Belore era un mondo sporco, arido e polveroso. Qua e là si poteva trovare un po’ d’acqua, ma in quantità appena sufficiente per sopravvivere. Un tempo ce n’era molta di più, a quell’epoca esistevano città ricche di fiorenti commerci e le fertili pianure erano intersecate da strade molto frequentate da gente felice e piena di speranza. Adesso le città dei Dorne erano ridotte a cumuli di rovine, i commerci erano un ricordo lontano, e la popolazione indigena un miserevole resto di quella che un tempo era stata una razza forte e vigorosa.
Lane attraversò un campo inaridito dirigendosi verso una fila di catapecchie di fango, in cui abitavano i Dorne superstiti. I Terrestri avevano costruito in un altro punto del pianeta un ricco centro commerciale, ma i Dorne vivevano appartati, evitando i rapporti con le altre razze.
In una parola, vegetavano in attesa di estinguersi.
Lane vide per la prima volta un Dorne mentre raggiungeva la catapecchia più vicina. Era un maschio, umanoide, alto due metri, incredibilmente scarno, calvo, con due occhi enormi e sporgenti e larghe narici. Le mani erano fomite di quattro dita, e poiché i gomiti erano molto vicini alle spalle e le ginocchia alle caviglie pareva un attaccapanni.
— Potete dirmi dove posso trovare Vostuvian? — gli chiese Lane.
Il Dorne lo fissò silenzioso.
Lane ripeté la domanda in Terrestre, poi provò col Galattico, il Canphoriano, due dialetti terrazani, e un gergo umanoide che aveva imparato nei porti di frontiera. Ma il Dorne non cambiò mai espressione.
— Vostuvian — insisté Lane cominciando a impazientirsi.
Nessuna risposta.
Stava per rinunciare deciso a chiedere di catapecchia in catapecchia finché non avesse trovato il Dorne che rispondeva a quel nome, quando sentì un bisbiglio alle sue spalle. — Sono io Vostuvian.
Si voltò e si trovò davanti un altro Dorne, molto somigliante all’altro, e vestito di stracci come quello.
— Parlate Terrestre?
— Quando ci sono costretto — rispose Vostuvian — Preferirei evitarlo, ma immagino che voi non conosciate la mia lingua.
— Infatti.
Vostuvian fece una piccola smorfia e l’altro Dorne si allontanò lasciandolo solo con Lane.
— Chi siete? — chiese Vostuvian con quel bisbiglio che doveva essere il normale tono di voce dei Dorne. La cosa pareva inspiegabile a Lane, in quanto i Dorne non avevano orecchie, ma solo piccolissimi buchi ai lati della testa. — Perché conoscete il mio nome e cosa avete a che fare coi Dorne?
Lane si tolse di tasca il biglietto di Ondine e lo porse a Vostuvian che, dopo averlo scorso rapidamente, lo buttò a terra dove la brezza calda lo soffiò via.
— Perché vi interessa lo straigor?
— Cos’è lo straigor, è il vostro modo di chiamare la Bestia dei Sogni?
— No — precisò Vostuvian, — Bestia dei Sogni è il modo con cui voi chiamate lo straigor. Tuttavia, per gentilezza nei vostri riguardi lo chiamerò col nome che gli date voi. Ma non avete ancora risposto alla mia domanda.
— Sono un cacciatore — spiegò Lane, — e voglio saperne di più sul suo conto.
— Arrivate troppo tardi. L’ultima Bestia dei Sogni è stata uccisa dai miei antenati miliardi di anni fa.
— Non è vero. Io ne ho visto uno non più tardi di sei mesi fa.
— Impossibile — disse Vostuvian. — Descrivetelo.
Lane lo accontentò e quando ebbe terminato guardò Vostuvian per vedere la sua reazione. Ma il Dorne non aveva cambiato espressione. — Era una Bestia dei Sogni — confermò, e si mise a sedere per terra, imitato da Lane. — Adesso sorge il dilemma: quale di voi due mi ripugna meno aiutare? Voi, agendo, o la Bestia dei Sogni non aiutandovi? — Chiuse gli occhi e rimase immobile senza nemmeno respirare per tre minuti buoni. Alla fine chiese a Lane: — Cosa volete sapere?
— Come posso uccidere la Bestia dei Sogni senza morire anch’io?
— La mia razza si trovò un tempo di fronte allo stesso problema — rispose Vostuvian. — Agli inizi non riuscirono a eliminare con alcun mezzo la Bestia dei Sogni. Poi, quando imparammo a conoscerla meglio, fabbricammo un’arma che le uccideva, ma morivamo anche noi. Alla fine, però, perfezionammo l’arma al punto che li uccideva così rapidamente che non avevano il tempo di trasmetterci le loro sensazioni.
— Come funzionava quell’arma?
— Quando fu perfezionata era la prima, e credo unica, applicazione del principio di entropia.
— Potete spiegarvi meglio?
— La Bestia dei Sogni è un organismo fatto di energia. La nostra arma diluiva quell’energia, assorbendola e disperdendola, finché, private della loro energia, quelle creature erano degradate al più basso livello energetico dell’universo.
— Tutto qui?
— Tutto qui — confermò Vostuvian sempre impassibile.
— Immagino che non abbiate nessuna di quelle armi.
Vostuvian indicò la misera fila di catapecchie: — Cosa ne pensate?
— Qualche Dorne conosce ancora i princìpi su cui si basava quell’arma?
— Sì.
— Voi?
— Sì.
— Perché non l’avete costruita?
— A che scopo? — ribatté Vostuvian, — Fra un secolo la mia razza sarà comunque estinta.
Lane si grattò la testa sforzandosi di capire la mentalità di una razza che conosceva il segreto di un’arma certamente in grado di scacciare da Belore qualsiasi invasore e invece preferiva vivere nella sporcizia e nello squallore.
— Se vi fornissi il materiale potreste costruirmene un esemplare?
— Sì.
— Cosa vi occorre?
Vostuvian gli elencò tutto quello di cui aveva bisogno.
— Troppo costoso — obiettò Lane — e poi ci vorrebbe troppo tempo per mettere a punto tutte le parti. Meglio continuare a tentare col vibratore.
— Che cos’è il vibratore?
Lane gli spiegò i princìpi dell’arma. — Anche nello spazio ha una portata effettiva di quasi ventimila chilometri e forse anche di più, e colpisce con l’impatto di un enorme maglio.
— Non si può uccidere una Bestia dei Sogni col vibratore — replicò senza cambiar tono Vostuvian.
— Ne ho già distrutta qualche piccola parte — asserì Lane.
— Impossibile.
— È vero. L’ho sentito.
— Cosa vi fa pensare che la Bestia dei Sogni abbia percezioni sensorie uguali alle vostre? — obiettò il Dorne.
— Di cosa state parlando?
— Quel che a voi può sembrare freddo o bagnato o non produrre alcuna sensazione può sembrare caldo o morbido a una creatura di natura tanto diversa come la Bestia dei Sogni. La vostra fame potrebbe essere per lei nausea, la vostra agonia esuberanza.
— È solo un’ipotesi, anche se interessante. Io so quel che provai.
— Non è un’ipotesi — insisté il Dorne, — ma un fatto. Voi non sapete neppure cosa provaste. — Fece una breve pausa. — Le Bestie dei Sogni — continuò poi, — non sono più dense della nube di polvere che fornisce loro il nutrimento. Si avvicinano solo raramente ai pianeti. Non possono procurarci danni fisici. Perché credete che noi Dorne decidemmo di condurre contro di loro una guerra di sterminio?
— Non ne ho idea.
— Perché, uccisore di animali, il male fisico è il minore che un essere senziente può sopportare; noi reagiamo molto di più agli stimoli mentali ed emotivi. Le prime armi dei Dorne non erano dissimili dai vostri vibratori, e le reazioni di quelle creature simili, se non identiche, a quelle dell’essere da voi incontrato. Noi pure eravamo convinti di condividere i prodromi dell’agonia di quelle creature.
Vostuvian chiuse ancora una volta gli occhi restando immobile salvo che per un tremito di un dito del piede. Poi, come se niente fosse, si rilassò, riaprì gli occhi, e continuò a parlare.
— Finimmo con l’assuefarci a quella che consideravamo una premonizione di morte. Pur procurandoci violenti shock incrementava il desiderio di altri incontri. Tutta la nostra civiltà cominciò a svilupparsi e a trasformarsi in adorazione della morte e disprezzo per la vita, perché nulla ci aveva mai influenzato così profondamente come le sensazioni di morte emesse da quelle creature. Poi, millenni più tardi, inventammo la prima e ancora imperfetta arma basata sul principio dell’entropia, che riuscì effettivamente a ucciderle, ma che uccise anche noi. Non c’era alcuna affinità fra quello che avevamo sentito prima e quello che sentivamo adesso e fu allora che ci rendemmo conto come le armi di cui disponevamo prima non avevano prodotto il minimo danno.
— E allora che effetto avevano avuto? — chiese Lane sentendosi stringere il cuore.
— Piacere — rispose Vostuvian. — Avevano procurato loro un incommensurabile piacere e, di conseguenza anche noi avevamo provato le stesse sensazioni. Pensandoci poi, avremmo dovuto capirlo. Non v’è gioia né piacere nella morte, che è la fine di tutto; ma noi non avevamo mai provato le emozioni di un’altra razza e avevamo scambiato l’estasi per angoscia e la sensualità per dolore. Capite?
— Sì — rispose Lane, e nello stesso momento capì qual era la risposta alla domanda di Ondine Gillian a proposito del fatto che aveva incontrato tre volte la Besita dei Sogni. Era stata la Bestia a cercarlo e trovarlo, non il contrario.
Rimase a lungo a fissare il vuoto, cercando di riordinare i suoi pensieri e di analizzare le emozioni. Ammettere che la morte gli aveva procurato una sorta di perversa emozione era già stato abbastanza difficile anche se ne aveva fatto la sua ragione di vita dedicandosi alla caccia, ma questo era qualcosa di diverso, qualcosa che non riusciva ancora a capire. E d’un tratto si sentì travolgere dall’ira, sentendosi in certo qual modo violentato, sopraffatto da qualcosa che gli era estraneo e ripugnava alla sua vera natura. E provò invece affinità per Vostuvian, ora che sapeva perché i Dorne erano diventati nemici mortali delle Bestie, e seppe anche che l’unico superstite di quella razza era diventato il suo nemico mortale.
— Ci vorranno circa due anni — disse ad alta voce.
— Mi manderete il materiale per costruire l’arma — disse Vostuvian, e la sua era un’affermazione, non una domanda.
— Sì. Quanto vi dovrò dare per il vostro lavoro?
— Niente. La morte della Bestia dei Sogni sarà una ricompensa sufficiente. Verrò con voi.
— Neanche parlarne.
— Come farete a trovarla? — domandò Vostuvian.
— Non ce ne sarà bisogno — rispose Lane reprimendo un brivido. — Sarà lei a trovare me.
— No, se avrete l’arma — obiettò Dorne. — La conosce.
Lane lo fissò a lungo. — Perché dovrei credervi? — chiese.
— Se riuscite a pensare una sola ragione per cui vi dovrei mentire allora sareste autorizzato a non credermi.
— Potreste desiderare di uccidervi.
— Se così fosse perché avrei dovuto parlarvi dell’arma a entropia? — ribatté il Dorne.
— Per indurmi a portarvi con me.
— Avete le idee confuse — asserì Vostuvian.
— Può anche darsi, però con me non ci venite, sia ben chiaro una volta per tutte.
— Senza di me non riuscirete a uccidere la Bestia dei Sogni.
— Voi fabbricatemi l’arma, al resto penserò io — tagliò corto Lane alzandosi. Si diede una spolverata e si avviò.
— Due anni, tre anni, una dozzina — bisbigliò Vostuvian mentre Lane si allontanava. — Presto o tardi avrete bisogno di me, e io sarò qui ad aspettarvi.
Le sue parole rimasero sospese nel tempo e nello spazio, mentre Lane si avviava verso la sua nave.