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L’inferno è il posto che fa per me. Poiché è all’inferno che vanno i migliori uomini di chiesa, e i bei cavalieri uccisi nei tornei o in qualche grande guerra, i soldati coraggiosi e i gentiluomini eleganti. Con loro voglio andare. Laggiù vanno anche le vaghe e belle dame, quelle che hanno due o tre amanti per volta, oltre allo sposo. Laggiù vanno l’oro e l’argento, l’ermellino e lo zibellino. Laggiù vanno i suonatori d’arpa e i menestrelli, e i sovrani della terra.

Aucassin


NOVE PER UN PARTY

Posai il bicchiere sul vassoio che Beau stava portando in giro tra i divani e ne presi un altro, pieno. Il grigio del Vuoto cominciava ad assumere un aspetto più confortevole, simile a quello di una nebbia, calda e spessa, in cui fluttuavano milioni di minuscoli diamanti. Doc sedeva grandiosamente al bar, accanto a una teiera fumante… una sorta di “ammazzaliquore”, se mi è concesso il termine, perché aveva ancora tra le dita un bicchierino alto e stretto. Sid rideva e parlava con Erich nello stesso tempo: cominciava davvero a sembrare un vero party, anche se l’atmosfera era ancora un po’ fiacca.

Non per colpa del Mantenitore Maggiore: la sua spia luminosa mandava una bella luce rossa continua — come un piccolo tizzone nel caminetto di casa — in mezzo alla fitta costellazione di manopole che comprendeva tutti i comandi meno uno: il solitario e preoccupante interruttore dell’Introversione, che non veniva mai toccato. Poi le tendine del divano di Maud si aprirono, mostrando lei e il Romano, tranquillamente seduti fianco a fianco.

Lui si osservò gli stivali lucidi e il resto dell’equipaggiamento, come se si fosse destato in quel preciso momento e non riuscisse a credere a ciò che vedeva. Quindi mormorò: — Omnia mutantur, nos et mutamur in illis - e io sollevai le sopracciglia all’indirizzo di Beau, che stava portando via il vassoio. Egli ritrovò subito l’orgoglio dell’antico studente di Vicksburg nel tradurre: — Ogni cosa cambia, e noi cambiamo con essa.

Poi Marcus si guardò intorno lentamente, osservandoci a uno a uno, e posso garantirvi che un sorriso romano può essere caldo come quello di ogni altra nazionalità. Alla fine disse: — Siamo in nove: il numero giusto per un party. E ci sono anche i divani. Ottimamente.

Maud, orgogliosa di sé, ridacchiò, ed Erich urlò: — Benvenuto al tuo ritorno dal Vuoto, Kamerad - e poi, siccome è tedesco e crede che tutti i party debbano essere chiassosi e pieni di una retorica per metà ironica e per metà convinta, saltò su un divano e annunciò: — Herren und Damen, permettete ch’io vi presenti il più nobile dei romani, Marcus Vipsaius Niger, legato di Nerone Claudio (chiamato anche Germanico in un precedente corso temporale) e che nel 763 ab Urbe condita (dico bene, Marcus? equivale all’anno 10 dell’Era Volgare, voialtri teste di palta) morì da prode, lottando contro i Parti e i Serpenti nella battaglia di Alessandria.

Tutti alzammo il bicchiere e brindammo con lui, e Sid gridò a Erich: — Giù i piedi dal velluto, vagabondo senza nome! — e ridendo urlò ai tre ussari: — Divertitevi, Recuperanti — e anche Maud e Marcus ebbero le loro bevande (il romano colmò Beau di sdegno rifiutando il vino Falerno a favore di scotch e soda) e in breve tutti stavamo chiacchierando a cento all’ora.

Volevamo sapere le ultime notizie su numerosissimi argomenti. Le solite ciance sulla Guerra: “I Serpenti stanno posando campi minati nel Vuoto”. “Non ci credo, come è possibile minare quello che non c’è?” e sui rifornimenti che non arrivano: il bourbon, le forcine da capelli, e la stabilitina che avrebbe rimesso a posto Marcus in quattro e quattr’otto e che cosa era successo ai conoscenti: “Marcia? Oh, non è più tra noi” (era stata presa da un Vento del Cambio che l’aveva ridotta verde e putrefatta in cinque secondi, ma certo non avevo intenzione di riferirlo) e dovemmo riferire a Marcus la storia del guanto di Bruce, che di nuovo ci fece ridere come pazzi, e Marcus raccontò l’episodio di quel legionario che era andato a reclamare in scala gerarchica fino a Ottaviano perché gli era stata data per errore un’incomprensibile spezia chiamata zucchero invece della solita razione di sale, ed Erich domandò a Sid se per caso aveva in magazzino qualche nuova ragazza Fantasma, e Sid si stropicciò la barba, da quel vecchio caprone che è, e disse: — A me lo domandi, lussurioso alemanno? Vi sono svariate bellezze, tra cui una contessa austriaca proveniente dalla Vienna di Strauss, e se non fosse per la presenza della nostra leggiadra collega… Mmm.

Puntai un dito sul petto di Erich, tra due dei suoi bottoni lucidi con le piccole teste di morto. — Tu, mio caro von Hohenwald, costituisci un serio pericolo per noi ragazze vere. Sei un po’ troppo sensibile alle attrattive del genere non desto, le donne Fantasma.

Lui mi assicurò che ero la sua piccola Demone, e mi abbracciò alquanto più forte del necessario per dimostrarmi che le mie paure erano infondate, quindi ci suggerì di mostrare a Bruce la Galleria d’Arte. Trovai che era un’ottima idea, ma quando cercai di convincerlo a lasciare l’incarico a qualcun altro, egli si rifiutò di accogliere la mia richiesta. Bruce e Lili erano disposti a fare qualsiasi cosa che gli altri richiedessero loro, ma non fino al punto di prestare attenzione mentre la facevano. Ormai il taglio sulla guancia era soltanto una sottile linea rossa: Lili aveva pulito tutto il sangue secco.

Comunque, la Galleria fa sempre il suo effetto. Si tratta di un mucchio di pitture e di sculture, e soprattutto di strani gingilli, fatti da Soldati venuti qui a recuperare. Molti di essi sono assai indicativi nei riguardi della Guerra del Cambio, a causa del materiale di cui sono fatti: bossoli di ottone, selci scheggiate, pezzi di antico vasellame incollati tra loro in forme fantastiche, utensili Inca d’oro martellato, rimartellato da un marziano, fili di perline lunari, un dipinto a tempera eseguito su una lente di quarzo sbreccata, che un tempo aveva fatto parte dell’oblò di un’astronave, un’iscrizione sumera bulinata su un mattone proveniente da un forno atomico.

Nella Galleria c’è un mucchio dli cose, e ogni volta ne scopro qualcuna che non conoscevo. Fa sempre un certo effetto, come dicevo, pensare a coloro che le hanno fatte, alle loro idee, ai luoghi e ai tempi remoti da cui provengono; a volte, quando mi sento giù di corda, mi reco nella Galleria a osservare gli oggetti che contiene: presto comincio a sentirmi ancora più giù di prima e questo mi dà una sorta di calcione mentale che mi rimette in allegria. La Galleria è l’unica storia del Locale che esista, e non cambia molto, poiché gli oggetti che contiene e i sentimenti che li hanno ispirati resistono ai Venti del Cambio meglio di ogni altra cosa.

In quel momento, l’eco delle brillanti descrizioni di Erich sfiorava i padiglioni auricolari nascosti sotto i miei capelli tagliati alla paggetto, ma non mi penetrava nella mente: stavo pensando che è terribile, per noi del Grande Tempo, avere non soltanto il cambiamento ordinario che è insito nell’ordine delle cose, ma anche il Cambio. Non puoi mai dire, da un momento all’altro, se l’emozione che provi, l’idea che hai, siano davvero nuove, o se siano lievitate nella tua mente poiché il passato è stato alterato dai Ragni o dai Serpenti.

I Venti del Cambio non soffiano su di te solamente la morte, ma anche ogni altra sorta di cosa, giù giù fino alle più insignificanti fantasticherie. Soffiano migliaia di volte più veloci del normale fluire del tempo, ma nessuno può determinare la loro velocità, né la distanza alla quale si spingeranno nel tempo e nemmeno il danno che arrecheranno o la loro durata prima che si esauriscano. Il Grande Tempo non è il piccolo tempo.

E inoltre noi Demoni abbiamo la paura che la nostra personalità svanisca e che un’altra si metta al volante senza che ce ne accorgiamo. Naturalmente si pensa che i Demoni siano capaci di ricordare, superando gli effetti del Cambio, indipendentemente da esso; ecco perché siamo Demoni e non Fantasmi come gli altri Doppelgänger, o semplici Zombie o Nascituri e nient’altro, e, come ha detto giustamente Beau, non ci sono grandi uomini tra di noi (e pochi anche degli appartenenti alla massa). Siamo un tipo di individui piuttosto raro, ed è per questo che i Ragni devono Reclutarci dove ci trovano, senza badare alla nostra istruzione e ai nostri precedenti. Siamo la Legione Straniera del Tempo, una strana specie di persone, intelligenti ma di secondo piano, con un innato cinismo e un’innata nostalgia, adattabili come camaleonti del Centauro, ma con la memoria lunga come le sei braccia di un Lunare; una sorta di Figli del Cambio, potreste dire, la crema dei dannati.

Ma a volte mi domando se la nostra memoria sia davvero buona come noi crediamo, e se un tempo l’intero passato non sia stato completamente diverso da ciò che ricordiamo, e se non abbiamo dimenticato di avere dimenticato.

Come dicevo, la Galleria mi mette giù di corda, cosicché ordinai a me stessa: “Torna al tuo piccolo comandante, Greta” e mi feci forza con il famoso calcione mentale.

Erich teneva fra le mani una larga coppa di colore verde, con decorazione in oro raffigurante delfini o astronavi, e spiegava: — Secondo me, questo dimostra che le forme artistiche etrusche derivano da quelle egizie. Non sei d’accordo, Bruce?

Bruce distolse lo sguardo da Lili, tutto sorridente, e disse: — Che cosa dicevi, caro amico?

La fronte di Erich divenne scura quasi come la Porta, e ringraziai la sorte per il fatto che gli ussari avessero messo via le sciabole con i colbacchi. Tuttavia, prima che Erich potesse lanciare a Bruce uno dei suoi insulti in tedesco, arrivò Doc, nel suo stato normale di “ubriachezza frenata”, che è assai simile a una sorta di trance ipnotica, e, muovendosi come una marionetta, tolse delicatamente la coppa dalle mani di Erich e disse: — Un ottimo esempio proveniente dal Medio Sistemico Venusiano. Quando Eightaitch lo ebbe terminato, mi disse che non era possibile guardarlo senza sentire le onde delle Secche Nordiche Venusiane infrangersi contro gli zoccoli. O sta meglio girato al contrario? Non saprei. Chi siete voi, giovane ufficiale? Nicevò. - E rimise con cura la coppa sul suo ripiano, poi si allontanò.

In effetti, Doc conosce la Galleria d’Arte meglio di chiunque altro: la conosce a menadito, dato che è il più vecchio abitante del Locale, ma questa volta aveva scelto il momento meno adatto per dispensare le proprie conoscenze.

Erich stava per andargli a dire due parole, ma io gli dissi: — No, Kamerad, ricorda le faccende dei guanti e dello zucchero — ed egli si accontentò di lamentarsi: — Quel suo nicevò… è così triste e disperato, ungeheuerlich. Secondo me, Liebchen, non dovrebbero lasciar lavorare i russi per i Ragni, neppure come Intrattenitori.

Gli sorrisi e gli presi la mano. — Come Intrattenitore, Doc non è molto in forma in questi giorni, non ti pare?

Mi restituì il sorriso in modo un po’ troppo accondiscendente, ma il suo volto si rasserenò. I suoi occhi azzurri ripresero per un istante il loro sguardo dolce, ed egli disse: — Non dovrei prendermela così con la gente, Greta, ma alle volte sono soltanto un vecchio gelosone — cosa che non è affatto vera, perché non aveva un giorno di più dei suoi trentatré anni, anche se aveva i capelli completamente grigi.

I nostri due innamorati si erano allontanati di alcuni passi e stavano per scomparire dietro i paraventi dell’Ambulatorio. Era l’ultimo posto che io avrei scelto per i doverosi preliminari di un corteggiamento all’inglese, ma probabilmente Lili non condivideva i miei stessi pregiudizi, sebbene mi avesse detto di avere fatto anche lei un breve periodo di servizio presso un Ospedale da Campo dei Ragni, prima di venire trasferita al Locale.

Era probabile, però, che non avesse mai avuto un’esperienza simile a quella da me avuta nel corso della mia breve e amara carriera come Infermiera dei Ragni, quando mi procurai il più orrendo dei miei incubi e crollai clamorosamente (nel senso del lavoro, ma anche a terra svenuta) nel vedere che un medico premeva un interruttore e un individuo, ferito gravemente, ma pur sempre un essere umano, diveniva un lungo grappolo di uno strano frutto… ugh!, ogni volta mi vien voglia di rigettare la colazione. E pensare che il mio caro papino voleva che la sua Greta facesse il medico.

Comunque, queste riflessioni non mi avrebbero condotto a nulla, e in fin dei conti c’era un party.

Doc stava raccontando qualcosa a grande velocità a Sid; sperai soltanto che non gli venisse l’uzzolo di mettersi a fare le sue solite imitazioni di animali, che sono di pessimo gusto, e anzi, una volta hanno offeso gravemente un Extraterrestre venuto al Locale a recuperare.

Maud stava dimostrando a Marcus i passi di un two-step del ventitreesimo secolo, e Beau sedeva al piano e improvvisava tranquillamente, seguendo il ritmo da lei suggerito.

Non appena udì le prime note del piano, Erich si illuminò in viso e mi condusse verso Beau. Finalmente potei staccare i piedi da quel pavimento duro come il diamante (non mettiamo tappeti perché la maggior parte degli Extraterrestri, benedetti loro, preferisce un pavimento duro), e andai a sedere sul divano accanto al piatto, tutta circondata da cuscini e con in mano un bicchiere pieno, mentre il mio boy-friend nazista si accingeva a scaricare il suo Weltschmerz, il suo dolore cosmico e irrimediabile, mediante le canzoni. (Il programma non mi allarmava, poiché Erich ha una passabile voce di baritono.)

Le cose parevano davvero andare nel migliore dei modi possibili, come se il Mantenitore girasse al minimo, giusto quel tanto che occorreva per mantenere in esistenza il Locale e per tenerlo ormeggiato al cosmo, senza dover fare nessuno sforzo, o, tutt’al più, limitandosi a dare mollemente qualche colpo di pagaia di tanto in tanto. Alle volte la solitudine del Locale può anche essere allegra e confortevole.

Beau sollevò un sopracciglio verso Erich, che annuì con il capo: subito si lanciarono in una canzone che conosciamo tutti, anche se non sono mai riuscita a scoprirne l’origine. Questa volta la canzone mi fece pensare a Lili, e me ne chiesi il motivo… domandandomi anche perché ci sia la tradizione, nelle Stazioni di Recupero, di chiamare Lili la Ragazzina l’ultima venuta (anche se questa volta, per puro caso, Lili era il suo vero nome).

Ferma davanti alla Porta, giusto

al di fuori dello spazio,

Il Vento del Cambio ti soffia accanto,

ma non ti sfiora il viso.

Tu mi sorridi, e dici,

teneramente:

“Vieni da me, Recuperante.

“L’operazione è finita, vieni dentro

e chiudi la Porta”.

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