14

Selim Junz non era mai stato di temperamento flemmatico e un anno di attesa non era certo servito a migliorare quell’aspetto del suo carattere.

Quando Junz ebbe finito di sbraitare che per nessuna ragione al mondo Sark poteva permettersi la libertà di rapire e imprigionare un membro dell’U.S.I., indipendentemente dalle condizioni della rete spionistica di Trantor, Abel si limitò a dire: «Io penso che le converrebbe trascorrere la notte qui, dottore.»

«Ho di meglio da fare, grazie» disse Junz, gelido.

Abel riprese: «Certo, amico, certo. Con tutto ciò Sark dev’essere diventato molto audace per osare di uccidere i miei uomini, e temo fortemente che prima di domani possa capitare anche a lei qualche disgrazia. Lasci dunque che passi stanotte, e vediamo che cosa ci porta il nuovo giorno.»

Le proteste di Junz contro l’inazione dell’Ambasciatore caddero nel vuoto. Senza perdere il suo tono distratto e indifferente Abel si mostrò all’improvviso duro d’orecchio e Junz venne scortato con cortese fermezza in una camera destinata agli ospiti dell’Ambasciata.

Una volta a letto cominciò a fissare il soffitto affrescato, vagamente luminescente e comprese che non sarebbe riuscito ad addormentarsi. A un tratto però si senti investire da una deboia zaffata di gas somnium e prima che gli giungesse la seconda già era caduto in un sonno di piombo.


Fu risvegliato nella fredda mezza luce dell’alba. Sbatté le palpebre e vide Abel.

«Che ora è?» chiese.

«Le sei.»

«Spazio Onnipotente! Come è mattiniero.»

«Non mi sono neppure coricato.»

«Che cosa?»

«Già. E le assicuro che sono stanco. Non rispondo all’anti-somnium con la stessa prontezza di quando ero giovane.»

«Scusi un momento» disse Junz.

Per una volta la sua toletta mattutina prese effettivamente poco più di un attimo.

«Ebbene?» domandò rientrando nella camera. «Non mi avrà svegliato alle sei del mattino solo per fare quattro chiacchiere, immagino.»

«D’accordo» Abel sedette sul letto e scoppiò in una risata stridula. «Mi scusi» disse poi «non sono completamente me stesso. Questo dover star sveglio per forza mi rende un po’ euforico. Quasi quasi finirò col chiedere a Trantor di sostituirmi con un elemento più giovane.»

Junz disse con una punta di sarcasmo e con un’improvvisa speranza: «Ha forse saputo che non hanno acciuffato lo Spazio-Analista?»

«No. Purtroppo l’hanno preso. Temo che la mia ilarità sia dovuta unicamente alla constatazione che le nostre reti sono intatte. Senza dubbio sapevano che Khorov era uno dei nostri agenti, e può darsi che ne conoscano altri, sparsi su Florina, ma si tratta di agenti secondari. I sarkiti lo sapevano, e si sono sempre limitati a tenerli d’occhio.»

«Però adesso ne hanno ucciso uno» obiettò Junz.

«Niente affatto» ribatté Abel. «È stato un compagno dello Spazio-Analista travestito da pattugliatore, a ucciderlo.»

Tunz lo guardò sbalordito. «Non capisco» dichiarò.

«È una storia alquanto complicata. Vuole seguirmi in sala da pranzo? Ho una fame che non ci vedo.»

Arrivati al caffè, Abel si decise finalmente a raccontare le vicende delle ultime trentasei ore.

Junz lo fissava sbalordito. Posò la tazza, ancora mezzo piena, dimenticandosi di vuotarla. «Anche ammesso che si siano imbarcati clandestinamente, proprio su quel mezzo» disse «rimane pur sempre il fatto che potrebbero non averli scoperti. Se manderà qualcuno a incontrarli nel momento in cui la nave atterrerà…»

«Sa benissimo che a bordo di una nave moderna è impossibile che passi inosservata la presenza di un eccesso di irradiazione emanato da un corpo umano.»

«Può darsi che non l’abbiano notata. Gli strumenti possono essere infallibili, ma gli uomini no.»

«Poco probabile. Comunque, ascolti. Nel momento esatto in cui la nave con lo Spazio-Analista a bordo si starà avvicinando a Sark ci sono ottime probabilità che il Signore di Fife si trovi in conferenza con gli altri Grandi Signori. Queste conferenze intercontinentali sono distanziate l’una dall’altra, quanto le stelle della Galassia. Crede che si tratti di coincidenza?»

«E tengono una conferenza intercontinentale per uno Spazio-Analista?»

«Di per sé si tratta di un argomento senza importanza, infatti. Noi però lo abbiamo reso importante. Da un anno l’U.S.I. sta cercando quell’uomo con notevole tenacia.»

«Non l’U.S.I.» disse Junz. «Io. Io ho sempre lavorato in veste ufficiosa.»

«I Signori però ignorano questo particolare, e anche se glielo dicessimo non ci crederebbero. Del resto, anche Trantor si è interessato alla cosa.»

Junz chiese: «Come fa a sapere tutto questo?»

«Tutto che cosa?»

«Tutto, in nome della Galassia! Come e quando lo Spazio-Analista si è imbarcato clandestinamente, come e in che modo il Borgomastro è riuscito a sfuggire alla cattura. Sta cercando d’ingannarmi?»

«Mio caro dottor Junz!»

«Lei stesso ha ammesso che, indipendentemente da me, i suoi uomini sorvegliavano lo Spazio-Analista, e la notte scorsa ha provveduto a togliermi dalla circolazione.»

«Dottor Junz, ho passato la notte in costante comunicazione con alcuni miei agenti. Bisognava che lei fosse fuori di circolazione, per usare le sue parole, e che al tempo stesso fosse al sicuro. Quanto le ho riferito, l’ho appreso dai miei agenti soltanto stanotte.»

«Per sapere quel che ha saputo bisognerebbe che avesse delle spie nello stesso governo sarkita.»

«Ma si capisce!»

Junz ebbe uno scatto. «Oh, andiamo.»

«Si stupisce? Certo, Sark è proverbiale per la stabilità del suo governo e per la fedeltà del suo popolo. La ragione di ciò è abbastanza semplice, se si pensa che anche il sarkita più povero è un aristocratico in paragone ai floriniani, e può pertanto considerarsi, anche se sbaglia, un membro della classe dirigente. Rifletta, tuttavia, che Sark non è poi quel mondo di miliardari che la maggior parte degli altri abitanti della Galassia ritiene. Esiste dunque sempre un certo numero di sarkiti i quali, nella loro insofferenza, si sentono urtati da quella piccola frazione della popolazione sfacciatamente annegata nel lusso, e pertanto si prestano di buon grado ai miei scopi.»

«Questi sarkiti minori, ammesso che esistano» disse Junz «non possono recarle gran beneficio.»

«Ci sono persino membri della classe dominante vera e propria che hanno imparato a memoria le lezioni di questi ùltimi due secoli e sono convinti che alla fine sarà Trantor a stabilire il proprio potere su tutta la Galassia, e secondo me non hanno torto.»

Junz ebbe una smorfia di disprezzo. «A sentire parlare lei la politica interstellare diventa un gioco molto sudicio.»

«Sì, ma non basta criticare il sudiciume per toglierlo di mezzo. Né d’altronde tutte le sfaccettature di questa politica sono irrimediabilmente sporche. Pensi agli idealisti. Pensi ai pochi funzionari del governo sarkita, i quali servono Trantor non già per denaro o sete di potere ma unicamente perché ritengono che un governo galattico unificato sia per l’umanità la via migliore e sono certi che soltanto Trantor è in grado di costituire un tale governo. Uno di questi uomini, il mio elemento migliore, si trova al Ministero degli Interni di Sark, e in questo momento mi sta portando il Borgomastro.»

«Ma se mi aveva detto adesso che è stato catturato?»

«Dal Ministero degli Interni, sì. Ma l’uomo, oltre che dipendere dal Ministero degli Interni, dipende anche da me. Certo, dopo questo fatto, la sua utilità sarà molto diminuita.»

«E adesso che cosa ha in mente di fare?»

«Ancora non lo so. Prima di tutto dobbiamo impadronirci del Borgomastro. Sono sicuro di lui solo sino al momento in cui giungerà all’astroporto. Quel che accadrà in seguito…» Abel si strinse nelle spalle, quindi aggiunse: «Anche i Signori saranno in attesa del Borgomastro. Hanno l’impressione di averlo già in pugno, e sino a quando non sarà in mano loro, o nostra, nient’altro potrà accadere.»

Ma questa affermazione doveva rivelarsi errata.


Teoricamente parlando, le varie ambasciate estere conservavano in tutta la Galassia diritti extraterritoriali sulle zone immediatamente adiacenti alla loro ubicazione. In pratica, però, Trantor soltanto riusciva a tutelare efficacemente l’indipendenza dei suoi inviati.

L’area dell’Ambasciata trantoriana copriva circa un miglio quadrato e nei suoi limiti montavano costantemente la guardia uomini armati in uniforme trantoriana. Nessun sarkita poteva accedervi se non invitato, e in ogni caso nessun sarkita armato. Certo, l’efficienza degli uomini e delle armi di Trantor non avrebbe potuto resistere all’attacco deciso, sia pure di un semplice reparto corazzato sarkita, per più di due o tre ore, ma dietro a quell’esile nucleo si nascondeva il potere di rappresaglia del complesso organizzato di un milione di mondi.

Tuttavia la giro-nave apparsa in quel momento sul porticciolo privato non era né attesa né trantoriana. Il piccolo nerbo dell’Ambasciata fu prontamente e bellicosamente raccolto e un cannone atomico puntò nell’aria il suo tozzo muso mentre si alzavano gli schermi di protezione.

Il tenente Camrum distolse lo sguardo dal mirino e disse: «Non capisco. Grida che lo faranno saltare per aria tra due minuti se non lo facciamo scendere, e reclama diritto di asilo.»

In quel momento entrò il capitano Elyut, il quale gli rispose: «Figurati! Se gli diamo retta, Sark protesterà dicendo che c’intromettiamo nella sua politica, e se Trantor decide di dargli ragione, tu e io saremo spazzati via come due ramazze. Chi è?»

«Non vuol dirlo» rispose il tenente. «Sostiene che deve parlare con l’Ambasciatore personalmente. Dimmi un po’ tu quel che devo fare.»

L’apparecchio ricevente a onde corte si mise a sputacchiare, e una voce incollerita urlò: «Ma non c’è nessuno, laggiù? Badate che scendo e basta. Vi giuro che non posso aspettare neppure un secondo di più.»

Il capitano disse: «Spazio Onnipotente, conosco quella voce. Fallo scendere! Sulla mia responsabilità!»

Gli ordini scattarono. La giro-nave si abbassò verticalmente, un po’ più in fretta del necessario, segno evidente che la mano che ne regolava i comandi era quella di un pilota inesperto e spaventato. Il cannone atomico mantenne la mira.

Il capitano stabilì una linea diretta con Abel e tutta l’Ambasciata piombò nel più indescrivibile trambusto. La formazione di navi sarkite, apparsa sulla zona meno di dieci minuti dopo che il primo vascello era atterrato, restò librata per due ore in minacciosa attesa, quindi si allontanò.


Sedettero a pranzo, Abel, Junz, e il nuovo venuto. Con straordinario sangue freddo, soprattutto considerate le circostanze, Abel si era comportato sino a quel momento come il più perfetto degli anfitrioni, astenendosi per ore intiere dal chiedere al Grande Signore come mai avesse invocato diritto di asilo.

Junz era assai meno paziente. Di tanto in tanto sibilava ad Abel in un orecchio: «Santo Spazio! Che cosa ne farete di quello lì?»

Per tutta risposta Abel si limitava a sorridere: «Niente. Almeno sino a quando non saprò se il Borgomastro è in mano mia o no. Voglio conoscere con esattezza quali sono le mie carte, prima di gettarle in tavola; e dal momento che è stato lui a venire da me, l’attesa roderà più i suoi nervi che i nostri.»

E non s’ingannava. Per ben due volte il Signore si lanciò in un rapido monologo, e per due volte Abel disse: «Mio caro amico! Io ritengo che le conversazioni serie siano sempre sgradevoli a stomaco vuoto.»

Poco dopo sedevano a tavola.

Non appena servito il vino, il Signore riattaccò dicendo: «Vorrete certamente sapere per quale motivo io abbia lasciato il Continente di Steen.»

«Francamente non riesco a concepire quale possa essere la ragione che ha indotto il Signore di Steen a sottrarsi ai vascelli sarkiti» ammise Abel.

Steen lo squadrò sospettosamente. La sua faccia pallida, magra, era tesa, contratta.

Disse: «C’è stata una conferenza intercontinentale, oggi.»

«Davvero?» disse Abel.

Ascoltò quindi il resoconto della conferenza senza batter ciglio.

«E noi non abbiamo che ventiquattr’ore» scoppiò Steen con indignazione.

«E lei è X» gridò Junz, che durante il racconto dell’altro era divenuto sempre più inquieto. «È X. È venuto qui perché l’hanno scoperto. Bene, questa è una gran bella cosa. Abel, abbiamo finalmente la prova che cercavamo per stabilire l’identità dello Spazio-Analista. Ci potrà servire per costringerli a consegnarci il nostro uomo.»

La voce esile di Steen durava fatica a farsi udire sopra il forte timbro baritonale di Junz.

«Ma insomma… la smetta! Mi lasci parlare, le dico… Eccellenza, non riesco a ricordare il nome di quest’uomo.»

«Il dottor Selim Junz, Signore.»

«Ebbene, dottor Selim Junz, io le assicuro che in vita mia non ho mai veduto questo idiota, o Spazio-Analista, o quel diavolo insomma che lei dice. Francamente! E la prego di credere che non sono X. Ma come si può credere alla ridicola pantomima impiantata da Fife? Francamente!»

Ma Junz si era attaccato a quell’idea come un cane all’osso. «Perché è scappato, allora?»

«Santo Sark, ma non lo capisce? Oh, mi sento soffocare! Ma andiamo, non capisce quello che sta facendo Fife?»

Abel intervenne con la sua voce calma. «Se vorrà avere la compiacenza di spiegarsi, Signore, non ci saranno interruzioni, lo garantisco.»

«Bene, meno male che lei almeno mi capisce» disse Steen, in tono di dignità offesa. «Gli altri non mi giudicano un gran che perché io non capisco per quale motivo ci si debba annoiare a leggere documenti e dati statistici e altre seccature del genere. A che serve allora l’Amministrazione Civile, io vorrei sapere, se un Grande Signore non può essere un Grande Signore? Questo però non significa che io sia uno scemo, sa, solo perché mi piacciono i miei comodi. Può darsi che gli altri siano ciechi, ma io ho perfettamente capito che a Fife non importa niente dello Spazio-Analista. Non credo neppure che esista. Fife ha inventato questa storia un anno fa, e da allora è andato manipolandola. È stato lui ad architettare questa inverosimile frottola di deficienti e di Spazio-Analisti. Non mi stupirebbe se l’indigeno che va in giro ad ammazzare pattugliatori a dozzine fosse una spia di Fife. O se effettivamente è un indigeno, scommetto che Fife lo ha assoldato per suo uso e consumo. Comunque, è evidente che lui approfitta della situazione confusa per proclamarsi dittatore di Sark. Non sembra evidente anche a lei? Questo X non esiste, ma domani, se nessuno lo fermerà, Fife farà diffondere per sub-etere messaggi su messaggi in cui si seguiterà a parlare di congiure, e si leggeranno dichiarazioni di emergenza che gli permetteranno di autoproclamarsi Capo. Che gliene importa a lui della costituzione? Solo che io intendo fermarlo, invece. Per questo ho dovuto andarmene. Se fossi rimasto a Steen, a quest’ora sarei già in stato di arresto. Non appena la conferenza ebbe termine feci chiamare il mio porto personale e seppi che i suoi uomini l’avevano già occupato. Ha agito in completo disprezzo dell’autonomia continentale. È stato un gesto da farabutto. Francamente! Ma non è poi così furbo come crede. Ritenendo che qualcuno di noi volesse tentare di abbandonare il pianeta, ha fatto sorvegliare gli astroporti ma… non ha pensato ai giroporti. Credeva forse che non ci sarebbe stato sul pianeta un solo posto sicuro per noi. Ma si è evidentemente dimenticato dell’Ambasciata trantoriana.»

Abel disse: «Lei ha lasciato una famiglia dietro di sé. Non ha pensato che così facendo consegnava nelle mani di Fife un’arma pericolosa?»

«Non potevo certo ammucchiare nel mio piccolo giroplano tutte le mie graziose donnine.» Arrossì. «Ma Fife non oserà toccarle! Del resto domani sarò di ritorno a Steen.»

«In che modo?» domandò Abel.

Steen lo guardò stupito, le labbra sottili socchiuse. «Io sono venuto a offrirle un’alleanza, Eccellenza. Non vorrà farmi credere che Trantor non s’interessi a Sark. Dirà a Fife che quasiasi suo tentativo di abrogare la costituzione provocherebbe un immediato intervento trantoriano.»

«E come potremmo impedire che un nostro intervento non si sviluppi in un conflitto galattico?»

«Oh, ma francamente, non capisco come non si renda conto che la cosa è chiara quanto la luce del sole. Voi non sareste degli aggressori. Vi limitereste a impedire una guerra civile e a mantenere fermo il traffico del kyrt. Io annuncerei a tutti che ho dovuto rivolgermi a voi per aiuto. Chi mai penserebbe a una aggressione? Tutta la Galassia si schiererebbe al vostro fianco. Naturalmente, se poi Trantor ne traesse qualche beneficio in seguito, questo è un affare che non riguarda nessuno.»

Abel disse: «Non posso credere che abbia sinceramente l’intenzione di unirsi a Trantor.»

Un’espressione di odio passò per un attimo sulla faccia di Steen, quindi il Signore mormorò: «Meglio Trantor che Fife.»

«A me non piace la minaccia della forza. Non possiamo aspettare e vedere lo sviluppo degli avvenimenti…»

«No, no» interruppe Steen. «Non possiamo aspettare neppure un giorno. Francamente! Se non ci mostriamo decisi ora, subito, sarà troppo tardi. Se lei mi aiuterà adesso, il popolo di Steen mi appoggerà e gli altri Grandi Signori si uniranno a me. Ma se rimandiamo anche di un giorno solo, la propaganda di Fife comincerà a macinare menzogne su menzogne, e io sarò tacciato di tradimento, sarò segnato a dito come un rinnegato. Francamente! Un rinnegato io! Io!»

«Se provassimo a chiedergli di concederci un colloquio con lo Spazio-Analista?»

«A che servirebbe? Semplicemente a favorire il suo doppio gioco. A noi dirà che l’idiota floriniano è uno Spazio-Analista, ma a voi dirà che lo Spazio-Analista è un idiota floriniano. Non conosce quell’uomo. È semplicemente spaventoso!»

Abel non rispose subito. Si mise a canticchiare a voce bassa, battendo dolcemente il tempo con l’indice. Infine disse: «Abbiamo acciuffato il Borgomastro, sa?»

«Quale Borgomastro?»

«Quello che ha ucciso i pattugliatori e il sarkita.»

«Oh! Be’, francamente! E lei crede che Fife si curi di una simile piccolezza, se ha deciso di papparsi tutto Sark?»

«Credo di sì. Vede, non è soltanto per il fatto che abbiamo acciuffato il Borgomastro quanto per le circostanze della sua cattura. Io ritengo, Signore, che Fife mi ascolterà, e con molta attenzione, per giunta.»

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