a fare da esca all’entrata principale il mezzo di trasporto. Il trucco funzionò talmente bene che poterono rincasare tutti prima che la gente se n’accorgesse, sottraendosi a festeggiamenti che non avrebbero apprezzato a causa della stanchezza. Non poterono però impedire i numerosi assembramenti che si formarono in tutta la città, e nei quali ognuno affermava di aver sempre saputo sin dall’inizio cosa fosse in realtà il Progetto Aurora.
Phobos si stava avvicinando allo zenith, ed era perciò molto più vicino e quindi molto più caldo di quando era sorto, quando Gibson e Jimmy videro i loro compagni dell’Ares tra la piccola folla di coloro che avevano cortesemente ma fermamente insistito perché George aprisse i battenti prima dell’orario normale. Ognuno sosteneva di essere andato lì unicamente perché aveva avuto la certezza di trovare gli altri.
Data la sua qualifica di Ingegnere Capo, tutti si aspettavano che Hilton fosse più addentro di chiunque altro nei segreti della scienza nucleare, e lo presero quindi d’assalto per farsi spiegare che cosa era stato fatto esattamente. Hilton negò modestamente una sua qualsiasi competenza in materia.
«Quello che è stato fatto su Phobos» disse «è una conquista che va molto al di là di tutto quello che posso aver studiato all’Università. Neanche pensarci che io sia in grado di spiegarlo. Le reazioni mesoniche non erano state neppure scoperte, allora, e tanto meno si conosceva il modo di imbrigliarle. Del resto credo che sulla Terra lo si ignori tutt’ora. È sicuramente una scoperta alla quale Marte è arrivato per conto suo.»
«Come hai detto?» intervenne Bradley. «Secondo te dunque Marte sarebbe più progredito della Terra in fatto di fisica nucleare?»
Per un vero miracolo questa osservazione non scatenò una rissa, e i compagni ebbero il loro da fare a salvare Bradley dallo sdegno dei coloni. Quando la pace fu finalmente ristabilita, Hilton per poco non riaccese la miccia osservando sbadatamente: «Sapete tutti benissimo che in questi ultimi anni tutti i migliori scienziati terrestri si sono trasferiti qui, perciò il fenomeno non è poi così sorprendente come si potrebbe pensare.»
Una considerazione più che giusta, e Gibson ricordò quello che Whittaker gli aveva detto non più tardi del giorno prima. Non soltanto lui, ma molti altri avevano sentito l’attrattiva di Marte, e adesso finalmente aveva trovato la spiegazione. Quali prodigi di persuasione, quali complicati intrighi, quante abilissime trattative doveva aver operato Hadfield in quegli ultimi anni! Forse non era stato molto difficile convincere le menti di prim’ordine che sono sempre attratte dalla ricerca e dall’amore dell’ignoto. Più difficile doveva essere stato convincere i gregari della scienza, i quali sono altrettanto indispensabili per il lavoro scientifico normale. Un giorno forse sarebbe riuscito a scoprire il segreto ufficioso che si era nascosto dietro il segreto ufficiale, cioè come era stato varato e portato al successo il Progetto Aurora.
Quelle ultime ore della notte passarono velocissime. Quando il Sole sorse a salutare il suo rivale, Phobos stava per tuffarsi nel cielo orientale. L’intera città assistette in silenzio, affascinata, al duello che poteva risolversi in un unico modo, unico e previsto. Finché aveva brillato incontrastato nel cielo notturno era stato facile affermare che Phobos fosse luminoso quasi quanto il Sole, ma le prime luci della vera alba fecero crollare ogni illusione. Di minuto in minuto Phobos impallidì, per quanto fosse ancora alto sull’orizzonte, quando il Sole spuntò dal deserto. Ora si vedeva chiaramente quanto Phobos fosse debole e giallo al confronto. Non c’era pericolo che le piante si confondessero nella loro ricerca di luce: quando il Sole splendeva, Phobos veniva ridotto a un patetico lume di candela.
Ma era sufficientemente luminoso per adempiere al suo compito, e per la durata di mille anni sarebbe stato il signore incontrastato della notte marziana. E poi? Poi, quando il suo fuoco, per l’esaurimento di quegli elementi ignoti che oggi lo alimentavano, si fosse estinto, sarebbe ridiventato una piccola luna qualsiasi, brillante soltanto dello splendore riflesso del Sole.
Gibson capiva che questo non aveva importanza. Tra meno di un secolo il satellite avrebbe già compiuto la sua opera, e Marte avrebbe avuta un’atmosfera che non avrebbe riperso per molte età geologiche. E quando alla fine Phobos si fosse esaurito e spento, la scienza di epoche future avrebbe saputo trovare una risposta nuova, forse una risposta inconcepibile oggi per questa nostra epoca attuale come cento anni fa sarebbe stata inconcepibile la trasformazione artificiale di un satellite in piccolo sole.
Mentre la prima giornata di quella nuova era si avviava alla sua pienezza, Gibson rimase a lungo a osservare l’ombra doppia che il suo corpo proiettava sul terreno. Le due ombre erano rivolte entrambe a ovest, ma mentre una si muoveva appena, la seconda, la più debole, si allungava rapidamente sbiadendo sempre più. Alla fine scomparve di colpo nel momento preciso in cui Phobos sparì sotto l’orlo di Marte.
La sua brusca scomparsa ricordò a Gibson qualcosa che lui, e con lui quasi tutti a Porto Lowell, avevano dimenticato nel fervore dell’entusiasmo. Che cioè a quell’ora la notizia dell’avvenimento doveva essere giunta alla Terra, anche perché, ma Gibson non ne era sicuro, probabilmente Marte adesso doveva apparire infinitamente più luminoso, visto da laggiù.
Sicuramente fra poco la Terra avrebbe rivolto loro domande molto precise.