13

Doveva aver dormito, se quello poteva chiamarsi sonno.

Era di nuovo pieno giorno, e c’era soltanto un’infermiera nella stanza.

— Che giorno è? — domandò lui.

— Mercoledì pomeriggio, signor Wills. Posso fare niente per voi?

Mercoledì pomeriggio. Il giorno delle sue nozze.

Non c’era bisogno di trovare scuse per rimandarle, ora Jane sapeva. Tutti sapevano. Qualcosa le aveva rimandate, al posto suo. Lui era stato vigliacco a non averlo fatto da sé, prima…

— Ci sono due persone che desiderano vedervi, signor Wills. Vi sentite abbastanza in forze per riceverle?

— Io… Chi sono?

— Una certa signorina Pemberton e suo padre. C’è anche il signor Johnson. Li faccio passare?

Che diavolo doveva fare?

— Sentite — disse — che cosa ho esattamente? Voglio dire…

— Avete avuto un grave “choc”. Ma poi avete dormito tranquillamente per dodici ore. Fisicamente state bene. Potete anche alzarvi, se ne avete voglia. Però non dovete lasciare l’ospedale, naturalmente.

“Naturalmente” non doveva andarsene. Lo consideravano un candidato al manicomio. Un candidato eccellente. Un giovanotto di belle speranze.

Mercoledì, giorno delle sue nozze.

Jane.

Non poteva sopportare di vedere…

— Sentite — disse — fate passare soltanto il signor Pemberton. Preferirei…

— Certo. Posso fare nient’altro per voi?

Charlie scrollò la testa con tristezza. Provava una gran compassione per se stesso. C’era forse qualcuno che potesse fare qualcosa per lui?

Il signor Pemberton gli dette la mano pacatamente. — Charles, non so dirti quanto mi rincresce…

Charlie annuì. — Grazie. Credo… credo che comprendiate benissimo perché non voglio vedere Jane. Mi rendo conto che… che naturalmente non possiamo…

Pemberton annuì. — Jane… capisce benissimo, Charles. Vorrebbe vederti, ma si rende conto che sarebbe peggio per tutti e due, in questo momento. E, Charles, se possiamo fare qualcosa…

C’era forse qualcosa che qualcuno potesse fare?

Strappare le ali a un lombrico?

Estrarre un’anitra da una bacheca?

Trovare una palla da golf scomparsa?

Quando i Pemberton se ne furono andati, entrò Pete. Il Pete più tranquillo e premuroso che Charlie avesse mai conosciuto.

— Charlie, te la senti di discutere la faccenda adesso? — domandò.

Lui sospirò. — Se può servire a qualcosa, sì. Fisicamente sono a posto. Ma…

— Senti, non devi assolutamente perderti di coraggio. Ci dev’essere una spiegazione. Mi sono sbagliato. C’è un nesso, un legame che unisce tutte le cose bizzarre che ti sono capitate. Deve esserci.

— Certo — disse Charlie, rassegnato. — Quale?

— È quello che dobbiamo scoprire. Prima di tutto dobbiamo fregare gli psichiatri prima che tornino all’attacco. Consideriamo la cosa dal loro punto di vista, per sapere che cosa dire. Primo…

— Che cosa sanno?

— Be’, farneticavi, prima di riprendere conoscenza. Il verme, l’anitra e la palla da golf. Ma questo può passare per l’effetto dell’etere. Parlavi nel sonno. Sognavi. Devi negare di saperne qualcosa. Non sai nulla né del verme, né dell’anitra, né della palla. Certo, la faccenda dell’anitra è finita sui giornali, ma non ha avuto molta pubblicità e non è stato fatto il tuo nome. Non possono metterla in relazione con te. Se lo facessero, nega. E adesso restano le due volte che sei svenuto e che ti hanno portato qui privo di conoscenza. Il calore e l’etere, per intenderci.

— Che ne pensano, loro? — domandò Charles.

— Sono perplessi. Il colpo di calore, be’, non sanno che cosa dire. Credo che abbiano intenzione di lasciar perdere. Questa volta invece… Sono convinti che devi esserti propinato l’etere da solo, in qualche modo.

— Ma perché? Perché uno dovrebbe darsi l’etere da sé?

— Nessuno con la testa a posto lo farebbe. Qui sta il punto: dubitano della tua sanità mentale, e per questo credono che tu l’abbia fatto. Se riesci a convincerli che non ti manca una rotella… Senti, su con la vita! Parlano di stato di ipocondria acuta, qualcosa che sconfina nella psicosi maniaco-depressiva. Capito? Mostrati allegro.

— Allegro? Quando avrei dovuto sposarmi alle due di oggi? A proposito, che ore sono?

Pete dette un’occhiata al suo orologio. — Lascia perdere… Certo, se ti chiedono perché ti senti sconvolto, digli…

— Al diavolo, Pete! Vorrei tanto essere pazzo! Almeno la pazzia avrebbe un senso. Comunque, se questa storia continua, credo che diventerò pazzo davvero.

— Non parlare in questo modo! Devi lottare.

— Lottare — disse sconsolato Charlie. — Contro che cosa?

La porta si aprì e l’infermiera mise dentro la testa.

— Il tempo della visita è finito, signor Johnson. Dovete andare.

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