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Una mano s’abbatté, sulla spalla di Trehearne da dietro. Era l’uomo in tunica gialla che negli ultimi minuti si era trasformato in un allegro ubriaco. Egli diede a Trehearne un’amichevole spinta verso la porta e gridò alla gente riunita là dentro: «L’ho trovato qui fuori che cercava il modo di entrare… e sono sicuro che si tratta di un Vardda.»

Sottovoce disse rapidamente all’orecchio di Trehearne: «Tenete la bocca chiusa o passeremo dei guai tutti e due!»

Entrarono nella torre. Gli uomini fissarono intensamente Trehearne e le donne parlarono di lui nella loro lingua. E Kerrel si rivolse a Shairn: «Sei soddisfatta ora che l’hai portato qui?»

«Non l’ho portato io» ribatté lei. «Sarebbe andato a Keregnac comunque, e nulla l’avrebbe potuto trattenere.» Si avvicinò a una tavola dove c’erano bottiglie e cibi e versò del vino in un bicchiere. «E poi non è un bambino. Sa quel che vuole fare. Non è vero, Michael?»

Gli porse il bicchiere. Egli lo prese e disse: «Oh, grazie. È così. Fareste bene a farvi pagare la scommessa.»

«Penso» ella disse «che vi rinuncerò.» Alzò il bicchiere per bere un sorso di vino e in quel gesto una manica le si scostò un poco scoprendo il cerchio scuro che la sua stretta le aveva lasciato intorno al polso.

L’uomo dalla tunica gialla disse qualcosa nel suo linguaggio ed ella socchiuse gli occhi. Ma si volse a Kerrel e osservò pianamente: «Edri non mi approva.»

«Penso che nessuno di noi ti approvi in questo momento» fece Kerrel. «Avresti dovuto lasciarlo in pace.»

«Michael non la pensa così; non è vero, Michael? Non lo indussi io a seguirmi. Fu una sua iniziativa.»

«Bene, egli vi seguì» disse Edri e c’era un’ira profonda nella sua voce.

«Ma non fin qui» mormorò Shairn e sorrise, gli occhi fissi negli occhi di Trehearne. «Solo il primo passo, Michael. Vi irritaste contro di me perché non vi volli rivelare il segreto dei Vardda, vi irritaste davvero, così ora siete sul punto di sapere.» Alzò una mano e gli sfiorò una guancia. «Voi sembrate un Vardda, vi comportate come tale, la pensate perfino come un Vardda. Ma lo siete

Kerrel disse, rabbiosamente: «È impossibile; e lo sai.» Cominciò a parlare con Edri e gli altri uomini in quella lingua che Trehearne non aveva mai inteso prima. Parevano turbati e a disagio, come gente assillata da un problema che sia impossibile risolvere. Il loro atteggiamento e il modo particolare in cui lo guardavano le donne tolsero alla sua eccitazione ogni lato piacevole. «Hanno l’aria» disse a Shairn «di decidere dove seppellirmi.»

Ella alzò le spalle. «Oh, stanno discutendo tutte le possibili alternative, ma c’è una sola risposta attendibile.» Sedette sull’orlo della tavola, scrutandolo con quella sua aria da gatto. «Nervoso?»

«Freddo. La pioggia mi ha tutto inzuppato.» Non era del tutto vero, ma sarebbe morto piuttosto che confessarglielo. «E sono curioso. Da dove venite, voi tutti? Che fate qui? Che cos’è questo vostro mistero?»

«Non siate impaziente. Non si può dire tutto in una volta.» Aveva ascoltato attentamente le parole degli uomini e ora si alzò, di nuovo. «Penso sia tempo che io intervenga. Gli uomini parlano sempre in gruppetti.»

Si unì al conciliabolo. Trehearne vuotò il suo bicchiere e si versò dell’altro vino da una strana bottiglia di pietra. Era buono, ma non sapeva riconoscerne la qualità. Gli pareva che un’atmosfera d’incubo cominciasse ad avvolgere il culmine della sua lunga ricerca. Tutto era così solenne, e così folle. Desiderò che la smettessero di parlare di lui. Desiderò che qualcuno gli spiegasse che cosa stava accadendo. Le voci insistevano nel loro parlottare e improvvisamente egli si accorse che Shairn era passata a un linguaggio che poteva capire.

«Vedi?» diceva a Kerrel. «So citare le leggi esattamente come te. E sai che ho ragione.»

Kerrel mugolò: «Mi sembra che si debba scegliere tra molti mali.» E soggiunse rabbiosamente: «Avresti dovuto lasciarlo stare!»

«Ha diritto di tentare» ribatté Shairn. «È venuto da tanto lontano proprio per questo.»

«C’è una nota di malizia in queste parole o mi sbaglio?» chiese Edri.

«Interpretate come volete. Comunque non c’è altra soluzione, a meno che uno di voi non si senta di ucciderlo qui a sangue freddo.»

Il bicchiere di Trehearne cadde con un tintinnio sulla tavola ed egli si ficcò la mano in tasca così che impugnando la rivoltella la rigonfiò visibilmente. Disse: «Non lo troverete così facile.»

Edri ebbe un moto come d’impazienza e gli fece cenno di calmarsi.

«Non siamo dei violenti» lo rassicurò. «È dannatamente complicato, un problema che non abbiamo mai affrontato prima d’ora. Vedete, ci sono certe leggi.»

«Leggi?»

«Sì.» Edri si versò del vino e lo bevve avidamente, facendo schioccar la lingua. «Le persone con un livello di cultura superiore alla media e che abbiano un certo grado d’intelligenza o di autorità che li renda pericolosi, si devono far tacere per sempre, se scoprono troppe cose intorno a noi. La vita dei Vardda e il loro denaro valgono troppo per essere messi a repentaglio, e ragioni storiche giustificano questa prudenza. Ma noi siamo estremamente cauti, e una tale situazione non si è mai presentata prima d’ora, per lo meno durante la mia vita.» Sedette sospirando. «E naturalmente nel vostro caso si aggiunge un altro problema. Siete o non siete un Vardda? Io pensavo che potremmo nominarvi membro onorario, così per dire, e lasciarvi lavorare per noi, qui, ma questa è sembrata a Kerrel un’infrazione troppo grave da accettare.» Edri lanciò uno sguardo all’alta figura di Kerrel; del tutto privo di simpatia, pensò Trehearne. «Egli è un agente del Consiglio, vale a dire il braccio della legge. Così suppongo che sia tutto sistemato, Trehearne.»

La bocca di Trehearne era secca e le parole non volevano uscirne, ma nei suoi occhi vi era una luce pericolosa. «Che cosa è sistemato?»

«Voi verrete con noi, Michael. È quello che volevate. Non siete felice?»

«Con voi, dove

«A Llirdis.»

Non gli piacque il suo sorriso. Non gli piacque la supponenza, lo scherno, la conoscenza di cose al di là della sua comprensione che esso esprimeva. Shairn doveva nutrire del risentimento contro di lui e in qualche modo si era presa la sua rivincita ed egli non capiva come. Tutti i minimi particolari si associarono nella sua mente: il linguaggio, il vestito, l’aspetto fisico, il sapore del rosso vino proveniente da un vigneto sconosciuto, e lo travolsero come una valanga, mossa dall’eco di quel nome mai udito, ed egli sentì freddo dentro, nel più profondo, e un terrore che non aveva ancora preso forma.

Ripeté: «Llirdis.»

«Oh, per Dio, non torturatelo più» disse Edri stancamente a Shairn. Poi si volse a Trehearne e disse: «Llirdis è il nostro mondo, il quarto pianeta della stella che voi chiamate Aldebaran.»

Questo fu tutto ciò che egli disse. Nessun altro parlò, non un suono si udì nella antica stanza di pietra e anche fuori tutti i rumori si erano acquietati così che la parola Aldebaran risuonò in quel silenzio come il lontano rintocco di una campana. Uno strano senso di debolezza assalì Trehearne. Il volto di Shairn si fece nebbioso e indistinto. Il terreno solido, la Terra sulla quale egli stava, gli mancò sotto i piedi e ampi e profonde finestre si spalancarono da tutte le parti, finestre aperte sullo spazio, sull’oscurità, sulla luce abbagliante…

Disse a Edri, pienamente cosciente: «Ma non è possibile.»

Qualcuno gli mise una coppa di vino in una mano che non era più la sua e la voce di Edri gli giunse come da molto lontano. «Ma lo è. Bevete, Trehearne, sovrano rimedio per quasi ogni male. Assimilate quest’idea lentamente, con il vino. Noi veniamo da un altro mondo, da un altro sistema solare. A voi sembra incredibile, per noi è un fatto naturale.»

Trehearne sedette. Il vino gli bruciava in gola e la testa gli girava. Ogni cosa era divenuta irreale. «Un altro mondo. Un altro sistema solare.» Abbassò lo sguardo sul proprio corpo, girò e rigirò le mani, fissandole come se non le avesse mai viste prima. «Il mio stesso sangue. Ecco perché…» Scosse il capo, interrompendosi, e poi rabbrividì, una reazione muscolare che lo scosse dalla testa ai piedi. «Verrò con voi» assentì.

«Molto presto ormai» disse Edri in un tono così tetro che Trehearne, si riscosse in parte dal suo stato di stordimento, abbastanza per vedere che Edri lo guardava con pietà come si guarda un uomo che deve morire. Un nuovo terrore lo assalì e gridò: «Ma che cosa succede? Che cosa mi nascondete?»

«Una prova mortale.» Ancora una volta Shairn stava ritta di fronte a lui: i suoi occhi lo scrutavano e non rideva più. «Vi è stato concesso ciò che volevate, l’opportunità di conoscere la verità su voi stesso.»

Egli si alzò e pose le mani su quelle di lei come già aveva fatto una volta e non con tenerezza. «Avanti.»

La bocca rossa di lei si schiuse lasciando intravvedere le punte dei denti. «Solo un vero Vardda può resistere alla velocità del volo stellare. Avete paura Michael?»

«Sì» disse. «Ho paura.» Rimase immobile per un lungo momento, con il sangue che gli batteva alle tempie, e ogni cosa, lei, il mondo, tutti gli anni della sua vita che se ne erano andati, perduti e vaghi oltre una fitta nebbia e poi disse lentamente: «Ma avete ragione voi, ho avuto quel che volevo.»

Fuori del torrione si alzò alta la voce di un uomo. Qualcuno annunciò: «L’astronave.» Altre voci risuonarono e la porta si spalancò. Un che di tenebroso e crudele comparve sul volto di Trehearne. Guardò Shairn e disse: «Vivrò per ringraziarvi.»

La lasciò andare. Gli uomini si muovevano verso la porta. Egli si unì a loro come in un sogno, dal quale sapeva non si sarebbe risvegliato. Perse cognizione dell’esistenza di ognuno. Vi erano solo ombre intorno a lui, suoni, movimenti, senza significato. Le mura e la luce erano scomparse. Umido, freddo, oscuro, il paesaggio, la landa, il vento e il cielo nudo. Aveva smesso di piovere. Vi era un ampio squarcio tra le nubi, una valle di stelle, e nella valle una presenza solenne, silenziosa, massiccia e strana. La osservò ed essa si librava verso terra, lieve, come sospinta dalla notte stessa, e mentre si avvicinava, si udì un suono, un quieto ronzio che riempiva tutto lo spazio compreso nel cerchio dell’orizzonte con un’eco tremula più intuita che realmente percepita.

Potere, immensità, forza. Trehearne trasse un profondo sospiro. I battiti del cuore lo facevano vacillare. Istintivamente le sue mani si mossero, le mani di un pilota, memori della potenza di motori e razzi, brancolanti per afferrare qualcosa di più grande. Non ebbe coscienza di quel gesto. Aveva freddo e il vento gli penetrava nelle ossa. La grande massa nebulosa si posò a terra e giacque immota nella landa. Il suo scafo era stato modellato e levigato dalle atmosfere di mondi sconosciuti. I suoi oblò si erano affacciati su infinità dove le stelle si sperdevano come sciami di lucciole. Trehearne si mise a camminare in quella direzione. Non sapeva se altri fossero con lui. I suoi occhi erano fissi sull’astronave.

La chiusura ermetica si spalancò lassù, nel grande fianco indistinto, dell’astronave. Bianca luce piovve da essa. Una scala pieghevole di metallo fu calata giù e poi la gente cominciò a discendere, mescolandosi tra quella che stava a terra. Uno sportello più grande s’aprì con un secco clangore, più in basso. S’irradiò altra luce. Si udì un fragore di macchine e uomini; andavano e venivano vociando. Tutto quanto era stato preparato nelle rimesse cominciò a venir trasportato a bordo. Trehearne si accostò ai piedi della scala.

Guardò verso l’alto. L’enorme massa strana della nave incombeva su di lui. Lo sovrastava come la fine del mondo. Era uscita dall’oscurità degli spazi interstellari e vi sarebbe ritornata ed egli sarebbe partito con essa. Voci risonavano tutto attorno e qualcuna si rivolgeva a lui, ma egli non le udiva. Non vedeva facce. Non vedeva altro che la curva immensità dello scafo che aveva compiuto tali viaggi. C’erano lacrime nei suoi occhi. Non lacrime di terrore o di autocompassione. Erano lacrime di esaltazione. Gli uomini avevano creato questo. Gli uomini si erano avventurati negli spazi alla conquista delle stelle. Non erano uomini della Terra, ma appartenevano alla sua stessa razza. E avevano fatto questo.

Cominciò a salire la scala. I cavi metallici echeggiavano cupamente nel vuoto sotto i suoi piedi.

In alto. In alto nel vento freddo, saturo dell’intenso profumo della brughiera. Una rotonda camera di compressione si aprì dinanzi a lui. Egli vi entrò, avanzando su un ponte di metallo reso più lucido dal passaggio di tanti piedi. Altri lo seguivano e lo spingevano, lungo un corridoio trasversale, dalle pareti lucide. I segni del tempo e dell’uso continuo erano visibili in esso. Di tanto in tanto attraverso una porta intravedeva una cabina o un ufficio. Erano reali. Uomini vivevano e lavoravano in essi. Qualcuno — Edri — lo indusse a voltarsi sospingendolo verso il salone dalle comode poltrone fissate al piancito. «Sedete» disse Edri ed egli sedette, ubbidiente. Ed Edri disse: «Avete una possibilità di successo ma dovrete lottare, La prima volta è duro anche per…» Si interruppe e Trehearne finì la frase per lui.

«Anche per un vero Vardda.»

«Anche» assentì Edri gentilmente «per un Vardda. Trehearne, siamo soli nella Galassia. Secoli fa la nostra stirpe fu fondata da un uomo a nome Orthis, il cui sistema di mutazione controllata ci rese quel che siamo, i Vardda: gli Stellari. Esiste in noi una diversità, una condizione particolare della carne. Per noi non c’è dubbio. Per voi… il vostro sangue è misto. Ma sotto ogni altro aspetto siete in possesso di tutti i nostri caratteri ancestrali. E può anche darsi che la mutazione sia riuscita in voi.»

La sua voce era piena di speranza, ma non di convinzione. Trehearne aggrottò la fronte, nel tentativo di afferrare il senso di quelle parole. Era difficile riflettere, difficile credere razionalmente, malgrado quanto i suoi sensi gli dicevano. Tutto era accaduto troppo in fretta. Troppo in fretta e troppo stranamente. Intravide il volto di Shairn. Era pallida e comprese che d’improvviso ella cominciava ad aver paura.

«Lottate» ripeté Edri. «Ricordatevi di questo.»

In tutta la nave i campanelli risonarono acuti.

Trehearne si aggrappò ai braccioli della sedia su cui si era adagiato. Per un breve attimo di panico desiderò alzarsi e fuggire, ma udì il sonoro fragore degli sportelli che si chiudevano e capì che non c’era più nulla da fare. Tutti ora erano seduti. I campanelli echeggiarono di nuovo. Si strinse le braccia attorno al corpo tenendo lo sguardo fisso su Shairn.

Rapida, lieve e maestosa come la mano di Dio, l’accelerazione lo schiacciò. Emettendo un tuono immenso, ma sopportabile, la nave si lanciò nel cielo e per la prima volta nella storia orecchie terrestri udirono il fantomatico sibilo dell’atmosfera contro lo scalo saettante.

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