Charlie Wills fermò la sveglia, mise i piedi a terra, li infilò nelle pantofole, allungò un braccio per prendere una sigaretta e l’accese. Dopo di che si concesse un momento di relax, seduto sulla sponda del letto.
C’era ancora tempo per starsene lì a fumare una sigaretta e svegliarsi completamente. Sarebbe passato ancora un quarto d’ora prima che Pete Johnson passasse a prenderlo per andare a pescare; e per lavarsi la faccia e infilarsi un paio di vecchi pantaloni, dodici minuti erano più che sufficienti.
Faceva uno strano effetto alzarsi alle cinque, ma si sentiva in perfetta forma. Anche se il sole non era ancora sorto, e il cielo, visto dalla finestra, era di un color pastello chiaro, si sentiva di ottimo umore. Perché ormai mancava solo una settimana e mezzo.
Anzi, meno. Dieci giorni soltanto. Veramente — ora che ci pensava — erano un po’ di più, a quell’ora del mattino. Ma si poteva fare cifra tonda. Se fosse tornato a dormire adesso, corpo di mille bombe, si sarebbe svegliato molto più vicino al giorno delle nozze. Sì, è magnifico dormire quando ci si aspetta qualche cosa di estremamente piacevole. Il tempo vola e non ce se ne accorge nemmeno.
Ma no… mica poteva tornarsene a letto. Aveva promesso a Pete di farsi trovare pronto alle cinque e un quarto, e se non fosse stato in strada a quell’ora, quello si sarebbe piantato davanti alla casa con la macchina e avrebbe suonato il clacson svegliando tutti i vicini.
I tre minuti di grazia erano terminati, così schiacciò il mozzicone della sigaretta e prese i vestiti dalla sedia.
— Presto mi sposerò… sì, sì… sì, sì… — cominciò a canticchiare piano, sull’aria del “Mikado”. E, per non rischiare di perder tempo, cercò di non guardare la foto di Jane incorniciata d’argento che stava sulla scrivania.
Era l’uomo più fortunato della terra, anzi, di qualsiasi altro posto, se c’era un altro posto da qualche altra parte.
Jane Pemberton! Con quei capelli castani, soffici e lievemente ondulati, come la seta (anzi, meglio della seta), con la linea graziosa del naso all’insù, con le lunghe gambe tornite e abbronzate dal sole, con… con tutto quello che una ragazza può avere, e anche di più!
Il miracolo di quella splendida creatura che amava proprio lui era così nuovo, che si sentiva ancora un po’ stordito.
Dieci giorni di stordimento, e poi…
I suoi occhi caddero sul quadrante dell’orologio, e sobbalzò: erano le cinque e dieci, e se ne stava ancora lì seduto col calzino in mano! Finì di vestirsi in fretta e furia. Appena in tempo! Erano le cinque e un quarto quando si infilò la giacca di fustagno, afferrò gli arnesi da pesca, e scese in punta di piedi le scale, uscendo nella frescura dell’alba.
L’auto di Pete non c’era ancora.
Meglio così: gli rimanevano alcuni minuti per cercare i vermi e avrebbe risparmiato tempo dopo. Naturalmente, non poteva mettersi a scavare nell’aiuola della signora Grady, ma c’era una striscia di terra nuda tutto intorno, e lì poteva rimuovere un po’ le zolle.
Prese di tasca il coltello a serramanico e si inginocchiò accanto all’aiuola. Affondò la lama per quattro o cinque centimetri nel terreno e rivoltò una zolla. Sì, vermi ce n’erano. Ce n’era uno grosso, appetitoso, che avrebbe indotto in tentazione anche il pesce più smaliziato.
Charlie allungò la mano per prenderlo…
Ed ecco che cosa capitò.
Il pollice e l’indice si toccarono, perché il verme… al verme era successo qualcosa. Quando Charlie aveva allungato la mano, era stato un verme del tutto normale, un viscido lombrico lungo sei o sette centimetri che si contorceva tutto. Sicuramente non aveva avuto quel paio di ali, su questo non c’era dubbio. E neppure aveva avuto quella specie di…
Era impossibile, certo, e lui sognava o aveva le traveggole… Eppure il verme stava volando. Si stava elevando in una lenta spirale piena di grazia, con la massima naturalezza. Passò a pochi centimetri dalla sua faccia, sostenuto da ali di un bianco lucente, che non avevano niente a che fare con ali di farfalla o di uccello, ma sembravano…
Continuò a salire a spirale. Oltre la testa di Charlie, oltre il tetto della casa. Un semplice puntino stranamente luminoso contro il cielo grigio. E quando fu fuori vista, gli occhi di Charlie continuarono a fissare in alto.
Non sentì l’auto di Pete Johnson fermarsi presso il marciapiede, ma il suo allegro “Ciao!” lo scosse e si voltò in tempo per vedere l’altro saltar giù dalla vettura e imboccare il vialetto.
— Possiamo raccogliere i vermi qui, prima di partire? — domandò Pete allegramente. Poi aggiunse: — Cosa c’è? Che facevi con la bocca aperta e il naso per aria, quando sono arrivato? Ricordati che i piccioni… Ehi, ma cos’hai? Sei bianco come un lenzuolo!
Charlie si accorse di avere la bocca spalancata e la chiuse. Poi la riaprì per dire qualcosa, ma non trovò niente da dire… o meglio, non trovò parole per dirlo, e la richiuse di nuovo.
Guardò ancora in alto, ma non c’era più niente. Allora abbassò lo sguardo sull’aiuola ma anche lì non c’era niente di anormale.
— Charlie! — La voce di Pete era seriamente preoccupata, ora. — Svegliati! Stai male?
Lui boccheggiò di nuovo come un pesce fuor d’acqua.
— Ciao, Pete — disse poi, con un filo di voce.
— Oh, diavolo, Charlie! Hai dormito qui fuori e hai avuto un incubo, per caso? Tirati in piedi e… Senti, stai male? Ti accompagno dal dottor Palmer, invece che a pescare?
Charlie si alzò lentamente, scuotendosi. — Credo… credo di star bene — disse. — È successo qualcosa di strano. Ma… basta, andiamo. Andiamo a pescare.
— Ma… cosa? E va bene, me lo dirai dopo. Prima di andarcene, però, prendiamo un po’ di vermi… Ehi, non fare quella faccia! Vieni, sali in macchina; l’aria fresca ti farà bene.
Pete lo prese per un braccio, raccolse la scatola per i vermi e il resto e l’accompagnò fino all’auto. Poi tolse una bottiglia dal cassetto del cruscotto. — Ecco, prendi un sorso di questo.
Charlie ubbidì. Mentre il liquido color ambra usciva gorgogliando dal collo della bottiglia scorrendogli in gola, sentì che il cervello cominciava a ristabilirsi dallo choc. Poteva di nuovo pensare.
Il whisky scendeva bruciando, ma suscitava un piacevole calore nel punto dove si fermava, dandogli un senso di benessere. Solo ora si accorgeva che prima il suo stomaco era attanagliato da una morsa di gelo.
Si asciugò le labbra col dorso della mano.
— Mandane giù ancora — disse Pete, gli occhi fissi sulla strada. — Forse ti farebbe bene anche raccontarmi che cosa ti è successo, sputare l’osso! Se ti va, naturalmente.
— Io… io credo di sì. Ma… veramente, non c’è molto da raccontare. Ho allungato una mano per prendere un verme e quello è volato via. Con un paio di ali bianche e luminose.
Pete lo guardò, perplesso. — Hai allungato una mano per prendere un verme e quello è volato via? Perché non potrebbe essere? Non sono entomologo, io, ma può anche darsi che ci siano vermi con le ali. Potrebbero esserci benissimo. Ci sono formiche alate, e i bruchi si trasformano in farfalle. Che c’è da impressionarsi tanto?
— Ecco, quel verme non aveva ali, prima che io allungassi la mano. Era un normale lombrico. Diavolo, era un lombrico comunissimo, fino a che io non ho cercato di afferrarlo. E poi aveva una… una… Oh, lascia perdere! Devo aver avuto le traveggole.
— Avanti, sputa l’osso. Dài.
— Accidenti, Pete! Aveva un’aureola!
L’auto sbandò leggermente e Pete la riportò in mezzo alla strada prima di domandare: — Una… cosa?
— Insomma — disse Charlie — sembrava proprio un’aureola. Un piccolo cerchio d’oro sospeso sulla testa. Non appoggiato, sulla testa. Proprio sospeso.
— E… Ma scusa, come fai a sapere che era proprio la testa? Le estremità di un verme sono tutte e due uguali.
— Ecco — disse Charlie, soffermandosi a considerare la cosa — dal momento che era un’aureola, sarebbe sciocco che si trovasse all’estremità sbagliata! Anche più sciocco che avere… Insomma, capisci che cosa voglio dire!
— Uhm… — L’auto superò una curva, poi Pete disse: — E va bene, ragioniamo con un po’ di logica. Supponiamo che tu abbia visto, o che ti sia sembrato di vedere, quello che… ehm… ti è sembrato appunto di vedere. Tu non bevi molto, quindi non puoi avere alzato troppo il gomito. Restano tre possibilità.
— Io ne vedo solo due — disse Charlie. — O è stata un’allucinazione bell’e buona (capita, a volte, anche quando uno non ne ha mai avute), o si è trattato di un sogno. Sono sicuro di no, ma può anche darsi che mi sia addormentato e che abbia sognato di vederlo. Comunque non è molto probabile, vero? Vada per l’allucinazione, ma il sogno… no. Quale sarebbe la terza?
— Un fatto comune. Che tu abbia visto davvero un venne con le ali. Che esista davvero un animale del genere, anche se io non ne ho mai sentito parlare. Che tu non abbia visto subito le ali, perché erano ripiegate. Quella che ti è sembrata un’aureola, poteva essere una specie di cresta o un’antenna, o qualcosa del genere. Ci sono insetti maledettamente strani.
— Sì — disse Charlie, ma senza convinzione. Possono esserci animaletti strani, ma non al punto da mandar fuori all’improvviso un paio di ali e un’aureola, e da ascendere al… Si attaccò alla bottiglia e ingollò un altro sorso.