20

Passarono parecchi minuti prima che Lane si rendesse pienamente conto di quello che aveva fatto, e molte ore prima che Vostuvian tornasse completamente in sé.

— Ha cambiato direzione — disse Lane al Dorne quando s’accorse che era in grado di capirlo. — Si dirige verso il nucleo.

— Lo sapevo — mormorò l’altro, — che non l’avresti uccisa.

— Ho sparato, ma era fuori portata.

— Fuori portata? — ripeté Vostuvian con voce appena percettibile. — Lane, era a meno di ventimila chilometri!

— Tu mi hai distratto — lo rimbeccò Lane. — Mi stavo concentrando quando ti sei buttato sull’arma. Fino a quel momento ero perfettamente padrone di me stesso.

— Non lo eri — affermò Vostuvian sempre imperturbabile.

— Sì, invece! — urlò Lane. — Stavo per ucciderla. Avrei sparato in quel momento se tu non avessi rovinato tutto.

— Non è vero, Lane. Non hai ancora capito che tu non la puoi distruggere?

— Io invece sono convinto che non riuscirò a farlo con te a bordo — ribatté Lane. — Adesso taci e lasciami in pace.

Rilevò i dati sugli strumenti: la creatura li precedeva di circa duecentomila chilometri, e filava di nuova alla velocità della luce. Dopo un’ora, Lane cedette i comandi al Dorne e andò in cambusa a mangiare un boccone.

Guardò a lungo le sue riserve di viveri concentrati, e alla fine decise che non aveva alcuna voglia di mangiare, così sedette alla tavola della mensa, immobile, con gli occhi fissi sulla paratia di fronte.

Quanto di quello che aveva detto al Dorne era vero e quanto frutto di un suo desiderio? Non voleva analizzare a fondo la questione, ma sapeva di doverlo fare per sapere come si sarebbe comportato la prossima volta che la creatura sarebbe stata alla sua portata. Quale arma avrebbe usato?

Così pensando, trasferì la sua ira dal Dorne alla creatura. Era stata lei a offuscargli la mente e i sensi, non Vostuvian. Era stata lei a costringerlo a sparare con il vibratore e non con l’arma a entropia, a indurlo ad aspettare troppo a lungo prima di servirsene, a trasformarlo in una cosa oscena con desideri inimmaginabili. Vostuvian non compariva nei suoi incubi, nei suoi sogni a occhi aperti, nelle sue fantasie: la creatura sì.

L’aveva avuta a portata di mano e l’aveva lasciata scappare. Aveva preso tutto quello che aveva da dargli, e lui l’aveva mancata solo per pochi secondi. Adesso sapeva cosa poteva e non poteva fargli, e quello che poteva e non fare lui. La prossima volta sarebbe stato pronto, non avrebbe esitato, avrebbe colto l’occasione di colpirla, se fosse stato il caso di doverlo fare.

La prossima volta…

Ma la prossima volta non si verificò così presto come lui aveva sperato. Il folle volo continuò per giorni che divennero settimane e mesi, che li portarono dal bordo della galassia al Greenwich galattico. Si erano lasciati alle spalle la Frontiera Esterna, e ben presto oltrepassarono l’area dominata dalla Democrazia e si trovarono alla Frontiera Interna. L’uomo non aveva costruito il suo impero iniziando dal nucleo, ma dalla Terra e da Deluros VIII, e da una mezza dozzina di altri grandi pianeti espandendosi in cerchi enormi, sempre più ampi.

Inoltre non si era stabilito né sul bordo né verso il centro geocentrico al di fuori di Punto Nord e di pochi altri mondi periferici della civiltà umana.

Continuavano a volare oltrepassando milioni di mondi inesplorati fino a raggiungere una zona non solo inesplorata, ma neppure segnata sulle mappe.

— Se non si decide a rallentare — disse per la millesima volta Lane, che cercava di allettare la creatura azionando a tratti il vibratore. — Se non rallenta gli sparo lo stesso con l’arma a entropia. Forse avremo fortuna…

Il Dorne non ebbe il tempo di rispondere perché, con loro enorme sorpresa, in quello stesso istante la nave ricevette un segnale radio, il primo dopo molti anni.

— Ripetiamo: Mayday — disse una voce umana fioca ma riconoscibile nonostante le forti scariche di energia statica. — Ripetiamo: Mayday. Urgono soccorsi.

Lane accese la trasmittente.

— Qui Deathmaker al comando di Nicobar Lane, quarantacinque mesi da Belore.

— Dio ti ringrazio! — disse la voce.

— Qui Jonas Stonemason comandante della Rachel. Abbiamo esaurito l’energia e abbiamo acqua e aria appena sufficienti per due giorni.

— Cosa diavolo ci fate da queste parti? — chiese Lane.

— È una nave di coloni — spiegò Stonemason. — Stavamo andando alla ricerca di un pianeta agricolo sulla Frontiera Interna quando ci è venuta completamente a mancare l’energia. Viaggiavamo a circa metà velocità dalla luce quando è successo e l’inerzia ci ha portato fin qui. Siamo riusciti a riparare la radio quattro giorni fa. Ci aiuterete?

— Non posso — rispose Lane. — Ho affari urgenti altrove.

— Maledizione! — gridò l’altro. — A bordo ci sono più di seicento fra donne e bambini. Abbiamo localizzato la vostra posizione dal segnale e calcoliamo che ci incontreremo a meno di mezzo milione di chilometri, fra circa cinque ore.

Lane spense la radio e controllò il pannello degli strumenti. La creatura proseguiva nel suo volo mantenendo sempre la stessa distanza e se lui avesse rallentato — non parliamo poi di fermarsi a soccorrere la nave in avaria — avrebbe dovuto rinunciare forse per sempre alla caccia.

Riaccese la radio. — Rachel? Qui la Deathmaker. La mia nave è piccola, troppo piccola per esservi di qualsiasi aiuto. Passerò parola e darò le vostre coordinate a tutte le navi che incontrerò.

— Maledizione, Lane! — tuonò Stonemason. — State condannando a morte più di mille coloni!

— Non ci posso far niente — rispose Lane. — Dovete credermi se vi dico che mi dispiace molto e che vi aiuterei se potessi.

— Non c’è niente di più importante che salvare la vita dei vostri simili — disse Stonemason. — Vi prego, Lane, aiutateci.

— Non posso — ripete Lane cercando di non pensare a mille cadaveri con la lingua nera e gonfia e gli occhi fuori dalle orbite.

Senti un trapestio, poi una voce femminile, stridula e rotta dai singhiozzi disse: — Signor Lane. Non parlo solo per me e le mie due bambine, ma per tutti noi. Cos’è più importante che compiere un atto di misericordia?

— Non capite. Credetemi, se potessi vi aiuterei.

— Signor Lane, vi supplico, per favore…

Lane girò l’interruttore e chiuse la comunicazione.

Poi passò i comandi a Vostuvian e andò a sdraiarsi sulla cuccetta con le mani dietro la testa. Avrebbe dovuto aiutare la Rachel a cavarsi d’impaccio, o, se non altro, avrebbe dovuto sentirsi colpevole. Invece no. Tutto quel che provava era un ardente desiderio di rimettersi in contatto con la creatura.

E ad un tratto, mentre pensava a tutti quei poveri coloni condannati, e ai membri della Colonia Roanoke, e ai minatori sul Bastione, e al Marinaio, e a quegli eterni anni nello spazio, e all’arma a entropia che sparava solo quando era troppo tardi, seppe come si chiamava la creatura. Non Bestia dei Sogni, o straigor o Spazzastelle, o Mortifero né una qualsiasi delle altre etichette che le avevano attribuito, ma il suo vero nome, l’unico che le si adattava. E in quello stesso istante Nicobar tornò a giurare a se stesso che avrebbe ucciso il Mangiatore d’Anime.

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