9

Era passata un’ora e ancora non riusciva a crederci. Aveva lasciato alle sue spalle la cella e i cinque giorni di attesa. Si trovava su una terrazza alta sopra la città. Era notte e le lune splendevano nel cielo. Il vento del mare aveva il sapore pungente del vino, ma non era come il vento di mare che egli ricordava, era nuovo e strano, intensamente emozionante. Intorno a lui le alte torri sottili si slanciavano verso le lune e lontano, ai suoi piedi, la rete luminosa delle strade era un’apparizione di sensuale bellezza, variopinta sonora, satura di vita.

Shairn sussurrò: «Guarda, Michael. È tutto tuo.»

Guardò. Le sue mani erano aggrappate alla ringhiera della terrazza e c’era in lui una pienezza che gli mozzava il respiro.

«C’entro un poco anch’io, Michael. Non mi ringrazi?»

Egli si volse. Shairn aveva indossato un ondeggiante abito bianco drappeggiato e cosparso di una pioggia di diamanti e nella massa scura dei suoi capelli brillavano strani gioielli. Egli cominciò a parlare e poi dimenticò quello che voleva dire, quando rumori all’interno dell’appartamento — erano in casa di Edri — annunciarono l’arrivo di Joris.

«Vieni a sentire come è accaduto il miracolo.»

Dalla terrazza passarono attraverso porte di vetro scorrevoli aperte ora alla tiepida brezza, in una bassa camera ampia e spaziosa che era insieme estremamente semplice e confortevole. La camera di un milionario, avrebbe detto Trehearne, eppure Edri era povero, secondo il metro dei Vardda, non essendo proprietario di astronavi e lavorando per altri proprietari. Le pareti-finestre si affacciavano sulla città, uno spettacolo imponente di luce e di colore, senza vistosi eccessi, e all’interno erano la quiete e un’intimità resa più personale dalla presenza dei piccoli oggetti che Edri aveva portato a casa dai suoi viaggi. Macchine di vario genere provvedevano, automaticamente alle pulizie giornaliere mentre egli era fuori e non vi era cucina. I pasti gli giungevano attraverso un tubo pneumatico, caldi, freddi, secondo gli ordini, da un servizio centrale. Ricordando il proprio appartamento da scapolo sulla Terra, Trehearne si sentì preso dall’invidia.

Joris gli si avvicinò, tendendogli la sua grande mano dura. Trehearne la strinse e Joris disse: «Che cosa avete pensato in quei cinque giorni in cella?»

Trehearne scosse il capo. «Non ve lo dico, dal momento che nulla di quanto pensavo corrispondeva a realtà.»

Joris rise. Edri disse: «Non gli abbiamo detto nulla. Abbiamo lasciato a voi il privilegio.» Prese dei bicchieri e versò del vino. Joris sedette pesantemente in una poltrona, pieno del sincero orgoglio di aver saputo risolvere la situazione, raggiante addirittura. Shairn si accovacciò accanto a lui su un ampio divano e cominciò a sorseggiare il suo vino. «Avanti» disse. «Aspettiamo.»

«C’è voluta un’abilità da giocoliere» disse Joris «e qualche vera e propria falsificazione, ma tutto è andato bene. Vedete, Trehearne, all’Amministrazione della base esiste un registro completo di tutti i viaggi. Riportandomi a trenta o quarant’anni fa, sono riuscito a crearvi un soddisfacente passato.»

Si chinò in avanti. «Ora ascoltate e tenete bene in mente. Siete nato sulla Terra trentaquattro anni or sono da genitori vardda allora impegnati in attività commerciali su quel pianeta. Vostra madre morì nel darvi alla luce e vostro padre fu costretto ad abbandonarvi poiché un piccolo Vardda non può sopravvivere al volo interstellare. Le persone che vi allevarono e che voi credevate vostri genitori non furono in realtà che dei genitori adottivi.» S’interruppe, si frugò nelle tasche dei pantaloni finché trovò un foglietto di carta che tese a Trehearne. «Ecco i nomi dei vostri veri genitori. Teneteli a mente. Vostro padre morì in un incidente al largo della nebulosa di Orione e non avete né fratelli né sorelle. Il caso vuole che a voi non toccò neppure l’eredità perché il patrimonio di vostro padre venne diviso subito dopo la sua morte. Da ora in poi questa è la sola vostra storia. Non dimenticatela. E non ditene più di quanto siate richiesto.»

Trehearne guardò il foglietto e i due nomi che vi erano scritti. «Non pensavo fosse possibile… Ma che cosa ha detto Kerrel? Certo non ha creduto a questa storia.»

«Ma non poteva provare che la verità fosse un’altra. E io produssi documenti di tale attendibilità che il risultato fu schiacciante.» Rise. «In effetti causò, come si dice, il crollo del terreno sotto i suoi piedi.»

«La cosa non gli è piaciuta» disse Shairn. «Ma non vi poteva far nulla, né potrà far nulla in futuro. Joris e io riuscimmo a convincere il Consiglio a non chiamarvi in causa, Michael, adducendo la ragione che meno si parlava del fatto meglio era. L’udienza fu chiusa, senza che i cronisti potessero assistervi. I documenti prodotti da Joris e le vostre caratteristiche di Vardda furono sufficienti. In meno di mezz’ora il Consiglio prese la sua decisione, dopodiché si riunirono nuovamente per rafforzare la legge secondo cui i neonati Vardda non possono venire alla luce in nessun altro luogo che a Llirdis!»

Trehearne si ficcò in tasca il foglietto. «Vorrei dire tante cose, ma…» S’interruppe e Edri gli mise in mano un bicchiere. «Non provatevi neppure» disse. «Diteci francamente che noi siamo meravigliosi e saremo soddisfatti. Tra parentesi, non giudicatemi un bugiardo. Non ho fatto che riferire i particolari più interessanti che voi stesso mi avete raccontato sulla vostra infelice infanzia di trovatello.»

Trehearne sogghignò. Volse lo sguardo dall’uno all’altro e infine lo fissò su Joris. «C’è una cosa che non capisco. Perché avete fatto questo per me?»

«Non chiedete mai a un uomo perché ha agito in un dato modo, se ha agito bene, Trehearne. E ora che siete un Vardda fatto e finito, avete un altro problema da affrontare. Dovete guadagnarvi la vita. Desiderate ancora darvi ai voli interstellari?» Colse l’espressione del viso di Trehearne e sorrise. «Ho bisogno di un sovrintendente a bordo della mia nave Saarga, che salperà tra due settimane per un giro di affari nella costellazione di Ercole. Ufficiali ed equipaggio hanno un utile sulla spedizione e si tratta di un viaggio che può rendere molto. Anche un sovrintendente ha la possibilità di buoni guadagni.»

Edri intervenne: «Bisogna che vi avverta, Trehearne. Le spedizioni a Ercole sono tra le più dure di tutta la Galassia.»

«Ecco perché rendono tanto» disse Joris. «Ebbene?»

Prima che Trehearne potesse rispondere, Shairn gli posò pigramente una mano sulla spalla e disse: «Sciocchezze, Joris. Non è il caso che intraprenda nulla di simile. Posso trovargli una sistemazione migliore nella mia flotta e nell’attesa non patirà certo la fame.»

Il volto di Trehearne si irrigidì. Osservò pianamente: «Mi sembra di aver sentito dire, Shairn, che gli affari vi vadano a meraviglia.»

«Oh, a meraviglia! Trenta navi invece delle due di Joris. Mio padre era un uomo in gamba e io sono stata abbastanza fortunata da essere la sua unica erede. Oh, al diavolo chi vuol parlare di affari! Andiamo, Michael, vi mostreremo la città!»

«Tra un momento.» Joris lo guardava con un’espressione curiosa, e le labbra di Trehearne si irrigidirono ancor più. Chiese: «Quando dovrò trovarmi a bordo della Saarga

Edri si curvò sulla spalla di Shairn e bisbigliò. «Penso che abbiate fatto arrabbiare il nostro Michael.»

Joris guardò Shairn e rise. «Perdete un ospite, vero?» Si alzò. «Benissimo, Trehearne, ve lo farò sapere. E ora vediamo che cosa possiamo fare per celebrare questo giorno!»

Uscirono. Ma per un’ora o più Shairn rimase un po’ imbronciata, tanto più perché Trehearne pareva aver dimenticato la sua esistenza.

Splendente nel costume nero e argento preso dal guardaroba di Edri, libero, accettato, con un futuro davanti a sé, Trehearne camminava per le vie della città, ubriaco di colori, di suoni e di movimento, abbagliato dalle incredibili dimensioni e dall’assoluta stranezza della più grande metropoli della Galassia. Si ergeva splendida nella varietà dei suoi edifici affollati, fiorente, bella, immersa nella ricchezza e nella genialità di mille culture dalle radici remote, Mecca di tutte le popolazioni dei sette pianeti abitati di Aldebaran. E la sua bellezza era reale. Dietro i magnifici edifici non vi erano vicoli bui e malsani, non catapecchie, non miseria, non brutture. I Vardda avevano viaggiato un po’ dovunque, avevano visto molti paesi, facendone tesoro. Da un punto di vista unico nella storia, avevano studiato e paragonato l’inizio, l’espansione e il cròllo di più imperi, razze e culture di quanti un uomo possa enumerare nel giro di un anno, e il lavoro continuava tuttora sotto la direzione delle loro menti migliori, impegnate in un’opera di coordinamento, di studio, di indagine delle cause, di scelta, tra la massa degli elementi raccolti, dei modi e dei mezzi più adatti a mantenere integro l’impero dei Vardda. Da secoli procedevano sicuri, e Trehearne sentiva per loro una grande ammirazione, specialmente pensando che dovevano lottare contro le naturali difficoltà di una società essenzialmente chiusa. Il loro governo era elettivo, e lo mantenevano incorrotto. Le loro leggi erano relativamente poche e semplici, e venivano rispettate. Essi non opprimevano nessuno e facevano in modo che i loro vicini non-Vardda traessero vantaggi dai loro traffici.

«Non è vero affatto» gli aveva detto Edri una volta «che siamo così più dannatamente nobili degli altri. In realtà probabilmente nessuno ci supera nel nostro fondamentale egoismo. È un buon affare per noi, vedete. Rendete ognuno il più felice possibile, trattateli meglio che potete, fateli tutti ricchi, e non avrete guai; il che nuocerebbe al commercio. Le razze estere non hanno probabilmente alcuna simpatia per noi, ma non intendono certo tentare di fare a meno di noi. Quanto alla politica interna e all’amministrazione, far andare bene le cose è un semplice impulso di autoconservazione. Noi non siamo degli utopisti, per usare uno dei termini cari a voi della Terra, noi cerchiamo semplicemente di agire con buon senso.»

Guardando la città, Trehearne pensava che avevano compiuto un’opera notevole. In effetti pochi tra i Vardda amavano la vita della città. Llirdis era essenzialmente un mondo di proprietà separate e di piccole comunità. I sociologi vardda non erano stati ciechi di fronte al pericolo di quel corrosivo stato finale della civiltà che Spengler definì megalopoli. La città non era destinata a offrire dimora a grandi masse di popolazione. Essa era essenzialmente costituita da banche, magazzini, uffici, fabbriche totalmente destinata agli affari. La popolazione era formata principalmente da non-Vardda che vi trascorrevano soltanto le ore di lavoro. Le loro case sorgevano sui loro propri pianeti. Abitavano nella città senza esserne prigionieri.

Quanto a Trehearne gli pareva, quella notte, che avrebbe potuto passarvi tutta una vita senza mai esserne stanco. Le piccole astronavi che percorrevano le anguste vie planetarie si posavano accanto ai superbi giganti delle vie stellari, e riversavano nella metropoli una inesauribile fiumana di visitatori, venuti a godersi i riflessi di una gloria che non avrebbero mai potuto conquistare, a sperimentare piaceri diversi, ad acquistare gemme, spezie e sete finissime di mondi che non avrebbero mai visto. La maggior parte di loro aveva aspetto umano o quasi, con la pelle di vari colori, gli abiti bizzarri o semplici, secondo le singole usanze nazionali. Altri non erano umani affatto, tranne che per intelligenza e dignità di portamento.

«Vedi quei tipi dalla pelle nera, il naso aquilino, e le ali bronzee?» Edri rispose con un cenno della mano allo sguardo interrogativo di Trehearne. «Sono di Suumis, e i tre argentei laggiù con le creste lucenti e gli abiti cremisi? Sono la razza dominante del secondo pianeta di Aldebaran, orgogliosi come Lucifero perché hanno scaglie d’argento al posto della pelle. Quel piccolo individuo bluastro è un principe mercante di Zaard, il pianeta più lontano. Vedi il diamante, segno della sua casta?»

Trehearne vedeva tutto. Il cervello gli turbinava dal troppo vedere, udire e sentire il palpito e il fremito della città, le folle caleidoscopiche, i gruppi dei Vardda superbi come pavoni nelle loro tuniche, splendenti di gioielli, la babele delle lingue più bizzarre, l’onda invadente di una musica strana e dolce. E i quattro se ne andavano di luogo in luogo senza fretta, vagando dove l’umore li portava, bevendo l’oscuro vino di Antares, la frizzante birra candida di Fomalhaut, e gli innumerevoli vini di vari colori dei sistemi planetari più remoti. Shairn si dimenticò di tenere il broncio. A Trehearne ella sembrava fluttuare tra risa e chiaro di luna, seducente e irraggiungibile come una creatura apparsa in sogno. Il vino gli saliva alla testa. L’emozione, la novità, la selvaggia gioia della libertà gli mettevano indosso una specie di febbre, e le cose attorno a lui perdevano realtà, turbinando sempre più veloci in colori sempre più vividi, come visioni evocate da una nebbia evanescente. Visi umani, semiumani, inumani, belli, grotteschi, comici. Maschere di carnevale, volteggianti come in una danza. Le donne vardda dolci come il peccato, in mille abbigliamenti di mille mondi diversi, sorridenti con bocche scarlatte. Musiche ritmate, scandite, lamentose, melodie sconosciute di ignoti strumenti, appassionate, lievi, mescolate all’odore del vino, ai profumi, all’aspro vento del mare. Danzatrici dalla pelle di smeraldo, strane bestie che si esibivano in salti di una prodigiosa abilità, un turbinare di parchi di divertimenti, di terrazze di giardini, di piazze, di alberi sconosciuti oscillanti al lume delle tre lune. Il viso ridente di Shairn, Joris animato e gioviale, e Edri con l’aria di un vitello che venisse portato al sacrificio.

Qualcosa non andava in Edri. Forse il vino aveva acuito la sensibilità di Trehearne, o forse si trattava soltanto del fatto che gli stimoli esterni avevano raggiunto una così folle intensità che egli ne rifuggiva infine, inconsciamente rivolgendosi a quelli familiari personificati dai suoi amici. Comunque fosse, si riscosse un poco dal suo stupore e si rese conto che mentre egli stesso e Shairn e Joris erano divenuti sempre più allegri, Edri s’era fatto sempre più serio rinchiudendosi in se stesso. Edri non era sobrio d’abitudine, ma Trehearne non l’aveva mai visto veramente ubriaco. Ora lo era, e continuava a bere come se su Llirdis non esistesse abbastanza vino da saziarlo, seduto in silenzio, gli occhi fissi su qualche lontananza interiore. Un’espressione preoccupata sul volto privo di bellezza. Trehearne gli rivolse la parola ed egli rispose, ma fu solo un riflesso meccanico, un suono senza significato.

Si trovavano in un luogo d’alberi e colonne di cristallo con pergolati fioriti e il cielo aperto al di sopra. Trehearne guardò gli altri. Erano felici, senza un pensiero al mondo. Poi osservò di nuovo il volto di Edri cupo e triste con lo sguardo vuoto e si accigliò. Era affezionato a Edri. Come d’improvviso, questo affetto per Edri lo invase. Chinandosi in avanti chiese: «Che cosa c’è, Edri? Che cosa c’è che non va?»

«Non ha bevuto abbastanza» rise Joris. «Ha bisogno di un po’ di vino.» Prese la bottiglia e versò un liquido color rubino nel bicchiere di Edri. Bruscamente Edri scosse il capo e respinse il bicchiere Ora egli stava fissando qualcosa dietro Trehearne. «No» disse. «Me ne vado a casa.»

«Non c’è fretta, Edri. Fermati un momento.» Era la voce di Kerrel. Trehearne trasalì e voltandosi lo vide lì fermo come se vi fosse stato da lungo tempo. Ora si fece avanti e sedette con loro. Trehearne non avrebbe potuto dire a che cosa stesse pensando. Non gli piaceva aver a che fare con persone di cui non poteva neppure approssimativamente immaginare i pensieri.

«Congratulazioni» disse Kerrel. «Non ne credo una sola parola, naturalmente, ma quella storia di Trehearne è davvero una bella trovata strategica.»

Joris si mise a ridere. «Il Consiglio ci ha creduto. Per di più io ci credo, Shairn ci crede… anche Trehearne ci crede, non è vero, Trehearne?»

«Ma certo.»

«Bene, ormai è fatta» disse Kerrel come se la cosa non avesse più importanza.

Shairn raccolse uno di quei fiori fragranti e lo lanciò sulle ginocchia di Kerrel. «Mi hai dimenticata?» gli chiese con insinuante dolcezza. «Lo so. Sei un cattivo giocatore, ed è inutile affermare il contrario. Inoltre, ti ho visto di questo umore altre volte. Cosa stai rimuginando ora nella tua piccola mente?»

«Nient’altro che le solite profonde speculazioni sulla vita. È curioso quali alti e bassi presenta. Prendi oggi. Uno sfugge al bando, e un altro, un rispettabile membro della nostra comunità, vi incorre.»

«Chi?» chiese Joris, scrutando acutamente Kerrel come attraverso una nebbia.

«Arrin.»

Cadde un breve silenzio. Poi Shairn disse: «Una volta io l’ho conosciuto. È una brava persona. Non potete mandarlo a Thuvis.»

«Temo non vi siano dubbi su ciò. È uno dei capi orthisti, non lo sapevate questo, no?»

La domanda non era diretta ad alcuno in particolare. «Lo sospettavamo da qualche tempo e oggi l’hanno preso. Strano comunque. Non sono riusciti a trovare nessuna delle sue carte.» Si rivolse casualmente a Edri. «Arrin è vostro amico, non è vero?»

«Lo conosco.»

«Ma come! Lo conoscete da anni.»

Edri rispose rudemente: «Conosco anche voi da tanto tempo. Non giocate al gatto e al topo con me, Kerrel. Se dovete dirmi qualcosa, ditemela.»

Kerrel si strinse nelle spalle. «Stavo solo pensando che si possono avere troppe amicizie disgraziate…»

«Volete comprendere anche me nel numero?» sbottò Trehearne, balzando in piedi.

«Oh, che vada al diavolo» disse Edri. Si alzò barcollando e gettò una occhiata di fuoco a Kerrel, ma fu a Trehearne che si rivolse. «È un instancabile e degno investigatore, un buon poliziotto, come si direbbe sulla Terra, ma prende troppo gusto al suo lavoro. Me ne vado.»

Si allontanò, vacillando un poco, ma sforzandosi di tenersi rigidamente eretto. Trehearne seguì con lo sguardo la solitaria figura che scendeva per il viale alberato, chiazzato di ombre e di luci dorate. Esitò un attimo e poi lo seguì.

Edri si fermò quando si sentì toccare dalla mano di Trehearne. Lo guardo in un modo curioso come se non l’avesse mai visto prima. E ora che era lì, Trehearne non sapeva che cosa dire. Piuttosto goffamente gli chiese: «Posso fare qualcosa?»

«No. Grazie.»

«Mi rincresce per il vostro amico.»

«Perché mai? È un Orthista, un traditore. Merita di essere mandato a Thuvis.» Ricordando il desolato quadro di quel mondo ai confini della Galassia, e come per poco egli stesso vi fosse sfuggito, Trehearne rabbrividì. «Non ha importanza per me. Non mi sembra giusto mandare nessuno a marcire per sempre in quel cimitero. Oltretutto, poi, non riesco a convincermi che gli Orthisti siano così nocivi.»

Edri pose le mani sulle spalle di Trehearne. «Odiali» disse in un tono serio. «Odiali con tutto te stesso.»

Si girò e Trehearne disse quasi esasperato: «Odiarli o no, non vedo come possano costituire un così grave pericolo.»

«Vi è stato un messaggio, Trehearne. Molto tempo dopo la scomparsa di Orthis una delle scialuppe della sua astronave fu ritrovata nello spazio. Non vi era nulla in essa se non un messaggio, scritto a grandi lettere sulle pareti. Era rivolto ai suoi nemici e diceva: "Non mi avete eliminato. Ai popoli della Galassia sarà data un giorno la libertà delle stelle". Capisci? C’è ancora speranza dal punto di vista di un Orthista.»

Continuò, un ubriaco che non parlava a Trehearne ora, ma a se stesso al vento, alle lune vagabonde, e a un mondo che si era fatto amaro intorno a lui. «Arrin lavorava. Tutta la vita ha lavorato, come tanti prima di lui. Studiava i documenti, le carte segrete che nessuno ha il permesso di consultare, e poi lo hanno preso. Non ha trovato ciò che cercava, ma avrebbe potuto trovarlo. Ancora un po’ di tempo e avrebbe potuto scoprirlo!» Alzò lo sguardo al cielo, il cielo vuoto che si stendeva fino al limite dell’Universo. «In qualche luogo lassù, Orthis sta nella sua nave ad aspettare, ad aspettare di essere ritrovato. Ma dove? Questa è la domanda a cui nessuno ha risposto in centinaia di anni. Dove?»

Si scostò un poco, e d’improvviso fu assalito da un violento urto di vomito. Trehearne attese. Poi Edri borbottò: «È curioso, le cose che uno dice quando è ubriaco.»

«Non so niente» disse Trehearne. «Non ho sentito niente.»

«Non sentire mai niente, per il tuo bene e per il mio.» Cercò di sorridere. «Grazie. Ora sto bene. Vado a casa.»

Si allontanò lentamente e Trehearne ritornò dagli altri. I fumi del vino erano un poco svaniti e la sera aveva perduto parte della sua magia. Era preoccupato per Edri.

Shairn alzò lo sguardo su di lui, gli occhi annebbiati. «Te ne sei stato via un bel po’, Michael.»

«A reggere la testa a Edri.» Kerrel era ancora lì. Un umore tetro sembrava gravare su tutti. Joris sedeva con la testa chinata in avanti. Teneva gli occhi aperti, fissi tristemente sul vino rovesciato, ma evidentemente era sul punto di perdere coscienza. Shairn aveva fatto a pezzetti i pallidi fiori che aveva in grembo, spargendoli sull’erba. Nessuno parlava. Kerrel non aveva toccato il vino. Guardava Shairn, sedeva immobile e la guardava. Trehearne gli chiese: «Non avete rinunciato a lei, non è vero?»

«No.»

«Lo pensa soltanto» disse Shairn sdegnosamente. Si alzò e andò a mettersi di fronte a Kerrel. «A che cosa non te la senti di rinunciare; a me o alle mie trenta astronavi?»

Kerrel balzò in piedi. Alzò la mano e la schiaffeggiò con violenza sulla guancia. Per un momento nessuno si mosse, mentre gli occhi di Shairn fiammeggiavano sempre più grandi e poi Trehearne la spinse da parte e si fece avanti. Kerrel non aveva bevuto un solo bicchiere, la sua reazione fu pronta. Quando riuscì a vedere qualcosa, pur tra un vortice di nebbia, Trehearne scorse Kerrel che si allontanava, lasciando piccole orme sul tappeto erboso là dove i suoi tacchi affondavano.

«No» lo trattenne Shairn. «Non questa volta, Michael. Lascialo andare.»

La testa gli doleva. Il vino lo appesantiva e provava un senso di vergogna. Avrebbe voluto uccidere Kerrel e non poteva.

Shairn disse penosamente: «Non sono arrabbiata. È comico, Michael. Non sono affatto arrabbiata, ho solo paura.»

«Di che?»

«Di lui.» Accennò alla nera figura che scomparve tra gli alberi.

«Non potrà mai farti del male.»

«Non direttamente. È a te che sto pensando. Non te la perdonerà. Mi ha dato l’avvertimento. Non può perdonartela, e non solo a causa di me o del suo orgoglio. L’ho lasciato altre volte, ma ora è diverso. Tu sei diverso. Sa che abbiamo mentito al Consiglio.»

«Che cosa può fare?»

«L’hai visto con Edri. Non so, Michael, ma sta’ attento. Non dargli l’appiglio di un’opportunità contro di te. Ho cambiato idea. Sono contenta che tu debba partire. E, nel frattempo, è meglio che tu non veda molto spesso Edri.»

«Mi ami, Shairn?»

«Mi sembra di aver fatto abbastanza per provartelo!»

«Non prendertela. Me lo chiedevo soltanto. Davvero saresti passata agli Orthisti per aiutarmi?»

Ella rise. «Era una minaccia sicura. Sapevo che Joris non l’avrebbe mai raccolta.»

Come se il suono del suo nome l’avesse deciso, Joris si afflosciò tranquillamente su un fianco e incominciò a russare. Trehearne si curvò su di lui e gli parve di vedere, al chiarore delle lune, qualcosa di molto strano. Gli parve di vedere lacrime sulle guance del vecchio. Pensò di essere completamente ubriaco. Shairn gli toccò lievemente il braccio. «Andiamo, Michael.»

«Dove?»

«Alla casa dei miei avi, la Torre d’argento. Vi è così poco tempo per essere felici prima che tu parta.»

Due settimane più tardi, vestito dell’abito nero e scarlatto dei trasvolatori dello spazio, Trehearne lasciò Llirdis a bordo dell’astronave Saarga diretta a Ercole.

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