Janov Pelorat disse, con una punta di irritazione: — Sentite, Golan, tutti si meravigliano che questa sia la prima volta nella mia vita abbastanza lunga, non troppo lunga in ogni caso, Bliss, ve l’assicuro, che viaggio per la Galassia. Però, appena arrivo su un mondo, mi portano subito via prima ancora che abbia avuto il tempo di studiarlo: è già la seconda volta che mi succede.
— Sì — disse Bliss, — ma se non foste andato via in fretta da quell’altro pianeta, non mi avreste conosciuto, oppure mi avreste conosciuto chissà quando. Non è stato meglio che ve ne siate andato, dunque?
— Oh, sì, mia... mia cara. Sì, certo.
— Quanto a questa volta, Pel, anche se vi siete allontanato dal pianeta, avete me con voi, ed io sono Gaia. Lo sono quanto ogni altra particella e ogni altra creatura del pianeta.
— Sicuro, e preferisco voi a tutte le altre particelle e creature.
Trevize, che aveva ascoltato quel dialogo con la fronte corrugata, disse: — Che schifo di situazione. Perché Dom non è venuto con noi? Perché non è venuto lui, assieme a tutte le sue duecentocinquanta sillabe? Per lo spazio, che assurdità questa di usare una sola sillaba quando uno ha un nome chilometrico! A che serve allora avere un nome chilometrico? Insomma, se la faccenda è così importante, se è in gioco l’esistenza stessa di Gaia, perché Dom non è venuto con noi a darci direttive?
— Ci sono io, Trev — disse Bliss, — ed io sono Gaia quanto lo sia Dom. — Gli lanciò un’occhiata di sbieco con i suoi occhi neri e soggiunse: — Allora, se vi secca che usiamo i monosillabi per i nomi di persona, vi secca che vi chiami Trev?
— Sì che mi secca. Ho diritto a seguire le usanze del mio pianeta quanto voi a seguire quelle del vostro. Io mi chiamo Trevize, nome di tre sillabe: Tre-vi-ze.
— Per me va benissimo — disse Bliss. — Non voglio farvi arrabbiare, Trevize.
— Non sono arrabbiato, sono seccato — disse lui. Si alzò di scatto e cominciò a camminare in su e in giù per la stanza, scavalcando le gambe tese di Pelorat. Pelorat le ritrasse prontamente. Alla fine Trevize si fermò, si girò verso Bliss e puntandole un dito contro disse: — Sentite, non mi va di non essere l’unico arbitro delle mie azioni.
Con una manovra sotterranea sono stato indotto a venire fin qui, e quando anche ho cominciato a rendermene conto, non ho potuto fare niente per liberarmi dal condizionamento. Poi, quando arrivo su Gaia, mi si dice che tutto quello che si vuole è che salvi il pianeta. Perché? E in che modo? E poi che cos’è Gaia per me, e che cosa sono io per Gaia? Per quale motivo dovrei salvarla? Ci sono quintilioni di esseri umani nella Galassia. Non potreste assegnare questo compito ad un altro?
— Vi prego, Trevize — disse Bliss, con un’aria improvvisamente scoraggiata dove non si scorgeva più l’atteggiamento da monella. — Non arrabbiatevi. Vedete, vi chiamo come volete essere chiamato e da questo momento non scherzo più. Dom vi ha chiesto di portare pazienza.
— Per tutti i pianeti abitabili della Galassia! Non ho alcuna voglia di portare pazienza! Se sono così importante non ho forse diritto a una spiegazione? Tanto per cominciare, vi chiedo di nuovo perché Dom non sia venuto con noi: non gli pareva abbastanza importante la missione?
— Ma lui è qui, Trevize — disse Bliss. — È qui presente, assieme a tutte le creature viventi di Gaia.
— Questo ragionamento potrà andare bene per voi, non per me. Io non sono un gaiano. Per me, sulla “Far Star” non si può riuscire a far stare tutto un pianeta, ma solo una persona. In questo caso la persona siete voi. Dom, come dite, è parte di voi, d’accordo, ma non era meglio se veniva lui e voi eravate parte di lui?
— Innanzitutto — disse Bliss, — Pel, cioè Pelorat ha chiesto che venissi a bordo io.
— L’ha detto per fare il galante: nessuno mai l’avrebbe preso sul serio.
— Ehi, un attimo, amico mio — disse Pelorat, alzandosi in piedi col viso tutto rosso — L’invito l’ho fatto seriamente; non mi va che liquidiate la cosa con tanta faciloneria. Sono convinto che non importi quale componente della struttura gaiana sia a bordo, e per me è assai più bello avere a bordo Bliss che Dom. Dovrebbe essere così anche per voi. Su, Golan, vi state comportando come un bambino.
— Ah sì, eh? — disse Trevize corrugando la fronte con gran cipiglio. — Ammettiamo pure che sia così. Ugualmente — e qui puntò di nuovo il dito contro Bliss, — qualsiasi cosa vogliate che faccia vi assicuro che non la farò se non mi trattate come si debba trattare un essere umano. Tanto per cominciare rispondete a due domande: che azione dovrei compiere? E perché proprio io e non un altro?
Bliss indietreggiò, con gli occhi sgranati. — Vi prego — disse, — non posso dirvelo adesso: Gaia non può dirvelo adesso. Dovete arrivare sul posto stabilito senza sapere nulla. Dovete apprendere lì tutto ciò che c’è da apprendere. Poi bisognerà che passiate all’azione, ma dovrete essere calmo e sereno: se sarete nervoso come ora, le cose non andranno per il verso giusto e Gaia scomparirà. È necessario che cambiate atteggiamento, però io non so come farvelo cambiare.
— Dom saprebbe invece come farmelo cambiare, se fosse qui? — disse Trevize con una punta di sadismo.
— Dom è qui — disse Bliss. — Lui-io non sappiamo come persuadervi o calmarvi. Non comprendiamo gli esseri umani che non riescono ad afferrare quale sia il loro posto nello schema delle cose e che non si sentono parte di un insieme più grande.
— Non è vero quello che dite — replicò Trevize. — Avete assunto il controllo della mia nave alla distanza di più di un milione di chilometri e ci avete tenuti calmi durante la fase di avvicinamento. Bene, che aspettate a influenzarmi anche adesso per tenermi calmo? Non vorrete mica fingere di non esserne capaci?
— Ma non dobbiamo farlo. Non adesso. Se intervenissimo su di voi ora, condizionandovi in qualche modo, per noi diventereste come qualsiasi altra persona della Galassia: non ci servireste più. Ci siete prezioso perché siete come siete, non possiamo alterare la vostra natura. Se vi influenzassimo anche minimamente, in questo momento, saremmo perduti. Vi prego, cercate di calmarvi di vostra spontanea volontà.
— Neanche per idea, miss, a meno che non mi diciate almeno in parte quello che voglio sapere.
— Bliss, lasciate che ci provi io — disse Pelorat. — Andate nell’altra stanza, per favore.
Bliss uscì titubante, camminando all’indietro. Pelorat chiuse la porta.
Trevize disse: — È in grado di sentire e vedere tutto con le sue particolari facoltà percettive. Che senso ha chiudere?
— Ha senso per me — disse Pelorat. — Voglio avere l’impressione di essere qui da solo con voi, anche se so che si tratta di un’illusione. Sentite Golan, voi avete paura...
— Non dite sciocchezze.
— Però è evidente che abbiate paura. Non sapete dove siate diretto, che cosa vi toccherà affrontare, che cosa si voglia da voi: avete buoni motivi per avere paura.
— Non ho affatto paura.
— Sì, invece. Forse non è il pericolo fisico che temete, mentre io è di quello che ho paura. All’inizio ero timoroso di avventurarmi nello spazio, ero timoroso quando sono arrivato su pianeti ignoti e mi sono imbattuto in cose completamente nuove per me. In fin dei conti, per mezzo secolo avevo vissuto la vita di una persona tranquilla chiusa nel suo studio tra i suoi libri, mentre voi venivate da un’esperienza completamente diversa; avevate prestato servizio in Marina, viaggiando ripetutamente nello spazio, e poi vi eravate immerso nel mondo tumultuoso della politica. In ogni modo ho cercato di vincere la mia paura, e voi mi avete aiutato. Nel tempo che abbiamo trascorso insieme siete stato sempre paziente con me. Siete stato gentile e comprensivo, e grazie a voi sono riuscito a dominare tutti i miei timori e a essere all’altezza della situazione. Lasciate dunque che adesso ricambi il favore e vi aiuti io.
— Vi ripeto che non ho paura.
— Ed io vi ripeto che ne avete. Se non altro, temete la responsabilità che dovrete affrontare fra poco. A quanto pare un intero pianeta dipende da voi, e nel caso venisse distrutto, vi portereste dietro per tutta la vita il rimorso di non essere riuscito a salvarlo. Perché, vi dite, dovreste rischiare di vivere con un tale senso di colpa quando il pianeta in questione non significa niente per voi? Che diritto hanno i gaiani, pensate, di gravarvi di una simile responsabilità? Non solo avete paura di fallire, cosa di cui chiunque fosse al posto vostro avrebbe paura, ma non sopportate l’idea che vi abbiano messo in questa condizione.
— Vi sbagliate di grosso.
— No, non credo proprio. Perciò permettetemi di sostituirvi; qualunque cosa vogliano da voi, la farò io al vostro posto. Mi offro volontario. Immagino che non occorra una particolare forza fisica o particolare energia giovanile per svolgere la missione, visto che qualsiasi congegno meccanico potrebbe in questo caso servire meglio di un uomo. Immagino anche che non si richiedano particolari capacità mentaliche, perché i gaiani ne hanno a sufficienza. Non so naturalmente che cosa sia che cercano da voi, ma se non hanno bisogno né dei vostri muscoli, né del vostro cervello, allora penso di potervi sostituire tranquillamente. E sono pronto ad assumermi le mie responsabilità.
— Come mai siete così disposto a gravarvi di questo peso? — disse Trevize, brusco.
Pelorat abbassò gli occhi e fissò il pavimento, come se incontrare lo sguardo dell’altro lo mettesse in imbarazzo. — Io ho avuto una moglie, Golan. Ho conosciuto donne. Tuttavia esse non sono mai state molto importanti nella mia vita. Mi interessavano, questo sì; giudicavo la loro compagnia gradevole. Ma non sono mai state molto importanti per me. Questa qui, invece...
— Chi? Bliss?
— In qualche modo lei mi pare diversa...
— Per Terminus, Janov, sente tutto quello che state dicendo!
— Non importa, Golan, tanto sa comunque. Desidero accontentarla: Mi sobbarcherò a questo compito, di qualsiasi compito si tratti. Correrò i rischi che ci sono da correre e mi assumerò le responsabilità che bisognerà assumersi sperando che così lei... lei pensi bene di me.
— Ma è una bambina, Janov.
— Non è una bambina, e poi non m’importa niente cosa pensiate di lei.
— Non vi rendete conto di come vi vede?
— Come un vecchio, intendete? E allora? Bliss fa parte di Gaia, di un insieme più grande, e già questo costituisce una barriera insuperabile tra noi. Credete che non lo sappia? Ma a me interessa solo una cosa: che lei...
— Pensi bene di voi?
— Sì. E che senta per me cos’altro possa spingersi a sentire.
— E per questo motivo sareste disposto a sostituirmi, è così? Ma non avete ascoltato bene quanto ci abbiano detto, Janov. Non vogliono voi: vogliono me per qualche misteriosa ragione che non riesco ad afferrare.
— Se non possono avere voi e se devono per forza disporre dell’aiuto di qualcuno, io sarò sicuramente meglio di nessuno.
Trevize scosse la testa. — Non credo ai miei occhi. Adesso che siete ormai vecchio state scoprendo la gioventù. Volete fare l’eroe, volete rischiare di morire per quel corpo là.
— Non parlate così, Golan. Non è proprio il caso di fare dello spirito.
Trevize avrebbe voluto ridere, ma incontrando lo sguardo serio di Pelorat si trattenne e invece di ridere si schiarì la voce.
— Avete ragione — disse. — Scusatemi, Fatela pure entrare, Janov. Chiamatela dentro.
Bliss entrò, piuttosto riluttante. Con una vocina flebile disse: — Mi dispiace, Pel, ma non potete sostituire Trevize: solo lui può salvare Gaia, nessun altro.
— Benissimo — disse Trevize. — Sarò calmo. Qualunque cosa debba fare, cercherò di farla. Mi presterò a tutto, pur di evitare che Janov si metta a recitare il ruolo dell’eroe romantico alla sua età.
— So perfettamente di non essere giovane — mormorò Pel.
Bliss gli si avvicinò piano gli posò una mano sulla spalla e disse: — Pel, io... io penso bene di voi.
Pelorat distolse lo sguardo. — Sì, si. Bliss. Non c’è bisogno che facciate la gentile.
— Non sto facendo la gentile. È che penso... molto bene di voi.
Sura Novi si ricordò, dapprima vagamente, poi con chiarezza, di essere stata un tempo Suranoviremblastiran, e che da bambina i suoi genitori la chiamavano Su, ed i suoi amici Vi.
Naturalmente non aveva mai dimenticato del tutto, ma ogni tanto i fatti del passato sprofondavano nei recessi più segreti della sua mente, e per un certo tempo non affioravano più. Mai come in quell’ultimo mese essi erano rimasti sepolti senza affiorare per nulla, e questo era successo perché mai le era capitato di stare così a lungo vicino ad una mente tanto potente.
Ma adesso era giunto il momento. Non l’aveva deciso lei personalmente, non erano state necessarie decisioni personali. Il resto di lei, ossia la vasta coscienza di Gaia, aveva fatto affiorare le verità dimenticate perché ora riportarle in superficie serviva al bene di tutti.
Un vago senso di disagio accompagnò quel processo, un lieve tormento che ben presto fu neutralizzato dalla gioia che Novi provava sentendo il proprio io tornare alla luce. Da anni non era così vicina a Gaia. Le tornò in mente una delle forme di vita che aveva amato da bambina su quel pianeta. Come allora, aveva capito che i sentimenti della creatura amata erano in certo modo parte dei suoi stessi, così adesso capiva ciò che le stesse succedendo nell’intimo: la sua sensazione, netta e precisa, era di essere una farfalla che emergesse da un bozzolo.
Stor Gendibal lanciò un’occhiata acuta e penetrante a Novi. Era così sorpreso che per un pelo non perse il controllo della mente di Harla Branno, e forse non lo perse solo perché d’un tratto gli giunse un aiuto esterno, un aiuto di cui al momento non si rese conto.
— Che cosa sapete del consigliere Trevize, Novi? — disse. Poi, profondamente seccato di dover constatare che la mente di lei si fosse fatta di colpo assai più complessa, gridò: — Chi siete?
Cercò di assumere il controllo di quella mente e la scoprì impenetrabile. In quell’attimo si accorse che la sua presa sulla Branno fosse sorretta da una presa ancora più forte, ed allora ripeté: — Chi siete?
Con una punta di drammaticità nell’espressione, Nevi disse: — Maestro, Oratore Gendibal. Il mio vero nome è Suranoviremblastiran, e sono Gaia.
Queste furono le uniche parole che disse, ma Gendibal nel frattempo, preso da furia improvvisa, aveva intensificato la propria aura mentale e con grande abilità, aiutato dalla rabbia, aveva, evitando l’apporto esterno, mantenuto da solo il controllo sulla mente della Branno e ingaggiato nel contempo una lotta silenziosa e serrata con la mente di Novi.
Novi lo rintuzzò con abilità pari alla sua, ma non poté, o forse non volle, tenergli nascosto chi fosse.
Gendibal parlò alla hamiana come avrebbe parlato a un Oratore. — La vostra era tutta una recita — disse. — Mi avete ingannato ed attirato apposta fin qui: siete della stessa razza del Mulo.
— Il Mulo fu un caso anomalo, Oratore. Io-noi non siamo Muli: io-noi siamo Gaia.
Novi descrisse mentalmente quale fosse la reale essenza di Gaia e lo fece con ben maggiore complessità di quella che avrebbe potuto ottenere col più lungo dei discorsi.
— Un intero pianeta vivo — disse Gendibal.
— E con un campo mentalico che nel suo complesso è più grande di quello che sviluppate voi come individuo. Vi prego di non opporre resistenza a esso. Ho paura di potervi fare del male e non vorrei proprio che questo succedesse.
— Anche se siete un pianeta vivo, non siete più forti di tutti i miei colleghi di Trantor messi assieme. Anche noi in un certo senso siamo un intero mondo vivente.
— Si tratta solo di poche migliaia di persone unite da collaborazione mentalica, Oratore, ed in ogni caso non potete contare sul loro aiuto perché li ho neutralizzati.
Verificate e capirete che non mento.
— Che cos’è che intendete fare, Gaia?
— Potete chiamarmi Novi, Oratore. In questo momento agisco come Gaia, ma sono anche Novi, e per voi, soprattutto, vorrei essere soltanto Novi.
— Che cosa intendete fare, Gaia?
Dopo l’equivalente mentalico di un tremulo sospiro, Novi disse: — Rimarremo in triplo stallo: voi manterrete il controllo sul sindaco Branno come avete fatto finora ed io vi aiuterò, sicché non ci stancheremo; voi, immagino, manterrete la vostra presa mentalica su di me ed io manterrò la mia su di voi, e nessuno dei due si stancherà in questa lotta reciproca. Le cose, come ho detto, resteranno in posizione di stallo.
— A che scopo?
— Allo scopo, come vi ho spiegato, di aspettare il consigliere Trevize di Terminus: sarà lui a porre fine allo stallo... nel modo che sceglierà.
Il computer della “Far Star” localizzò le due navi, e Golan Trevize le studiò tutt’e due sullo schermo di osservazione.
Erano entrambe della Fondazione. In particolare, una era molto simile alla “Far Star”; si trattava indubbiamente della nave di Compor. L’altra era più grande ed assai meglio equipaggiata.
Golan si rivolse a Bliss e disse: — Voi lo sapete che cosa stia succedendo? Mi potete dire qualcosa, adesso?
— Sì. Non allarmatevi: non vi faranno alcun male.
— Perché tutti pensano che sia tutto tremante di paura? — disse Trevize, irritato.
— Lasciatela parlare, Golan — si affrettò a dire Pelorat. — Non siate così brusco con lei.
Trevize alzò le braccia in un gesto di resa spazientita e disse: — E va bene, non sarò brusco. Parlate pure, signorina.
Bliss disse: — Sulla nave grande c’è il capo della vostra Fondazione. Con lei...
— Il capo? — fece Trevize, sbalordito. — Intendete dire la Branno, la vecchiarda?
— Vecchiarda non è certo il suo titolo — disse Bliss con un accenno di sorriso. — Ma effettivamente è una donna. — Fece una breve pausa, come ascoltando attentamente quanto le dicesse il resto dell’organismo di cui era parte integrante, poi soggiunse: — Si chiama Harlabranno. Pare strano che una persona così importante debba avere un nome di sole quattro sillabe, ma evidentemente i non gaiani hanno usi diversi dai nostri.
— Già — disse Trevize, secco. — Voi la chiamereste Bran, credo. Ma che cosa ci fa qui? Perché non è su... Oh, capisco. Con una manovra siete riusciti a portare anche lei qua. Perché l’avete fatto?
Bliss non rispose a quella domanda. Disse invece: — Con lei c’è Lionokodell. Ha un nome di cinque sillabe, nonostante sia gerarchicamente inferiore al sindaco. Mi pare una mancanza di rispetto. In ogni modo, sul vostro mondo ricopre una carica importante. Con loro due ci sono altre quattro persone, che hanno il controllo delle armi della nave. Volete che vi dica come si chiamano?
— No. Immagino che sull’altra nave ci sia un uomo di nome Munn Li Compor, un uomo che rappresenta la Seconda Fondazione. Perché avete portato la Prima e la Seconda Fondazione una di fronte all’altra?
— Le cose non stanno esattamente così, Trev. Voglio dire, Trevize.
— Oh, dite pure, Trev, se volete: non me ne importa un fico cosmico.
— Dunque le cose non stanno esattamente come credete voi, Trev. Compor ha abbandonato quella nave ed è stato rimpiazzato da due persone, una delle quali è Storgendibal, un membro della Seconda Fondazione che ricopre una carica importante: ha il titolo di Oratore.
— Una carica importante, dite? Avrà poteri mentalici, immagino.
— Oh, sì, poteri molto forti.
— Riuscite a tenergli lesta?
— Certamente. L’altra persona che si trova con lui sulla nave è Gaia.
— Cioè una di voi?
— Sì. Si chiama Suranoviremblastiran. Il nome dovrebbe essere assai più lungo, ma è da tanto che è lontana da me-noi-tutti.
— E questa persona è capace di affrontare un membro così importante della Seconda Fondazione?
— Non è lei, ma Gaia ad affrontarlo. Lei-io-noi-tutti potremmo annientarlo se volessimo.
— Ed è questo che farete? Avete intenzione di eliminare quel tizio e la Branno?
Gaia si accinge forse a distruggere le Fondazioni per creare un suo Impero Galattico?
Che cos’è, il ritorno del Mulo in grande stile?
— No, no, Trev. Non innervositevi, vi prego. Harlabranno, Storgendibal e Suranoviremblastiran sono in situazione di stallo: stanno aspettando.
— Che cosa?
— La vostra decisione.
— Ecco che ci risiamo. Quale decisione? Che cosa c’entro io?
— Vi prego, Trev — disse Bliss. — Avrete presto le dovute spiegazioni. Io-noi-lei abbiamo detto tutto quanto si poteva dire per il momento.
La Branno disse, stancamente: — È chiaro che ho commesso un errore, Liono.
Forse un errore fatale.
— È prudente ammettere una cosa del genere? — mormorò Kodell, tra i denti.
— Tanto sanno quello che penso. Non può danneggiarmi di più esprimere a voce alta quello che ci sia nella mia mente. E non è che non intuiscano i vostri pensieri se sussurrate fra i denti. Avrei dovuto aspettare che lo schermo fosse ulteriormente rinforzato.
— Come potevate prevedere i fatti, sindaco? — disse Kodell. — Se avessimo aspettato di essere sicuri al cento per cento dello schermo, avremmo forse aspettato in eterno. Certo, avrei preferito che non fossimo venuti qui di persona. Sarebbe stato meglio fare la prova con qualcun altro, magari con Trevize, il vostro parafulmine.
La Branno sospirò. — Volevo prenderli di sorpresa, Liono. Ma avete messo il dito sulla piaga: il mio errore è stato di non aspettare che lo schermo fosse impenetrabile.
Non impenetrabile al cento per cento, ma sufficientemente sicuro da non darci problemi. Sapevo che non era così, ma non ho voluto aspettare. Se avessi atteso che le imperfezioni fossero corrette, avrei rischiato di veder scadere nel frattempo la mia carica, ed invece volevo che questa impresa fosse effettuata durante il tempo in cui ero io il sindaco di Terminus. E volevo trovarmi io sul luogo dell’impresa.
«Così, come una stupida, ho fatto di tutto per convincermi che lo schermo non avesse difetti. Non ho voluto ascoltare chi mi consigliava la prudenza. Non ho voluto, per esempio, dare ascolto a voi ed ai vostri dubbi.
— Possiamo ancora vincere, con un po’ di pazienza.
— Potete ordinare agli uomini di far fuoco contro l’altra nave?
— No, sindaco, non posso. È un pensiero che per qualche motivo non riesco a sopportare.
— Nemmeno io lo sopporto. E se voi od io dessimo un ordine del genere, sono certa che gli uomini non lo eseguirebbero, non riuscirebbero ad eseguirlo.
— Non nelle circostanze attuali. Ma le circostanze potrebbero cambiare. In effetti, sulla scena sta comparendo un nuovo attore.
Kodell indicò lo schermo. Il computer della nave l’aveva diviso automaticamente in due metà simmetriche, appena era apparsa una nave nuova. Quest’ultima era visibile sulla metà di destra.
— Potete ingrandire l’immagine, Liono?
— Certo. Il membro della Seconda Fondazione è furbo. Siamo liberi di fare tutto quello che non possa disturbarlo.
— Bene — disse la Branno, studiando lo schermo. — È la “Far Star”, ne sono sicura. Ed immagino che a bordo ci siano Trevize e Pelorat. — Dopo un attimo soggiunse, con una punta di amarezza: — A meno che anche loro non siano stati rimpiazzati da membri della Seconda Fondazione. Il mio parafulmine è stato davvero efficace. Se solo lo schermo mentalico fosse stato più forte...
— Abbiate pazienza — disse Kodell.
Si udì una voce dalle parte della sala di controllo, e la Branno si accorse che non era costituita da onde sonore. La sentì direttamente nella propria mente, e un’occhiata a Kodell bastò a farle capire che anche lui l’avesse udita.
— Mi sentite, sindaco Branno? — disse la voce. — Se sì, non disturbatevi a dirlo: è sufficiente che lo pensiate.
Harla Branno disse, calma: — Chi siete?
— Sono Gaia — fu la risposta.
Le tre navi erano ciascuna in posizione stazionaria rispetto alle altre due. Tutte quante giravano assai lentamente intorno al pianeta Gaia, simili a un lontano satellite composto di tre parti distinte. Tutte quante accompagnavano Gaia nel suo viaggio interminabile intorno al sole.
Trevize sedeva davanti allo schermo, stanco ormai di chiedersi che cosa ci si aspettasse da lui, per quale motivo fosse stato indotto a percorrere un migliaio di parsec per arrivare fin lì.
Il suono che d’un tratto gli risuonò alla sua mente non lo colse di sorpresa.
— Mi sentite, Golan Trevize? — disse la voce ignota. — Se sì, non disturbatevi a dirlo: è sufficiente che lo pensiate.
Trevize si guardò intorno. Pelorat, chiaramente meravigliato, lanciò occhiate in tutte le direzioni, come cercando chi avesse proferito quelle parole. Bliss se ne stava seduta tranquilla con le mani in grembo. Trevize era sicurissimo che avesse udito anche lei la voce.
Ignorando l’ordine di limitarsi a pensare, disse, scandendo bene le parole: — Se non mi spiegate che cosa stia succedendo, non farò niente di ciò che si pretende ch’io faccia.
— Ora avrete le spiegazioni che cercate — disse la voce.
Novi disse: — Voi tutti mi state sentendo nella vostra mente. Siete liberi di rispondere col pensiero, anziché a voce. Farò sì che vi possiate sentire anche a vicenda. Come sapete, siamo così vicini che la velocità della luce del campo mentalico spaziale impedisce spiacevoli ritardi nella nostra comunicazione.
Innanzitutto, devo puntualizzare che questo nostro incontro è stato predisposto.
— In che modo? — disse la voce della Branno.
— Non con un intervento sulla mente — disse Novi. — Gaia non è dedita a questo tipo di interferenze. Abbiamo soltanto sfruttato l’ambizione altrui. Il sindaco Branno voleva dar vita subito al Secondo Impero; l’Oratore Gendibal voleva diventare Primo Oratore. Ci è bastato incoraggiare questi desideri e assecondare, con criterio ed accortezza, le tendenze già esistenti.
— So come sono stato condotto qui — disse Gendibal, secco. E in effetti era vero.
Sapeva perché era stato così ansioso di intraprendere quel viaggio nello spazio, così ansioso di inseguire Trevize, così sicuro di poter affrontare qualsiasi circostanza che gli si fosse presentata. Tutto era avvenuto per via di Novi. Di Novi!
— Voi costituivate un caso particolare, Oratore Gendibal. La vostra ambizione era forte, ma c’erano alcuni lati del vostro carattere che si potevano considerare punti deboli. Ho capito che eravate una persona che avrebbe trattato con molta dolcezza qualcuno che avesse ritenuto inferiore a sé sotto tutti gli aspetti. Ho sfruttato questa vostra peculiarità volgendola a vostro svantaggio. Io-noi-sono-siamo profondamente rammaricati di essere ricorsi ad un tale espediente. Ci giustifica soltanto il fatto che è in gioco il futuro stesso della Galassia.
Novi fece una pausa e la sua voce (benché non si esprimesse attraverso le onde sonore) assunse un tono più grave. Anche l’espressione del viso diventò maggiormente seria.
— Gaia non poteva aspettare più a lungo: ha capito che era tempo di intervenire in qualche modo. Da più di un secolo quelli di Terminus stavano perfezionando lo schermo mentalico. Se si fosse concesso loro il tempo di un’altra generazione, nemmeno Gaia sarebbe più stata in grado di penetrare oltre lo schermo e i membri della Prima Fondazione sarebbero stati liberi di usare a loro piacimento le potenti armi in loro possesso. La Galassia non avrebbe potuto opporre alcuna resistenza e Terminus avrebbe creato subito un Secondo Impero Galattico di suo gradimento, nonostante il Piano Seldon, nonostante Trantor e nonostante Gaia. Bisognava quindi indurre in qualche modo il sindaco Branno ad agire intanto che lo schermo era ancora imperfetto.
«Poi c’era il problema rappresentato da Trantor. Il Piano Seldon funzionava magnificamente perché Gaia si adoperava a mantenerlo sul giusto tracciato. E da più di un secolo si avvicendavano Primi Oratori dal temperamento passivo, per cui Trantor vegetava. La comparsa sulla scena di Stor Gendibal però era preoccupante.
Un giorno sarebbe diventato sicuramente Primo Oratore, e sotto di lui la Seconda Fondazione sarebbe diventata molto più attiva: avrebbe rivolto la sua attenzione verso le armi materiali e, riconoscendo il pericolo rappresentato da Terminus, sarebbe passata all’azione. Se fosse riuscita ad agire contro Terminus prima che questo disponesse di uno schermo impenetrabile, avrebbe fondato un Secondo Impero Galattico di suo gradimento nonostante la Prima Fondazione e nonostante Gaia. Di conseguenza bisognava indurre in qualche modo Gendibal ad agire prima di diventare Primo Oratore.
«Per fortuna, poiché sono vari decenni che manovriamo con cura, siamo riusciti a far incontrare le due Fondazioni nel luogo giusto al momento giusto. Ripeto tutto questo soprattutto perché il consigliere Golan Trevize di Terminus possa capire.
Trevize intervenne a quel punto, e ignorando di nuovo l’invito a parlare solo col pensiero disse a voce alta: — Invece non capisco. Che cosa ci sarebbe stato di male se l’una o l’altra delle due ipotesi si fosse avverata?
— Se Terminus creasse ora il Secondo Impero Galattico — disse Novi, — creerebbe un impero militare fondato sulla lotta, mantenuto in piedi con la lotta e destinato alla fine ad essere distrutto dalla lotta. Non sarebbe che una ripetizione del Primo Impero Galattico, a giudizio di Gaia.
«Un Secondo Impero Galattico creato da Trantor sarebbe invece un impero paternalistico, fondato sul calcolo, mantenuto in piedi col calcolo, destinato ad una sorta di morte quotidiana provocata dal calcolo. Un Impero del genere sarebbe, a giudizio di Gaia, un vicolo cieco.
— E che alternativa offre Gaia? — disse Trevize.
— Galaxia, ovvero una Gaia più grande, una galassia di pianeti abitati tutti vivi come Gaia e uniti in una vita iperspaziale ancora più stimolante. Tutti i mondi, tutte le stelle parteciperebbero di questa vita. E ne parteciperebbero forse anche tutti i frammenti di gas interstellare e il grande buco nero centrale. La nostra proposta è una galassia vivente che si potrebbe rendere adatta a ospitare tutte le forme di vita in modi che ancora non siamo in grado di immaginare. L’umanità troverebbe canoni di esistenza completamente diversi da quelli conosciuti finora e si libererebbe del tutto dagli antichi errori.
— Per commetterne di nuovi — mormorò Gendibal, ironico.
— Gaia ha avuto migliaia di anni a disposizione per risolvere ogni problema, anche nuovo.
— Ma non su scala galattica.
Ignorando il breve scambio di battute mentali, Trevize arrivò dritto al punto che gli interessava e disse: — E qual è il mio ruolo in tutto ciò?
La voce di Gaia tuonò, attraverso la mente di Novi: — Voi dovete scegliere. Qual è l’alternativa giusta?
Seguì un lungo silenzio, che alla fine fu rotto dalla voce mentale di Trevize (troppo sbalordito, questa volta, per parlare).
— Perché proprio io dovrei scegliere? — disse, ancora con tono di sfida.
— Benché ci fossimo resi conto che Terminus o Trantor potevano diventare troppo potenti per essere fermati o, peggio ancora, potevano diventare entrambi così forti da dar luogo ad uno stallo terribile capace di danneggiare irrimediabilmente la Galassia, non eravamo in grado di agire. Per i nostri scopi avevamo bisogno di una persona particolare, che fosse naturalmente portata a distinguere il giusto dall’ingiusto. Abbiamo trovato voi consigliere Trevize. Anzi no, non possiamo prenderci questo merito. È stata la gente di Trantor a trovarvi, tramite l’uomo di nome Compor; anche se nemmeno i membri della Seconda Fondazione hanno capito che cosa avessero per le mani. Il fatto che siate stato, per così dire, individuato ha attratto la nostra attenzione verso di voi, Golan Trevize: voi avete il dono di capire che cosa sia giusto fare.
— Non è vero — disse Trevize.
— Voi avete la facoltà rara di essere sicuro. E questa volta vi chiediamo di essere sicuro nell’interesse di tutta la Galassia. Forse non vi piace l’idea di assumervi una tale responsabilità. Forse preferireste non essere costretto a scegliere. Tuttavia vi accorgerete che quanto vi domandiamo è giusto. Appena sentirete dentro di voi quella sicurezza particolare che caratterizza le vostre azioni più ponderate, sceglierete.
Quando vi abbiamo trovato abbiamo capito che la nostra ricerca era terminata e per anni ci siamo adoperati allo scopo di incoraggiare, senza interferenze mentaliche, un decorso degli avvenimenti che consentisse a voi tre, Harla Branno, Stor Gendibal e Golan Trevize, di trovarvi nello stesso momento nei dintorni di Gaia. Ci siamo riusciti.
— A questo punto e nelle attuali circostanze — disse Trevize, — non è forse vero, Gaia, se è così che devo chiamarvi, che siete in grado di sconfiggere sia il sindaco, sia l’Oratore? Non è forse vero che potreste già adesso gettare le basi di quella Galassia vivente di cui avete parlato, senza alcun bisogno del mio intervento? Perché allora non lo fate?
— Non so se la spiegazione che vi darò vi sembrerà del tutto soddisfacente — disse Novi. — Il fatto è che Gaia fu fondata migliaia di anni fa con l’aiuto dei robot, i quali per un breve periodo di tempo servirono la specie umana, che ora non servono più. Ci fecero capire chiaramente che saremmo potuti sopravvivere solo osservando strettamente le Tre Leggi della Robotica applicate alla vita nel suo complesso. La Prima Legge sotto questo riguardo, recita: «Gaia non può recare danni alla vita o, attraverso la propria colpevole inerzia, permettere che alla vita sia recato danno».
Abbiamo seguito questa regola per tutta la nostra storia, e non possiamo discostarcene.
«Di conseguenza, ora ci troviamo inermi. Non possiamo imporre la nostra idea della galassia vivente a un quintilione di esseri umani e di innumerevoli altre forme di vita, perché correremmo il rischio di danneggiare un gran numero di creature. Ma non possiamo nemmeno stare con le mani in mano a guardare la Galassia semidistruggersi in una lotta che avremmo la facoltà di impedire. Non sappiamo se sia meglio per la Galassia la nostra azione o la nostra inazione; e nel caso che scegliessimo di agire, sarebbe più giusto sostenere Terminus o Trantor? In conclusione desideriamo che sia il consigliere Trevize a decidere. Qualsiasi scelta farà, quella sarà anche la scelta di Gaia.
— Come pensate che possa arrivare a questa decisione? — disse Trevize. — Che cosa devo fare?
— Avete il computer — disse Novi. — Quelli che l’hanno costruito, su Terminus, non si sono resi conto che fosse ancora più perfetto di quanto pensassero. Esso contiene in sé parte di Gaia. Basta che posiate le mani sui terminali e che pensiate.
Potete pensare ad esempio che lo schermo mentalico del sindaco Branno diventi impenetrabile. Se farete così, la Branno probabilmente userà subito le sue armi per neutralizzare o distruggere le altre due navi, nonché per conquistare Gaia e, in un secondo tempo, Trantor.
— E voi non glielo impedireste? — disse Trevize, sbalordito.
— No. Se concluderete che la migliore alternativa per la Galassia sia la dominazione da parte di Terminus, noi incoraggeremo volentieri tale dominazione, anche a costo di venire distrutti. C’è però anche un’altra possibilità. Potreste individuare il campo mentalico dell’Oratore Gendibal ed unire le vostre facoltà potenziate dal computer alle sue. In quel caso lui riuscirebbe sicuramente a liberarsi di me ed a respingermi. Dopo di ciò potrebbe intervenire sulla mente del sindaco ed usare le sue navi per conquistare Gaia ed assicurare la continuità del Piano Seldon.
Nemmeno a questa soluzione ci ribelleremo.
«Infine, potreste individuare il mio campo mentalico ed unirvi ad esso. Se si verificasse questo si darebbe il via all’idea della Galassia vivente, un’idea che non si realizzerebbe nel giro di una o due generazioni, ma nel giro di secoli, durante i quali il Piano Seldon continuerebbe a funzionare. La scelta, ripeto, è vostra.
Il sindaco Branno disse: — Aspettate un attimo! Non prendete subito la vostra decisione, Trevize! Posso parlare al consigliere?
— Potete parlargli liberamente — disse Novi. — Ed altrettanto può fare l’Oratore Gendibal.
— Consigliere Trevize — disse la Branno, — l’ultima volta che ci siamo visti su Terminus mi diceste che sarebbe venuto il momento in cui vi avrei chiesto un piacere, e in cui voi, memore del trattamento subìto, avreste agito di testa vostra. Non so se mi abbiate detto questo a suo tempo perché prevedevate la situazione presente magari anche solo per vaga intuizione, o se abbiate parlato così perché dotato, come sostiene questa donna che parla di una Galassia vivente, di un innato senso del giusto e dell’ingiusto. In ogni caso, avevate ragione: ora vi chiedo un piacere nell’interesse di tutta la Federazione.
«Capisco che desideriate di vendicarvi per il modo in cui vi ho fatto arrestare ed esiliare. Vi prego però di ricordare che l’ho fatto per quello che consideravo il bene comune. E anche se ho sbagliato, anche se ho agito con cinico egoismo, ricordatevi che sono stata io la responsabile di tutto: la Fondazione non c’entra per niente. Non distruggete l’intera Federazione per pareggiare un conto che avete in sospeso unicamente con me. Non dimenticate che siete un membro di essa ed un essere umano, non dimenticate quanto sia assurdo per un uomo libero diventare un semplice numero nei piani progettati dai freddi matematici di Trantor, o meno ancora di un numero nel guazzabuglio galattico di vita e non-vita che ci è stato prospettato poco fa. Voi, i vostri discendenti, il vostro prossimo dovete essere organismi indipendenti dotati di una libera volontà, questa è l’unica cosa che conta e sono certa che ne siete perfettamente consapevole.
«Lasciate pure che questa gente vi dica che il nostro Impero produrrà sofferenze e spargimenti di sangue; noi sappiamo che i fatti si possono svolgere ben diversamente.
Dipende solo da noi: siamo in grado di evitare gli epiloghi tragici. E, in ogni caso, è meglio correre incontro alla sconfitta con un atto libero della volontà che vivere senza rischi come ingranaggi passivi di una macchina. Avrete notato che vi si chiede adesso di prendere una decisione con la vostra libera volontà di persona umana. Questi esseri del pianeta Gaia non sono capaci di decidere perché sono congegnati in modo da non poterlo fare; di conseguenza dipendono da voi e sono pronti a sacrificare la loro vita, se voi lo ordinate loro. È a questo che desiderate condurre la popolazione della Galassia? Alla perdita del libero arbitrio?
— Non so se sono ancora dotato di libero arbitrio, sindaco — disse Trevize. — I gaiani potrebbero avere già condizionato la mia mente così da farmi prendere la decisione che desiderano.
— La vostra mente non è stata minimamente toccata — disse Novi. — Se, influenzandovi, potessimo tranquillamente indurvi ad agire come ci piace, che bisogno ci sarebbe stato di questo incontro? Se fossimo così privi di scrupoli avremmo adottato il comportamento più conveniente per noi, senza preoccuparci delle necessità e del bene della razza umana nel suo complesso.
— Credo che ora tocchi a me parlare — disse Gendibal. — Consigliere Trevize, non cedete al campanilismo. Il fatto che siate nato su Terminus non dovrebbe spingervi ad anteporre il vostro pianeta alla Galassia. Sono ormai cinque secoli che la Galassia segue il tracciato stabilito dal Piano Seldon, e questo sia all’interno, sia all’esterno della Federazione della Fondazione. Prima che membro della Fondazione siete e siete stato parte integrante del Piano. Non disgregatelo adesso per perseguire le visioni ristrette del patriottismo o per soddisfare il desiderio romantico di sperimentare ciò che sia nuovo e totalmente sconosciuto. I membri della Seconda Fondazione non ostacoleranno in alcun modo la libertà di scelta che è propria della natura umana. Siamo guide, non despoti.
«Il Secondo Impero Galattico cui miriamo è assai diverso dal Primo. Nel corso della storia umana, nel corso di decine di migliaia di anni di volo iperspaziale, nemmeno per il breve spazio di un decennio l’umanità è stata libera da violenze e spargimenti di sangue. Anche nei periodi in cui la Fondazione non era in guerra di episodi cruenti ce ne sono sempre stati. Scegliete il sindaco Branno ed essi continueranno all’infinito, in futuro. Si ripeteranno sempre le stesse vicende tristi e terribili. Il Piano Seldon ci offre la possibilità di sfuggire un giorno a questa logica di morte, e non al prezzo di farci diventare semplici atomi in una Galassia di atomi ridotti alla stregua di batteri, di polvere, di fili d’erba.
— Sono d’accordo con quanto l’Oratore Gendibal dice del Secondo Impero della Prima Fondazione — disse Novi. — Non sono invece d’accordo su quanto osserva a proposito del Secondo Impero che creerebbe la sua Fondazione. Gli Oratori di Trantor sono, dopotutto, esseri umani come tutti gli altri, indipendenti e liberi di agire come vogliano. Non ignorano certo il distruttivo spirito di competizione, non ignorano gli intrighi politici, né il desiderio spasmodico di arrivare al successo a tutti i costi. La Tavola degli Oratori non è forse teatro di litigi ed addirittura di lotte senza quartiere? Gli Oratori sono davvero guide illuminate da seguire sempre incondizionatamente? Vorrei che l’Oratore Gendibal dicesse la verità, a questo proposito. Conto sul suo senso dell’onore.
— Non c’è bisogno di tirar fuori l’onore — disse Gendibal. — Non ho difficoltà ad ammettere che la Tavola sia testimone di odi, di lotte senza quartiere, di tradimenti. Ma una volta che si sia raggiunta una decisione, questa è osservata da tutti. In nessun caso si è mai fatta eccezione a tale regola.
— E se non scegliessi? — disse Trevize.
— Dovete scegliere — disse Novi. — Quando capirete dentro di voi quel che sia giusto fare, prenderete la vostra decisione.
— E se, pur tentando di compiere una scelta, non ci riuscissi?
— Dovete riuscirci.
— Quanto tempo ho? — disse Trevize.
— Bisogna che aspettiate semplicemente di essere sicuro. Non importa quanto tempo vi occorrerà.
Trevize rimase zitto, seduto al suo posto. Anche gli altri tacevano e nel silenzio generale gli parve di udire il sangue pulsargli nelle vene. Nella sua mente la voce del sindaco Branno diceva: — Libero arbitrio! — quella dell’Oratore Gendibal diceva invece, perentoria: — Pace e guida illuminata!
Novi con ansia, sussurrava: — Vita!
Trevize si girò e si accorse che Pelorat lo stava fissando intensamente. — Janov
— disse. — Avete ascoltato tutto quanto mi è stato detto?
— Sì, Golan.
— Cosa ne pensate?
— Non sono io che devo decidere.
— Lo so, ma cosa ne pensate?
— Non lo so. Mi spaventano tutt’e tre le alternative. Tuttavia c’è un’idea che mi è tornata in mente proprio in questo momento...
— Quale?
— Quando ci avventurammo nello spazio voi mi mostraste la Galassia. Ve ne ricordate?
— Certo.
— Acceleraste il tempo e la Galassia cominciò a ruotare visibilmente. Ed io, come presentendo gli avvenimenti attuali, dissi: «La Galassia sembra un essere vivente, che avanza attraverso lo spazio». Non pensate che, in un certo senso, essa sia già qualcosa di vivo?
Ricordando quell’episodio, Trevize di colpo si sentì sicuro. Rammentò anche che allora aveva avuto la sensazione che la presenza di Pelorat fosse essenziale nel quadro degli eventi. Si voltò in fretta verso il computer, temendo che se avesse lasciato passare più tempo sarebbe stato assalito dai dubbi, dai ripensamenti, dalle incertezze. Posò le mani sui terminali e pensò con un’intensità mai sperimentata prima.
Aveva preso la sua decisione: la decisione dalla quale dipendeva il destino della Galassia.