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Inattività e frustrazione di ripercorrere continuamente itinerari mentali che non portano a niente. Doveva fare qualcosa, per non impazzire.

Vestirsi? Chiese i suoi abiti e glieli portarono. Però gli diedero le pantofole e non le scarpe. Comunque, per vestirsi gli ci volle un po’ di tempo.

E starsene seduto in poltrona non era starsene a letto. E passeggiare su e giù per la stanza, non era restare seduto in poltrona.

— Che ora è?

— Le sette, signor Wills.

Le sette. Avrebbe dovuto essere sposato già da cinque ore.

Sposato a Jane: alla bella, splendida, dolce, affettuosa, comprensiva, morbida, amabile Jane Pemberton, che cinque ore fa, avrebbe dovuto diventare Jane Wills.

Mai più.

A meno che…

Il problema.

Risolverlo.

O impazzire.

Perché un verme doveva portare un’aureola?

— È arrivato il dottor Palmer, signore. Devo…?

— Salve, Charles. Sono venuto appena ho saputo che avevate ripreso conoscenza. Avevo un malato grave che non potevo lasciare. Come state, ora?

Stava malissimo.

Aveva voglia di urlare e di strappare la tappezzeria dalle pareti; solo che le pareti erano dipinte di bianco, non tappezzate. Di urlare, urlare…

— Mi sento magnificamente, dottore — disse.

— Vi è capitato niente altro di strano, da quando siete qui?

— Niente. Ma, dottore, come spiegate…

Il dottor Palmer spiegò. I dottori spiegano sempre. L’aria crepitò di parole come psiconeurosi, autoipnosi e traumi.

Finalmente, Charlie si ritrovò solo. Era riuscito a congedare il medico senza mettersi a urlare e farlo a pezzi.

— Che ora è?

— Le otto.

Sposato da sei ore.

Perché un’anitra?

Risolvere.

O impazzire.

Cosa sarebbe accaduto la prossima volta? “Certo, questo peso me lo porterò dietro per tutta la vita, e dovrò starmene in manicomio per sempre!”

Le otto.

Sposato da sei ore.

Perché una ghirlanda del tipo “lei”? Perché l’etere? Perché il calore?

Che cosa avevano in comune?

E che cosa gli sarebbe successo la prossima volta? Quando sarebbe stata, esattamente, la prossima volta? Forse quello poteva indovinarlo. Quante cose gli erano capitate fino a quel momento? Cinque… contando anche la sparizione della palla da golf. E a che distanza, l’una dall’altra? Vediamo: il lombrico, domenica mattina mentre andava a pescare; il colpo di calore, martedì andando in ufficio; l’anitra, giovedì a mezzogiorno; la ghirlanda, sabato; l’etere, lunedì…

Ogni due giorni!

Periodicità?

Passeggiò ancora su e giù per la stanza. Poi si ficcò una mano in tasca, tirò fuori un blocchetto e una matita, e si rimise a sedere.

Si trattava di una periodicità… esatta?


Scrisse “lombrico” (angleworm), e si mise a riflettere. L’appuntamento con Pete, ricordò, era stato alle cinque e quindici; e lui era ‘sceso proprio a quell’ora, e aveva scavato nell’aiuola per raccoglier vermi… Sì, le cinque e un quarto del mattino. Lo scrisse.

“Calore”. Dunque… Era a un isolato dall’ufficio, e ci sarebbe dovuto arrivare per le otto e mezzo; passando avanti a un orologio, aveva visto che mancavano ancora cinque minuti. Poi aveva scorto il carrettiere e… “Otto e venticinque”, scrisse. E calcolò.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

E poi, cosa c’era? L’anitra nel museo. Anche lì poteva calcolare l’ora con esattezza. Il vecchio Hapworth gli aveva detto di pranzare in anticipo e lui era uscito alle… vediamo… alle undici e venticinque. E gli ci erano voluti una decina di minuti per arrivare al museo, percorrerne il corridoio principale ed entrare nella sala della collezione numismatica. Le undici e trentacinque, quindi.

Tornò, a ritroso, fino alla data precedente.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

E la ghirlanda? Avevano lasciato la sede del club all’una e trenta circa. Un’ora e un quarto per le prime tredici buche e… Be’, era stato tra le due e trenta e le tre. Le due e quarantacinque, doveva essere l’ora esatta. Bisognava provare anche con quella.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

Periodicità.

Il quinto avvenimento doveva essersi verificato alle cinque e cinquantacinque di lunedì pomeriggio. Se…

Sì, mancavano esattamente cinque minuti alle sei, quando aveva attraversato la soglia dell’oreficeria ed era caduto addormentato.

Esattamente.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

Periodicità.

PERIODICITÀ.

Un nesso, finalmente. La prova che quegli strani eventi facevano parte di un tutto unico. Ogni… cinquantuno ore e dieci minuti, capitava “qualcosa di strano”.

Ma perché?

Diede un’occhiata nel corridoio.

— Infermiera! Infermiera! Che ora è?

— Le otto e mezzo, signor Wills. Posso portarvi qualcosa?

Sì. No. Champagne. O una camicia di forza. Quale dei due?

Aveva risolto il problema. Ma la risposta non aveva più senso del problema stesso. Forse, meno. E oggi…

Calcolò rapidamente.

Fra trentacinque minuti.

Gli sarebbe successo qualcosa fra trentacinque minuti!

Qualcosa come un lombrico volante o un’anitra che soffoca in una bacheca ermeticamente chiusa, o…

O forse ancora qualcosa di pericoloso? Calore bruciante, anestesia improvvisa…

O forse qualcosa di peggio?

Un cobra, un unicorno, un diavolo, un licantropo, un vampiro, un mostro spaventoso?

Alle nove e cinque. Tra mezz’ora.

Dalla finestra entrò un soffio d’aria e lui si sentì la fronte gelata. Perché era madida di sudore.

Tra mezz’ora.

Che cosa?

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