19

Vostuvian si sistemò in un angolo della cabina di pilotaggio, e quando non era occupato a familiarizzarsi coi pannelli dei comandi e gli strumenti di bordo, non varcava mai i confini che si era imposto. Rifiutò di usare la doccia a ultrasuoni finché Lane non lo minacciò di lanciarlo nello spazio, e le riserve di viveri non proprio profumati che avrebbero dovuto bastare per un paio di settimane, durarono invece due mesi. Il fatto che fossero marciti e cominciassero a puzzare ben prima di due mesi non lo turbò minimamente.

Quanto a Lane, passava la maggior parte delle ore di veglia al pannello degli strumenti cercando invano qualche traccia della creatura. Per tre mesi seguì rigorosamente la routine di esercitazioni -ginnastica, passeggiate nello spazio — che si era imposto, ma poi vi rinunciò pensando che era inutile mantenersi in forze, tanto doveva solo sparare a quella maledetta bestia, mica lottare corpo a corpo.

I primi sei mesi nello spazio trascorsero senza che nulla venisse a interrompere la monotonia. Vostuvian era capace di star settimane senza dire una parola, e Lane sarebbe morto piuttosto che rompere per primo il silenzio. In vita sua non aveva mai pregato per ottenere qualcosa e adesso non aveva certo l’intenzione di pregare un alieno, uno a cui gli ripugnava di rivolgere la parola.

Il tempo continuava a trascinarsi lento, e perfino il Mufti era diventato così irritabile che alla fine Lane lo mise nella cuccetta d’ibernazione. Quando il trentesimo mese di vane ricerche nella nube cosmica arrivò e passò senza che accadesse nulla, Lane riprese i suoi esercizi per mantenersi in forma, e uscì a intervalli regolari nello spazio facendosi rimorchiare con un cavo dalla nave.

Smise di chiedersi dove mai si nascondeva la creatura e cominciò invece a pensare che forse era morta. Avrebbe voluto mettersi in contatto radio con altre navi o con qualche porto per cercar di sapere se c’era stato di recente qualche avvistamento, ma se ne astenne pensando che doveva pendere una grossa taglia sulla sua testa. Perciò aspettava, osservava, sperava, continuava ad aspettare.

Quando la Deathmaker fu a trentatré mesi da Belore, sullo schermo radar di Lane comparve un oggetto in rapido movimento, ma poco dopo i sensori confermarono che si trattava solo di una vecchia carretta. Tuttavia questo piccolo avvenimento ridestò in lui il predatore, e passò un altro mese incollato agli strumenti prima di rendersi conto che un saltuario avvistamento non era il necessario preludio di altri.

Erano a trentotto lunghi, monotoni snervanti mesi dalla partenza da Belore quando finalmente accadde. Lane si stava esercitando all’esterno, passeggiando avanti e indietro lungo lo scafo con gli stivali magnetizzati, quando sentì negli auricolari la voce sempre calma e pacata di Vostuvian dire: — Credo che faresti meglio a rientrare, Lane.

— Qualche guasto?

— No.

— Il Mufti? — chiese ancora Lane avviandosi laboriosamente verso il più vicino portello.

— No. Credo di aver avvistato lo straigor.

— Cosa?

— La Bestia dei Sogni.

Dopo tre minuti Lane era già in cabina, chino sui pannelli degli strumenti.

— È proprio lei! — esclamò mentre si sfilava rapidamente la tuta spaziale e la lasciava cadere per terra.

— A circa mezzo milione di chilometri — valutò il Dorne.

Lane arrestò la nave, poi la rimise in moto imprimendole una forte spinta. Se la creatura sentiva realmente la presenza dell’arma a entropia voleva avvicinarsi il più possibile prima che se ne accorgesse. La Deathmaker si portò a duecentomila chilometri e Lane stava azzerando i vari congegni di sicurezza quando la creatura partì di scatto, veloce come un’anima dannata che scappa dall’inferno.

La Deathmaker accelerò per inseguirla. Aveva perso cinquantamila chilometi prima che Lane potesse reagire, ma adesso che ambedue filavano, alla velocità della luce, la distanza si manteneva costante.

— Sta uscendo dalla nube — osservò Vostuvian.

— Questa volta sa che faccio sul serio — replicò Lane con gli occhi fissi sul pannello e la mano sui congegni dell’arma. — Quanto hai detto che è il limite massimo della portata?

— Circa settantamila chilometri — rispose il Dorne.

— Per riuscire a ucciderla, vero?

— Non capisco, Lane.

— Se riesco a portarmi a cento, centoventimila chilometri, riuscirei ad azzopparla?

— Azzopparla?

— Ferirla. Costringerla a rallentare.

— Ne dubito. E anche se la portata massima è settantamila chilometri è più prudente che aspetti a sparare quando sarai a meno di trentamila.

— Stiamo filando quasi al massimo della velocità e non credo di guadagnare più di dieci metri al minuto. Aspettiamo a vedere quando sarà uscita dalla nube.

Il che avvenne poco dopo. La creatura filava dritta verso il bordo della galassia, distante qualche decina di migliaia di anni luce.

Proseguirono così senza rallentare, preda e cacciatore, per tre giorni finché Lane nonostante tutti gli sforzi e le amfetamine si addormentò ai comandi e Vostuvian lo sostituì per le undici ore successive. Quando Lane si svegliò la situazione era pressoché immutata.

E così restò ancora per un mese. Un paio di volte Lane pensò di aver perso il contatto perché i sensori della sua nave non erano sempre efficienti alla velocità della luce, ma quando gli apparecchi riprendevano a funzionare, i dati erano sempre uguali.

Adesso stavano avvicinandosi alla Frontiera Esterna, e la creatura non rallentava ancora. Lane cominciò a chiedersi seriamente se per caso non avesse mai bisogno di riposo, e lo chiese anche al Dorne.

— Chi lo sa? — rispose Vostuvian. — Quando erano in guerra col mio popolo non tentavano mai di scappare, quindi mi mancano i dati su cui basarmi per trarre una conclusione.

— In altre parole, secondo te potremmo continuare a darle la caccia per tutta la vita senza mai raggiungerla.

— È possibile. Però qualsiasi organismo vivente, indipendentemente dalla propria costituzione, deve avere dei limiti che non può oltrepassare a rischio di esaurire tutta la sua energia.

— È vero — ammise Lane, — ma dal momento che questa creatura vive da miliardi e miliardi di anni non c’è motivo di presumere che raggiunga quel limite durante il tempo che ci resta da vivere, ti pare?

— Sì — disse sempre imperturbabile Vostuvian.

— C’era un detto a proposito di un antico profeta che si chiamava Maometto e di una montagna — disse Lane. — Non te lo citerò perché probabilmente non lo capiresti né lo apprezzeresti, ma credo che ne applicherò il principio.

Detto questo, azionò il vibratore puntandolo verso la creatura. Per dieci minuti non vi fu alcuna reazione, poi lentamente, quasi impercettibilmente la creatura cominciò a rallentare. Lane rallentò a sua volta, mantenendosi a una distanza di duecentocinquantamila chilometri.

Dopo un’ora nave e preda si fermavano, e Lane cominciò ad azionare il vibratore a intervalli di venti secondi. Poi la creatura cominciò ad avvicinarsi, poco a poco, con circospezione e quando fu a centocinquantamila chilometri, Lane si sentì travolgere da un’ondata di euforia e rimase deluso nel rendersi conto che erano, ancora troppo lontani perché le emozioni e i sentimenti che provava non fossero altro che i suoi.

Adesso erano a centomila chilometri e la preda si fermò, pulsando con violenza.

— Cos’ha? — chiese, e Vostuvian rispose: — Credo che sia indecisa. Ti ha riconosciuto ma sente anche l’arma a entropia.

La creatura rimase immobile per un’altra ora continuando a pulsare e Lane non osò mettere in moto la Deathmaker per raggiungerla. Disattivò di nuovo i congegni di sicurezza dell’arma, e rimase in attesa.

Finalmente la creatura cominciò ad avvicinarsi, esitando e molto lentamente, per fermarsi quando fu a ottantamila chilometri.

— E adesso? — chiese Vostuvian, dimostrando una certa curiosità per la prima volta da che aveva imparato a pilotare la nave.

— Adesso aspettiamo — disse Lane. — Pare che conosca la portata dell’arma, e probabilmente prende tempo per raccogliere il coraggio sufficiente ad avvicinarsi di più.

Passò un’intera giornata, e poi finalmente la creatura ricominciò ad avvicinarsi. Adesso era al limite della portata massima, poi a sessantacinquemila chilometri e poi a quarantacinquemila.

Improvvisamente Lane cominciò a tremare e capì di essere entrato in rapporto con la creatura. Fissò il mirino dell’arma sul bersaglio e attese.

— Spara! — sussurrò con voce reca Vostuvian, e Lane vide che tremava ancora più di lui.

— Non ancora. Devo essere sicuro.

— Adesso!

— Taci!

— È alla portata! Cosa aspetti?

La creatura era a venticinquemila chilometri, e continuava ad avvicinarsi.

Lane sentiva la paura e l’apprensione, l’eccitazione, il desiderio, la bramosia, e qualcosa che non aveva mai percepito prima.

Solitudine.

Vostuvian balbettava come un idiota e d’un tratto fece per azionare l’arma, ma Lane lo spinse via.

— Ammazzala! — strillò il Dorne.

Lane si alzò per frapporsi tra lui e l’arma.

— Tienti lontano altrimenti non ucciderò solo la creatura — disse, cercando di dominarsi.

La preda era ormai visibile sullo schermo: pulsava lentamente, cambiando colore e continuava inesorabilmente ad avvicinarsi.

Lane posò la mano sul grilletto, e in quello stesso istante, agli altri sentimenti se ne aggiunse uno nuovo: la fiducia.

Lane cercò di sparare, si sforzò facendo ricorso a tutta la sua forza di volontà, ma non ci riuscì.

La sua mano si spostò come per volontà propria fino a posarsi sul vibratore, e nella frazione di secondo in cui la sua mente rimase lucida calcolò quanto gli ci sarebbe voluto per staccare la mano dal vibratore e far funzionare l’arma. Quindici secondi? Venti? Non lo sapeva ma dubitava di riuscirci. E, maledicendo la propria debolezza, azionò il vibratore.

Vostuvian fu scagliato contro la paratia di fondo della cabina, ma Lane rimase ritto in piedi, rigido, con lo sguardo fisso. Si sentì travolgere, ondata su ondata, dalle sensazioni e dalle emozioni della creatura, che lo soffusero di una calda, saziata luminosità pulsante.

Poi, mentre la creatura accennava ad allontanarsi di nuovo, spostò la mano sull’arma. Erano distanti quarantamila chilometri, bastava che lui premesse un pulsante e l’avrebbe uccisa.

Ma voleva essere sicuro.

Tornò a calcolare la mira controllando i dati al computer, si assicurò che la creatura non deviasse e finalmente, quando quella era ormai a centoventimila chilometri, sparò.

E la mancò.

Загрузка...