Il bar era affollato.
Al banco sedeva un terzetto di cercatori di Rakhvad la cui pelle bluastra era più lucida di quella di qualsiasi altra sottospecie umana; un paio di commercianti, elegantemente vestiti con il bottino derivatogli dai loro ultimi affari, sedevano intorno a un tavolino vicino alla porta dove la luce li rendeva ancora più vistosi; in fondo alla taverna, intenti a giocare a jabob - una sorta di blackjeck in cui la Casa aveva 52 probabilità su cento di vincere — sedevano cinque membri della razza umanoide indigena di Dabih Minor, dagli enormi occhi distanziati da felini e dalle orecchie quasi inesistenti. Due prostitute provenienti da un’altra parte della casa, si riposavano bevendo birra, e fulminando nel contempo con occhiatacce chiunque le guardasse. Uomini provvisti di denaro e uomini al verde, uomini coperti di squame o di pelo, quelli che al momento erano ricchi e quelli che al momento erano poveri, gremivano il locale.
In quella massa d’umanità e semiumanità fece il suo ingresso Ector Allsworth, un omone calvo e imponente con la pelle coriacea di un grigiore mortale. Era considerato ricco anche secondo gli standard di ricchezza della città. Si guardò intorno per un attimo coi suoi occhi gialli, poi si diresse al bar. Il barista gli indicò un tale che sedeva solo a un tavolino in un angolo buio e appartato. Allsworth lo ringraziò con un cenno e si avvicinò all’uomo.
— È vostro? — chiese lasciando cadere sul tavolo un piccolo biglietto da visita color oro.
L’uomo lo guardò per un momento.
— In cosa posso esservi utile? — chiese Lane sorseggiando il suo cognac del Cigno.
— Signor Lane — disse l’altro — bando alle parole inutili. Io sono Ector Allsworth, del Sindacato Vainmill.
— Mai sentito nominare.
— Non ne dubito. Si tratta di una delle numerose società finanziarie controllate da Ilse Vescott. Vi dice niente questo nome?
— Da come mi guardate si direbbe che dovrei conoscerlo — disse Lane.
— È senza dubbio la donna più ricca di tutto il sistema Deluros.
— È parecchio distante da qui — osservò Lane. — Questo è un mondo di frontiera, signor Allsworth. Dovete scusarci se non siamo al corrente della situazione sociale e finanziaria di Deluros. Devo dire, tuttavia che le vostre credenziali mi hanno molto colpito, quindi ditemi tutto quello che posso fare per voi.
— Fra tutte le imprese filantropiche del Sindacato Vainmill, ci sono anche vari musei e zoo — disse Allsworth. — Mi hanno detto che voi siete uno dei migliori cacciatori della zona, e noi, abbiamo bisogno di un certo numero di esemplari.
— Ma, signor Allsworth — obiettò Lane — dovete sapere che io non fornisco esemplari agli zoo. “Cacciatore” è un termine troppo generico.
— E allora cosa siete?
— Uno che ammazza — specificò Lane bevendo un altro sorso di cognac. — Io uccido per vivere. Il che non mi vieta di lavorare per i vostri musei. Di cosa avete tanto disperatamente bisogno da essere pervenuto fino a Punto Nord?
— Prima di tutto mi occorrono tre dozzine di Vermisciocchi — disse Allsworth.
— Si può combinare. Quanto siete disposto a pagare?
— Cinquemila crediti l’uno.
— Niente da fare — disse Lane. — Da queste parti nessuno ha più fiducia della durata della vostra Democrazia. I crediti non valgono la carta su cui sono stampati.
— E va bene — disse Allsworth. — Dite voi.
— Voglio esser pagato in dollari della nuova serie “Maria Teresa” che sono in corso sul sistema Corvus.
— Il sistema Corvus! — esplose Allsworth. — Quel branco di rivoluzionari pazzi!
— Me ne frego della loro politica — ribatté Lane. — A me interessa solo il loro denaro. Dodicimila dollari per ogni esemplare.
Allsworth pensò un attimo, poi fece un segno d’assenso. — Mi occorrono anche cinque Finti Tuffatori.
— Può volerci anche un anno per trovarli.
— Ventimila dollari l’uno e una gratifica del quaranta per cento se me li procura in quattro mesi.
— Può andare, ma scordatevi della gratifica. Può darsi mi ci voglia più di un anno. Altro?
— Solo un’altra cosa ancora.
— Mi stavo chiedendo dove volevate andare a parare.
— Non capisco.
— Vermisciocchi e Finti Tuffatori non sono cose che si trovano all’angolo della strada, ma neanche poi tanto rare da indurre un uomo come voi a venire fin qua solo per dirmi che ve ne occorre qualche esemplare. Potevamo combinare l’affare per radio. Quindi è evidente che volete qualcos’altro.
— Ho idea che voi avete indovinato di cosa si tratta — disse Allsworth.
— Certo che lo so — rispose Lane irritato. — È l’unico motivo che vi ha spinto a venir fin qui a cercarmi. Voi volete che dia la caccia alla Bestia dei Sogni.
Allsworth annuì — Vi pagheremo qualsiasi somma, purché nei limiti del ragionevole, ovviamente.
— Non c’è niente di ragionevole in tutto questo. In primo luogo ci sono venti probabilità contro una che la Bestia sia solo un mito, una favola inventata da qualche spaziale impazzito per la noia, che ha cominciato a prendere per veri i suoi incubi. In secondo luogo, se realmente esiste, è l’unico essere vivente che vive nello spazio e si nutre di energia. E se voi conoscete il modo di ammazzare un essere che mangia energia, vi sarei davvero riconoscente se me lo diceste.
— Tutto quello che posso dirvi è quanto siamo disposti a pagarvi.
— Non mi interessa. È solo una favola inventata per spaventare i bambini. Anche il suo nome è pazzesco. Sentite, noi viviamo in un universo sessuato. Se esiste una Bestia dei Sogni, ne dovono esistere anche altre: un genitore, un figlio, un essere da cui ha avuto origine. E invece non esiste niente di questo genere.
— Ma qualcuno l’ha vista.
— Balle.
— Posso darvi le coordinate del posto dove la Bestia è stata avvistata non più tardi di cinque giorni fa — insisté Allsworth.
— No — lo corresse Lane — quelle che potete fornirmi sono le coordinate di qualche spaziale svitato che ha ancora più fantasia degli altri.
— Cosa ne direste di dieci milioni, in crediti o qualsiasi altra valuta che preferite?
— Un bel mucchio di grana — commentò Lane. — Perché non li offrite a qualcuno che si divertirebbe a passare il resto della vita a inseguire un sogno?
— Questa è la vostra risposta? — chiese Allsworth.
— Naturalmente.
— E se vi pagassi le spese mentre voi le date la caccia dopo avermi procurato gli altri animali?
— Neanche parlarne — rispose Lane alzandosi. — Vi avviserò appena avrò i Vermisciocchi per farvi sapere dove li ho lasciati. Suppongo che se lascerò un messaggio al Vainmill ve lo trasmetteranno.
— Non volete ripensarci? — insisté ancora Allsworth alzandosi a sua volta.
Lane scrollò la testa. — Provate a chiederlo a qualche cacciatore più ambizioso e meno intelligente di me. — Strinse la mano a Allsworth e uscì nella via polverosa. Soffiava il vento dall’ovest e durante il breve percorso fino al fabbricato che gli serviva da hangar e da ufficio, dovette calarsi la maschera sulla faccia per proteggere gli occhi dalla sabbia e dalla polvere.
Appena arrivato, aprì la porta e andò direttamente alla vecchia scrivania incassata in un angolo del locale. Il ripiano era coperto di scartoffie, in massima parte ordinazioni, alcune recenti, altre che risalivano fino a cinque o sei anni prima. Aggiunse al mucchio la richiesta di Allswort, poi accese la pipa e si accomodò in un seggiolone, circondato dai ricordi di venticinque anni di caccia a creature esotiche su mondi ancora più esotici.
Dopo aver sonnecchiato per qualche minuto si svegliò di colpo tossendo per il fumo. Spense la pipa, la ripulì e, dopo essersi versato un bicchierino di brandy Alphard, andò a sedersi alla scrivania con la penna in mano.
La Deathmaker era stata completamente smontata, i motori messi a punto, lo scafo riparato e rinforzato, la pila nucleare sostituita, ma prima di partire per la prossima spedizione avrebbe dovuto riequipaggiarla da cima a fondo. Diede un’occhiata a qualche ordinazione e cominciò a calcolare le cose di cui aveva bisogno: un cannone laser, due vibratori, un implosore molecolare (posto che riuscisse a trovarlo a Punto Nord), e poi le solite armi a mano: la vecchia pistola a laser, lo stridente a onde sonore, il narcotizzante.
Controllò sui manuali i vari sistemi adatti per l’imbalsamazione dei diversi animali che doveva uccidere, controllò se disponeva del materiale necessario, calcolò di quanti viveri e aria avesse bisogno e ne triplicò il risultato, quindi si segnò quali carte stellari doveva incorporare nel sistema cartografico tridimensionale della nave.
Fatto questo, esaminò i dati relativi ai pianeti su cui si sarebbe fermato durante il percorso — tre con atmosfera dotata di ossigeno, due con prevalenza di cloro, una di metano, due all’ammoniaca, e uno di cui si ignoravano le componenti, e calcolò la quantità e la resistenza delle tute e dei sistemi di protezione che gli occorrevano. Prese anche un appunto per ricordarsi di controllare la camera di decontaminazione e uno dei portelli stagni che non aveva funzionato alla perfezione verso la fine dell’ultima caccia.
Riesaminando a fondo le operazioni calcolò che disponeva di una capacità di carico per una caccia di cinque mesi, forse anche sei, se avesse incontrato difficoltà coi Gufidiavoli.
Passò poi all’equipaggio. Come conciapelle i migliori erano i Dabihs, per cui decise di ingaggiarne un paio. Pensò di prendere anche un essere che respirava cloro, ma decise che gli ci sarebbe voluto troppo tempo per andarlo a cercare su Asterion VIII, il mondo più vicino dove vivevano esseri intelligenti in grado di respirare un’atmosfera satura di eloro. E, come sempre, rinunciò all’idea di ingaggiarne uno che respirava metano, non solo perché erano rari, ma perché avevano la tendenza a frantumarsi come vetro se non erano completamente isolati dai rumori.
Restava Lord Gran Mufti, più mascotte che membro dell’equipaggio, più giullare di corte che navigatore spaziale, forse malato di mente, posto che ne avesse una, e sicuramente un grosso rischio durante le fasi di una caccia. Eppure lui si sarebbe sentito in certo qual modo incompleto senza il Mufti, così calcolò di quali viveri aveva bisogno — insetti vivi e rettili morti — e prese anche un appunto per ricordarsi di somministrargli un po’ di tranquillante prima della partenza.
Calcolò di partire dopo cinque giorni, così avrebbe avuto tutto il tempo di assumere l’equipaggio, equipaggiare la nave e godersi per un’ultima volta tutti i piaceri che offriva il Tchaka: gli alcolici e il resto…