Quando Stor Gendibal individuò finalmente sul proprio schermo la nave di Compor, ebbe l’impressione di essere arrivato alla fine di un viaggio davvero interminabile. Naturalmente però non era alla fine del viaggio, ma solo all’inizio. Il tragitto da Trantor a Sayshell era stato soltanto il prologo.
Novi guardò lo schermo con soggezione. — È un’altra nave da spazio, Maestro?
— Nave spaziale, Novi. Sì, lo è: è la nave che dovevamo raggiungere. È più grande di questa, e più veloce. Si sposta nello spazio così in fretta che se decidesse di sfuggirci noi non la potremmo mai raggiungere e nemmeno seguire.
— È più veloce delle navi dei maestri? — Novi appariva sgomenta al pensiero.
Gendibal allargò le braccia. — In certe cose sarò anche un maestro, come dite voi, ma non lo sono certo in tutte. Noi studiosi non abbiamo navi come quella, e non abbiamo nemmeno molte delle apparecchiature di cui dispongono i proprietari di navi simili.
— Ma come fanno i maestri a stare senza queste cose?
— Noi siamo insuperabili in quello che importa veramente: i progressi materiali che hanno fatto queste altre persone non hanno alcun valore.
Novi corrugò la fronte, pensosa. — A me pare che muoversi così in fretta da non essere raggiunti dalla nave di un maestro abbia un certo valore. Chi sono queste persone che hanno apparecchiature tanto straordinarie?
— Si definiscono la Fondazione — disse Gendibal, divertito. — Avete mai sentito parlare della Fondazione?
(Si chiese che cosa sapesse Novi della Galassia, e come mai gli Oratori non si fossero mai chiesti quello che si stava chiedendo lui adesso. O che fosse lui solo a non essersi mai posto il problema? Ad avere pensato che agli hamiani interessasse soltanto zappare la terra?)
Novi scosse la testa, meditabonda. — Non ne ho mai sentito parlare, Maestro.
Quando il mio insegnante mi fece imparare a leggere, mi disse che c’erano molti altri mondi oltre al nostro e mi disse il nome di alcuni di essi. Spiegò che il vero nome di Hame era Trantor, che un tempo Trantor dominava gli altri pianeti, che era ricoperto di ferro luccicante e che aveva un Imperatore che governava tutti quanti.
Novi alzò gli occhi a guardare Gendibal con espressione timida ma anche divertita. — Io però non credo a queste frottole. Sono tante le storie che raccontano i tessiparole quando si ritrovano a parlare nelle sale di riunione durante il periodo in cui le notti sono più lunghe. Da bambina credevo alle leggende, ma quando sono diventata grande ho capito che molte non erano vere. Ormai non credo più quasi a nessuna di esse. Anche gli insegnanti raccontano cose incredibili.
— Tuttavia, Novi — disse Gendibal, — la storia di Trantor è vera, solo che risale a tanto tempo fa. Trantor era ricoperto effettivamente di metallo e aveva davvero un Imperatore che governava tutta la Galassia. Adesso invece sono quelli della Fondazione che promettono di diventare un giorno i padroni della Galassia. Sono sempre più forti.
— Comanderanno su tutto e tutti, Maestro?
— Non subito. Fra cinquecento anni.
— E domineranno anche i maestri?
— No, no. Governeranno sui pianeti. E noi governeremo loro, per il loro bene e per il bene di tutti i mondi.
Novi aggrottò ancora una volta la fronte. — Maestro — disse, — la gente della Fondazione ne ha molte, di quelle navi straordinarie?
— Credo di sì, Novi.
— Ed ha anche altre cose... eccezionali?
— Ha armi assai potenti, di tutti i tipi.
— Allora come mai non conquista i vari pianeti adesso?
— Non può: non è ancora il momento.
— Ma perché non può? I maestri la fermerebbero?
— Non sarebbe necessario, Novi. Anche se noi non facessimo niente, quelli della Fondazione non potrebbero conquistare i pianeti adesso.
— Allora che cosa li fermerebbe?
— Vedete — disse Gendibal, — esiste un piano, concepito a suo tempo da un uomo saggio...
S’interruppe, abbozzò un sorriso e scosse la testa. — È difficile da spiegare, Novi.
Ci proverò magari un’altra volta. Anzi, forse lo capirete da sola quando vedrete quello che succederà prima che torniamo su Trantor.
— Che cosa succederà, Maestro?
— Non lo so bene, Novi. Ma tutto andrà per il verso giusto.
«Almeno lo spero», pensò, mentre si preparava, finita la conversazione, a mettersi in contatto con Compor.
D’un tratto si sentì in collera con se stesso, perché capiva da che cosa traesse origine quel suo stupido dubbio. Era stata la nave di Compor, simboleggiante la grande potenza della Fondazione, a scoraggiarlo, anche perché l’aveva infastidito il fatto che Novi l’avesse ammirata tanto.
Era uno sciocco, si disse. Come si poteva mai paragonare la mera forza materiale con la capacità di governare gli eventi? Generazioni di Oratori avevano parlato, non a caso, della «assurdità di una mano che ti stringe la gola».
Eppure, pensò, nemmeno lui era ancora del tutto immune dal fascino di quell’assurdità…
Munn Li Compor non era affatto sicuro di come dovesse comportarsi. Per quasi tutta la vita aveva avuto contatti solo a distanza con gli Oratori, questi esseri potentissimi che tenevano in pugno, con le loro facoltà misteriose, l’intera umanità.
Fra tutti loro Compor si era rivolto a Gendibal, per ricevere direttive. La maggior parte delle volte il loro contatto non era avvenuto attraverso la voce, ma attraverso la semplice presenza mentale: iperlingua senza un iper-relé.
Sotto questo aspetto la Seconda Fondazione era andata molto più in là della Prima.
Senza congegni materiali, solo col potere della mente opportunamente educata, i suoi membri potevano comunicare l’un con l’altro a parsec e parsec di distanza e in modo tale da non essere né intercettati né interrotti. Attraverso la mediazione di un gruppo abbastanza ristretto di persone votate a questo preciso scopo si era istituita una rete invisibile che nessuno poteva scoprire e che teneva insieme tutti i mondi.
Più di una volta Compor aveva provato una sorta di euforia al pensiero del proprio ruolo nel disegno generale. Quanto sparuto era il gruppo di cui faceva parte, e che influenza enorme esercitava! E agiva in totale segretezza. Nemmeno sua moglie era a conoscenza di quel lato nascosto della sua vita.
A governare la Seconda Fondazione erano gli Oratori e la persona che adesso Compor stava per incontrare, Gendibal, forse sarebbe diventata un giorno Primo Oratore, ossia, in certo modo, il più-che-imperatore di un più-che-impero.
Gendibal era lì, dunque, ormai, e Compor, benché cercasse di non pensarci, era rammaricato che l’incontro non fosse avvenuto su Trantor. Una sola cosa lo lasciava perplesso: la nave. Era mai possibile che quella fosse una nave di Trantor? Gli antichi Mercanti che avevano trasportato i prodotti della Fondazione da un punto all’altro di una Galassia ostile avevano sicuramente mezzi di trasporto migliori di quello. Non c’era da stupirsi che Gendibal avesse impiegato tanto tempo ad arrivare fino a Sayshell.
Non era nemmeno fornita del congegno unidock, che permetteva a due navi di diventare una sola quando si richiedeva lo scambio generale del personale. L’unidock l’aveva anche la miserabile flotta di Sayshell. L’Oratore invece era costretto a regolare la propria nave sulla stessa velocità di quella di Compor, ad agganciarsi a quest’ultima con un cavo e a dondolarsi lungo esso, come all’epoca imperiale.
E, pensò Compor senza riuscire a reprimere un senso di delusione, proprio questo era: una nave da epoca Imperiale, per di più piccola.
Lungo il cavo si stavano muovendo due persone, una delle quali era così impacciata, che era chiaro che si cimentasse in quel tipo di manovra per la prima volta.
Finalmente i due arrivarono a bordo e si tolsero la tuta spaziale. L’Oratore Stor Gendibal era un uomo di statura media e di aspetto poco appariscente. Non era né robusto né imponente e non aveva nemmeno l’aria della persona dotta. Solo gli occhi, scuri e infossati, denunciavano saggezza interiore. L’Oratore si guardò intorno e dalla sua espressione risultò evidente che provava ammirazione e meraviglia.
Con lui c’era una donna brutta, di statura uguale alla sua. Guardando l’astronave, rimase a bocca aperta per lo stupore.
Spostarsi lungo il cavo non era stata un’esperienza spiacevole per Gendibal. Lui non era uno spaziale (nessuno, su Trantor lo era), ma non era neppure un verme di terra; a nessun membro della Seconda Fondazione era concesso esserlo. Dopotutto, l’eventualità che si rendesse necessario un viaggio nello spazio era sempre presente, anche se tutti speravano di non doversi sottoporre di frequente a quell’esperienza.
(Preem Palver, di cui si raccontava che avesse viaggiato moltissimo, aveva detto una volta, con tristezza, che più un Oratore era bravo, meno aveva bisogno di intraprendere viaggi spaziali per assicurare il successo del Piano.) Gendibal aveva già usato il cavo tre volte. Questa volta, la quarta, la sua preoccupazione personale era stata superata completamente dalla preoccupazione per Novi. Non occorreva la mentalica per capire che l’idea di attraversare il nulla aveva sconvolto la hamiana.
— Ho paura, Maestro — aveva detto quando lui le aveva spiegato che cosa dovessero fare. — Sto impaurita a dover metter piede nel niente. — Il suo improvviso ricadere nel dialetto hamiano era stato la spia del suo profondo turbamento.
Gendibal le aveva detto, con garbo: — Non posso lasciarvi a bordo di questa nave, Novi, perché devo salire a bordo di quell’altra e ho bisogno di avervi con me. Non c’è pericolo, perché siete protetta dalla tuta spaziale e perché non ci sono baratri in cui possiate cadere. Anche se vi sfuggisse la presa rimarreste vicina al cavo, e in ogni caso io sarò a due passi da voi e potrò riafferrarvi. Forza, mi avete già dimostrato di essere abbastanza intelligente da poter diventare una studiosa. Ora dimostratemi che ne siete all’altezza anche quanto a coraggio.
Lei non aveva più sollevato obiezioni e Gendibal, pur guardandosi bene dall’alterare il suo assetto mentale sereno, era riuscito lo stesso a inserirvi una nota ulteriormente tranquillizzante.
— Potete parlarmi, sapete — le aveva detto dopo che si erano infilati la tuta. — Vi sento se pensate con intensità. Formulate mentalmente le parole una ad una, con chiarezza e con forza. Mi sentite adesso, vero?
— Sì, Maestro — aveva detto lei.
— Non occorre che moviate le labbra, Novi — le aveva spiegato Gendibal vedendo, attraverso la visiera trasparente, la bocca della hamiana aprirsi e chiudersi.
— Non c’è radio nelle tute spaziali degli studiosi. Ogni scambio avviene attraverso la mente.
Lei aveva smesso di muovere le labbra, e con espressione ansiosa aveva pensato
« mi sentite, Maestro?»
« Perfettamente», le aveva risposto Gendibal. « Voi mi sentite?»
« Sì».
« Allora seguitemi e fate quello che faccio io».
Avevano cominciato a muoversi nel vuoto. Gendibal in teoria conosceva la tecnica perfettamente, ma in pratica la sua abilità era moderata. Il segreto stava nel tenere le gambe unite e tese e nel farle oscillare dandosi la spinta solo con i fianchi.
Così il centro di gravità si spostava secondo una linea diritta, mentre le braccia procedevano, una alla volta, ad un ritmo costante. Gendibal aveva illustrato accuratamente la tecnica a Novi e durante l’attraversamento aveva studiato l’assetto della hamiana senza voltarsi indietro, analizzando semplicemente le zone del suo cervello che presiedevano ai movimenti del corpo.
Per essere una novellina, Novi se l’era cavata benissimo, quasi quanto Gendibal.
Aveva dominato la paura e seguito scrupolosamente le istruzioni. Ancora una volta, l’Oratore fu assai soddisfatto di lei.
Era chiaro che era contenta di essere arrivata a bordo della nave. D’altra parte, Gendibal stesso era lieto di avere terminato la traversata. Togliendosi la tuta si guardò intorno e si stupì di vedere un ambiente e apparecchiature estremamente raffinati.
Non riconobbe quasi nessuno strumento e si scoraggiò al pensiero di dover imparare ad usare i vari congegni in pochissimo tempo. Se le circostanze l’avessero richiesto, sarebbe stato costretto ad apprendere le tecniche necessarie direttamente da Compor, il che significava una conoscenza molto meno soddisfacente di quella diretta.
Osservò Compor attentamente. Era di qualche anno più vecchio di lui; alto e magro, si poteva dire quasi di bell’aspetto. I capelli, di un bizzarro colore gialliccio, erano ricci. Quello che appariva evidente era che l’Osservatore era rimasto deluso vedendo Gendibal, per il quale sembrava provare quasi disprezzo. Per di più non riusciva minimamente a nascondere la propria reazione emotiva.
Gendibal in genere era indifferente a quel tipo di reazioni. Compor non era un trantoriano, non era nemmeno un vero e proprio membro della Seconda Fondazione e aveva quindi le sue illusioni; lo si capiva subito anche ad un’analisi superficiale della sua mente. Tra le convinzioni illusorie, c’era quella che potere vero e potere apparente fossero un tandem indissolubile. Naturalmente Compor poteva tenersi le sue illusioni finché voleva che queste non avessero interferito con le necessità di Gendibal, ma poiché al momento l’interferenza c’era, Gendibal fu costretto a intervenire.
Il suo intervento fu l’equivalente mentalico di una bacchetta sulle dita. Compor sobbalzò leggermente dietro la sensazione di dolore acuto, ma passeggero. La superficie esterna della sua mente fu come increspata da un flusso di potente concentrazione, che lo lasciò cosciente del fatto che Gendibal poteva disporre all’occorrenza di anni di straordinaria efficacia.
L’esperienza produsse in Compor un senso di grande rispetto per l’Oratore.
Gendibal disse, amabilmente: — Sto solo cercando di attrarre la vostra attenzione, Compor, amico mio. Vi prego di dirmi dove si trovino attualmente il vostro amico Golan Trevize ed il suo compagno Janov Pelorat.
Compor disse, esitante: — Devo parlare in presenza della donna, Oratore?
— Questa donna, Compor, è un’estensione di me stesso. Non c’è quindi ragione per cui non dobbiate parlare in sua presenza.
— Come volete, Oratore. Trevize e Pelorat al momento stanno avvicinandosi a un pianeta chiamato Gaia.
— Questo me l’avevate già comunicato l’altro giorno. Ormai saranno certo già atterrati, e magari saranno anche ripartiti, visti i precedenti; su Sayshell sono rimasti pochissimo.
— Finché li ho seguiti io l’atterraggio non è avvenuto. Si sono avvicinati al pianeta con grande prudenza, rimanendo fermi per parecchio tempo tra un micro-Balzo e l’altro. È chiaro che non sono informati su Gaia, per questo esitano.
— E voi siete informato, Compor?
— No, Oratore — disse Compor. — Il computer della mia nave non ha dati sul pianeta Gaia.
— Questo computer? — Gendibal posò gli occhi sul quadro comandi e, d’un tratto, speranzoso, chiese: — Questo computer può aiutare il pilota a governare la nave?
— La può governare benissimo da solo — disse Compor. — Basta collegarsi ad esso col pensiero.
Gendibal provò di colpo un senso di disagio. — La Fondazione è dunque così avanti nella tecnologia?
— Sì, ma la perfezione è più apparente che sostanziale. Il computer non funziona bene. Sono costretto a ripetere i miei pensieri parecchie volte, per ottenere alla fine informazioni insufficienti.
— Forse riuscirò a fare meglio di voi — disse Gendibal.
— Ne sono certo — disse Compor con deferenza.
— Ma lasciamo stare questo, per il momento. Come mai il computer non ha dati su Gaia?
— Non lo so, Oratore. E dire che afferma, se si può usare questo termine per un computer, di avere dati informativi su tutti i pianeti abitati della Galassia.
— Non può avere più informazioni di quelle che gli sono state fornite, e se chi l’ha programmato pensava di avere dati su tutti i pianeti abitati dall’uomo, ma si sbagliava, è logico che il computer abbia lo stesso convincimento errato. Non è così?
— Certo.
— Non avete fatto indagini, su Sayshell?
— Oratore — disse Compor, a disagio, — su Sayshell si trovano persone disposte a parlare di Gaia, ma è chiaro che ciò che dicano sia inattendibile, pura superstizione.
Raccontano che Gaia sia un pianeta assai potente, che a suo tempo riuscì a respingere persino il Mulo.
— Davvero dicono questo? — disse Gendibal, reprimendo l’eccitazione. — E siete così sicuro che si tratti di superstizione, che non vi siete informato maggiormente sui particolari della storia?
— Al contrario, non mi sono stancato di fare domande. Ma ho appreso solo quanto vi abbia detto. I sayshelliani sono capaci di discorrere di questo argomento all’infinito, ma in sostanza non si riesce a sapere più di tanto.
— A quanto pare, Trevize ha avuto le stesse informazioni che avete avuto voi e ha deciso di andare su Gaia per via di ciò che ha appreso. Forse intende scoprire da dove derivi questo presunto grande potere. E la sua prudenza è dovuta probabilmente al fatto che di tale potere abbia una certa paura.
— Sì, è possibile, Oratore.
— E tuttavia non l’avete seguito?
— L’ho seguito eccome. Abbastanza da assicurarmi che si stesse dirigendo sul serio verso Gaia. Poi sono tornato qui, alla periferia del sistema gaiano.
— Come mai?
— Per tre motivi. Il primo è che stavate per arrivare e volevo venirvi incontro almeno in parte e prendervi a bordo il prima possibile, come stabilito da voi. Poiché nella mia nave c’è un iper-relé, non potevo allontanarmi troppo da Trevize e Pelorat senza destare i sospetti di Terminus, ma ho ritenuto che questa distanza fosse sufficiente. E ora vengo al secondo motivo. Quando ho visto che Trevize si avvicinava per gradi al pianeta Gaia, ho capito di avere tempo ed ho pensato che fosse il caso di anticipare il nostro incontro, così da non essere sopraffatti dagli eventi. Tanto più che voi siete più competente di me, più adatto a seguire i movimenti di Trevize e ad affrontare una eventuale situazione di emergenza.
— Verissimo. E il terzo motivo?
— Dopo l’ultima nostra comunicazione è successo qualcosa che non mi aspettavo e che non capisco, Oratore. Ho pensato che anche per questo fosse opportuno anticipare l’incontro.
— Di che si tratta, Compor?
— Navi della Fondazione si stanno avvicinando alla frontiera dell’Unione Sayshell. Il mio computer ha raccolto queste informazioni dal notiziario sayshelliano.
Le navi sono almeno cinque, e così avanzate dal punto di vista tecnologico, da poter sopraffare Sayshell.
Gendibal non rispose subito, perché sarebbe stato controproducente far vedere che nemmeno lui si aspettasse o capisse una mossa simile. Così, dopo qualche secondo disse con noncuranza: — Pensate che questo fatto abbia qualcosa a che vedere con la decisione di Trevize di recarsi su Gaia?
— Certo. Le navi sono comparse subito dopo che Trevize ha scelto la sua nuova meta, e se B segue A, c’è almeno una possibilità che A abbia causato B.
— Bene, sembra che convergiamo tutti quanti su Gaia: Trevize, io e la Prima Fondazione. Devo dire che avete agito con criterio, Compor. Ora mi mostrerete come funziona il computer e come, attraverso esso, si governi la nave. Sono sicuro che non mi ci vorrà molto ad imparare. Dopo, salirete a bordo della mia nave, dato che nel frattempo vi avrò comunicato mentalmente in che modo la si piloti. Vedrete che non avrete difficoltà a governarla, anche se, come avrete capito dal suo aspetto, è un modello piuttosto antiquato. Una volta che ne sarete al comando resterete qui e mi aspetterete.
— Per quanto tempo, Oratore?
— Fino a che non verrò a cercarvi. Non credo che starò lontano a lungo, per cui è difficile che corriate il rischio di finire le provviste, ma nel caso che fossi trattenuto oltre il previsto potrete atterrare su un pianeta abitato dell’Unione Sayshell ed aspettarmi lì. Dovunque sarete, vi troverò.
— Come credete voi, Oratore.
— E non preoccupatevi: sono perfettamente in grado di affrontare la misteriosa Gaia e, ove fosse necessario, anche le cinque navi della Fondazione.
Littoral Thoobing era ambasciatore della Fondazione su Sayshell da sette anni, ed era piuttosto contento della sua carica.
Alto ed abbastanza robusto, sfoggiava folti baffi neri nonostante la moda, sia su Sayshell sia nei mondi della Fondazione incoraggiasse la rasatura completa. Benché avesse solo cinquantaquattro anni, aveva il viso segnato da fitte rughe. E si compiaceva di atteggiarsi ad uomo indifferente ed impassibile.
Non era facile, quindi, capire che cosa pensasse in realtà del proprio lavoro. In cuor suo però, Thoobing era soddisfatto della sua situazione, che gli permetteva di tenersi alla larga dalle mere politiche di Terminus (un grosso vantaggio!) e di vivere come un sibarita sayshelliano, garantendo alla moglie ed alla figlia un lusso cui ormai non avrebbero mai potuto rinunciare.
Se Thoobing apprezzava dunque la propria condizione, non apprezzava invece la persona che rispondeva al nome di Liono Kodell. Forse perché anche Kodell sfoggiava un paio di baffi, sebbene si trattasse di baffi più striminziti, più corti e più brizzolati dei suoi. Un tempo erano stati gli unici uomini in vista sulla scena pubblica a portare i baffi, e si era verificata tra loro una sorta di gara su quel punto. Ora (pensò Thoobing) gara non poteva più esserci: i baffi di Kodell erano decisamente orribili.
Kodell era diventato Capo della Sicurezza quando Thoobing viveva ancora su Terminus e sognava di superare Harla Branno nella corsa alla carica di sindaco. Poi la Branno, per liberarsi della sua concorrenza, gli aveva offerto il posto di ambasciatore.
Lo aveva fatto per il proprio interesse, naturalmente, ma alla fine lui le era stato riconoscente.
Per Kodell invece non riusciva a provare alcuna simpatia, forse per quella sua smania di voler apparire sempre cordiale, sempre affabile, anche quando magari aveva appena deciso in che modo tagliarti fuori.
Ora Kodell stava davanti a Thoobing in immagine iperspaziale e appariva gioviale come sempre, addirittura traboccante benevolenza. Il suo corpo, naturalmente, era su Terminus, il che risparmiava a Thoobing la seccante incombenza di fare gli onori di casa e di stringergli la mano.
— Kodell, vorrei che ritiraste subito quelle navi — disse l’ambasciatore.
Kodell sorrise allegramente. — Anch’io lo vorrei, ma la decisione è venuta dalla vecchia signora.
— Si sa che siete capace di persuaderla a recedere da una decisione.
— A volte sì, può essere, soprattutto quando vuole essere persuasa a farlo. Ma questa volta non vuole. Fate il vostro dovere, Thoobing: tranquillizzate Sayshell.
— Non mi sta a cuore Sayshell, Kodell, ma la Fondazione.
— Sta a cuore a tutti.
— Non nascondetevi dietro le parole. Pretendo che mi ascoltiate.
— Volentieri, ma c’è fermento su Terminus, adesso, e non posso stare ad ascoltarvi per l’eternità.
— Sarò più breve che posso, ma non dimenticate che non si può essere troppo brevi, quando si discute della sopravvivenza della Fondazione. Se questa linea iperspaziale è libera da controllo, parlerò apertamente.
— Non è controllata.
— Bene. Allora, alcuni giorni fa ho ricevuto un messaggio da un certo Golan Trevize. Ai tempi in cui facevo politica su Terminus c’era un Trevize, ricordo, un Sovrintendente ai Trasporti...
— Si tratta dello zio del giovane — disse Kodell.
— Allora voi conoscete la persona che mi ha inviato il messaggio. Secondo le informazioni che ho raccolto in seguito, questo Golan sarebbe un consigliere che, dopo la recente soluzione della Crisi di Seldon, sarebbe stato arrestato e mandato in esilio.
— Infatti.
— Non ci credo.
— A che cosa non credete?
— Non credo che sia stato mandato in esilio.
— Perché?
— Quando mai è successo che un cittadino della Fondazione sia stato mandato in esilio? — disse Thoobing. — O viene arrestato, o la fa franca. Se viene arrestato può essere processato oppure no. Se viene processato, può essere condannato oppure assolto. Se viene condannato, può essere multato, retrocesso dalla sua carica, disonorato, incarcerato o giustiziato: nessuno mai è stato mandato in esilio.
— C’è sempre una prima volta.
— Sciocchezze. Ed un esiliato lo si spedisce via su una nave ultimo modello?
Anche uno stupido capirebbe che Trevize è in missione speciale per conto della vecchia signora. Chi crede di ingannare, la Branno?
— E che missione sarebbe?
— Probabilmente trovare il pianeta Gaia.
Kodell perse in parte la sua bonomia e assunse un’espressione insolitamente dura.
— So che non siete particolarmente propenso a credere alle mie dichiarazioni, signor ambasciatore — disse, — ma vi prego ardentemente di credermi almeno su questo punto. Né il sindaco né io avevamo mai sentito parlare di Gaia, quando Trevize è stato mandato in esilio. Di questo pianeta abbiamo sentito parlare per la prima volta l’altro giorno. Solo se credete a questo possiamo continuare la conversazione.
— Congelerò la mia tendenza allo scetticismo quel tanto da potervi credere, anche se mi riesce difficile farlo.
— Vi assicuro che quanto vi abbia detto risponda in pieno a verità, e se di colpo il tono delle mie dichiarazioni è diventato formale è perché quando questa vicenda sarà conclusa voi dovrete rispondere ufficialmente ad una serie di domande che penso troverete piuttosto imbarazzanti. Da come parlate, sembra che conosciate perfettamente Gaia. Come mai conoscete un pianeta di cui noi ignoravamo l’esistenza? Non è vostro dovere fare in modo che veniamo messi al corrente di tutto quello che riguardi l’unità politica cui siete stato assegnato?
Thoobing disse, pacato. — Gaia non fa parte dell’Unione Sayshell. Anzi, probabilmente non esiste nemmeno. Non dovrò mica venirvi a raccontare tutte le favole che il popolino di Sayshell racconta, vero? Certuni sostengono che Gaia si trovi nell’iperspazio, altri che sia un pianeta che, con mezzi soprannaturali, protegge Sayshell. Altri ancora affermano che fu Gaia a mandare il Mulo in giro a saccheggiare la Galassia. Se intendete dire al governo di Sayshell che cinque navi della Marina della Fondazione si trovino qui per aiutare Trevize a trovare Gaia, nessuno vi presterà fede. La gente comune potrà anche credere alle favole, ma il governo di Sayshell non ci crede sicuro, e non ammetterà che ci creda la Fondazione.
Penserà che vi proponiate di costringere Sayshell ad aderire alla Federazione.
— E se ci proponessimo proprio questo?
— Sarebbe fatale per noi. Via, Kodell, quando mai abbiamo combattuto una guerra di conquista, nei nostri cinque secoli di storia? Abbiamo combattuto guerre di difesa, perdendo anche, una volta, ma non è mai successo che alla fine ci siamo trovati con annessi nuovi territori. Chi si è unito alla Federazione l’ha sempre fatto attraverso un accordo pacifico, perché considerava suo tornaconto aggregarsi a noi.
— E se Sayshell cominciasse ad accorgersi dei vantaggi di una possibile annessione?
— Non li vedrà mai, finché le nostre navi rimarranno vicine ai suoi confini.
Ritiratele.
— Non possiamo.
— Kodell, Sayshell fa una magnifica pubblicità alla Federazione della Fondazione; con la sua esistenza dimostra quanto siamo buoni e rispettosi delle libertà altrui. L’Unione è tutta circondata dal nostro territorio, si trova in una posizione vulnerabilissima e tuttavia fino ad oggi non è stata mai disturbata, ha proseguito per la sua strada, è riuscita persino a delineare una politica estera lungo una linea anti-Fondazione. Non è questo un modo di dimostrare alla Galassia che non forziamo nessuno, che ci presentiamo a tutti in pace e in amicizia? Se conquistassimo Sayshell conquisteremmo quello che in sostanza abbiamo già. In fondo, anche se non ne parla nessuno, economicamente l’Unione dipende del tutto da noi. Ma se la conquistassimo con mezzi militari dimostreremmo alla Galassia che siamo diventati espansionisti.
— E se vi dicessi che in realtà siamo interessati soltanto a Gaia?
— Non vi crederei, così come non vi crederebbe l’Unione Sayshell. Quell’uomo, quel Trevize, mi ha inviato un messaggio dicendo che era diretto verso Gaia. Mi ha chiesto di trasmettere la notizia a Terminus ed io, nonostante mi sembrasse una cosa assurda, l’ho fatto perché era mio dovere farlo. Ed ecco che, quasi prima che la linea iperspaziale si raffreddi, mi vedo arrivare qui la Marina della Fondazione. Come potete arrivare su Gaia senza attraversare il territorio di Sayshell?
— Mio caro Thoobing, vi state contraddicendo. Non avete osservato pochi minuti fa che Gaia, ammesso che esista, non faccia parte dell’Unione Sayshell? Dovreste sapere che l’iperspazio è aperto a tutti e non appartiene ad alcun mondo in particolare. Come può dunque Sayshell lamentarsi se noi, partendo dal territorio della Fondazione (nel quale si trovano attualmente le nostre navi), passiamo attraverso l’iperspazio in territorio gaiano senza mai toccare durante l’operazione un singolo centimetro cubico dell’Unione?
— Sayshell la vedrà in un altro modo, Kodell. Gaia, sempre che esista, è completamente circondata dal territorio dell’Unione, anche se politicamente non fa parte di essa, e ci sono precedenti per cui, dal punto di vista legale, tali oasi sarebbero da considerare in pratica parti integranti del territorio intorno a loro, almeno per quanto riguardi l’eventuale intervento di navi da guerra nemiche.
— Le nostre non sono navi da guerra nemiche. Fra noi e Sayshell ci sono rapporti pacifici.
— Ma potrebbe essere Sayshell a dichiararci guerra. Certo non penserebbe mai di vincere una tale guerra grazie ad una superiorità militare che non ha, ma cercherebbe di sensibilizzare la Galassia contro di noi. La nuova politica espansionistica della Fondazione incoraggerebbe il formarsi di alleanze a noi ostili. Qualche membro della Federazione potrebbe pentirsi e cominciare a pensare di staccarsi da noi. Potremmo benissimo venire sconfitti a causa dei disordini interni, e così indubbiamente si invertirebbe il processo di crescita che ha tanto arricchito la Fondazione in cinque secoli di storia.
— Su, su, Thoobing — disse Kodell, con aria indifferente. — Parlate come se cinquecento anni fossero niente, come se fossimo ancora la Fondazione dell’epoca di Salvor Hardin e ci trovassimo davanti il minuscolo regno di Anacreon. Adesso siamo molto più forti di quanto non fosse l’Impero Galattico all’apice della sua gloria, Una flottiglia di nostre navi potrebbe sconfiggere l’intera Marina Galattica ed occupare qualsiasi settore in un batter d’occhio.
— Davanti a noi non c’è un Impero Galattico: ci sono solo pianeti e settori che appartengono alla nostra epoca.
— E che non sono tecnologicamente avanzati come noi: potremmo conquistare l’intera Galassia, ormai.
— Secondo il Piano Seldon potremo fare questo solo quando saranno passati altri cinque secoli.
— Il Piano Seldon non tiene conto della rapidità del progresso tecnologico. Siamo in grado già ora di conquistare la Galassia! Badate bene, non sto dicendo che lo faremo e nemmeno che dovremmo farlo: dico solo che siamo in grado di farlo.
— Kodell, voi avete trascorso tutta la vita su Terminus, non conoscete la Galassia.
La nostra Marina e la nostra tecnologia saranno anche in grado di sconfiggere le forze armate di altri mondi, ma non riusciremo mai a governare una Galassia ribelle e tormentata da odi intestini. E ci troveremmo davanti una realtà del genere se decidessimo di ricorrere alla forza. Ritirate le navi!
— Non è possibile, Thoobing. Riflettete... E se Gaia non fosse un mito?
Thoobing restò un attimo in silenzio e scrutò Kodell come volesse leggergli nella mente. — Un mondo nell’iperspazio come può non essere un mito?
— Un mondo nell’iperspazio è certo una superstizione, ma persino le superstizioni possono avere a volte un fondo di verità. L’uomo che è stato mandato in esilio, Trevize, parla di Gaia come se si trattasse di un pianeta reale in uno spazio reale: e se avesse ragione?
— Sciocchezze, non ci credo.
— No? Provate a crederci solo per un attimo. Un pianeta che abbia difeso Sayshell dal Mulo e dalla Fondazione...
— Quello che dite non ha senso: secondo voi Gaia difenderebbe i sayshelliani dalla Fondazione, ma non è forse vero che stiamo per attaccare l’Unione con le nostre navi?
— Non stiamo per attaccare l’Unione, ma Gaia, questo mondo così sconosciuto, questo mondo che pur trovandosi nello spazio reale è riuscito a far credere ai pianeti vicini di trovarsi nell’iperspazio, e persino a restare fuori dai dati computerizzati delle mappe galattiche più complete e particolareggiate.
— Dev’essere un mondo ben strano, allora. Capace di manipolare le menti.
— Non avete detto un momento fa che secondo una leggenda Gaia avrebbe mandato il Mulo in giro a saccheggiare la Galassia? E non era forse vero che il Mulo fosse in grado di manipolare le menti?
— Gaia sarebbe allora un mondo di Muli?
— Perché non dovrebbe poterlo essere?
— E perché non la sede di una rinata Seconda Fondazione, allora...
— Già, perché no. Non vi sembra il caso di appurare quale di queste ipotesi sia la giusta?
Thoobing si fece serio. Durante l’ultima parte del colloquio aveva avuto un sorriso ironico dipinto sulle labbra, ma adesso non sorrideva più. Abbassò la testa e guardò l’altro da sotto in su. — Se state parlando sul serio, non vi pare che un’indagine del genere possa essere pericolosa?
— Voi dite?
— Rispondete alla mia domanda con un’altra domanda perché non avete una risposta ragionevole. A che servono le navi se si hanno davanti dei Muli o dei membri della Seconda Fondazione? Non è anzi probabile che se queste persone esistono vi stiano attirando in una trappola fatale? Sentite, voi avete detto che la Fondazione è in grado di dar vita al Secondo Impero adesso, benché il Piano Seldon sia arrivato solo a metà del suo svolgimento, e io ho ribattuto che agendo così farebbe il passo più lungo della gamba e nascerebbero delle complicazioni per cui sarebbe costretta a regredire. Forse, se Gaia esiste ed è quello che dite, tutto questo è un trucco che ha lo scopo di portarci ad una tale regressione. Fate adesso, spontaneamente, quello che potreste essere presto obbligati a fare con la forza. Fate adesso, in pace e senza spargimenti di sangue, quello che in un domani potreste essere costretti a fare con spargimento di sangue: ritirate le navi.
— Non si può. Vi dirò anzi, Thoobing, che il sindaco Branno calcola di venire di persona lì ai confini di Sayshell, dove si trovano le navi, e che navi vedetta sono già entrate nell’iperspazio ponendosi come meta quello che si suppone sia il territorio gaiano.
Thoobing strabuzzò gli occhi. — Vi garantisco che scoppierà la guerra.
— Voi siete il nostro ambasciatore: fate in modo che non scoppi. Date ai sayshelliani tutte le assicurazioni che vogliono; ditegli che non abbiamo assolutamente cattive intenzioni; ditegli, se ci sarete costretto, che conviene loro mettersi tranquilli ad aspettare che Gaia ci distrugga: dite quello che vi pare, purché li teniate buoni.
Fece una pausa, durante la quale studiò l’espressione attonita di Thoobing, poi disse: — Ecco, questo è tutto, davvero. Per quanto ne so io, nessuna nave della Fondazione atterrerà su un mondo dell’Unione Sayshell od entrerà in punti dello spazio reale facenti parte del suo territorio. Tuttavia, qualunque nave sayshelliana tenti di provocarci fuori del territorio dell’Unione, vale a dire dentro il nostro, verrà immediatamente disintegrata. Fate capire anche questo ai sayshelliani e, ripeto, teneteli buoni. Se mancherete al vostro dovere la cosa non ci sfuggirà. Finora avete avuto la vita facile, Thoobing, ma adesso la situazione è critica e le prossime settimane saranno decisive. Se non farete quanto ordinatovi, nessun posto della Galassia sarà più sicuro per voi.
Sulla faccia di Kodell non si leggeva né bonomia, né cordialità quando il contatto fu interrotto e l’immagine scomparve.
Thoobing rimase a fissare a bocca aperta il punto dov’essa gli era apparsa.
Golan Trevize si tormentò i capelli, quasi che, toccandoli, intendesse verificare se la testa funzionasse ancora a dovere.
Di punto in bianco disse a Pelorat: — Com’è il vostro stato mentale?
— Il mio stato mentale? — fece Pelorat, con espressione vacua.
— Sì. Siamo qui intrappolati su una nave che è controllata dall’esterno e condotta inesorabilmente verso un mondo di cui non sappiamo nulla: non provate un senso di panico?
— No — disse Pelorat, che aveva una faccia piuttosto depressa. — Certo non sono allegro. Ammetto di essere abbastanza in ansia, ma non provo panico.
— Nemmeno io. Non è strano? Non dovremmo essere maggiormente turbati?
— Be’, qualcosa ci aspettavamo, no? Qualcosa del genere...
Trevize si girò verso lo schermo, che continuava a mostrare la stazione spaziale; questa appariva più grande, adesso, il che significava che erano più vicini.
Non gli sembrava un granché, come stazione; non c’erano segni di particolare progresso tecnologico, anzi, l’insieme aveva un’aria un po’ primitiva. Eppure la “Far Star” era chiaramente sotto il controllo di quella tecnologia primitiva.
— Non vedete come sia calmo, Janov? — disse. — Come sia perfettamente padrone di me? È vero che mi piace pensare di non essere un codardo e di sapermela cavare in situazioni difficili, ma naturalmente, come tutti, tendo ad essere indulgente con me stesso. Non sarebbe più logico che in questo momento saltellassi in su e in giù sudando per la tensione? In fondo, anche se ci aspettassimo qualcosa, resta il fatto che siamo inermi e che possiamo essere uccisi...
— Non sono d’accordo con voi, Golan — disse Pelorat. — Se i gaiani hanno potuto prendere da lontano la nave sotto controllo, vuol dire che sono anche in grado di uccidere a distanza. Eppure non l’hanno fatto.
— Ma hanno fatto qualcos’altro. Siamo troppo calmi, vi ripeto. Penso che si tratti di una calma artificiale.
— E perché ci avrebbero procurato questa clima artificiale?
— Per tenerci mentalmente in forma, forse. È probabile che vogliano interrogarci, e dopo averci interrogato possono benissimo ucciderci.
— Se hanno abbastanza buon senso da volerci interrogare, forse avranno anche abbastanza buon senso da non volerci uccidere senza un motivo.
Trevize si appoggiò allo schienale della poltrona (la quale si inclinò indietro: se non altro, non erano intervenuti sul suo congegno automatico) e posò i piedi sulla scrivania, nel punto dove di solito le sue mani si collegavano al computer. — Potrebbero essere abbastanza ingegnosi da trovare un motivo — disse. — Tuttavia, se anche hanno influenzato la nostra mente, non l’hanno influenzata molto. Uno come il Mulo, per esempio, ci avrebbe reso ansiosi di arrivare alla meta stabilita per noi e adesso saremmo esultanti, saremmo entusiasti e smaniosi di porre piede là sopra. — Indicò la stazione spaziale. — Voi vi sentite così, Janov?
— No, affatto.
— Come vedete, posso ancora concedermi il lusso di un’analisi razionale.
Davvero curioso! Ma siamo sicuri che sia proprio così? Non sarò per caso in preda al panico e fuori di me completamente, e non sarà la mia analisi razionale solo un’illusione?
Pelorat alzò le spalle. — A me sembrate sano di mente. Oddio, magari sono matto a mia volta e siamo entrambi vittime della stessa illusione, ma questo tipo di ragionamento non ci porta da alcuna parte. Tutta l’umanità potrebbe condividere la medesima follia e vivere nel medesimo caos, vittima della medesima illusione. Non si può dimostrare che questo non sia vero, ma non abbiamo altra scelta che affidarci ai nostri sensi. — Pelorat fece una breve pausa, poi disse, bruscamente: — Sapete, ho fatto anch’io le mie riflessioni.
— E allora?
— Ecco, abbiamo ipotizzato che Gaia sia un mondo di Muli, o che sia la sede della rinata Seconda Fondazione. Ma non avete pensato che esista una terza alternativa, più plausibile delle altre due?
— Che terza alternativa?
Pelorat si concentrò ulteriormente. Non guardò Trevize, e la sua voce assunse un tono grave e profondo. — Abbiamo questo mondo, Gaia, che per un periodo indefinito di tempo ha fatto di tutto per mantenersi in stretto isolamento. Non ha tentato in alcun modo di stabilire contatti con gli altri pianeti, nemmeno con quelli, vicini, dell’Unione Sayshell. Ha una tecnologia progredita a quanto pare, se dobbiamo dar credito alle storie che parlano della distruzione di flotte di invasori.
D’altra parte a conferma di ciò sta il fatto che la nostra nave sia stata presa sotto controllo. Tuttavia i gaiani non hanno mai cercato di guadagnare nuovo territorio: chiedono solo di essere lasciati in pace.
Trevize strinse gli occhi. — E allora?
— Tutto questo è assai poco umano. Nei ventimila anni e più di storia spaziale gli esseri umani hanno sempre condotto una politica espansionistica. Quasi tutti i mondi di cui si sappia che siano abitabili sono in effetti abitati. E per la colonizzazione di ciascuno di essi ci sono state questioni; per non parlare di come ogni pianeta abbia prima o poi tentato di avanzare pretese sui territori dei vicini. Se Gaia segue così poco questa regola squisitamente umana, è possibile che lo faccia perché... perché non è umana.
Trevize scosse la testa. — Impossibile.
— Perché impossibile? — disse l’altro accalorandosi. — Vi ho già detto che è veramente strano che la specie umana sia l’unica specie intelligente della Galassia.
Può darsi che in realtà non sia l’unica, che ne esista un’altra alla quale manchi l’impulso espansionistico che ci caratterizza. — Pelorat s’infervorò sempre di più.
— Anzi — disse, — potrebbero esserci un milione di intelligenze diverse nella Galassia, di cui solo una affetta da mania espansionistica: la nostra. Le altre magari se ne stanno tranquille a casa loro, senza intromettersi negli affari altrui...
— È ridicolo! — disse Trevize. — Ci saremmo imbattuti innumerevoli volte in questi esseri che dite. Saremmo atterrati sui loro mondi. Forse li avremmo conquistati, se avessimo trovato una civiltà meno progredita della nostra; avremmo in ogni caso sempre avuto un contatto con loro. Invece non è successo. Per lo spazio, non abbiamo nemmeno mai trovato i resti di civiltà non umane! Siete voi lo storico, Janov: non è vero che non si sono mai trovati?
— Effettivamente no — disse Pelorat. — Però, Golan, potremmo averla scoperta adesso, questa civiltà non umana: potrebbe essere quella di Gaia.
— No, non lo credo proprio. Voi avete detto che il nome Gaia sia l’antico termine dialettale che designa la Terra: come può non essere umano?
— Il nome Gaia è stato dato al pianeta dagli uomini e la sua somiglianza con una parola dell’epoca antica potrebbe essere casuale. Ora che ci penso, anzi, il fatto stesso che siamo stati attirati verso Gaia, come voi avete supposto spiegandomene il motivo qualche tempo fa, è un argomento che suffraga la mia ipotesi.
— Perché? Che cosa c’entra con la vostra ipotesi?
— Be’, è chiaro che i gaiani ci attirino verso il loro pianeta perché sono curiosi.
Curiosi di vedere come siano fatti gli uomini.
— Siete pazzo, Janov? Vivono da migliaia d’anni circondati dagli esseri umani.
Perché mai la curiosità dovrebbe essergli venuta solo adesso, anziché tanto tempo fa?
Ed anche ammesso che gli fosse venuta ora, perché proprio noi? Se avessero voluto studiare l’uomo e la sua civiltà, avrebbero scelto i mondi dell’Unione Sayshell.
Perché disturbarsi a cercare noi?
— Potrebbero essere interessati alla Fondazione.
— Sciocchezze — disse Trevize, brusco. — La verità, Janov, è che voi morite dalla voglia di conoscere un’intelligenza non umana. Credo che se in questo momento foste sicuro di incontrare esseri non umani non vi preoccupereste del fatto di essere stato catturato, di essere inerme e di venire addirittura ucciso, purché vi dessero il tempo di soddisfare la vostra curiosità.
Pelorat stava per mormorare un no indignato, poi però cambiò idea, trasse un respiro profondo e disse: — Forse avete ragione, Golan, però continuerò a pensarla a modo mio, almeno fino a che non verrò smentito dai fatti. E credo che non dovremo aspettare a lungo per sapere chi di noi due abbia ragione: guardate.
Indicò lo schermo. Trevize, che nella foga del discorso aveva smesso di guardare, si voltò. — Che cos’è? — disse.
— Non è una nave che sta partendo dalla stazione?
— È qualche cosa — ammise Trevize, riluttante. — Non riesco ancora a distinguere i particolari e nemmeno ad ingrandire ulteriormente l’immagine. È già al massimo. — Dopo un po’ aggiunse: — Pare proprio una nave. E si sta avvicinando.
Facciamo una scommessa?
— Che tipo di scommessa?
Trevize disse, ironico: — Quando saremo tornati su Terminus, ammesso che ci torniamo, organizziamo una bella cena a cui ciascuno di noi potrà invitare un massimo di quattro persone: se la nave che si sta avvicinando in questo momento ha a bordo esseri non umani, pago io; se invece sono umani, pagate voi.
— Accetto — disse Pelorat.
— Siamo intesi, allora — disse Trevize, guardando lo schermo e chiedendosi se dalle caratteristiche esterne della nave si potesse capire, senza rischio di sbagliare, quanto gli esseri che erano a bordo fossero umani (oppure no…).
Harla Branno aveva i capelli grigi perfettamente a posto e la stessa aria serafica che avrebbe avuto se si fosse trovata nelle sale del municipio di Terminus. Non si vedeva proprio che era solo la seconda volta che si trovasse nello spazio profondo. (E la prima, quando era andata in gita di piacere su Kalgan con i suoi genitori, non si poteva contare: a quell’epoca aveva solo tre anni.)
Con aria tra lo stanco e l’annoiato disse a Kodell: — Dopotutto, è compito di Thoobing esprimere la propria opinione e mettermi in guardia. Benissimo, l’ha fatto: non ce l’ho con lui per questo.
Kodell, che era salito a bordo della nave della Branno per parlare più liberamente, senza le difficoltà psicologiche causate dalla vista della sola immagine, disse: — È in carica da troppo tempo. Ha cominciato a pensarla come un sayshelliano.
— È il rischio professionale che corrono gli ambasciatori, Liono. Aspettiamo che questa avventura termini, poi lo terremo per un bel po’ in congedo, ed infine lo assegneremo ad un’altra sede. È un uomo capace. In fondo, ha avuto l’intelligenza di inoltrarci senza indugio il messaggio di Trevize.
Kodell abbozzò un breve sorriso. — Sì, ma mi ha detto anche che la faccenda gli sembrava assurda e che ha agito in quel modo solo perché era suo dovere farlo.
Vedete, Thoobing si è comportato così perché io, appena Trevize è entrato nel territorio dell’Unione Sayshell, l’ho avvertito di inoltrarci immediatamente qualsiasi informazione riguardasse il consigliere.
— Oh davvero? — disse la Branno, girandosi nella sua sedia per vedere meglio l’altro in faccia. — E che cosa vi ha indotto a fare questo?
— Delle riflessioni piuttosto elementari. Ho pensato che i sayshelliani avrebbero sicuramente notato la nave ultimo modello su cui viaggia Trevize e che avrebbero notato anche un’altra cosa, e cioè che Trevize sia uno stupido, una persona del tutto priva di diplomazia. Insomma ho temuto che il nostro potesse cacciarsi nei guai, e si sa che quando ci si caccia nei guai e si è lontano da casa, la prima cosa da fare è rivolgersi al più vicino rappresentante della Fondazione. Personalmente non è che mi interessasse cavare d’impaccio Trevize; anzi, credo che se si trovasse in difficoltà se non altro imparerebbe a crescere, il che gli farebbe un gran bene... Ma voi l’avete mandato allo sbaraglio perché fungesse da parafulmine e mi premeva che riusciste a distinguere un fulmine dall’altro, per cui mi sono assicurato che l’ambasciatore lo tenesse d’occhio. Tutto qui.
— Capisco. Be’, ora mi è chiaro perché Thoobing abbia reagito così vivacemente.
Io gli avevo mandato un avvertimento simile. Poiché ha ricevuto raccomandazioni sia da voi, sia da me, non c’è da stupirsi che abbia ritenuto l’arrivo delle nostre navi un fatto molto più grave di quanto non sia in realtà. Ma com’è, Liono, che non mi avete consultato prima di mandargli quell’avvertimento?
Kodell disse, calmissimo: — Se vi mettessi sempre a parte di tutto non avreste più tempo per fare il sindaco. E voi, come mai non mi avete informato delle vostre intenzioni?
La Branno disse, aspra: — Se vi informassi di tutti i miei progetti sapreste troppo, Liono. Ma non importa, così come non importano i consigli di Thoobing e le eventuali invettive che i sayshelliani potrebbero lanciare: quel che importa è Trevize.
— Le navi vedetta hanno localizzato Compor. Sta seguendo Trevize ed entrambi si stanno avvicinando con grande prudenza a Gaia.
— Ho ricevuto un rapporto complesso dalle navi vedetta, Liono. A quanto pare, sia Trevize sia Compor prendono Gaia molto sul serio.
— Tutti quanti ridono delle storie superstiziose che parlano di Gaia, però conservano il dubbio che possa essere vero. Persino l’ambasciatore Thoobing non è del tutto a suo agio quando si tocca questo argomento. Potrebbe trattarsi di un espediente assai utile usato dai sayshelliani per difendersi. Se uno sparge la voce che esista un pianeta misterioso ed invincibile, la gente eviterà non solo quel pianeta, ma anche i mondi vicini. Cioè quelli dell’Unione Sayshell.
— Pensate che sia per questo che il Mulo non conquistò l’Unione?
— Forse.
— Certo non penserete che la Fondazione abbia lasciato in pace Sayshell per via di Gaia: non avevamo nemmeno mai sentito nominare quel mondo, fino a poco tempo fa.
— Ammetto che nei nostri archivi il nome di Gaia non fosse registrato, ma non vedo quale altra ragione possa averci trattenuto dal premere un pochino di più l’Unione.
— Speriamo allora che il governo di Sayshell si sia convinto, anche solo minimamente, della potenza e della pericolosità di Gaia.
— Perché?
— Perché in quel caso non solleverà obiezioni vedendoci muovere alla volta del pianeta. Anzi, più giudicherà gravemente offensivo il nostro passaggio, più lo favorirà, contando sul fatto che Gaia ci distrugga. La riterrebbe una lezione salutare, un monito per eventuali invasori futuri.
— E se il loro convincimento fosse giusto, sindaco? Se Gaia fosse veramente pericolosa?
La Branno sorrise. — Allora anche voi dite in cuor vostro «e se fosse vero?», eh Liono?
— Devo prendere in esame tutte le varie possibilità, sindaco: è il mio mestiere.
— Se Gaia è pericolosa, Trevize sarà catturato. Questo è il suo mestiere: fare da parafulmine, assieme a Compor. Anzi, magari non sarebbe affatto male se venissero presi.
— Perché?
— Perché i gaiani comincerebbero a sentirsi troppo sicuri di sé, sottovaluterebbero le nostre forze e li sconfiggeremmo più facilmente.
— E se fossimo noi troppo sicuri di noi stessi?
— Non lo siamo — disse la Branno, secca.
— Questi gaiani, però, potrebbero essere qualcosa di completamente sconosciuto, qualcosa di cui non si possa stimare con esattezza la pericolosità. Lo dico perché penso si debba valutare anche questa possibilità.
— Ah sì? E come mai vi è venuta in mente un’idea del genere, Liono?
— Perché voi pensate, credo, che Gaia possa essere, al peggio, la sede della Seconda Fondazione. Ho il sospetto anzi che siate convinta che abbiamo di fronte veramente la Seconda Fondazione. Bisogna però tenere conto che Sayshell ha avuto una storia interessante anche sotto l’Impero. L’Unione era l’unica ad avere una forma di autogoverno. Fu anche l’unica ad evitare in parte le tasse spaventose che furono imposte sotto i cosiddetti Cattivi Imperatori. In breve, sembra che sia stata protetta da Gaia anche all’epoca imperiale.
— E allora?
— La Seconda Fondazione nacque contemporaneamente alla prima, ad opera di Hari Seldon: non esisteva all’epoca imperiale, Gaia invece sì. Gaia, quindi, non è la sede della Seconda Fondazione. È qualcos’altro, magari qualcosa di peggio.
— Non credo all’ignoto, Liono. Le possibili fonti di pericolo sono solo due: le armi materiali e le armi mentali. E noi siamo prontissimi ad affrontarle entrambe. Ora tornate sulla vostra nave e mantenete le unità vicino ai confini di Sayshell. Soltanto questa nave si dirigerà verso Gaia, ma si terrà costantemente in contatto con voi. Se necessario, ci raggiungerete con un unico Balzo iperspaziale. Forza, andate e non fate quella faccia preoccupata.
— Posso rivolgervi un’ultima domanda? Siete sicura di quello che state facendo?
— Sì — disse lei, decisa. — Anch’io ho studiato la storia di Sayshell ed ho capito che Gaia non possa essere la sede della Seconda Fondazione, ma, come vi ho detto, ho ricevuto un rapporto completo dalle navi vedetta, e da esso ho saputo...
— Sì?
— Ho saputo dove si trovi la Seconda Fondazione. Così ci occuperemo di due obiettivi, Liono: di Gaia prima, di Trantor poi.