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Aveva lasciato Porto Inferno da tre mesi e la stiva era ormai zeppa da scoppiare.

Era stata un’ottima caccia. Uccelli, mammiferi, rettili, anfibi, marsupiali, pesci e un paio di animali non classificabili erano caduti sotto il fuoco delle sue armi grazie alla sua abilità.

Adesso, stanco di tanto massacro, sedeva al computer della nave sapendo che avrebbe dovuto inserire i dati per una rotta che lo riportasse a casa, ma sapendo anche che non l’avrebbe fatto.

Inserì i dati della nube di polvere cosmica nel sistema cartografico, vi aggiunse tutti i precedenti avvistamenti dello Spazzastelle compresi quei sei o sette che aveva trovato sulle vecchie mappe di Tchaka, poi variò l’intensità dei minuscoli punti luminosi che indicavano gli avvistamenti, rendendo più brillanti questi ultimi. Aveva fatto calcolare dal computer di bordo la velocità della creatura spaziale e la sua probabile rotta, aveva azzerato la zona nel sistema cartografico e vi aveva fatto tracciare quella rotta.

Ammetteva di comportarsi da folle, con la stessa brutale onestà con cui era solito apprezzare le sue qualità. Gli restava poco carburante e probabilmente avrebbe dovuto sostare da qualche parte per far provvista d’acqua se non aveva intenzione di tornare direttamente a Punto Nord. Attraversare lo spazio non logorava la nave né gli vuotava il portafoglio, scendere su un pianeta invece sì. Tuttavia si trovava a meno di una settimana di volo dal punto dove immaginava di poter trovare la Bestia, e non se la sentiva di perdere quell’occasione.

Si sdraiò nella cuccetta di ibernazione per dormire sei giorni di fila, lasciando il Mufti a sbrigarsela da solo. Al risveglio fece qualche piccola correzione di rotta, mangiò abbondantemente e andò a esaminare i pannelli degli strumenti. Ma non trovò quello che cercava.

Passò le due settimane successive nella zona, entrando e uscendo dalla nube di polvere, senza mai incontrare la creatura spaziale, e proprio quando gli indicatori del carburante e dell’acqua erano sul rosso fece rotta per Belial, un piccolo pianeta con un paio di centri commerciali e poco altro.

Appena arrivato, lasciò la nave in un hangar del porto, e andò al Palazzo, una versione molto modesta del locale di Tchaka. Ordinò una porzione di carne annaffiata da un paio di bicchieri del brandy di Alphard, e dopo aver rinunciato all’idea di fare una capatina al bordello locale, affittò una stanza per la notte.

La mattina dopo pagò il conto e chiese all’impiegato se su Belial ci fosse una libreria antiquaria. Per tutta risposta ottenne una fragorosa risata che lo mandò su tutte le furie. Tornato all’hangar chiese al capo servizio manutenzione se la Deathmaker era pronta.

— Sì — rispose quello. — Non mi avevate detto quanto carburante vi occorreva. C’è stato uno sciopero di recente e i prezzi sono saliti, così ve ne ho messo quanto basta per tornare a casa. Ho visto dai documenti che la nave è registrata a Punto Nord.

Lane annuì.

— Mentre davo una ripulita non ho potuto far a meno di guardare nella stiva. Siete un cacciatore?

— Sì.

— Bel bottino! — esclamò l’altro ammirato. — Dovete essere molto bravo.

— Il migliore — rispose serio Lane. — A proposito, voglio tutto il carburante che mi potete fornire e lo stesso vale per l’acqua potabile.

— Vi costerà un bel po’, signor Lane. Come vi ho detto, il prezzo del carburante…

— Ho sentito — tagliò corto Lane. — Ho un deposito nella principale banca di Alphard e un altro in una banca di Punto Nord. Potete controllare.

— Io non ficco il naso nelle cose che non mi riguardano, signor Lane, ma mi piacerebbe sapere cosa diavolo volete cacciare per aver bisogno di tanto carburante. E la stiva è già stracarica.

— Proprio come avete detto.

— Eh?

— State ficcando il naso in cose che non vi riguardano.

L’uomo si limitò a fissarlo a lungo, poi girò sui tacchi e andò a impartire gli ordini del caso ai suoi sottoposti.

Lane decollò nel pomeriggio di quello stesso giorno dirigendosi verso la nube, dove arrivò dopo tre giorni di volo.

Non c’era traccia della creatura spaziale, ma Lane non se la prese troppo. Se la godeva a stare ai comandi della sua nave senza doversi preoccupare di andare a caccia di animali alieni, lo trovava molto più divertente. Ai tempi in cui l’uomo era ancora legato alla Terra, i cacciatori avevano imparato a gustare il sentore del vento o degli spruzzi salmastri del mare sulla faccia, il tepore del sole sulle spalle, la fresca sensazione dell’aria pura nei polmoni. Lane provava compassione per loro. Lui aveva goduto del tepore di molti soli sul collo e sulle spalle, aveva aspirato l’aria fresca e pura di una ventina di mondi e molti di più ne aveva visitati, mondi una cui sola boccata d’aria gli sarebbe stata fatale, era stato sopra e sotto la superficie di oceani non solo di acqua salata, ma di cloro, ammoniaca, e di mezza dozzina di altri liquidi nocivi. Non c’era niente di romantico nell’affrontare gli elementi; era un gioco, un gioco mortale con la Natura, che tutti i cacciatori erano destinati prima o poi a perdere. Guardò sullo schermo le miriadi di stelle, ora limpide e scintillanti perché non erano schermate dall’atmosfera, e si chiese cosa avrebbero provato gli antichi cacciatori se fossero stati al suo posto anche solo per pochi minuti.

Svegliò il Mufti, gli diede da mangiare una manciata di lucertole essiccate, e tornò a sedersi ai comandi, col Mufti in grembo, preparandosi a fare un pisolino. Un minuto dopo dormiva.

Passarono alcune settimane senza che succedesse niente, ma lui non era deluso. Seguiva la normale routine, mangiando, facendo ginnastica, occupandosi del Mufti, assicurandosi che nessuna delle carcasse contenute nella stiva si stesse decomponendo, correggendo a tratti la rotta, dormendo.

Quando cominciò ad annoiarsi assunse alcuni leggeri sedativi e allucinogeni, e una volta si ubriacò. Tuttavia per la maggior parte del tempo rimase sveglio, calmo, sobrio, con la mente lucida e -principale dote di un cacciatore — paziente.

Gli incubi continuavano, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine e non ci faceva quasi più caso. A volte si svegliava urlando e tremando, e solo a fatica si ricordava dov’era e riusciva a calmarsi e a riprendere sonno.

Questo gli successe anche dopo dieci settimane esatte da quando era partito da Belial: si svegliò urlando e rimase sdraiato sulla branda scosso da un tremito irrefrenabile. Infine gli si schiarirono le idee e capì che si trovava a bordo della sua nave e che aveva avuto un incubo.

Ma questa volta il terrore non lo abbandonò, lo avvolse come un lenzuolo, reale e opprimente. Aveva in bocca un sapore salato e si accorse che si era morso il labbro fino a farlo sanguinare. Scrollò la testa nel tentativo di schiarirsela, e, con un grido di esultanza capi cos’era successo.

Si precipitò allo schermo e vide la creatura, sospesa nel vuoto a tremila chilometri di distanza.

Prese i comandi manuali e accelerò, attivando nel contempo il vibratore. Lo Spazzastelle arretrò, e la Deathmaker aumentò ancora la velocità.

Procedettero così nella nube per ore, mantenendosi alla stessa distanza, e poco per volta il terrore cominciò a svanire. Dopo mezza giornata la creatura non aveva più paura di Lane, che colse l’occasione di ridurre la distanza.

A mille chilomentri cominciò di nuovo a percepire l’apprensione della creatura, e quando fu a trecento era spaventato come mai in vita sua. Staccò gli occhi dallo schermo e dai comandi il tempo necessario per guardare il Mufti, che se ne stava imperturbabile, segno che l’animaletto era stupido o completamente pazzo.

Lane puntò tutti i sensori verso la creatura, cercando di sapere qualcosa di più della sua costituzione. Ma il risultato fu deludente. Forse era intelligente, forse no. Forse disponeva di organi interni analoghi a quelli degli animali di carne e di sangue, e forse no. Era probabile che disponesse di un meccanismo grazie al quale si muoveva nello spazio, ma forse non era così. I sensori non servivano a niente.

Lane puntò il cannone a laser circa trenta gradi al di sopra della creatura spaziale e sparò. Lo Spazzastelle non rivelò apprensione né paura e non cambiò rotta. Lane tornò a sparare, abbassando il tiro, e la colpì al centro. Ancora nessuna reazione.

Accelerò, e la creatura fece altrettanto, così velocemente che lui guadagnò solo un centinaio di metri, il che gli fece supporre che l’empatia funzionava in due direzioni.

Posò la mano sul vibratore. Se la creatura captava i suoi pensieri e le sue emozioni adesso avrebbe dovuto accelerare ancora, invece non lo fece, e Lane fu costretto ad ammettere che la sua ipotesi non reggeva.

Tuttavia non aveva avuto veramente intenzione di azionare il vibratore, e forse la creatura lo sapeva. L’unico modo di scoprire se veramente era capace di anticipare le sue azioni era di aprire il fuoco.

Si legò al sedile e premette il pulsante del vibratore.

La sensazione fu intensa come la prima volta che aveva sparato contro la creatura spaziale, alcuni mesi prima. Un’onda emotiva lo colpì con la forza di un tuono, piegò violentemente all’indietro la sua testa, e tutto il corpo fu scosso da un tremito spasmodico. Provava rimorso e qualcosa di simile al dolore, e anche altri sentimenti, profondi, cupi e misteriosi e totalmente alieni. Quasi altrettanto forte della prima volta — ma non del tutto — fu la sensazione di shock e di sorpresa.

Sollevò la mano dal pulsante e subito s’irrigidì, ansimando. Quando infine si fu ripreso, lo Spazzastelle era scomparso, ma lo ritrovò coi sensori e riprese l’inseguimento.

Passarono così quattro giorni senza che la distanza fra loro variasse. Intanto, il Mufti stava diventando più esigente nel richiedere il suo affetto e le sue attenzioni, e Lane ne dedusse che anche la bestiola doveva aver provato qualcosa, sia pur leggermente, quando lui aveva sparato allo Spazzastelle.

Lane mangiava pochissimo, dormiva ancora meno e passava tutte le ore di veglia con lo sguardo incollato al pannello. Distava quasi un milione di chilometri dalla creatura che doveva considerare ouello spazio un margine di sicurezza perché non cercò mai di accelerare.

Era sempre più arduo seguire le orme dello Spazzastelle sul pannello che non era stato ideato per quel genere di lavoro a velocità superiori a quelle della luce, e il quinto giorno ne perse le tracce.

Passò altri tre mesi tentando di ritrovarlo, finché un paio di carcasse cominciarono a decomporsi e Lane si rese conto che doveva raggiungere al più presto un porto se non voleva che il ricavato della caccia andasse perduto.

Si concesse un altro paio di giorni, sperando contro ogni speranza che gli capitasse di rivedere lo Spazzastelle, ma infine inserì una rotta per Lodin XI, il più vicino pianeta dotato di centri commerciali.

Quando raggiunse i margini del sistema di Lodin stava pensando ancora allo Spazzastelle. Questa volta gli si era avvicinato così tanto da toccarlo quasi con mano, pure tutto quel che ne aveva ricavato era ancora una volta una sensazione di morte e la partecipazione a sensazioni e sentimenti così strani, grotteschi e irreali che nessuna mente razionale poteva desiderare di ripetere quell’esperienza. Non Tchaka col suo esuberante amore per la vita, non il Marinaio con la sua brama per l’ignoto, non Lane coi sentimenti inariditi dopo un quarto di secolo di spargimenti di sangue.

Tuttavia aveva passato tre mesi all’inseguimento di una strana creatura che si spostava pulsando nello spazio. Stava ancora chiedendosene il perché quando la nave entrò in orbita e si preparò ad atterrare sulla superficie di Lodin XI.

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