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Passò con Jane il pomeriggio e la sera della domenica, e il pensiero del verme che si alzava da terra andò a cacciarsi in un angolo buio della mente. Tutto, tranne Jane, tendeva a finire là, quando Charlie si trovava con lei.

Ma, all’ora di coricarsi, quando fu di nuovo solo, quello tornò. Il pensiero, non il verme. Era tanto prepotente da non lasciarlo dormire, così lui si alzò; sedette nella poltrona accanto alla finestra e decise che l’unico modo di levarselo di mente era di affrontarlo e analizzarlo a fondo.

Se fosse riuscito a stabilire con certezza che cosa era successo accanto all’aiuola, forse avrebbe potuto dimenticarsene completamente.

Ma bisognava imporsi una logica di ferro.

Pete, con le sue tre ipotesi: allucinazione, sogno, realtà, aveva ragione. Ebbene, tanto per cominciare, non era stato un sogno. Lui, in quel momento, era perfettamente sveglio, ne era sicuro come di tutto il resto. Una ipotesi da eliminare, dunque.

Realtà? Impossibile. Pete aveva un bel parlare di animaletti dall’aspetto strano e di antenne o cose del genere… Mica aveva visto coi suoi occhi quella maledetta cosa! Diamine, a lui invece era passata a pochi centimetri dalla faccia. E l’aureola, c’era davvero.

Antenne? Sciocchezze.

Così, restava l’allucinazione. Ecco che cosa doveva essere stata: un’allucinazione. Capita, a volte. E, a meno che capitasse spesso, non ci si doveva considerare candidati al manicomio. Dunque, conveniva decidere per l’allucinazione. E poi? E poi, dimenticare.

Finalmente se ne andò a letto col pensiero di nuovo rivolto a Jane, e si addormentò sereno.

Il mattino dopo era lunedì e tornò al lavoro.

E il giorno dopo ancora era martedì.

E il martedì…

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