I Vermisciocchi ridacchiarono, ciangottarono e squittirono per tutto il tragitto fino a Kakkab Kastu IV, il gigantesco centro dove si svolgeva la maggior parte dei commerci in quella sezione della galassia. I vermi, lunghi in media quattro metri e dotati di veleno paralizzante — tanto che Lane non riusciva a capire come mai non li avessero classificati come serpenti velenosi — davano l’impressione di non sapere quando erano morti. Se li colpiva col laser o con un gas tossico, si comportavano come qualsiasi altro animale defunto; ma se li si uccideva con un’arma ultrasonica, si risvegliavano nei loro organismi delle vibrazioni che li facevano ridacchiare per mesi e perfino per anni come matti, nonostante fossero morti a tutti gli effetti.
Da quel riso insensato derivava il nome di Vermisciocchi, e a causa di quel comportamento Lane fu ben lieto di liberarsene consegnandoli ai funzionali dello spazioporto con l’incarico di spedirli agli acquirenti. Poi uscì per andare a cena, lasciando il Mufti che chiacchierava tutto giulivo da solo sul soffitto della stanza d’albergo.
Lane rimase su quel pianeta per quattro giorni, il tempo necessario perché gli arrivasse il denaro dai clienti a cui aveva procurato i vermi, poi fece i preparativi per andare alla caccia dei Finti Tuffatori nel sistema Pinnipes. Aggiunse all’equipaggio un Fiutabranchie, perché i Finti Tuffatori vivevano per lo più sotto quella che su Pinnipes II passava per acqua, poiché ne avrebbe avuto bisogno per snidarli. I Fiutabranchie erano rari e costosi, perché non è facile trovare un animale capace di sopravvivere a un volo spaziale e fiutare una pista sott’acqua e altri liquidi, e come se questo non bastasse, addomesticarlo e istruirlo, ma Lane sapeva dove cercarlo e quanto sarebbe costato, così non ci mise molto a trovarne uno.
Poi ebbe inizio l’interminabile viaggio verso Pinnipes. Pensò di sdraiarsi nella cuccetta di ibernazione per dormire quaranta o cinquanta giorni, ma scartò l’idea perché non avrebbe potuto sorvegliare i Dabhis e il Mufti che avevano già guardato più volte il Fiutabranchie con occhi avidi, e quella bestia gli era costata troppo per rischiare di perderla prima della fine della caccia. Così rimase sveglio, mangiò, dormì, ascoltò radio e registrazioni, fece ginnastica e si dedicò a tutti quegli altri riti che aveva escogitato in venticinque anni di una professione in cui si alternavano periodi di inerzia ad altri di frenetica attività. Quando la noia finiva col sopraffarlo, infilava la tuta spaziale e faceva una passeggiata intorno alla Deathmaker o si lasciava rimorchiare nel vuoto dalla nave.
E si trovava proprio nel vuoto il giorno che avvistò la boa di avvertimento, un enorme bagliore rosso a circa mezzo miliardo di chilometri dal sistema Pinnipes.
Rientrò immediatamente a bordo e si avviò al pannello radio. Non essendo riuscito a captare nessuna segnalazione di soccorso, passò alla trasmittente.
— Qui la Deathmaker, cinquanta giorni di tempo standard galattico da Kakkab Kastù IV, diretta a Pinnipes II, al comando di Nicobar Lane. Cosa sta succedendo?
Seguì una pausa di circa cinque minuti, e poi, fra il crepitio della statica, una voce rispose: — Vi sentiamo, Deathmaker. Il sistema Pinnipes è off limits perché è stato scoperto un buco nero nella zona della binaria. Tutto il traffico diretto a Pinnipes è invitato a rientrare urgentemente alla base.
— Maledizione — borbottò Lane — Ci mancava anche questo. — Segnò il nuovo buco nero nel sistema cartografico, quindi inserì nel computer i dati per una rotta che l’avrebbe portato a Pinnipes II evitando la tremenda attrazione del buco nero. Il computer gli fornì tre rotte: una era troppo pericolosa, ma le altre due parevano abbastanza sicure.
— Qui la Deathmaker - disse al microfono. — Proseguo per Pinnipes II alla ricerca di Finti Tuffatori, per i quali ho la licenza di caccia. Penso di restarci un paio di mesi circa, dopo di che mi metterò di nuovo in contatto radio.
Chiuse la comunicazione e inserì la rotta che aveva scelto nel computer navigazionale. Non ne poteva più di quei buchi neri che spuntavano qua e là come funghi con sempre maggiore frequenza. Un tempo erano solo una teoria, poi un fenomeno raro, mentre al momento ne erano stati scoperti più di centomila nella galassia, e si calcolava che nell’universo ce ne fossero miliardi di miliardi. I buchi neri erano stelle che si erano contratte, enormi giganti che avevano creato campi gravitazionali di tale enorme potenza che non si fermavano neppure allo stadio di stella di neutroni ma continuavano a contrarsi su se stesse fino a infrangere le leggi dell’universo normale. Nessun barlume di luce poteva uscire da un buco nero, che era capace di ingoiare pianeti grandi milioni di volte più di esso. Secondo una teoria corrente, l’uomo sarebbe riuscito a sopravvivere all’interno di quel tratto di spazio da dove la luce non poteva uscire e dove tempo e spazio erano completamente privi di significato. Alcuni teorici avanzavano anche l’ipotesi dell’esistenza di buchi bianchi, connessi in certo qual modo coi neri, in cui tutto ciò che questi ingoiavano riappariva altrove formando nuove stelle, ma finora non ne era stato scoperto nessuno, e, per la verità, questa teoria trovava scarso accredito.
Comunque, tutte quelle teorie non interessavano Lane, che si preoccupava solo di evitarli e, per la precisione, in quella circostanza si preoccupava di evitare quelle del diametro di trentotto chilometri all’estremità del sistema Pinnipes.
Le manovre di avvicinamento durarono un giorno intero, e quando entrò in un’orbita ellittica intorno a Pinnipes II si mise subito alla ricerca delle isole che punteggiavano il liquido sporco dove si sarebbe svolta la caccia, per trovarne una che gli offrisse il miglior ricovero, il più sicuro atterraggio e la minor probabilità di essere travolto dalle onde di marea che spazzavano regolarmente il pianeta sommergendo le terre emerse fino all’altezza di un chilometro.
Aveva trovato il posto giusto e stava per iniziare la discesa quando si accorse di non essere più solo.
C’era qualcuno, a una distanza di circa 150.000 chilometri e al di sopra di lui, nell’orbita di Pinnipes II. Dai dati non risultava essere una nave ma nella galassia convivevano molte razze e non tutte usavano quei tipi di materiale che i suoi sensori erano in grado di rilevare.
Accese la radio. — Qui la Deathmaker, luogo d’origine Punto Nord, razza umana. Chi siete? Fatevi riconoscere.
Ripeté il segnale a intervalli regolari ma non ottenne alcuna risposta. A dire il vero non se l’era aspettata, tuttavia rimase deluso perché ciò significava che avrebbe dovuto rinviare per qualche tempo la caccia. Se non fosse sempre stato prudente non sarebbe sopravvissuto così a lungo, e non aveva alcuna intenzione di arenarsi sul pianeta finché non avesse scoperto l’identità e le intenzioni di quella che sapeva essere una nave aliena.
Uscì dalla sua orbita e cominciò ad avvicinarsi lentamente alla nave, che da parte sua prese a ritirarsi senza fretta. Allora Lane accelerò e disattivò i congegni di sicurezza del cannone laser.
La nave aliena continuava a ritirarsi in direzione della stella, e Lane cominciò a preoccuparsi. Se quella non cambiava rotta nel giro di un paio d’ore si sarebbe avvicinata troppo alla stella e lui non avrebbe più potuto inseguirla.
L’inevitabile conclusione sarebbe stata che la nave aliena era impenetrabile al calore e ai raggi della stella, e di conseguenza la Deathmaker si sarebbe trovata in condizioni d’inferiorità.
La seguì ancora per un’ora, e quando fu certo che continuava a dirigersi verso il sole di Pinnipes senza dar segno di cambiare rotta, prese l’iniziativa accelerando ancora e cambiando rotta in modo da portarsi al di sopra del piano dell’ellittica.
Non sapeva se la nave aliena sarebbe passata sopra, sotto o di fianco alla stella, ma per lo meno lui avrebbe potuto tenerla d’occhio da una posizione più vantaggiosa.
Tentò anche un’analisi spettroscopica della nave, ma senza ottenere alcun risultato. C’era da impazzire. I sensori rivelavano che stava inseguendo un oggetto concreto, ma né essi né gli altri strumenti di bordo erano in grado di fornirgli la minima informazione utile.
— Deathmaker - disse una voce alterata dalla statica. — Abbiamo captato i vostri segnali. Cosa state cercando di fare? Non abbiamo localizzato nessuna altra nave nella vostra zona.
— Eppure c’è qualcosa — ribatté Lane. — La sto inseguendo e vi prego di farmi il favore di chiudere la trasmissione, altrimenti quello si crederà circondato e cercherà di usare le armi per difendersi.
Spense di nuovo la radio e tornò al pannello dei sensori cercando di nuovo di determinare per mezzo dei test fondamentali che conosceva l’esatta natura dell’oggetto che stava inseguendo. Ma come prima, non venne a capo di niente.
Quand’ebbe raggiunto la posizione che riteneva vantaggiosa al di sopra e parecchio oltre Pinnipes, chiese al computer i dati relativi alla nave aliena. Risultò che sarebbe passata sotto la stella e lui si inserì rapidamente su una rotta di intercettamento. Poi, quando la Deathmaker ebbe raggiunto il punto prestabilito, tornò a sedersi con la mano sul meccanismo che avrebbe messo in funzione il cannone laser, e aspettò paziente che la nave aliena comparisse.
Gli ci volle quasi un’ora per capire che l’altro lo aveva preceduto e — fatto non rilevabile dai suoi sensori perché fra le due navi era interposta la stella — aveva cambiato rotta e stava dirigendosi a velocità sostenuta verso il buco nero.
Lane allora cambiò rotta in modo da avvicinarsi il più possibile, senza alcun pericolo al buco nero.
Quando arrivò nel punto prestabilito, non riuscì a vederlo, cosa di cui non si sorprese molto, ma i suoi strumenti lo rilevarono grazie alla presenza di un campo ipergravitazionale circondato a sua volta da un piccolo quantitativo di gas e detriti che gli orbitavano intorno.
— Continuiamo a non rilevare altre presenze, Deathmaker - disse la voce alla radio. — Siete sicuri di non inseguire qualche riflesso?
— Quando mai avete sentito che esiste qualcosa capace di produrre un simile riflesso nello spazio? — ribatté lui disgustato. — E inoltre sta dirigendosi dritto nel buco nero. Adesso vi darò le sue coordinate così forse mi lascerete in pace.
— In base alle coordinate che ci avete fornito — disse dopo cinque minuti la voce — abbiamo proiettato la sua rotta, nella presunzione che esista realmente. Però i nostri strumenti non rivelano alcun oggetto in quella zona.
— E allora procuratevene di migliori — sbottò Lane — perché in questo momento si trova a meno di un milione di chilometri dal buco.
Pareva che la nave aliena non si rendesse conto di essere in rotta di collisione — o meglio, di assorbimento, si corresse Lane — col buco nero. Ma ormai non importava più, perché a quella distanza non gli sarebbe sfuggita neanche Pinnipes.
Ma poi successe una cosa strana. Via via che si avvicinava al bordo, o orizzonte apparente, del buco nero la nave aliena avrebbe dovuto accelerare sempre più, invece la sua velocità rimaneva costante. Quando si trovò a circa cinquecentomila chilometri dal buco, deviò evitandolo.
— Dovete esservi sbagliati — disse Lane riaccendendo la radio — Quello non può essere un buco nero.
— Perché no? — chiese dopo il solito intervallo la voce.
— Perché quella nave è appena sfuggita al suo campo gravitazionale — e spiegò quello che era successo.
— Quello è un buco nero, la cosa è fuori discussione. È stato scoperto, esaminato, segnato sulle carte e sui manuali. Dal momento che i nostri strumenti non rilevano quella fantomatica nave, siamo costretti a concludere che i vostri sensori si sono sbagliati.
Lane troncò la comunicazione, scese nella stiva a prendere una piccola sonda, la collegò a un razzo a lunga durata e lanciò il tutto in direzione del buco nero. Seguì con gli strumenti la sua traiettoria e nel contempo osservò sullo schermo la luce del razzo, e la vide sparire nell’istante in cui arrivò sul bordo del buco, mentre anche gli strumenti ne segnalavano la scomparsa.
Questo, se non altro, dimostrava che il buco nero esisteva realmente, non solo, ma che la nave aliena aveva infranto tutte le leggi naturali che lui conosceva.
Tornò ad accendere la radio. — Esiste qualcosa che sia immune al campo gravitazionale di un buco nero?
— No — rispose la solita voce. — Neppure la luce riesce a sfuggirgli.
— Non intendevo questo. Esiste qualcosa che è immune all’attrazione gravitazionale di un buco nero, prima di entrarci?
— Non certo un oggetto solido — fu la risposta. — Forse i raggi X o qualche forma di energia, ma ne dubito.
— Avete mai saputo che esistano navi fatte di energia… magari un’energia esotica, nello spettro dell’infrarosso?
— No. Se fossi in voi controllerei se non ci sia un guasto nel computer.
— Funziona tutto alla perfezione — ribatté Lane. — Ho appena lanciato una sonda verso il buco e ne ho seguito centimetro per centimetro la traiettoria.
— Be’, Deathmaker, non saprei cos’altro dire.
— Io sì, invece, ho molto da dire. Ho l’impressione di aver incontrato la Bestia dei Sogni.
— Al diavolo! — esclamò disgustata la voce. — Un altro matto! Sentite, Deathmaker, non spargete voci assurde su questa faccenda. Se c’è una cosa di cui proprio non abbiamo bisogno sono un branco di imbecilli cacciatori di trofei che cadono in quel buco nero.
— Non preoccupatevi — disse Lane. — A me la Bestia dei Sogni, se poi era lei, non interessa per niente. Sono qui per catturare i Finti Tuffatori, e adesso che quella cosa, è sparita, torno su Pinnipes II.
Dopo meno di quindici ore camminava sul fondo melmoso dell’oceano di Pinnipes II, col segnalatore sonar del Fiutabranchie in una mano e la pistola nell’altra.
Aveva relegato il ricordo della recente avventura in quel recesso della mente riservato alle cose senza importanza che si ripescano solo per raccontarle davanti a un boccale al Tchaka.