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La tipografia aveva un’aria cordiale e familiare. Non era molto diversa da quella di Charlie, alla Hapworth Printing Co. C’era una scrivania di legno malandata, cosparsa di carte, e dietro ad essa sedeva un Compositore Capo dalla testa calva, con le mani macchiate di inchiostro da stampa e una ditata dello stesso sulla fronte. Dalla porta chiusa veniva il fragore assordante delle compositrici e delle rotative.

— Certo — diceva Charlie — sono macchine perfette, tanto perfette che non avete neppure bisogno di correttori di bozze. Ma forse una volta su un numero infinito di volte, può capitare qualcosa anche alla perfezione. Sentite un po’: c’è una macchina compositrice e un compositore per il… per il destino di ogni singola persona, no?

Il Compositore Capo annuì. — Esatto, anche se in un certo senso operatore e macchina sono la stessa cosa, in quanto l’operatore rappresenta una funzione della macchina e la macchina è una manifestazione dell’operatore, ed entrambi sono prolungamenti dell’ego del… Ma credo che sia un po’ troppo complicato per voi.

— Credo anch’io. Comunque, i canali in cui scivolano le matrici devono essere imponenti. Nelle nostre “linotype”, alla Hapworth Printing Co., una matrice dell’“e” percorrerebbe il circuito ogni sessanta secondi circa, e una matrice difettosa causerebbe un errore al minuto, ma quassù… Be’, il mio calcolo di cinquantuno ore e dieci minuti è esatto?

— Sì — convenne il Compositore Capo. — E poiché non avreste avuto modo di scoprirlo se non…

— Esattamente. È proprio con quella frequenza che la matrice difettosa si presenta e scende quando l’operatore preme il tasto “e”. Probabilmente è un po’ consumata; comunque percorre un fronte distributore assai lungo, e scende troppo in fretta, fermandosi nella parola prima del previsto, e causando così un errore tipografico. Ad esempio, una settimana fa, domenica, io avrei dovuto prendere un lombrico (angleworm), e…

— Aspettate.

Il Compositore Capo premette il pulsante del citofono e diede un ordine. Un attimo dopo, un grosso volume fu deposto sulla scrivania. Prima che lui l’aprisse, Charlie intravide il suo nome scritto sulla copertina.

— Avete detto alle cinque e quindici antimeridiane?

Charlie annuì. Le pagine venivano sfogliate una dopo l’altra.

— Santo Cielo! — esclamò il Compositore Capo. — Un “verme-angelo” (angelworm)! Doveva essere un bello spettacolo! Non avevo mai sentito parlare di un verme-angelo, prima d’ora! … E poi, che altro c’è stato?

— La “e” è scesa in un punto sbagliato anche nella parola “odio” (hate). Mi precipitai, travolto da un’“ondata d’odio” (hate wave), verso un uomo che frustava un cavallo, e… be’, ne venne un’“ondata di calore” (heat wave). La “e” scese due spazi prima del previsto, quella volta. E io mi presi una scottatura solare in un giorno di pioggia! Questo fu alle otto e venticinque di martedì; e alle undici e trentacinque di giovedì… — Charlie scoppiò a ridere.

— Sì? — incalzò il Compositore.

— “Tael”. Una moneta cinese d’argento che io avrei dovuto osservare nel museo. Invece venne fuori “teal”. E siccome “teal”, in inglese, è un tipo di anitra selvatica, trovai appunto un’anitra che schiamazzava in una bacheca sigillata ermeticamente. Uno dei guardiani ha avuto dei guai per quella faccenda. Spero che riparerete almeno questo.

— Non dubitate — disse il Compositore Capo, ridendo. — Mi piacerebbe di averla vista, quell’anitra! E la volta dopo, alle due e quarantacinque di sabato pomeriggio, che cosa accadde?

— “Lei” invece di “lue”. La mia palla da golf finì in brutta posizione[3] dietro un albero, e invece di una brutta “lue”, fu una brutta “lei”. Fiori appassiti e male intonati intrecciati a un cordoncino vermiglio. L’ultimo avvenimento fu il più difficile da interpretare, anche se ormai avevo trovato la chiave. Avevo un appuntamento in gioielleria alle cinque e cinquantacinque; ma quella era l’ora fatale. Arrivai in perfetto orario, e la matrice dell’“e” scese quattro spazi prima, quella volta, proprio all’inizio della parola. Invece di “arrivare là” (get there) alle cinque e cinquantacinque, mi trovai a “prendere l’etere” (get ether).

— Oh, oh! Questo dev’essere stato spiacevole. E poi?

— E poi accadde proprio il contrario: perché l’errore mi salvò la vita. In un eccesso di pazzia, cercai di suicidarmi con la liscivia (lye). Ma la “e” scese di nuovo nello spazio sbagliato e venne fuori un “ley”, una monetina rumena di rame. L’ho tenuta per ricordo. Infatti, fu proprio il suo nome a suggerirmi la soluzione del problema e a fornirmi la chiave per comprendere il resto.


Il Compositore Capo scoppiò a ridere di nuovo. — Avete dimostrato un notevole spirito d’iniziativa! — disse. — Ma come avete fatto per arrivare qui ad avvertirci?

— Be’, una volta capito il meccanismo, non era poi così difficile. Bisognava entrare in Haveen nell’istante preciso. E la probabilità era doppia. Bastava che l’una o l’altra delle due “e” fosse scesa in anticipo (come infatti è successo), e io sarei entrato dritto in Paradiso (Heaven).

— Davvero geniale! … E non preoccupatevi: gli errori sono già stati corretti. Ce ne siamo occupati mentre stavate ancora parlando. Tranne l’ultimo, naturalmente. Altrimenti non sareste ancora qui. E abbiamo tolto la matrice difettosa dal canale.

— Volete dire che per quanto ne sa la gente laggiù, nessuna di queste cose è mai…

— Esattamente. Un’edizione riveduta è ormai in corso di stampa, e nessuno sulla Terra si ricorderà mai di quegli avvenimenti. In un certo senso, è come se non fossero mai capitati. Cioè, lo sono, ma all’atto pratico è come se non lo fossero. Quando tornerete sulla Terra, troverete la situazione esattamente come si sarebbe presentata se gli errori tipografici non si fossero mai verificati.

— Volete dire, ad esempio, che Pete Johnson non si ricorderà la faccenda del lombrico, e che all’ospedale non ci sarà nessuna cartella clinica sul mio caso? E…

— Ma certo. Non vi ho detto che gli errori sono stati corretti?

— E allora… — esclamò Charlie. — Io sarò… voglio dire, avrei dovuto sposarmi mercoledì pomeriggio, due giorni fa. Ecco… sarò… voglio dire, mi sono? Cioè…

Il Compositore Capo consultò un altro volume e annuì. — Sì, vi siete sposato alle due di mercoledì pomeriggio. Con una certa Jane Pemberton. Tornando sulla Terra all’ora in cui l’avete lasciata, cioè alle zero quindici di sabato mattina, sareste sposato da due giorni e dieci ore. Starete… vediamo un po’… starete godendovi la luna di miele a Miami. In quel preciso momento, vi troverete in tassì, diretto…

— Sì, ma… — farfugliò Charlie.

— Ma, che cosa? — chiese il Compositore Capo con l’aria sorpresa. — Credevo che il matrimonio con la signorina Pemberton fosse proprio la cosa che desideravate di più. Noi vi siamo molto grati per aver richiamato la nostra attenzione sugli errori tipografici, ma, come dicevo, credevo che questo matrimonio fosse la vostra maggiore aspirazione. Quindi non vedo perché dovrebbe dispiacervi se, tornando indietro, vi trovate già…

— Sì, però… — ripeté Charlie. — Voglio dire… insomma, ecco, appunto: mi troverò sposato già da due giorni. E così avrò perso… Voglio dire, non potrei…

Il Compositore Capo si batté una mano sulla fronte.

— Già’. — scoppiò a ridere. — Che stupido! … Ma non preoccupatevi! Il tempo non conta affatto, per noi, e quindi possiamo reinserirvi in qualsiasi punto del “continuum”. Possiamo farvi tornare facilmente alle due di mercoledì pomeriggio, al momento della cerimonia. O al mercoledì mattina. O a qualsiasi altra ora preferiate.

— Be’ — esitò Charlie. — Non è che senta molto la mancanza della cerimonia… e poi dovrei sorbirmi un lungo pranzo di nozze, con relativi brindisi e discorsi… Preferirei tagliar corto e… Ecco, insomma, io…

Il Compositore Capo scoppiò a ridere di nuovo. — Siete pronto? — domandò.

— Se sono…? Ma certo!


Sferragliare di ruote sulle rotaie, romantico chiaro di luna che avvolge il treno in corsa…

Jane al suo fianco. Sua moglie. Il mercoledì sera. Bella, splendida, dolce, affettuosa, adorabile Jane…

— Sono… sono quasi le undici, tesoro. Non vorresti…? — sussurrò Charlie, mentre lei gli si faceva ancora più vicino.

Le loro labbra si fusero in un lungo bacio. Poi, mano nella mano, percorsero il rollante corridoio e passarono nell’attiguo vagone-letto. Charles girò la maniglia della loro cabina, aprì la porta, e sollevando Jane tra le braccia varcò la soglia.

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