Lasciarono la motoretta diamagnetica in un’apposita rimessa alla periferia della Città. Le motorette erano rare nella Città, e Terens non aveva alcun desiderio di attirare su di sé inutili attenzioni.
Rik attese che Terens sprangasse il cubicolo-rimessa e lo sigillasse con le sue impronte digitali. Indossava un vestito nuovo tutto d’un pezzo e si sentiva un po’ a disagio. Seguì con una certa riluttanza il Borgomastro sotto la prima delle altre strutture a forma di ponte che sostenevano la Città Alta.
Su Florina tutte le altre città avevano un loro determinato nome, ma questa era la Città per antonomasia. Gli operai e i contadini che vi abitavano, o che abitavano nelle vicinanze, erano ritenuti, dal resto del pianeta, dei fortunati. Nella Città vi erano medici e ospedali migliori, più fabbriche, più spacci di liquori, persino una lieve parvenza di lusso.
La Città Alta era esattamente ciò che il suo nome indicava, poiché la città era doppia, perfettamente divisa da uno strato orizzontale di cinquanta miglia quadrate di legacemento poggiante su circa ventimila pilastri rinforzati di acciaio. Sotto, nell’ombra, stavano gli indigeni. Sopra, nel sole, dimoravano i Signori. Era difficile credere, nella Città Alta, di essere sul pianeta Florina, poiché la sua popolazione era quasi esclusivamente sarkita, eccettuate poche squadre di pattugliatori. Nella Città Alta vivevano i Signori, i dominatori.
Terens disse: «Adesso, Rik, stai su diritto. Saliamo.»
Si era fermato davanti a una struttura che riempiva lo spazio tra quattro pilastri in quadrato e che portavano dal suolo alla Città Alta.
Rik disse: «Ho paura.»
Intuiva che cosa dovesse essere quella struttura: era un ascensore che trasportava al livello superiore.
Erano congegni necessari, naturalmente. La produzione si trovava in basso, ma il consumo si svolgeva in alto. Le sostanze chimiche basilari e le materie prime alimentari venivano convogliate nella Città Bassa, ma i prodotti finiti in plastica e i cibi prelibati erano riservati alla Città Alta. La popolazione in eccesso si moltiplicava in basso; cameriere, giardinieri, autisti, addetti ai lavori di costruzione venivano adibiti in alto.
Terens ignorò l’espressione di terrore di Rik, però era stupito che anche il suo cuore battesse con tanta violenza: non di paura certo, ma piuttosto di una maligna gioia al pensiero che si accingeva a salire.
Oh, come li odiava, quelli della Galassia!
Si fermò, respirò profondamente e chiamò l’ascensore. Era inutile rimuginare odio. Era rimasto su Sark per tanti anni; su Sark, centro e cuore dell’universo dei Signori. Aveva appreso a sopportare in silenzio. Non doveva ora dimenticare quel che aveva appreso.
L’indigeno addetto al funzionamento dell’ascensore li guardò disgustato: «Siete soltanto in due!»
«Già! Soltanto in due» ripeté Terens entrando, seguito da Rik.
L’addetto alla manovra disse: «A me sembra che avreste ben potuto aspettare il carico delle due per salire. Mica sono obbligato a far muovere su e giù questo aggeggio per due persone soltanto. Dove sono le vostre tessere di riconoscimento?»
Terens gli presentò l’incartamento completo che tutti gli indigeni dovevano portare sempre con sé e che comprendeva: il numero di matricola, il certificato d’impiego, le ricevute delle tasse. L’incartamento era aperto alla pagina rossa che rappresentava la sua licenza di Borgomastro. Il manovratore diede una breve occhiata. «E l’altro?»
«Ne rispondo io» disse Terens. «Può venire con me, oppure devo chiamare un pattugliatore per far rispettare le regole?»
Era l’ultima cosa che Terens desiderasse, ma seppe esprimersi con la giusta dose di arroganza.
«E va bene! Non è il caso di arrabbiarsi.»
Terens ebbe un lieve sorriso. Succedeva quasi sempre così. Coloro che lavoravano al servizio diretto dei Signori erano anche troppo felici di identificarsi con i padroni e di rifarsi del loro effettivo stato d’inferiorità con una ancor più stretta aderenza alle regole di segregazione, di altezzosità e di disprezzo verso i propri simili praticate dai Signori.
La distanza percorsa verticalmente era di una quindicina di metri soltanto, ma la porta si riaprì su un mondo nuovo. Al pari delle città di Sark, la Città Alta era stata disegnata con una particolare ricerca dell’effetto coloristico. Strutture individuali, fossero luoghi di abitazione o pubblici edifici, erano inserite in un complesso mosaico multicolore che, da vicino, non era che una tavolozza priva di significato, ma che alla distanza di cento metri si fondeva in morbide tonalità cromatiche le quali trascoloravano e mutavano a seconda dell’angolo di visuale.
«Andiamo, Rik» disse Terens.
Rik era rimasto a bocca aperta a guardarsi intorno. Una vettura aero-terrestre passò come un barbaglio.
«Sono Signori, quelli?» mormorò Rik.
Aveva appena avuto il tempo di dare un’occhiata, e in quel breve attimo aveva intravveduto dei capelli tagliati corti, ampie maniche a sbuffo dai colori lucenti e sfumati dal turchino al violetto, pantaloni che parevano di velluto e lunghe calze lucide che scintillavano come se fossero intessute di sottili fili di rame.
«Sì, sono dei giovani» disse Terens. Da quando aveva lasciato Sark non ne aveva più veduti da vicino. Su Sark erano già insopportabili ma almeno si trovavano al loro giusto posto. Qui invece non s’inquadravano. Lottò di nuovo con se stesso per soffocare un vano tremore d’odio.
Una vettura piatta a due posti di pattugliatori sibilò alle loro spalle. Un pattugliatore era ai comandi. L’altro balzò leggero oltre il breve cerchio della vettura.
Disse: «Incartamento!» Diede un’occhiata meccanica e restituì il tutto a Terens aggiungendo: «Cosa fa qui?»
«Desidero consultare la bibliotecaria, Ufficiale. È mio privilegio.»
Il pattugliatore si volse a Rik. «E quello?»
«Io…» cominciò Rik.
«È il mio assistente» intervenne Terens.
«Non gode dei privilegi di Borgomastro» disse il pattugliatore.
«Ne rispondo io»
Il pattugliatore si strinse nelle spalle. «Affar suo. I Borgomastri godono di certi privilegi, ma non sono Signori: se lo ricordi, amico.»
«Sì, Ufficiale. A proposito, sa indicarmi la biblioteca?»
Il pattugliatore gliela indicò servendosi della sottile canna mortale di un disintegratore. La biblioteca era assai più grande di tutti gli altri monumenti noti, eccezion fatta per pochissimi edifici dello stesso Sark, e di gran lunga superiore alle necessità della Città Alta, il che dimostrava quanto sia vantaggioso disporre di mano d’opera a poco prezzo.
La sala centrale era grande, fredda, e praticamente vuota. La bibliotecaria era seminascosta dietro l’unica scrivania della sala. Sollevò la testa e si alzò a metà.
«Sono un Borgomastro» disse prontamente Terens. «Godo di privilegi speciali. Rispondo io di questo indigeno.» Aveva già i documenti pronti e si affrettò a metterglieli davanti.
La bibliotecaria si rimise a sedere e assunse un’espressione severa; quindi disse: «Stanza 242.»
«Grazie.»
I camerieri al secondo piano avevano la tipica gelida mancanza di personalità degli anelli di una catena senza fine.
La porta di vetro chiaro di una cabina si spalancò, e non appena loro furono entrati si richiuse silenziosamente e divenne opaca, come se vi fosse stata tirata sopra una tenda.
La stanza era di due metri quadrati, senza finestre e senza ornamenti. Era illuminata da una luce diffusa proveniente dal soffitto e ventilata da una condotta d’aria forzata. L’arredamento era rappresentato da una scrivania che si stendeva da una parete all’altra e da un banco imbottito ma senza schienale posto tra questa e la porta. Sulla scrivania c’erano tre “lettori”. Le loro superfici anteriori di vetro smerigliato erano inclinate a un angolo di trenta gradi. Davanti a ciascun “lettore” erano disposti vari quadri di comando.
Terens e Rik sedettero. «Guarda!» disse il Borgomastro. «Prima di tutto, vedi, c’è questa manopola, etichettata “catalogo” con l’alfabeto stampato intorno. Dal momento che per prima cosa ci serve una enciclopedia, gireremo la manopola sulla E, e premeremo in basso.»
Così fece, e subito apparvero vari oggetti. Il vetro smerigliato si illuminò e sopra vi si formarono dei segni scritti che risaltarono neri su un fondo giallo, mentre la luce del soffitto si affievoliva. Tre pannelli lisci si spostarono in fuori come altrettante lingue, ciascuno davanti a un “lettore”, e ognuno illuminato al centro da un compatto fascio di luce.
Terens girò un commutatore, e i pannelli rientrarono nei loculi. «Ora possiamo scorrere l’elenco delle E girando questa manopola» disse.
Subito comparve tutta una lunga serie di materiale disposto per ordine alfabetico, con titoli, autori, numeri di catalogo, e infine si fermò davanti a una fitta colonna elencante i numerosi volumi dell’enciclopedia.
Rik disse a un tratto: «Si premono i numeri e le lettere del libro che si vuole consultare con l’aiuto di questi piccoli bottoni e il libro appare sullo schermo.»
Terens lo guardò: «Come lo sai? Te lo sei ricordato?»
«Può darsi, ma non ne sono sicuro. Però mi sembra che debba essere così.»
«Be’, comunque hai indovinato.»
Premette una combinazione di lettere e di numeri. Sul leggìo apparve scritto: “Enciclopedia di Sark, Volume 54, Sol-Spec.”
Terens disse: «Ora ascoltami bene, Rik: non voglio metterti nessuna idea in testa, perciò non ti dirò quello che penso. Desidero soltanto che tu scorra questo volume e ti fermi se troverai qualcosa che ti sembra familiare. Hai capito?»
«Sì.»
«Bene. E adesso fa’ pure con calma.»
I minuti passarono. A un tratto Rik emise un’esclamazione soffocata e si affrettò a girare i quadranti a ritroso.
Quando si fermò, Terens lesse l’intestazione e parve compiaciuto. «Ricordi, adesso?»
Rik annuì con energia. «Mi è venuto all’improvviso, Borgomastro. Di colpo.»
Era la voce: Spazio-Analisi.
«So che cosa dice» proseguì Rik. «Vede…» Respirava a fatica. Terens era emozionato quasi quanto lui.
«Guardi» disse Rik «questa parte c’è sempre.» E si mise a leggere: «“Non deve sorprendere che lo Spazio-Analista sia per temperamento un introverso e per solito un individuo malcondizionato. Il dedicare la maggior parte della propria esistenza allo studio solitario dello spaventoso spazio vuoto tra le stelle è più di quanto si possa pretendere da un esere completamente normale. Per questo forse l’Istituto Spazio-Analitico ha adottato come suo motto ufficiale questa frase alquanto scarna: Noi Analizziamo Il Nulla”.»
«Hai capito quel che hai letto?» domandò Terens.
Rik lo guardò raggiante: «C’era scritto: Noi Analizziamo Il Nulla. È questo che ricordavo, perché io ero uno di loro.»
«Eri uno Spazio-Analista?»
«Sì» gridò Rik. Poi, con voce più sommessa: «Mi duole la testa.»
«Per lo sforzo di ricordare?»
«Penso di sì.» Alzò la testa e corrugò la fronte. «Eppure devo ricordare di più. Siamo in pericolo. Un pericolo spaventoso! Non so quel che devo fare.»
«La biblioteca è a nostra disposizione, Rik.» Terens lo osservava attentamente, pesando ogni parola. «Serviti tu stesso del catalogo e cerca qualche testo sulla Spazio-Analisi.»
Rik si buttò sul “lettore”. Era visibilmente scosso. Terens si fece da parte per lasciargli più spazio.
«Se chièdessimo il “Trattato della Strumentazione Spazio-Analisi” di Wrijt?» disse Rik. «Le sembra che possa andar bene?»
«Fa’ come ti pare, Rik»
Rik premette il numero di catalogo, e lo schermo si illuminò violentemente mentre appariva la scritta: Per il Volume in Questione Favorite Rivolgervi Alla Bibliotecaria.
Terens allungò prontamente una mano a neutralizzare lo schermo. «Conviene chiedere un altro libro, Rik.»
«Ma…» esitò, poi obbedì all’ordine. Dopo una breve consultazione del catalogo scelse la “Composizione dello Spazio” di Enning.
Sullo schermo apparve nuovamente la richiesta di rivolgersi per consultazione alla bibliotecaria. Terens borbottò tra i denti un’imprecazione sommessa e spense nuovamente l’apparecchio. Rik domandò: «Che cosa sta succedendo?»
«Niente. Non ti spaventare, per carità, Rik. Solo non vedo perché…»
Dietro la graticciata, accanto al meccanismo di lettura, era sistemato un piccolo altoparlante. Da questo uscì la voce secca, sottile della bibliotecaria che li raggelò.
«Stanza 242! Non c’è nessuno nella Stanza 242?»
Terens rispose con voce rauca: «Che cosa vuole?»
La voce disse: «Quale libro desiderate?»
«Non desideriamo niente. Grazie. Stiamo soltanto provando il “lettore”.»
Seguì una pausa, come se fosse in atto una invisibile consultazione. Quindi la voce disse in tono anche più imperioso: «Il registro indica una richiesta di lettura del “Trattato della Strumentazione Spazio-Analisi” di Wrijt e la “Composizione dello Spazio” di Enning. È esatto?»
«Premevamo dei numeri di catalogo a casaccio» disse Terens.
«Si può sapere per quale motivo desideravate quei volumi?» La voce era inesorabile.
«Le ho già detto che non ci servono…»
Una nuova pausa, quindi la voce disse: «Se volete scendere vi daremo accesso ai volumi. Si trovano su un elenco riservato e dovrete riempire un modulo.»
«Sciocchezze. Muoviti.»
Terens tese la mano a Rik. «Andiamo.»
«Dobbiamo avere infranto qualche regola» balbettò Rik.
Terens si era messo a camminare in fretta, costringendo Rik a seguirlo. Attraversò a passi veloci la sala centrale. La bibliotecaria si alzò gridando:
«Ehi, voi! Un momento! Un momento!»
Ma né Rik né Terens si fermarono, almeno sino al momento in cui un pattugliatore non si parò loro davanti. «Ehi, quanta fretta, amici!»
La bibliotecaria poté così raggiungerli. Ansava: «Eravate voi nel 242, vero?» Aveva gli zigomi rossi. Si girò e si avviò a passi frettolosi verso una porticina che si aprì al suo avvicinarsi.
Terens disse: «Ufficiale, se non le dispiace…»
Ma per tutta risposta il pattugliatore mise in mostra la sua frusta neuronica.
Il pattugliatore non era più né giovane, né snello. Sembrava prossimo a entrare in pensione e probabilmente gli avevano dato quell’impiego tranquillo di custode della biblioteca prima di congedarlo definitivamente, ma era armato, e la giovialità della sua faccia bruna non sembrava genuina.
Terens aveva la fronte madida e si sentiva il corpo percorso da rivoli di sudore. Evidentemente aveva sottovalutato la situazione. Si era sentito così sicuro del fatto suo, e invece aveva commesso una imprudenza imperdonabile, tutto per quel suo assurdo orgoglioso desiderio di intrufolarsi nella Città Alta…
In un attimo di disperazione pensò di gettarsi sul pattugliatore, poi, inaspettatamente, non ce ne fu più bisogno.
A tutta prima fu soltanto un movimento rapidissimo. Il pattugliatore si volse un attimo troppo tardi, tradito dalle reazioni più lente dell’età. La frusta neuronica gli venne strappata di mano e prima ancora che lui potesse gridare questa gli si abbatté su una tempia facendolo crollare.
Rik lanciò un urlo di gioia, e Terens esclamò: «Valona! Per tutti i diavoli di Sark, che cosa fai qui?»