Parte terza Lo storico

1

Janov Pelorat aveva i capelli bianchi ed il suo viso, quand’era calmo – ma era praticamente sempre calmo – aveva un’espressione vacua. Pelorat era di statura e corporatura medie, tendeva a muoversi sempre senza fretta e parlava con ponderatezza. Dimostrava sempre assai più dei suoi cinquantadue anni.

Non si era mai allontanato da Terminus, cosa alquanto insolita, soprattutto considerata la sua professione. Lui stesso non sapeva dirsi se la sua mania sedentaria fosse dovuta al pallino della storia, o se si fosse espressa nonostante quello.

Quell’hobby gli era venuto all’improvviso, all’età di quindici anni, quando, durante una breve malattia, aveva ricevuto in dono un libro che parlava di antiche leggende. In esso aveva trovato il motivo insistente di un mondo solo ed isolato, un mondo che non si rendeva nemmeno conto del proprio isolamento, perché non aveva mai conosciuto nessun’altra realtà.

La malattia era finita presto, ed in capo a due giorni Pelorat aveva letto il libro tre volte e si era rimesso in piedi.

Poi era andato al suo terminale di computer ed aveva controllato se la Biblioteca Universitaria di Terminus avesse materiale che riguardasse quel tipo di leggende.

Proprio di quel tipo di leggende si era occupato da allora. La Biblioteca Universitaria di Terminus era ben poco fornita riguardo a quell’argomento, ma quando era diventato più grande, Pelorat aveva scoperto le gioie del prestito interbibliotecario. Aveva in suo possesso tabulati ottenuti, tramite segnali iper-radiazionali, da mondi lontani come Ifnia.

Era diventato professore di storia antica. Adesso, trentasette anni dopo aver letto quel libro di leggende, era al suo primo congedo per motivi di ricerca, un congedo che aveva chiesto con l’idea di fare un viaggio nello spazio (il suo primo) fino a Trantor.

Pelorat si rendeva conto che per un abitante di Terminus fosse stranissimo non avere mai viaggiato nello spazio, e certo lui non aveva mai desiderato farsi notare per una bizzarria del genere. Era successo per caso: ogni volta che avrebbe potuto intraprendere un viaggio, si era trovato invischiato in qualche nuovo studio, in qualche nuova analisi, in qualche nuova ricerca. Non aveva mai potuto sopprimere l’esigenza di sviscerare il nuovo argomento e di aggiungere altre informazioni e considerazioni alla montagna di dati raccolti, e così aveva sempre rimandato tutti i viaggi. Il suo unico rimpianto, alla fine, era quello di non avere mai visto Trantor.

Trantor era stata la capitale del Primo Impero Galattico, era stata la sede degli imperatori per dodicimila anni, e prima di allora la capitale di uno dei più importanti regni pre-imperiali, un regno che a poco a poco aveva conquistato od assorbito in qualche modo gli altri, creando le condizioni per la fondazione dell’Impero.

Trantor era un tempo una città che si estendeva su un intero pianeta, una città ricoperta di metallo. Pelorat sapeva com’era dalle opere di Gaal Dornick, che l’aveva visitata all’epoca dello stesso Hari Seldon. Le opere di Dornick non erano più in circolazione, ed il volume che Pelorat possedeva avrebbe potuto essere venduto per una cifra pari a metà di quanto uno storico guadagnasse in un anno. Ma solo l’idea di separarsi da quel libro lo avrebbe fatto inorridire.

Naturalmente a Pelorat interessava Trantor per via della Biblioteca Galattica, che ai tempi dell’Impero (quando si chiamava Biblioteca Imperiale) era stata la più grande della Galassia. Trantor era stata la capitale dell’impero più vasto e popoloso che l’umanità avesse mai conosciuto. I suoi abitanti superavano di parecchio i quaranta miliardi, e la Biblioteca conteneva tutte le opere creative (ed anche un po’ meno creative) dell’umanità, l’intero compendio delle sue conoscenze. Ed era computerizzata in modo talmente complesso, che occorrevano persone esperte per poterla consultare.

Il fatto più interessante era che la Biblioteca esistesse ancora: Pelorat non cessava di stupirsene. Quando Trantor era caduta ed era stata saccheggiata, due secoli e mezzo prima, rovina e distruzione erano state tremende ed i racconti di morti e sofferenze inaudite non si contavano.

Eppure la Biblioteca era rimasta in piedi, difesa (così si diceva) dagli studenti universitari, che avevano usato armi costruite ingegnosamente. (Qualcuno riteneva che la storia della difesa da parte degli studenti fosse completamente romanzata.) In ogni caso, la Biblioteca aveva resistito indenne al periodo di devastazioni. Ebling Mis aveva compiuto il suo lavoro proprio lì, nella Biblioteca, quando per poco non aveva localizzato la Seconda Fondazione (una storia alla quale la gente della Fondazione credeva ancora, ma su cui gli storici avevano sempre sollevato più di una riserva). I tre Darell, Bayta, Toran e Arkady, erano stati tutti su Trantor. Arkady però non aveva visitato la Biblioteca, e dalla sua epoca in poi la storia galattica non aveva fatto mai più cenno a essa.

Da centovent’anni nessun abitante della Fondazione andava su Trantor, ma non c’era motivo di credere che la Biblioteca non esistesse più: che non si fosse più accennato ad essa dimostrava che esistesse ancora. Se fosse stata distrutta, se ne sarebbe certo sentito parlare.

Era una Biblioteca antiquata ed arcaica (lo era già all’epoca di Ebling Mis), ma Pelorat era ben contento che così fosse; si sfregava le mani per la soddisfazione ogni volta che pensava a biblioteche vecchie ed antiquate: più erano antiche, più era probabile trovarvi ciò che cercava lui.

Di notte sognava a volte di entrare nella Biblioteca e di chiedere, preoccupato ed angosciato: «Avete rimodernato? Avete buttato via i vecchi nastri e le vecchie registrazioni?» Ed anziani bibliotecari con gli abiti polverosi rispondevano immancabilmente «È tutto rimasto come è sempre stato, professore».

Ora il sogno si sarebbe avverato, gliel’aveva assicurato il sindaco in persona.

Come avesse saputo del suo lavoro, Pelorat lo ignorava. Non era riuscito a pubblicare granché. Poco di quello che aveva fatto era abbastanza articolato da essere adatto alla pubblicazione, e le cose che erano apparse non avevano lasciato traccia di sé. Si diceva però che Branno la Bronzea sapesse tutto quello che succedeva su Terminus e avesse occhi anche nelle dita dei piedi e delle mani. Pelorat quasi quasi poteva anche crederci, ma se la Branno sapeva da tempo del suo lavoro, come mai non ne aveva capito l’importanza e non aveva dato un contributo finanziario già prima di allora?

In certo modo, pensò con quel po’ di rancore che un tipo tranquillo come lui fosse in grado di serbare, la Fondazione guardava sempre e soltanto al futuro, assorbita dall’idea del Secondo Impero. Non aveva né il tempo, né la voglia di volgere lo sguardo al passato e considerava con irritazione quelli che lo facevano.

Era un atteggiamento stupido, naturalmente, ma Pelorat non poteva da solo sconfiggere la follia di tanti, e forse era meglio così. Poteva coltivare amorevolmente la sua passione e forse un giorno sarebbe stato ricordato come il grande Pioniere dell’Importante.

Ciò significava ovviamente (aveva troppa onestà intellettuale per rifiutarsi di capirlo) che anche lui era assorbito dal pensiero del futuro. In futuro, chissà i suoi meriti sarebbero stati riconosciuti e la sua fama sarebbe stata pari a quella di Hari Seldon. Anzi, lui sarebbe stato più grande di Seldon, perché quest’ultimo aveva soltanto elaborato il quadro articolato di un futuro lungo un millennio, mentre lui avrebbe elaborato il quadro di un passato lungo almeno venticinquemila anni.

Ed adesso era arrivato il giorno chiave, il giorno decisivo.

Il sindaco gli aveva già detto che tale giorno sarebbe stato quello successivo all’apparizione del simulacro di Seldon. Solo per questo Pelorat si era interessato alla crisi di Seldon che per mesi aveva assorbito l’attenzione di tutti su Terminus, e di quasi tutti nella Federazione.

A lui, che la capitale della Fondazione restasse lì o fosse trasferita da qualche altra parte era sempre sembrato un problema insignificante, e adesso che la crisi era stata superata, non sapeva ancora bene quale delle due parti avesse sostenuto Hari Seldon, né se effettivamente il simulacro avesse accennato alla questione: gli bastava sapere che Seldon fosse apparso, e che finalmente fosse venuto il giorno fatidico.

Fu poco dopo le due del pomeriggio che una macchina di superficie imboccò il viottolo che portava alla sua casa, abbastanza isolata, subito fuori Terminus. La portiera posteriore si aprì. Scesero una guardia che vestiva l’uniforme del Corpo di Sicurezza del Sindaco, un giovane, ed altre due guardie.

Pelorat era emozionato, doveva ammetterlo. Il sindaco non solo sapeva delle sue ricerche, ma era chiaro che le considerasse della massima importanza. A quello che sarebbe stato il suo compagno di viaggio avevano assegnato una guardia d’onore, e a lui avevano promesso un’astronave di prima classe. Era veramente lusinghiero, veramente...

La governante di Pelorat aprì la porta. Il giovane destinato a pilotare l’astronave entrò, e le due guardie si collocarono ai due lati dell’entrata. Attraverso la finestra, Pelorat vide che la terza guardia restava fuori e che adesso era arrivata una seconda macchina di superficie: altre guardie!

Era davvero sconcertante. Lo storico si girò a guardare il giovane appena entrato nella sua stanza e si meravigliò di riconoscerlo: l’aveva visto durante le olotrasmissioni. — Ma siete quel consigliere! — disse. — il consigliere Trevize!

— Golan Trevize, sì. Voi siete il professor Janov Pelorat?

— Sì, sì — disse Pelorat. — Siete voi quello che...

— Saremo compagni di viaggio — disse Trevize, secco. — Od almeno così mi hanno detto.

— Ma non siete uno storico!

— No, infatti. Come avete osservato, sono un consigliere, un uomo politico.

— Già... Be’, ma perché ne faccio un problema? Lo storico sono io, no? Non ne occorre un altro. Immagino che voi sappiate pilotare un’astronave.

— Sì, me la cavo piuttosto bene.

— Perfetto, è di questo che abbiamo bisogno. Ottimo. Ah, temo di essere più ferrato nel pensiero teorico che in quello pratico, quindi, se per caso voi siete un tipo pratico, credo che formeremo una buona squadra.

— Al momento ho l’impressione che la mia capacità di pensare, pratica o teorica che sia, non brilli per eccellenza. Ad ogni modo credo non abbiamo altra scelta che cercare di formare una buona squadra.

— Spero di riuscire a superare le incertezze che mi procura l’idea del viaggio nello spazio. Sapete, non ho mai fatto un viaggio del genere. Sono un pigrone, si dice così, vero? A proposito, volete una tazza di tè? Dirò a Kloda che ci prepari qualcosa.

In fondo, a quanto ho capito, non dovremmo partire prima di qualche ora. Io però sono già pronto: ho il necessario per entrambi. Il sindaco mi ha aiutato moltissimo, è straordinario quanto le interessi la missione.

— Sapevate già da tempo del viaggio, allora? Da quanto?

— La Branno si è messa in contatto con me, aspetti... — Pelorat aggrottò leggermente la fronte, facendo i debiti calcoli mentali.

— Due, forse tre settimane fa. Ero al settimo cielo. E adesso che ho capito di aver bisogno di un pilota e non di un altro storico, sono contentissimo che il mio compagno siate voi, caro amico.

— Due o tre settimane fa — ripeté Trevize, abbastanza sbalordito. — Allora era preparata da un pezzo la cosa. Ed io... — S’interruppe.

— Come avete detto, prego?

— Niente, professore. Ho la cattiva abitudine di borbottare fra me e me. Bisognerà che impariate a sopportarla, se il nostro viaggio sarà lungo.

— Lo sarà, lo sarà — disse Pelorat, spingendo l’altro verso il tavolo della sala da pranzo, dove la governante stava preparando un tè alquanto complicato. — Potrà durare moltissimo. Il sindaco ha detto che abbiamo tutto il tempo che vogliamo davanti a noi, che la Galassia è vasta e che dovunque andremo potremo sempre contare sull’aiuto della Fondazione. Ha anche detto naturalmente che dobbiamo comportarci in modo ragionevole, ed io gliel’ho promesso. — Ridacchiò e si sfregò le mani. — Sedetevi, caro amico, sedetevi. Forse passerà un’infinità di tempo prima che mangiamo ancora qualcosa su Terminus.

Trevize si sedette e disse: — Avete famiglia, professore?

— Ho un figlio che insegna, credo, chimica o qualcosa del genere all’Università di Santanni: come interessi ha preso da sua madre. È da un pezzo che vive per conto suo, per cui, come potrete capire, non ho responsabilità, non ci sono ostacoli qui che mi impediscano di tentare la sorte. Immagino che nemmeno voi ne abbiate. Prendete una tartina, ragazzo mio.

— No, al momento non ne ho. Ho avuto alcune donne, qui e là. Niente di stabile.

— Sì, sì. È fantastico quando si ingrana in un rapporto, ma è ancora più fantastico quando si sente che si è liberi di prenderlo alla leggera. Immagino non abbiate figli.

— No.

— Bene! Sapete, sono proprio di ottimo umore. Ammetto di essere rimasto sconcertato quando siete entrato in casa mia, ma adesso trovo elettrizzante la vostra presenza qui. Ho giusto bisogno di una persona giovane ed entusiasta che sappia districarsi nella Galassia. La nostra è una ricerca, una ricerca. — La faccia tranquilla e la voce tranquilla di Pelorat diventarono insolitamente vivaci, malgrado né l’espressione, né il tono cambiassero sensibilmente. — Mi domando se vi abbiano parlato della questione.

Trevize strinse gli occhi. — Si tratta di una ricerca importantissima, dite?

— Sì. Una perla di inestimabile valore è nascosta tra le decine di milioni di mondi abitati della Galassia, e noi non abbiamo come guida che minime tracce. Tuttavia, se riusciremo a trovarla, il premio sarà incredibile: se ce la faremo, ragazzo mio, anzi Trevize, scusate, non crediate che voglia assumere un atteggiamento paternalistico, se ce la faremo, dicevo, i nostri nomi saranno famosi per secoli e secoli, fino alla fine del tempo.

— Il premio di cui parlate... questa perla di inestimabile valore...

— Sembro Arkady Darell, la scrittrice, quando parla della Seconda Fondazione, vero? Non c’è da stupirsi che siate così meravigliato. — Pelorat buttò la testa indietro come se stesse per scoppiare in una fragorosa risata, ma si limitò soltanto a sorridere.

— Niente di così stupido e poco importante, vi assicuro.

— Se non state parlando della Seconda Fondazione, di che cosa state parlando, professore? — disse Trevize.

Pelorat di colpo si fece serio ed assunse un’aria quasi di scusa.

— Allora il sindaco non ve l’ha detto? È strano, sapete. Per anni e anni me la sono presa col Governo, che dimostrava incomprensione verso il mio lavoro, ed ecco che ora Harla Branno si dimostra all’improvviso straordinariamente generosa.

— Sì — disse Trevize, senza nascondere il tono ironico. — È una donna che ha straordinarie risorse filantropiche nascoste. Ma non mi ha illustrato per niente tutta questa faccenda.

— Non sapete della mia ricerca, allora?

— No, mi dispiace.

— Non dovete mica scusarvi. Che non ne sappiate nulla è perfettamente legittimo: non si può dire che io sia molto famoso. Vi spiegherò tutto: ho un’eccellente idea che ci può aiutare a cercare, e trovare, la Terra.

2

Quella notte Trevize non dormì bene.

Si dibatteva nella ragnatela che la Branno gli aveva tessuto intorno, e non trovava via d’uscita.

Lo stavano mandando in esilio e non poteva farci niente. Lei aveva agito con pacata inesorabilità, e non si era nemmeno preoccupata di dare una parvenza di costituzionalità al tutto: lui aveva confidato nei propri diritti di consigliere e di cittadino della Federazione, ed Harla Branno non si era curata nemmeno di salvare la forma, violandoli.

E adesso quel Pelorat, quello strano accademico che sembrava vivere nelle nuvole, gli era venuto a dire che la vecchia tremenda aveva organizzato tutto già da settimane.

Trevize si sentiva davvero il ragazzo sciocco che era stato accusato di essere.

Sarebbe andato in esilio con uno storico che lo chiamava “caro amico” e che pareva entusiasta di cominciare a cercare per la Galassia qualcosa chiamato “Terra”.

«Per la barba del nonno del Mulo, che cos’è mai la Terra?» si era chiesto appena l’altro l’aveva nominata. Ed aveva chiesto spiegazioni.

— Perdonatemi, professore — aveva detto. — Sono ignorante nella vostra materia, e spero non vi seccherete se vi chiedo di dirmi in termini semplici che cosa sia la Terra.

Pelorat lo aveva fissato con aria grave mentre i secondi scorrevano lenti, poi aveva risposto: — È un pianeta. Il pianeta originario, quello su cui apparvero per la prima volta gli esseri umani, mio caro amico.

Trevize l’aveva fissato di rimando. — Su cui apparvero per la prima volta?

Provenienti da dove?

— Da nessuna parte: la Terra è il pianeta su cui l’umanità si è evoluta attraverso vari stadi di sviluppo. Gli uomini si sono originati dagli animali inferiori.

Trevize aveva riflettuto un attimo, poi aveva scosso la testa. — Non capisco cosa intendiate.

Per un attimo sul viso di Pelorat era passata un’ombra di irritazione. Lo storico si era schiarito la voce ed aveva detto: — Un tempo su Terminus non c’erano esseri umani. Gli esseri umani ci vennero da altri mondi. Questo lo saprete, immagino.

— Sì, certo. — Trevize era spazientito, seccato che l’altro all’improvviso pontificasse.

— Benissimo. Questo vale anche per tutti gli altri mondi: Anacreon, Santanni, Kalgan, eccetera. Tutti quanti, in una qualche epoca del passato, furono colonizzati.

In una parola, arrivò gente da altri pianeti. Lo stesso vale anche per Trantor; sarà anche stata una grande metropoli per ventimila anni, ma prima che iniziassero quei ventimila anni non lo era.

— Com’era, allora?

— Era vuota. Per lo meno non c’erano gli esseri umani.

— È difficile a credersi.

— Però è vero: lo dimostrano gli antichi documenti.

— Da dove veniva la gente che colonizzò Trantor?

— Non si sa bene. Ci sono centinaia di pianeti che sostengono di essere stati popolati nelle nebbie indistinte dell’antichità e che hanno leggende fantasiose che parlano del primo arrivo degli esseri umani. Gli storici tendono a non dare credito a queste storie ed a riflettere invece sulla “questione dell’origine”.

— Cosa sarebbe? Non ne ho mai sentito parlare.

— Non mi sorprende. Ammetto che non sia un problema storico di cui ci si occupi molto, ora, ma durante la decadenza dell’Impero ci fu un periodo in cui destò un certo interesse fra gli intellettuali. Salvor Hardin ne parla brevemente nelle sue memorie.

La questione dell’origine è quella che riguarda l’identità e l’ubicazione del particolare pianeta da cui ebbe inizio tutto. Se proviamo a guardare indietro nel tempo, vediamo che l’umanità forma una catena che va dai mondi colonizzati di recente a quelli più vecchi ed a quelli ancora più vecchi, finché si arriva al numero uno, il pianeta originario.

Trevize aveva notato subito una pecca nel ragionamento. — Non potrebbero esserci vari pianeti originari?

— No, nel modo più assoluto: tutti gli esseri umani che circolano nella Galassia sono di un’unica specie. Una singola specie non può avere origine su più di un pianeta. è totalmente impossibile.

— Come fate a saperlo?

— Innanzitutto... — Pelorat aveva congiunto le dita come preparandosi ad una dissertazione, poi si era pentito, pensando evidentemente che il discorso sarebbe stato troppo lungo e complesso. Aveva lasciato cadere le mani lungo i fianchi ed aveva dichiarato, serio serio: — Caro amico, vi do la mia parola d’onore che le cose stanno realmente così.

Trevize, con un inchino formale, aveva detto: — Non mi sognerei mai di metterla in dubbio, professore. Diciamo allora che esista un solo pianeta d’origine. Ma non potrebbero essercene centinaia che sostengano di essere quel pianeta?

— Non “potrebbero”: ci sono. Tuttavia nessuno dispone di prove convincenti. Fra le centinaia di mondi che pretendono di avere ospitato per primi la vita umana, non ce n’è uno su cui esistano minime tracce di una società iperspaziale, tanto meno tracce di un’evoluzione umana che si sia originata da organismi preumani.

— Insomma voi sostenete che esista un pianeta d’origine, ma che esso, per qualche ragione, non dichiari di essere tale?

— Proprio così.

— Ed intendete cercarlo?

— Lo cercherò assieme a voi: è la nostra missione. Il sindaco Branno ha già disposto tutto quanto in questo senso. Voi piloterete la nave fino a Trantor.

— Trantor? Non è il pianeta d’origine, l’avete detto voi poco fa.

— Infatti. Il pianeta d’origine è la Terra.

— Allora dovrò pilotare la nave fino alla Terra, no?

— Evidentemente non mi sono spiegato bene. “Terra” è un nome leggendario, citato in antichi miti. Non ha un significato preciso per noi; è una parola di due sillabe che per convenzione indica il “pianeta dove ha avuto origine la specie umana”. Quale sia, nello spazio reale, il pianeta che definiamo Terra non lo sa nessuno.

— E secondo voi, su Trantor lo sanno?

— Su Trantor spero di trovare informazioni utili. Lì c’è la Biblioteca Galattica, la più grande di questo sistema solare.

— Ma in quella Biblioteca avranno già cercato le persone che all’epoca del Primo Impero erano interessate, come avete detto voi, alla questione dell’origine.

Pelorat aveva annuito, pensieroso. — Sì, ma forse non hanno cercato bene. Io ho imparato sulla questione dell’origine tante cose che probabilmente gli imperiali di cinque secoli fa non sapevano: posso consultare gli antichi documenti con maggior cognizione di causa, capite? Ho riflettuto un pezzo su tutta la faccenda ed ho un’idea eccellente in testa.

— Avrete parlato al sindaco Branno, immagino. Lei approva?

— Approva? Amico mio, è entusiasta. Mi ha detto che Trantor è indubbiamente il posto dove posso trovare tutto quello che voglio sapere.

— Già — aveva mormorato Trevize.

E così, pensò Trevize nella notte insonne, il sindaco lo spediva nello spazio a scoprire ciò che si poteva sulla Seconda Fondazione, e gli metteva al fianco Pelorat perché una scusa buona, quella della Terra, mascherasse il vero scopo del viaggio.

Era una scusa efficace, perché li poteva portare in qualsiasi luogo della Galassia, e Trevize ammirò l’ingegnosità della Branno.

Ma che senso aveva andare su Trantor? Una volta che fossero stati là, Pelorat si sarebbe ficcato nella Biblioteca Galattica per non riemergerne mai più. Davanti agli innumerevoli scaffali di libri, di pellicole, di registrazioni, alle innumerevoli computerizzazioni e rappresentazioni simboliche, il professore si sarebbe sentito affascinato fino a non desiderare più ripartire.

E poi c’era anche qualcos’altro...

Un tempo, all’epoca del Mulo, Ebling Mis era andato su Trantor. Secondo quanto si raccontava, là aveva scoperto dove si trovasse la Seconda Fondazione ed era morto prima di poterlo rivelare. Del resto lo stesso aveva fatto Arkady Darell, ed era riuscita anche lei a localizzare la Seconda Fondazione. Ma aveva scoperto che la sede era situata sullo stesso Terminus, ed il covo della Seconda Fondazione era stato così eliminato. Dovunque fosse adesso quel covo, non poteva che trovarsi da altre parti.

Che senso aveva quindi recarsi su Trantor? Se bisognava cercare la Seconda Fondazione, era meglio scegliere tutto, tranne Trantor.

E poi c’era anche qualcos’altro...

Quali altri piani avesse la Branno, Trevize non lo sapeva, ma certo non era propenso a farle un favore. Harla Branno si era mostrata entusiasta all’idea di un viaggio su Trantor? Be’, se lei voleva Trantor, allora non sarebbero andati su Trantor: da qualsiasi parte, ma non su Trantor!

Mentre la notte si avvicinava sempre più all’alba. Trevize, stanco morto, cadde alla fine in un sonno irrequieto.

3

Per il sindaco Branno la giornata successiva a quella dell’arresto di Trevize era stata piena di soddisfazioni. Le avevano reso più onori di quanti meritasse, e nessuno aveva fatto cenno all’incidente.

Lei però sapeva bene che il Consiglio si sarebbe scosso presto dal suo torpore ed avrebbe cominciato a porre domande. Bisognava quindi agire in fretta. Perciò, lasciando da parte una quantità di altre questioni, si occupò fino in fondo di quella che riguardava Trevize.

Nel momento in cui Trevize e Pelorat stavano discutendo della Terra, Harla Branno si trovava nel suo ufficio e si accingeva a parlare con il consigliere Munn Li Compor. Perfettamente a suo agio, il consigliere si sedette davanti al sindaco, dall’altra parte della scrivania, ed il sindaco lo osservò e studiò ancora una volta.

Era più piccolo e più magro di Trevize, e aveva solo due anni più di quest’ultimo.

Entrambi erano stati eletti da poco, ed erano giovani e insolenti. Probabilmente solo questo li aveva fatti diventare amici, perché per il resto erano assai diversi.

Mentre Trevize irradiava una fierezza un po’ torva, Compor ostentava una serena sicurezza di sé. Forse la sfumatura di serenità gli era data dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, due caratteristiche che non erano affatto comuni tra gli abitanti della Fondazione. Esse gli conferivano un’aria fine, quasi femminile, che a giudizio della Branno lo rendeva meno attraente di Trevize. Chiaramente però Compor era contento del suo aspetto, e cercava di sfruttare al massimo le sue doti: portava i capelli abbastanza lunghi e si preoccupava che le onde fossero sempre a posto. Sotto le sopracciglia aveva un lieve tocco di ombretto azzurro, che esaltava il colore degli occhi. (Negli ultimi dieci anni l’ombretto di varie tinte era diventato di moda, tra gli uomini.)

Compor non era un libertino. Conduceva una vita tranquilla con sua moglie, ma non aveva ancora manifestato l’intenzione di avere figli e non aveva nemmeno una seconda compagna segreta. Anche in quello era diverso da Trevize, il quale cambiava partner con la stessa frequenza con cui cambiava le fusciacche dai colori chiassosi per le quali era diventato famoso.

Kodell, il Capo della Sicurezza, sapeva praticamente tutto sul conto di entrambi i consiglieri, ed adesso sedeva in silenzio in un angolo della stanza, con la sua solita faccia cordiale e tranquilla.

La Branno disse: — Consigliere Compor, avete reso un buon servizio alla Fondazione, anche se, sfortunatamente per voi, non è il tipo di servizio di cui si possa parlare in pubblico in tono elogiativo o per cui si possa ricevere una normale ricompensa.

Compor sorrise. Aveva denti bianchi e regolari, ed Harla Branno per un breve attimo si domandò pigramente se tutti gli abitanti del Settore Sirio non avessero lo stesso aspetto di lui. Compor affermava di essere originario di quella regione piuttosto periferica dello spazio perché sua nonna materna, che aveva anche lei gli occhi azzurri ed i capelli biondi, sosteneva che la propria madre fosse del Settore Sirio. Secondo Kodell, però, nulla dimostrava che le cose stessero realmente così.

Da come sono fatte le donne, aveva detto Kodell, la nonna di Compor poteva benissimo essersi inventata un’ascendenza esotica per aumentare il proprio fascino ed il proprio già notevole magnetismo.

— Ah, perché, le donne sono così? — aveva detto secca la Branno, e Kodell con un sorriso aveva risposto che si riferiva naturalmente alle donne comuni.

Compor disse: — Non è necessario che il popolo della Fondazione sappia del servizio da me reso: basta che lo sappiate voi.

— Sì, io lo so e non dimenticherò. Ma non vi permetterò nemmeno di ritenervi libero da ogni obbligo. Vi siete imbarcato in un’impresa complicata, e dovete per forza continuare: vogliamo sapere altre cose su Trevize.

— Vi ho detto tutto quanto sapessi su di lui.

— Forse è solo quello che intendete farmi credere. O forse è addirittura quello che credete voi stesso. In ogni modo, rispondete alle mie domande. Conoscete un signore di nome Janov Pelorat?

Compor aggrottò la fronte solo un attimo, poi la sua espressione tornò serena. — Magari potrei riconoscerlo se lo vedessi — disse, — ma il nome non mi dice assolutamente niente.

— È uno studioso.

Compor piegò la bocca in una smorfia di disprezzo, dal suo viso si capì che si stesse domandando come mai il sindaco si aspettasse che uno studioso fosse tra le sue conoscenze.

— Pelorat è una persona interessante, che per motivi suoi desidera visitare Trantor

— disse Harla Branno. — Lo accompagnerà nel suo viaggio il consigliere Trevize.

Ora, voi siete stato buon amico di Trevize e dovreste conoscere bene il suo modo di pensare: credete che acconsentirà ad andare su Trantor?

Compor disse: — Se fate in modo che Trevize salga sulla nave e se la nave viene pilotata fino a Trantor, che cosa può fare lui, se non arrivare a destinazione? Non penserete certo alla possibilità che si ammutini e s’impadronisca della nave.

— Non capite: lui e Pelorat saranno soli sulla nave, e sarà Trevize ai comandi.

— Mi chiedete allora se andrebbe su Trantor volontariamente?

— Sì, vi chiedo proprio questo.

— Signor sindaco, come posso sapere, io, che cosa farà Trevize?

— Consigliere Compor, voi lo conoscete bene. Sapete che crede che esista ancora la Seconda Fondazione. Vi ha mai detto dove potrebbe essere secondo lui?

— No, mai, signor sindaco.

— Pensate che la troverà?

Compor fece una risatina. — La Seconda Fondazione, qualunque cosa fosse e qualunque importanza avesse, fu distrutta all’epoca di Arkady Darell: io credo al racconto di Arkady.

— Davvero? Allora come mai avete tradito il vostro amico? Se è vero che cercava qualcosa che non esiste, che danno poteva fare andando in giro a esporre le sue strane teorie?

— Non sempre è la verità a provocare danni — disse Compor. — Anche se completamente prive di fondamento, le teorie di Trevize avrebbero potuto ugualmente turbare la popolazione di Terminus; mettendo in dubbio il ruolo della Fondazione nel grande dramma della storia galattica, avrebbero potuto indebolire la Fondazione stessa, il suo primato ed i suoi sogni di un Secondo Impero Galattico. È chiaro che anche voi abbiate pensato la stessa cosa, altrimenti non l’avreste arrestato nel palazzo del Consiglio e non lo costringereste ora all’esilio senza sottoporlo a un processo. Perché l’avete fatto, signor sindaco, se mi è lecito chiederlo?

— Diciamo che sono stata così prudente da chiedermi se non ci fosse la minima possibilità che Trevize avesse ragione, e da concludere che il solo esporre liberamente quel certo punto di vista poteva essere pericoloso...

Compor non disse niente.

— Intendiamoci, sono d’accordo con voi — disse la Branno, — ma le responsabilità della mia posizione mi costringono a non scartare quella minima possibilità. Permettetemi di chiedervi di nuovo se abbiate una qualche idea di dove Trevize possa voler andare, di dove creda che si trovi la Seconda Fondazione.

— No, non ne ho la più pallida idea.

— Non ha mai accennato alla cosa, con voi?

— No, naturalmente.

— Mai? Non liquidate la faccenda così in fretta. Siete proprio sicuro?

— Sicurissimo — disse Compor, deciso.

— Nessun indizio, nessun commento scherzoso, nessuna allusione, nessuna considerazione astratta che possa acquistare un certo significato se ci riflettete adesso, a distanza di tempo?

— No. Vi assicuro, signor sindaco, che Trevize ha avuto sempre idee molto nebulose a proposito della Seconda Fondazione. Voi del resto lo sapete, e sprecate solo tempo e fatica insistendo tanto sulla questione.

— Non sarà per caso che d’un tratto facciate marcia indietro e vi mettiate a difendere l’amico che mi avete consegnato poco fa?

— No — disse Compor. — Ve l’ho consegnato per motivi che mi parevano giusti e patriottici: non c’è ragione per cui debba pentirmi di ciò che ho fatto o cambiare atteggiamento.

— Quindi non sapete dirmi dove potrebbe andare una volta che avesse un’astronave a sua disposizione?

— Come ho già detto...

— Tuttavia, consigliere — disse Harla Branno, assumendo un’espressione pensierosa, — vorrei sapere dove andrà quando sarà ai comandi.

— In tal caso dovreste piazzare un iper-relé sulla sua nave.

— Ci ho pensato. Trevize però è un uomo sospettoso e temo che lo scoprirebbe anche se fosse collocato in un posto sicuro. Naturalmente si potrebbe sistemare il relé in modo che, togliendolo, la nave ne venisse danneggiata, e che quindi lui fosse costretto a lasciarlo al suo posto...

— Un’idea eccellente.

— Solo che così si sentirebbe con le mani legate — disse la Branno. — Probabilmente deciderebbe di non andare nel posto dove andrebbe se si sentisse libero da qualsiasi pastoia, e io non verrei a sapere le cose che mi interessano.

— Allora è difficile che possiate scoprire dove andrà.

— Non è detto. Ho intenzione di ricorrere a metodi molto primitivi. Una persona che sia preparata a fronteggiare metodi di controllo complessi ed elaborati è difficile che pensi a quelli primitivi. Proprio per questo ho deciso di far seguire Trevize.

— Seguire?

— Esattamente. Di farlo seguire da un altro pilota su un’altra astronave. Vedete come siete stupito? Anche lui sarebbe ugualmente stupito. Non credo che si metterà ad esplorare lo spazio alla ricerca di un’astronave inseguitrice, ed in ogni caso noi provvederemo a che la sua nave non abbia a bordo gli strumenti di rilevamento-massa più recenti e raffinati.

— Signor sindaco — disse Compor, — con tutto il rispetto, permettetemi di dirvi che vi manca esperienza nel campo del volo spaziale. Non si fa mai seguire una nave da un’altra nave, perché la faccenda non funziona: al primo balzo iperspaziale, Trevize si libererebbe del suo inseguitore. Anche se non sapesse di essere seguito, quel primo balzo rappresenterebbe la strada verso la libertà. A meno di non mettergli un iper-relé a bordo, è escluso che si possa tener dietro ai suoi movimenti.

— Ammetto di non avere esperienza. Diversamente da voi e da Trevize, non ho mai imparato a pilotare un’astronave. Tuttavia i miei consiglieri, che sono esperti di volo spaziale, mi hanno detto che se uno ha sotto osservazione una nave immediatamente prima del balzo, la sua direzione, la sua velocità e la sua accelerazione permettono di dedurre, almeno in senso generale, quale sarà la rotta.

Con un buon computer ed un’eccellente intuizione, l’inseguitore può ripetere quasi lo stesso balzo e rimettersi quindi sulle tracce dell’altro. Soprattutto se dispone di un buon rilevatore di massa.

— Questo potrà accadere una volta — disse Compor con veemenza. — magari anche due volte se l’inseguitore è molto fortunato, ma non di più: non si può fare affidamento su questo tipo di controllo.

— Forse noi potremo, invece. Consigliere Compor, voi in passato avete partecipato alle iper-corse. Vedete, sappiamo un sacco di cose sul vostro conto. Siete un pilota eccellente ed avete fatto cose strabilianti, quando si trattava di inseguire un concorrente attraverso un Balzo.

Compor sgranò gli occhi e si mosse sulla sua sedia. — Erano i tempi del college.

Adesso sono più vecchio.

— Non troppo vecchio: non avete ancora trentacinque anni. Perciò sarete voi a seguire Trevize, consigliere. Dovunque andrà, voi lo seguirete e ne riferirete a me.

Partirete poco dopo Trevize, che parte fra poche ore. Se vi rifiuterete di assolvere questo compito, sarete imprigionato per tradimento; se salirete sulla nave che vi abbiamo destinato e non seguirete Trevize, non disturbatevi a tornare indietro: se ci proverete sarete vaporizzato.

Compor si alzò in piedi di scatto. — Io ho la mia vita da vivere. Ho un lavoro, una moglie. Non posso abbandonare tutto.

— Dovete. Quelli di noi che hanno scelto di servire la Fondazione devono essere pronti a servirla in qualsiasi momento e anche a costo di prolungati disagi, quando ciò si renda necessario.

— Mia moglie verrà con me, naturalmente.

— Mi credete sciocca? Naturalmente resterà qui.

— Come ostaggio?

— Se vi piace questa parola. Direi piuttosto che, siccome correrete dei rischi e siccome sono molto buona, la farò restare qui, dove non sarà in pericolo. La decisione non si discute. Siete in arresto quanto Trevize: sono certa che comprenderete come sia costretta ad agire in fretta, prima che l’euforia della gente di Terminus svanisca.

Temo che presto la mia stella sarà in declino.

4

— Siete stata dura con lui, signor sindaco — disse Kodell.

Tirando su col naso, il sindaco disse. — Perché non avrei dovuto esserlo? Ha tradito un amico.

— Ma il fatto ci è tornato utile.

— Sì, per caso. Il suo prossimo tradimento però potrebbe non tornarci più utile.

— Perché dovrebbe essercene un altro?

— Oh, via, Liono — disse la Branno spazientita, — non fingete con me di non sapere certe verità: chiunque manifesti la capacità di fare il doppio gioco, è facile che quella capacità la sfrutti in più occasioni.

— Potrebbe tornare ad allearsi con Trevize. Insieme, potrebbero...

— No, non credete a quanto state dicendo. Con tutta la sua follia ed ingenuità, Trevize va dritto alla meta. Non concepisce il tradimento e non si fiderebbe mai più, in nessuna circostanza, di Compor.

Kodell disse: — Scusate, sindaco, ma vorrei riuscire a capire bene la logica del vostro discorso. Fino a che punto allora potete fidarvi voi di Compor? Come fate ad essere sicura che seguirà Trevize e riferirà a voi senza barare? Pensate che righerà dritto per paura che succeda qualcosa alla moglie? Che la cosa più importante per lui sia tornare da lei?

— Sono fattori di un certo peso, ma non faccio assegnamento esclusivamente su essi. Sulla nave di Compor ci sarà un iper-relé. Trevize sospetterà di poter essere seguito ed è facile che esplori la nave per vedere se ce ne sia uno. Penso invece che Compor, essendo l’inseguitore, non avrà lo stesso timore e non cercherà quindi il congegno. Se poi mi sbaglio e lo cercherà e troverà, dovremo limitarci a sperare che ami molto la moglie.

Kodell rise. — Pensare che una volta facevo io da maestro a voi. E qual è lo scopo, dell’inseguimento?

— È come un doppio dispositivo di sicurezza. Se Trevize venisse catturato, forse Compor continuerebbe al posto suo e ci darebbe le informazioni che l’altro non sarebbe più in grado di dare.

— Un’altra domanda. E se per caso Trevize scopre la Seconda Fondazione e noi veniamo a sapere della sua esistenza attraverso lui od attraverso Compor? O, nonostante la morte di entrambi, accumuliamo abbastanza indizi da sospettare che esista?

— Io spero che la Seconda Fondazione esista veramente, Liono — disse Harla Branno. — In ogni caso, il Piano Seldon ha ormai terminato la sua funzione. Il grande Hari Seldon lo ideò all’epoca della decadenza dell’Impero, quando il progresso tecnologico si era praticamente fermato. Anche Seldon era un prodotto dei suoi tempi, e per quanto brillante possa essere stata la Psicostoria, questa scienza semi-mitica, è stata pur sempre condizionata dall’ambiente che l’ha vista nascere.

Nelle sue previsioni non rientrava certo quella di un progresso tecnologico rapido. La Fondazione questo progresso l’ha raggiunto, specie nell’ultimo secolo. Abbiamo rilevatori di massa che un tempo non ci saremmo mai sognati, computer che rispondono al pensiero e, soprattutto, schermi mentali: se la Seconda Fondazione è in grado di controllarci adesso, non potrà farlo ancora per molto. Voglio che gli ultimi anni in cui sarò al potere siano quelli in cui Terminus s’incamminerà su una nuova strada.

— E se invece, di fatto, non esiste nessuna Seconda Fondazione?

— Allora potremo incamminarci sulla nuova strada anche subito.

5

Il sonno irrequieto di Trevize non durò a lungo. Qualcuno gli toccò la spalla due volte, per svegliarlo. Trevize scattò a sedere sul letto con aria intontita, senza capire come mai si trovasse in quello strano letto. — Cosa...

— Scusate, consigliere Trevize — disse Pelorat, contrito. — Siete mio ospite ed avete tutto il diritto di riposare, ma c’è qui il sindaco. — Il professore, in piedi a lato del letto, aveva indosso un pigiama di flanella ed era scosso da un lieve tremito.

Trevize a poco a poco cominciò a rendersi conto di dove fosse ed a ricordare.

Il sindaco, impassibile come sempre, si trovava nel soggiorno di Pelorat. Con lei c’era Kodell, che si accarezzava piano i baffi bianchi.

Accomodandosi in vita la fusciacca, Trevize si chiese se quei due, la Branno e Kodell, girassero mai separati.

— Il Consiglio si è già riavuto dalla sorpresa? — disse, ironico, al sindaco. — I suoi membri sono preoccupati per la mia assenza?

— Qualche reazione c’è stata, sì — disse il sindaco, — non tale da giovarvi in qualche modo. Nessuno mette in dubbio che io abbia il potere di costringervi a partire. Sarete accompagnato allo Spazioporto Terminale...

— Non allo Spazioporto Centrale, signor sindaco? Non sarò dunque salutato come si converrebbe da migliaia di persone in lacrime?

— Vedo che avete riacquistato il consueto gusto per le stupidaggini infantili, consigliere, e mi fa piacere. Così l’eventuale punta di rimorso che potrebbe sorgere in me non spunterà certo. Allo Spazioporto Terminale voi e il professor Pelorat avrete modo di partire senza dare nell’occhio.

— Per non tornare mai più?

— Forse per non tornare mai più. Naturalmente — e qui il sindaco fece un breve sorriso, — se scoprirete qualcosa di così importante ed utile da rendere gradito il vostro ritorno persino a me, tornerete. Con le debite informazioni, s’intende. E forse vi verranno addirittura tributati degli onori.

Trevize annuì con aria noncurante. — Potrebbe anche succedere.

— Non c’è quasi niente che non possa succedere. In ogni caso, il vostro viaggio sarà comodo. Vi è stata assegnata una pocket-cruiser[3] che hanno finito di costruire da poco. Si chiama “Far Star”, come l’incrociatore di Hober Mallow. Una sola persona basta a pilotarla, ma può accogliere fino a tre passeggeri, garantendo loro una certa comodità.

Trevize abbandonò per un attimo l’atteggiamento lievemente ironico che aveva assunto studiatamente. — Armata come un vero e proprio incrociatore?

— No, non armata, ma per il resto equipaggiata perfettamente. Dovunque andrete, sarete cittadini della Fondazione e ci sarà sempre un console a cui potrete rivolgervi, per cui non vi occorreranno armi. In caso di necessità potrete attingere ai fondi a voi destinati. Aggiungerò che non si tratta di fondi illimitati.

— Siete generosa.

— Lo so, consigliere. Una cosa però voglio che vi sia chiara: voi aiutate il professor Pelorat nella sua ricerca della Terra. Qualsiasi cosa pensiate di cercare, tenete presente che state cercando la Terra. Tutti quelli che incontrerete devono capire bene questo, e questo solo. E ricordatevi sempre che la “Far Star” non è armata.

— Sono alla ricerca della Terra — disse Trevize. — Ho capito perfettamente.

— Allora andate pure, adesso.

— Scusatemi, ma ci sono alcune cose di cui non abbiamo parlato e che credo bisognerebbe discutere. In passato ho pilotato navi, ma non ho nessuna esperienza di incrociatori-miniat ultimo modello. E se non riesco a pilotare la “Far Star”?

— Mi è stato detto che sia completamente computerizzata, e prima che me lo chiediate, vi dico subito che non occorra sapere come si usi il computer di una nave ultimo modello: sarà esso stesso a comunicarvi tutto ciò che dovrete sapere. C’è altro di cui avete bisogno?

Trevize si guardò con aria triste. — Un vestito di ricambio.

— Ne troverete a bordo della nave. E troverete anche quelle cinture, o fusciacche come le chiamano, che portate. Anche il professore è stato rifornito di quanto gli occorra. A bordo c’è già tutto il necessario, anche se mi affretto a puntualizzare che in questo tutto non è compresa la compagnia femminile.

— Peccato — disse Trevize. — Sarebbe stato piacevole, ma tanto in questo momento non avevo una candidata adatta. In ogni modo la Galassia è popolosa, e una volta che sarò lontano di qui immagino che potrò fare ciò che vorrò.

— Per quanto riguarda le donne, intendete? Certamente.

Harla Branno si alzò faticosamente dalla sua sedia. — Non vi accompagnerò allo spazioporto — disse, — ma c’è chi vi accompagnerà al posto mio. Non cercate di fare niente che contravvenga agli ordini: se tenterete di scappare, credo che vi uccideranno. Non essendo io presente, si sentiranno liberi di spararvi.

— Non contravverrò agli ordini, signor sindaco — disse Trevize. — C’è una cosa, però...

— Sì?

Trevize rifletté in fretta e alla fine disse, con un sorriso che si augurò apparisse naturale: — Verrà forse il giorno in cui mi chiederete come un piacere personale di prendere un’iniziativa, signor sindaco. Quel giorno sceglierò liberamente la mia linea d’azione, ma mi ricorderò di quanto mi abbiate fatto passare.

Harla Branno sospirò. — Risparmiatemi il melodramma, Trevize. Se verrà quel giorno, verrà, ma per il momento vi invito a non prendere iniziative di sorta.

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