Chi avesse sentito parlare Abel sul raggio personale diretto che lo collegava con Fife avrebbe creduto di ascoltare gli ameni discorsi di un uomo anziano intento a sorseggiare pacificamente un buon bicchiere di vino.
Disse: «Non è stato facile trovarla, Fife.»
Fife rise. Sembrava calmissimo, imperturbato. «Ho avuto molto da fare oggi, Abel.»
«Già, me l’hanno detto.»
«Chi? Steen?» domandò Fife con aria indifferente.
«In parte. Steen è con noi da circa sette ore.»
«Ha intenzione di riconsegnarcelo?»
«Temo di no.»
«Ma è un criminale.»
Abel rise e rigirò il calice che aveva tra le mani, osservando le pigre bollicine che ne uscivano. «Credo che dovremo riconoscerlo come rifugiato politico, e la legge interstellare lo proteggerà finché sarà in territorio trantoriano.»
«Crede che il suo governo la appoggerà?»
«Credo di sì, Fife. Non sarei in diplomazia da trentasette anni se non sapessi quello che Trantor farà e quello che non farà.»
«Potrei disporre le cose in modo che Sark esiga il vostro richiamo.»
«A che servirebbe? Io sono un uomo pacifico che lei conosce da un pezzo. Il mio successore invece potrebbe essere un uomo qualsiasi, magari antipaticissimo.»
Segui una pausa. Fife contrasse la faccia leonina. «Penso che abbia una proposta da farmi.»
«È esatto. Lei ha un nostro uomo.»
«Quale uomo?»
«Uno Spazio-Analista, un oriundo del pianeta Terra che, sia detto tra parentesi, fa parte dei possedimenti trantoriani.»
«È stato Steen a dirglielo?»
«Insieme ad altre cose.»
«Steen ha veduto questo Terrestre?»
«Non mi ha detto di averlo visto.»
«Era precisamente quanto desideravo sapere e, date le circostanze, non credo che lei possa prestare fede alle sue parole.»
Abel posò il bicchiere, incrociò le mani sulle ginocchia e disse: «Ciononostante, sono sicuro che questo Terrestre esiste. Io le ripeto, Fife, che noi ci dovremmo mettere d’accordo proprio su questo punto. Io ho Steen, e lei ha il Terrestre. In un certo senso siamo pari. Prima di dare il via ai suoi piani, prima di inviare l’ultimatum e di mettere in atto il colpo di Stato, perché non teniamo una conferenza sulla situazione del kyrt in genere?»
«Non ne vedo la necessità. Quanto sta accadendo attualmente su Sark è una semplice questione interna. Io sono disposto a garantire personalmente che non ci saranno interferenze nel commercio del kyrt, comunque si svolgano gli avvenimenti politici sarkiti. Ritengo che ciò dovrebbe porre termine alle pretese di Trantor nei confronti dell’individuo in questione.»
Abel riprese a sorseggiare il suo vino, e parve riflettere a lungo; infine disse: «Mi risulta che abbiamo un secondo rifugiato politico. Un caso curioso. È uno dei suoi sudditi floriniani, a proposito. Un Borgomastro che dice di chiamarsi Myrlyn Terens.»
Gli occhi di Fife si accesero di una fiamma improvvisa. «Ce l’eravamo più o meno aspettato. L’uomo che ha prelevato è un assassino. Non si può farne un rifugiato politico.»
«Bene. Vuole che glielo ceda?»
«Ha intenzione di contrattare, vero? Di che si tratta?» «Della conferenza di cui le ho parlato.» «Per un omicida floriniano? Neanche da pensarci.» «Eppure il modo col quale questo Borgomastro per poco non è riuscito a sfuggirci, è alquanto curioso. Le interesserà forse di sapere…»
Junz passeggiava per la stanza scuotendo la testa. Era già notte inoltrata. Avrebbe tanto voluto dormire, ma sapeva che avrebbe dovuto ricorrere un’altra volta al somnium, per riuscirci.
Abel disse: «Avrei potuto minacciare un intervento di forza, come suggeriva Steen, ma sarebbe stato pericoloso. Avrebbe comportato rischi enormi, per risultati incerti. Tuttavia sino a quando non abbiamo avuto in mano il Borgomastro non vedevo altra alternativa, fuorché, naturalmente, una politica assenteista.»
Junz scosse energicamente la testa. «No. Bisognava pure tentare qualcosa, anche se si tratta di un ricatto.»
«Tecnicamente parlando, penso che lo sia. Ma che cos’altro avrei potuto fare?»
«Esattamente quello che ha fatto. Non sono un ipocrita, Abel. O perlomeno cerco di non esserlo. Non sarò io a condannare i suoi metodi dal momento che intendo servirmi appieno dei loro risultati. Tuttavia, che cosa si fa della ragazza?»
«Nessuno le darà fastidio sino a quando Fife si atterrà ai patti.»
«Mi dispiace per lei. Ho imparato a concepire una profonda antipatia verso gli aristocratici sarkiti per il male che hanno fatto a Florina, ma non posso non provare pena per quella povera ragazza.»
«Da un punto di vista personale la capisco, ma la responsabilità vera della cosa ricade unicamente su Sark. Stia un po’ a sentire, amico mio, ha mai baciato una ragazza in una vettura aeroterrestre?»
Un breve sorriso passò sulle labbra di Junz. «Sì.»
«E anch’io ho fatto la stessa esperienza, anche se il ricordo risale a molti anni fa. Che cos’è un bacio rubato in una vettura aeroterrestre, se non l’espressione della più naturale emozione della Galassia? La prego di seguire il mio ragionamento. Ci troviamo di fronte a una ragazza di alto rango sociale la quale, per un errore, si trova nella stessa vettura assieme a… diciamo pure un criminale. Costui coglie l’occasione, e la bacia. Agisce d’impulso e senza il suo consenso. Quale dovrebbe essere la reazione della ragazza? Quale quella di suo padre? Di dolore? Forse. Di dispetto? Certamente. Ammetto anche che si possano sentire irritati, offesi, insultati. Ma disonorati? Disonorati al punto da essere disposti a mettere in pericolo gravi affari di Stato pur di evitare lo scandalo? Quale esagerazione! Eppure questa è esattamente la situazione e potrebbe verificarsi solo su Sark. La Dama Samia è colpevole unicamente di impetuosità, e di una certa dose di ingenuità. Non ha importanza che lei ignorasse che l’altro fosse floriniano. Non ha importanza che l’uomo l’abbia baciata di prepotenza. Se rendessimo di pubblico dominio la fotografia della Dama Samia tra le braccia di un floriniano, renderemmo la vita intollerabile a suo padre e a lei. Fife sa che la voce sarebbe volentieri accolta da molti ai quali uno scandalo sensazionale interessa sempre, e sa che la fotografia in questione verrebbe considerata una prova incontrovertibile. Sa inoltre che i suoi nemici politici ne trarrebbero il maggior vantaggio possibile. Chiamatelo pure un ricatto, Junz, probabilmente lo è, ma si tratta di un ricatto che su qualsiasi altro pianeta della Galassia non avrebbe alcun effetto. È stato il loro stesso sistema sociale, marcio sino al midollo, a darci in mano quest’arma, e io non ho rimorsi a usarla.»
Junz sospirò. «Qual è la decisione finale?»
«C’incontreremo domani a mezzogiorno.»
«Potrò esserci anch’io?» domandò Junz ansiosamente.
«Certo. E ci sarà anche il Borgomastro. Avremo bisogno di lui per identificare lo Spazio-Analista. Ci sarà anche Steen, naturalmente. Sarete tutti presenti in personificazione trimensica.»
«Grazie.»
«E adesso, se non le dispiace, sono due giorni e una notte che non dormo, e temo di essere ormai troppo vecchio per ingerire una dose ulteriore di somnium. Ho bisogno di riposo.»
Ora che la personificazione trimensica era giunta a uno stadio perfetto, accadeva di rado che le conferenze importanti venissero tenute a faccia a faccia. Fife era fortemente risentito della presenza materiale del vecchio Ambasciatore. Ma doveva tacere. Non poteva dire niente. Non poteva che fissare imbronciato gli uomini che gli stavano di fronte.
Abel: un vecchio rimbambito, dagli abiti trasandati, che però aveva dietro di sé un milione di mondi. Junz: un ficcanaso crespo e nero come uno scarafaggio la cui ostinazione aveva precipitato la crisi. Steen: un traditore! Il Borgomastro… Guardare quell’uomo era per lui la cosa più difficile di tutte. Era l’indigeno che col proprio contatto immondo aveva disonorato sua figlia, e che tuttavia poteva starsene al sicuro, irraggiungibile, dietro le mura dell’Ambasciata trantoriana.
Se Samia non avesse… Si costrinse a non pensarci. Era stato sempre troppo debole con lei, favorendone ogni capriccio, e non poteva biasimarla adesso.
Il Signore di Fife disse: «Questa conferenza mi è stata imposta. Non ho quindi niente da dire. Sono qui unicamente per ascoltare.»
Abel disse: «Ritengo che il primo a voler parlare sia Steen.»
Gli occhi di Fife si empirono di disprezzo infinito, che punse sul vivo Steen il quale si mise a urlare, in preda a collera violenta.
«Tu mi hai costretto a rivolgermi a Trantor, Fife. Sei stato tu a violare il principio di autonomia! Non potevi pretendere che io mi sottomettessi alla tua prepotenza.»
Fife non parlò e Abel disse, non senza una punta di disprezzo a sua volta: «Venga al dunque, Steen. Ha affermato di avere qualcosa da dire: la dica.»
«È quello che farò, e subito. Certo non pretendo di essere il poliziotto che il Signore di Fife si autoproclama di essere, però posso pensare. Francamente! E ho pensato. Fife ha raccontato ieri di un misterioso traditore che lui chiama X. Io ho capito che si trattava di un mucchio di chiacchiere dietro le quali si nascondeva per dichiarare lo stato di emergenza. Ma io non mi sono lasciato mettere nel sacco neppure per un minuto.»
«Dunque, X non esiste?» domandò Fife, calmo. «Allora perché sei scappato? Un uomo che scappa ha sempre torto.»
«Ah, davvero?» gridò Steen. «Perciò, secondo te, non si dovrebbe scappare da un edificio in fiamme anche se non siamo stati noi ad appiccare il fuoco?»
«Prosegua, Steen» disse Abel.
«Ma poi ho pensato: perché inventare una storia così complicata? Non è nel suo stile. Francamente! Non è affatto nello stile di Fife. Io lo conosco. Lo conosciamo tutti. Un uomo senza immaginazione, Eccellenza! Un bruto!»
Fife aggrottò la fronte. «Quest’uomo ha veramente qualcosa da dire, Abel, o si limita soltanto a blaterare?» chiese.
«Prosegua, Steen» disse Abel.
«È quello che farò, purché mi lasciate parlare! Oh, dunque… Mi sono detto: perché un uomo come Fife inventerebbe una storia simile? A questo interrogativo ho trovato una sola risposta: quella storia non poteva averla inventata lui, perciò era vera. Doveva essere vera. E dei pattugliatori erano stati effettivamente uccisi, anche se Fife sarebbe stato capacissimo di averli fatti uccidere lui.»
Per tutta risposta Fife si strinse nelle spalle.
Steen riprese, incalzante: «Solo, chi è X? Io no. Francamente! Lo so di non essere io! E riconosco che può trattarsi soltanto di un Grande Signore. Ma chi è il Grande Signore che ha cercato per un anno intero di sfruttare l’episodio dello Spazio-Analista per spaventare gli altri e costringerli a ciò che lui chiama uno “sforzo riunito” e che io chiamo “resa” a una dittatura di Fife? Vi dirò io chi è X.» Steen balzò in piedi e puntò un indice tremante. «È lui X. È il Signore di Fife. È stato lui a sequestrare lo Spazio-Analista, e a metterlo nell’impossibilità di nuocere quando ha capito che noi non ci eravamo lasciati impressionare dalle sue sciocche affermazioni, all’epoca della prima conferenza. Poi, quando si è sentito pronto per un colpo militare, lo ha risfoderato.»
Fife si volse ad Abel con aria stanca. «Ha finito? In caso affermativo toglietemelo dalla vista perché la sua presenza è un insulto intollerabile a qualsiasi persona per bene.»
Abel chiese: «Ha qualche commento da fare a quanto ha affermato Steen?»
«Naturalmente no! Che commento vuole che faccia? È un povero disgraziato.»
«Non credere di cavartela così a buon mercato, Fife!» gridò Steen. Rimase in piedi. «Statemi a sentire. Lui dice che i suoi agenti hanno trovato delle annotazioni nell’ambulatorio di un medico. Dice che questo medico è morto in un incidente dopo aver diagnosticato il caso dello Spazio-Analista, definendolo la vittima di un sondaggio psichico. Dice che è stato un crimine da parte di X tenere segreta l’identità dello Spazio-Analista. Questo dice. Domandatelo a lui. Chiedetegli se non è così che ha detto.»
«E con questo?» domandò Fife.
«Chiedetegli allora com’è riuscito a ottenere le annotazioni di un medico morto e sepolto da mesi, se già non le aveva in mano in precedenza. Francamente!»
Fife obiettò: «Quello che dici è semplicemente idiota. Non possiamo stare qui a perdere il nostro tempo. Un altro medico rilevò la cilentela del medico defunto unitamente alle sue registrazioni. Che cosa credete? Che le note mediche di un dottore si distruggano con la distruzione fisica dell’individuo?»
Abel disse: «No, certo.»
Steen balbettò ancora qualche parole smozzicata, quindi sedette.
Fife proseguì: «E poi? Avete altre accuse da muovere? Altro da dire?»
«Questo è stato il discorso di Steen, e per il momento lo metteremo da parte» rispose Abel. «Adesso, invece, Junz e io siamo qui per tutt’altra questione. Vorremmo vedere lo Spazio-Analista.»
«Abbiamo in custodia un uomo di mente sub-normale che afferma di essere uno Spazio-Analista. Darò ordine che sia condotto qui» disse Fife.
Valona March non avrebbe mai e poi mai immaginato che potessero esistere al mondo cose tanto straordinarie. Dal momento in cui aveva messo piede su Sark, tutto la stupiva e la meravigliava. Persino le celle della prigione nella quale lei e Rik erano stati separatamente rinchiusi erano incredibilmente lussuose.
Si era trovata in stanze dove c’erano cose che mai aveva visto. Quella in cui si trovava adesso era più grande delle altre ma pressoché spoglia. Tuttavia, conteneva più gente. Dietro alla scrivania sedeva un uomo dell’aspetto severo, poi un altro molto più anziano, tutto grinze, e infine altri tre…
E uno di questi era il Borgomastro!
Valona balzò in piedi e gli corse incontro. «Borgomastro! Borgomastro!»
Ma era soltanto un’illusione!
Il Borgomastro si era alzato e le aveva fatto un cenno. «Resta dove sei, Lona. Resta dove sei!»
La ragazza aveva toccato soltanto l’aria vuota. Si era sporta ad afferrarlo per la manica, e aveva incontrato il nulla. Restò per un attimo senza respiro.
Valona puntò un dito: «Ma non è il Borgomastro, quello?»
Rik disse a un tratto: «È una personificazione trimensica, Lona. Non è qui, ma possiamo vederlo ugualmente nel punto ove si trova.»
Valona scosse la testa. Se Rik diceva così doveva essere vero; però abbassò gli occhi: non osava guardare la gente che c’era e al tempo stesso non c’era.
Abel domandò a Rik: «Dunque lei sa che cos’è la personificazione trimensica?»
«Sì, Signore.»
«E dove l’ha imparato?»
«Non lo so. Lo sapevo prima… prima di dimenticare.»
Fife disse in tono acido: «Mi duole di aver dovuto disturbare quest’incontro con la presenza di una donna indigena isterica, ma il cosiddetto Spazio-Analista ha voluto che ci fosse anche lei.»
«Non si preoccupi» disse Abel. «Però noto con stupore che il suo floriniano di intelligenza sub-normale sembra essere a conoscenza di quel che significa personificazione trimensica.»
«Sarà stato bene ammaestrato, immagino» disse Fife.
Abel domandò: «Lo ha interrogato, dal suo arrivo su Sark?»
«Certo.»
«Con quale risultato?»
«Non ne abbiamo cavato niente di nuovo.»
Abel si rivolse a Rik: «Qual è il suo nome?»
«Rik è il solo nome che io ricordi» rispose Rik calmo.
«Riconosce nessuno dei presenti?»
Rik guardò gli astanti in faccia, a uno a uno, senza timore, infine disse: «Conosco soltanto il Borgomastro, e Lona, naturalmente.»
«Quest’uomo» disse Abel indicando Fife «è il più Grande Signore che sia mai esistito. Possiede l’intero universo. Che cosa pensa di lui?»
Rik rispose con orgoglio: «Io provengo dalla Terra, perciò non può certo possedere me.»
Abel osservò sottovoce a Fife: «Non credo che un floriniano indigeno adulto possa venire ammaestrato a dimostrare tanta baldanza.»
«E questo lo conosce?» domandò Abel, rivolgendosi nuovamente a Rik, e indicando Junz.
«No.»
«È il dottor Selim Junz. È un funzionario importante dell’Ufficio Spazio-Analitico Interstellare.»
Rik studiò attentamente lo scienziato. «Dunque, dovrebbe essere uno dei miei capi. Tuttavia» aggiunse con disappunto «non lo conosco. O può darsi che non me ne ricordi, semplicemente.»
Junz scosse malinconicamente la testa. «Io non l’ho mai visto, Abel!»
«Molto interessante» borbottò Fife tra i denti.
«Adesso mi stia a sentire, Rik» disse Abel. «Io le dirò qualcosa, e lei mi ascolterà concentrando tutta la sua attenzione e sforzandosi di pensare. Mi capisce?»
Rik annuì.
Abel cominciò a parlare lentamente, ricostruendo gli eventi come già erano stati precedentemente presentati dal Signore di Fife. Ripeté il testo originale del messaggio annunciante un gravissimo pericolo, riferì la sua intercettazione, l’incontro tra Rik e X, il sondaggio psichico, descrisse come Rik era stato trovato e rieducato su Florina, parlò del medico che lo aveva visitato ed era morto poco dopo, e del suo rapido ritorno alla memoria. Infine disse: «Ecco, Rik. Le ho ripetuto tutto quello che so. Non c’è niente che le sembri familiare?»
Lentamente, faticosamente Rik rispose: «Ricordo le ultime parti, proprio quelle che si riferiscono a questi ultimissimi giorni.»
Abel disse: «Ricorda la minaccia che incombeva su Florina?»
«Sì! Questa è stata la prima cosa che ho ricordato.»
«E dopo questo, non rammenta altro? È atterrato su Sark e ha incontrato un uomo…»
Rik gemetce: «No, non posso. Non riesco a ricordare…»
«Provi!»
Rik alzò la testa. La sua faccia pallida grondava sudore. «Ricordo una parola.»
«Quale parola, Rik?»
«È una parola priva di senso.»
«La dica lo stesso.»
«È connessa a un tavolo… Ricordo molto confusamente che ero seduto a quel tavolo, e che accanto a me c’era seduto qualcun altro. Poi questa persona si alzò e mi guardò. Ed ecco che adesso mi ritorna quella parola.»
Abel insistette pazientemente: «Quale parola?»
Rik strinse i pugni e mormorò: «Fife!»
Tutti fuorché Fife scattarono in piedi. Steen strillò: «Ve l’avevo detto!» E proruppe in una risata stridula, acuta.