Quando ci rivedremo ancora, noi tre?
Col tuono? col lampo? o con la pioggia?
Quando il parapiglia sarà finito.
E la battaglia vinta o perduta.
Mi chiamo Greta Forzane. Ventinove anni ed entraîneuse: basterà a descrivermi. Nacqui a Chicago, da genitori scandinavi, ma ormai opero quasi sempre al di fuori dello spazio e del tempo… non in Paradiso o all’Inferno — sempre che questi posti esistano — ma neppure nell’universo che conoscete, o cosmo.
Non sono romanticamente affascinante come l’immortale diva cinematografica che ha il mio stesso nome di battesimo, ma un certo fascino acqua e sapone lo possiedo anch’io. E ne ho bisogno, perché il mio lavoro consiste nel rimettere in sesto fisicamente e mentalmente i Soldati duramente provati dalla più grande guerra che mai sia stata combattuta.
Mi riferisco alla Guerra del Cambio: una guerra di viaggiatori nel tempo. Tra di noi, anzi, abbiamo una frase ben precisa per dire che partecipiamo a questa guerra: noi diciamo che siamo nel Grande Tempo. I nostri Soldati combattono recandosi indietro a cambiare il passato, o avanti a cambiare il futuro, allo scopo di dare alla nostra fazione la vittoria finale, tra qualche miliardo d’anni o giù di lì. Una guerra davvero assai lunga, potete credermi.
Voi non sapete nulla della Guerra del Cambio, ma essa influenza la vostra vita in ogni istante, e forse ne avete avuto sentore, senza comprendere.
Non avete mai avuto dei dubbi sulla vostra memoria, poiché vi pare che non vi dia, da un giorno all’altro, uno stesso e identico ritratto del passato? Non avete mai temuto che la vostra personalità stesse cambiando per opera di forze che sfuggono alla vostra conoscenza e al vostro controllo? Non avete mai avuto l’impressione che una morte improvvisa, inspiegabile, fosse in agguato? E non avete mai avuto paura dei Fantasmi… non mi riferisco a quelli descritti nei libri di favole, ma ai miliardi di esseri umani che un tempo erano così reali, così forti, che stentate a credere che si limitino a dormire per sempre, innocui? E non vi siete mai chiesti la natura di quegli esseri che potreste chiamare diavoli o Demoni: spiriti capaci di muoversi su tutta la distesa del tempo e dello spazio, di penetrare nel cuore incandescente delle stelle e nel gelido scheletro di spazio che separa tra loro le galassie?
Non avete mai pensato che l’intero universo non sia altro che un sogno folle e confusionario?
Ebbene, se lo avete fatto, avete avuto sentore dell’esistenza della Guerra del Cambio.
Come io sia stata arruolata in questa guerra, come essa venga combattuta, quali siano le fazioni in lotta, il motivo che vi impedisce di rendervi conto consciamente della sua esistenza, e quali siano i miei veri sentimenti al riguardo… be’, saprete ogni cosa a tempo debito.
Il luogo al di fuori del cosmo dove io e i miei colleghi svolgiamo il nostro lavoro d’infermieri viene chiamato semplicemente il Locale. Buona parte delle mie incombenze consiste nel divertire e rincivilire i Soldati che hanno appena terminato un’incursione nel tempo. Anzi, ufficialmente la mia qualifica è Intrattenitrice, e anch’essa ha i suoi lati curiosi, come vedrete.
I colleghi di cui dicevo sono due altre ragazze e tre uomini provenienti dalla epoche e dalle località più disparate. Siamo un ottimo gruppo, e, sotto la guida di Sid, mandiamo avanti ottimamente la Stazione di Recupero, pur se abbiamo anche noi i nostri piccoli guai familiari. I guai grossi, invece, cominciano sempre con l’apertura della porta d’ingresso e l’arrivo dei Soldati, i quali, generalmente, dopo avere appena vissuto qualche esperienza massacrante, arrivano da noi con l’intenzione di mettere tutto a soqquadro. In effetti fu proprio l’arrivo di tre Soldati a dare avvio a tutta la faccenda che vi voglio raccontare: gli eventi che mi hanno insegnato tante cose su me stessa e quanto mi circonda.
Quando tutta la cosa ebbe inizio, io mi trovavo nel Grande Tempo da mille sonni e duemila incubi, e lavoravo nel Locale da cinquecento dei primi e mille dei secondi. Questa routine dei due incubi ogni volta che posate sul cuscino la testolina confusa è piuttosto antipatica, ma si pretende di averci fatto l’abitudine, perché si dice che il fatto di stare nel Grande Tempo ne valga la pena.
Come dimensione e come atmosfera generale, il Locale sta a metà strada tra un grosso night-club, con annesso dormitorio per i dipendenti, e un piccolo hangar per Zeppelin decorato a festa, anche se uno Zeppelin è una delle poche cose che non abbiamo ancora avuto il piacere di ospitare. Volendo, si può anche uscire dal Locale, ma si cerca di evitarlo — se si possiede un po’ di buon senso e se si è Intrattenitrice come me — per non trovarsi nella fredda luce di un mattino in cui galleggia un po’ di tutto, dai più antichi modelli di dinosauri ai più avveniristici uomini dello spazio (straordinariamente simili tra loro, salvo che per le dimensioni).
Da quando lavoro al Locale, sono stata sei volte in licenza cosmica, e sempre per ordine del medico. Voglio dire che ho avuto sei periodi di vacanze, ammesso e non concesso che si possano chiamare vacanze, perché sono come la domenica del tassista, al confronto di quello che può offrire il Locale in qualsiasi momento. L’ultima vacanza l’ho trascorsa nella Roma del Rinascimento, dove mi sono presa una cotta per Cesare Borgia, ma ora mi è passata. Comunque, sono vacanze per i grilli, perché i Serpenti le inseriscono sempre in qualche complessa operazione bellica della Guerra del Cambio, e potete immaginare quanto siano riposanti.
— Vedi quei Soldati che cambiano il passato? Resta sempre con loro. Non stargli tra i piedi, voglio dire, ma non perderli assolutamente di vista. Riposati, e cerca di divertirti.
Boh! Invece, il trattamento che noi riserviamo ai Soldati, quando vengono a recuperare le forze nel Locale, è un altro paio di maniche: maniche completamente diverse, vi assicuro. Intrattenere è il nostro compito: diamo loro qualche bella giornata di felicità, e poi li rimandiamo al fronte, con il sorriso sulle labbra e le gambe ancora traballanti, anche se ogni tanto (e intendo ogni tanto) può verificarsi qualche incidente che fa scendere un’ombra di tristezza sulle nostre festicciole.
Io sono morta, in un certo senso, ma non preoccupatevene: in moltissimi altri sensi sono abbastanza viva. Se vi capiterà d’incontrarmi nel cosmo, sarà più facile che cerchiate d’attaccare bottone con me e mi invitiate a cena, piuttosto che chiediate l’intervento di un poliziotto o di un esorcista con la fiaschetta dell’acqua santa… a meno che non siate un puritano rompiscatole.
Tuttavia è poco probabile che mi incontriate nel cosmo, perché (tolto il Prater e Basin Street) l’Italia del Quattrocento e la Roma di Augusto — prima che la rovinassero — sono i miei luoghi di villeggiatura preferiti (villeggiatura?), e perché inoltre, come ho già detto, cerco di non allontanarmi dal Locale. È davvero il più bel Locale di tutto il Mondo del Cambio. (Crisi! Anche quando lo penso, gli metto le iniziali maiuscole!)
Comunque, quando la cosa è cominciata, stavo facendo girare i pollici, seduta sul divano vicino al piano, e pensavo che ormai era troppo tardi per darmi lo smalto alle unghie, e che tanto, anche se fosse venuto qualcuno, era probabile che non se ne accorgesse.
Nel Locale c’era la solita atmosfera tesa che precede un arrivo, e il Vuoto intorno a noi, grigiastro e vellutato, si contraeva formando macchie indistinte di luce, simili a quelle che potete scorgere quando chiudete gli occhi al buio.
Sid stava regolando i comandi dei Mantenitori per sintonizzarsi sul gruppo di persone da raccogliere, e la spalla destra del suo farsetto grigio, ricamato in filo d’oro, era bagnata nei punti dove aveva sfregato, con qualche movimento del collo, la guancia madida di sudore.
Beauregard era chino sull’altra spalla di Sid e si sporgeva il più possibile in avanti; appoggiava sul vellutone rosa del divano di controllo un ginocchio fasciato nei suoi soliti calzoni bianchi aderenti, e non perdeva un singolo movimento delle dita del vecchio Sid sulle manopole. Oltre a essere il nostro pianista, Beau è anche pilota in seconda. Sul suo volto compariva l’espressione gelida e distaccata che doveva avere avuto quanto ogni moneta d’oro che possedeva (e molte altre che non possedeva affatto) erano puntate sulla prossima carta, nella bisca di uno di quei battelli fluviali del Mississippi che ricordano le torte nuziali.
Doc, che era un po’ alticcio, come sempre, era invece seduto al bar. Si era spinto indietro il cappello a cilindro e si era avvolto intorno alla gola lo scialle di lana: nei suoi grandi occhi si specchiavano tutti gli orrori che una vita trascorsa in una Russia zarista occupata dai nazisti può sommare a quello di essere un Demone alcolizzato nel Mondo del Cambio.
Maud, che è la Ragazza Anziana, e Lili che, naturalmente, è la Ragazzina, cercavano di scoprire qual era la perla più grossa delle loro due collane, assolutamente identiche.
Potreste dire che tutti noi Intrattenitori eravamo un po’ nervosi; ma il fatto di essere Demoni non vuol dire automaticamente che si sia coraggiosi.
Poi la spia luminosa rossa del Mantenitore Maggiore si spense, e nel Vuoto, davanti a Sid e Beau, la Porta cominciò a oscurarsi. Sentii i Venti del Cambio soffiare con forza, e il mio cuore si arrestò per un istante; subito dopo, tre Soldati uscirono dal cosmo e misero piede nel Locale. Il primo passo di ciascuno di loro echeggiò con forza sul pavimento quando cambiarono tempo e peso.
Erano vestiti da ufficiali degli ussari, come ci avevano già avvisato, e — grazie all’Abbondio! — vidi che il primo dei tre era proprio Erich, il mio caro comandante, orgoglio dei von Hohenwald e Terrore dei Serpenti. Dietro di lui c’era un uomo dai lineamenti duri, che pareva un antico romano o qualcosa di simile, e accanto a Erich — tanto che al suo primo passo lo urtò con una spallata — c’era un giovane mai visto prima: biondo, con la faccia di un semidio greco che abbia appena terminato un giro turistico dell’Inferno cristiano.
Indossavano uniformi esattamente identiche, nere (colbacco, mantello bordato di pelliccia, stivali e tutto il resto), con emblemi d’argento a forma di teschio appuntati sul colbacco. L’unica differenza tra loro era che Erich portava al polso un Comunicatore, mentre il Ragazzo (cioè il biondino) stringeva nella sinistra, ancora infilata in un guanto nero, l’altro guanto, e aveva la mano destra nuda, come del resto le avevano nude Erich e il Romano.
— Ce l’avete fatta, ragazzi, cuori coraggiosi — li salutò Sid con voce reboante; Beau rivolse loro un sorriso nervoso, mormorando qualche parola, e Maud cominciò a pigolare: “Chiudete la Porta!”. La Ragazzina le fece subito eco, e anch’io mi unii a loro, perché i Venti del Cambio soffiano come pazzi quando la Porta è aperta, né la si può mai chiudere così ermeticamente da bloccare tutti i loro spifferi.
— Chiudete la Porta, prima che ci soffi qualche ruga sul viso — gridò Maud con la sua voce stridula, tanto per rompere il ghiaccio. Aveva imitato dalla Ragazzina un vestito da sera attillato, lungo fino al ginocchio, e sembrava un’adolescente acerba.
Ma i tre Soldati non prestavano attenzione a noi. Il Romano — ricordai che si chiamava Marcus — stava avanzando in modo stordito e rigido, come se avesse una lesione agli occhi, mentre Erich e il Ragazzo stavano discutendo vivacemente tra loro a proposito di un bambino, di Einstein, del Palazzo d’Estate e di quel porco guanto e del fatto che i Serpenti avevano teso loro una trappola a San Pietroburgo. Erich aveva sulle labbra lo stesso sorriso sadico che ha quando vuole ferirmi.
Il Ragazzo era furibondo. — Perché ci hai portato via così presto, accidenti? Per poco non abbiamo demolito la Nevsky Prospekt, galoppando a quel modo.
— Non hai sentito il sapore dei loro paralizzatori, Dummkopf, quando hanno fatto scattare la trappola… troppo presto, Con sei Dank? — ribatté Erich.
— Certo — fece il Ragazzo. — Talmente deboli che non avrebbero fatto male a una mosca. Perché non ci hai fatto vedere un po’ di movimento?
— Ma sta’ zitto. Sono io il vostro capo. Avrete tutto il “movimento” che volete, in futuro.
— Non ci credo. Sei uno sporco nazista vigliacco.
— Weibischer Engländer!
— Sudicio barbaro!
— Schlange!
Il biondino, evidentemente, doveva conoscere quel tanto di tedesco che bastava per capire l’ultimo insulto. Buttò all’indietro il mantello bordato d’ermellino per liberare la spada, e si scostò da Erich, che però fece in tempo a spingerlo contro Beau. (Al primo avviso di litigio, Beau si era rizzato dal divano, rapido e silenzioso come un… no, non voglio usare quella parola… ed era scivolato fino a loro.)
— Signori, state dimenticando le buone maniere — disse Beau in tono severo, mentre rischiava di perdere l’equilibrio e si doveva tenere al braccio del Ragazzo.
— Qui siamo nel Locale di Intrattenimento e Recupero di Sidney Lessingham. Ci sono delle signore…
Con una smorfia sprezzante, il Ragazzo lo spinse via e cercò di afferrare la sciabola con la mano destra, quella non guantata. Beau barcollò camminando all’indietro, fino all’altezza del divano; vi inciampò, perse l’equilibrio, cadde verso i Mantenitori. Sid li tolse di mezzo come se si fosse trattato di due radio portatili — nel Locale ogni cosa è mobile — e poi tornò ad appoggiarli sul tavolino prima ancora che Beau avesse toccato terra. Nel frattempo anche Erich aveva sguainato la sciabola, aveva parato il primo selvaggio fendente de! Ragazzo e aveva risposto con un affondo. Sentii il rumore di una lama che scivolava sull’altra e lo scalpiccio degli stivali di Erich, sul pavimento duro come il diamante.
Beau compì un giro su se stesso: quando si rialzò da terra, vidi che aveva estratto dai pizzi della camicia una derringer, che, come io sapevo, nascondeva un’arma di tutt’altra natura: un paralizzatore o addirittura una Atropo. Oltre a mettermi un grande spavento per la vita di Erich e di tutti gli altri, quella vista mi fece scattare in piedi; noi Intrattenitori avevamo i nervi a pezzi come e forse più dei Soldati, a partire, probabilmente, da quando i Ragni avevano cancellato tutte le licenze nel cosmo, venti sonni prima.
Ma Sid aveva già lanciato uno sguardo autoritario all’indirizzo di Beau, esclamando: — Figlio di un cane, lasciali a me — e aveva afferrato il Mantenitore Minore. Notai allora che la spia rossa di quello Maggiore era di nuovo accesa (cosa quanto mai rassicurante) e dedicai un’attimo di ringraziamento all’Abbondio perché la Porta era di nuovo chiusa.
Maud saltava sul divano e incoraggiava non so chi (e scommetto che non lo sapeva neppure lei). La Ragazzina era pallida, e io notai che quelle sciabole lavoravano in modo sempre più pericoloso. Quella di Erich guizzò, guizzò una seconda volta, guizzò una terza: quando si ritrasse dalla guancia eseguì un affondo selvaggio. Erich balzò indietro… e l’istante successivo entrambi galleggiavano a mezz’aria, dimenando gambe e braccia come se avessero i crampi.
Compresi subito che Sid aveva tolto la gravità alle zone della Porta e dei Depositi. Noi, invece, fermi nelle zone Ristoratore e Ambulatorio, continuavamo a tenere i piedi saldamente per terra: nel Locale, infatti, la gravità opera a zone indipendenti, allo scopo di venire incontro alle esigenze dei nostri amici Extraterrestri: quei matti, a volte, vengono quassù a recuperare in gruppi molto eterogenei oltre che chiassosi.
Dalla sua posizione centrale, Sid gridò, in tono abbastanza gentile, ma deciso: — D’accordo, giovanotti, vi siete divertiti abbastanza. Ora rimettete quelle lame nel fodero.
Per un attimo i due ussari neri continuarono a galleggiare nell’aria e a divincolarsi. Poi Erich fece una risata sforzata e obbedì con grazia all’ordine: il mio bel comandante è abituato a muoversi in assenza di gravità. Quindi anche il biondino, subito dopo, cessò di dimenarsi; rimase un attimo immobile, osservò Erich dal basso, a pancia all’aria, e riuscì bene o male a rimettere la sciabola nel fodero, anche se il gesto gli fece compiere una mezza capriola, per la reazione. Quando le due lame furono ritornate nel fodero, Sid riaccese la gravità nella loro zona: abbastanza lentamente, per non farli urtare contro il pavimento.
Erich rise, questa volta in modo più sollevato, e venne verso di noi. Nel tragitto si fermò accanto al Ragazzo, gli strinse la spalla e lo fissò negli occhi.
— Così, sei riuscito a procurarti una bella cicatrice — disse.
L’altro non cercò di sottrarsi alla stretta, ma non sollevò lo sguardo. Erich proseguì fino a noi. Sid stava accorrendo presso il Ragazzo, e, mentre passò accanto a Erich, gli disse in tono faceto, ammonendolo col dito: — Briccone! — L’istante successivo stavo abbracciando Erich nel modo “Sei tornato a casa, finalmente!” e lui mi baciava fino a togliermi il respiro e mi diceva: — Liebchen! Doppchen! — che a me piace molto, perché amo davvero Erich e sono una brava amante e anch’io sono un Doppelgänger esattamente come lui.
Ci eravamo appena staccati l’uno dall’altra per tirare il fiato (e com’erano belli i suoi occhi azzurri su quel viso preoccupato) quando si udì un tonfo sordo alle nostre spalle. Terminata la tensione, Doc era scivolato dal suo sgabellone, al banco del bar, e il cappello a cilindro gli era calato fino agli occhi. Ci voltammo verso di lui, con l’intenzione di prenderlo in giro, ma Maud lanciò un urlo e indicò il Romano. Ci accorgemmo allora che Marcus, continuando a camminare, era giunto all’altezza del Vuoto: ora, anche se stava ancora muovendo le gambe regolarmente, non riusciva più ad avanzare nemmeno di un passo (com’era prevedibile) e la sua uniforme nera cominciava a confondersi nel grigiore indistinto del Vuoto, che è un grigiore totalmente mentale.
Maud e Beau corsero immediatamente a ripescarlo, la qual cosa, a volte, può risultare piuttosto complicata. Il piccolo giocatore professionista aveva ripreso la sua disinvolta efficienza. Sid, da distanza, dirigeva i loro progressi.
— Che cos’ha? — chiesi a Erich.
Lui alzò le spalle. — I postumi dello Shock da Cambio — rispose. — E inoltre, tra noi, era il più vicino ai paralizzatori. Il cavallo per poco non lo ha disarcionato. Mein Gott! Avresti dovuto vedere, Liebchen, la città di San Pietroburgo, la Nevsky Prospekt. i canali che volavano via ai nostri due lati, come lunghe e sottili passatoie di cielo turchino, e lo squadrone di cavalleggeri in azzurro e oro che ci ha tagliato la strada mentre fuggivamo, e le belle dame impellicciate, con boa di struzzo, e quel monaco fermo davanti a un grosso tripode, col capo celato nel cappuccio… Mi venivano i sudori freddi al vedere tutti quegli Zombie che mi passavano davanti e mi fissavano nel loro modo non sveglio, malsano, e al pensare che alcuni di loro, per esempio il fotografo, erano probabilmente dei Serpenti.
Nella Guerra del Cambio, la nostra fazione è quella dei Ragni, e la fazione avversaria è quella dei Serpenti, anche se noi tutti — i Serpenti al pari dei Ragni — siamo dei “Doppi”, dei Doppelgänger. e anche dei Demoni, poiché siamo presi dalle nostre linee di vita nel cosmo. (La linea di vita di una persona è la sua totalità, dalla nascita alla morte.) Siamo Doppelgänger poiché possiamo operare sia nel cosmo, sia al di fuori di esso, e siamo Demoni poiché, quando così operiamo, siamo ragionevolmente vivi, mentre invece non lo sono i Fantasmi. Ogni Intrattenitore e ogni Soldato sono insieme Doppelgänger e Demoni, indipendentemente dalla fazione in cui militano (ma i Locali dei Serpenti, a quanto mi viene riferito, sono una grande schifezza).
Gli Zombie, infine, sono le persone morte, la cui linea di vita giace nel cosiddetto passato.
— Che cosa eravate andati a fare, a San Pietroburgo, prima dell’imboscata? — domandai a Erich. — Cioè, se non si tratta di un segreto.
— E perché dovrebbe esserlo? Stavamo cercando di riprendere ai Serpenti il piccolo Einstein, nel 1883. Sì, Liebchen, i Serpenti sono riusciti a rapirlo, pochi sonni fa, e in tal modo hanno messo a repentaglio l’intera vittoria dell’Occidente sulla Russia…
— …la quale vittoria — lo interruppi — consegnò al tuo caro amico Hitler tutto il mondo, per cinquant’anni, su un piatto d’argento, e mi condusse a essere amata fino alla morte dalle vostre valorose truppe, nel corso della Liberazione di Chicago…
— …la quale vittoria — corresse lui — porta come ultima conseguenza la vittoria finale dei Ragni e dell’Occidente sui Serpenti e sul Comunismo, Liebchen, non dimenticarlo. Comunque, il nostro controrapimento non ebbe successo. I Serpenti avevano messo delle guardie (cosa piuttosto strana), e noi non ne eravamo stati avvertiti. Tutta l’azione finì in un enorme pasticcio. Non c’è da stupirsi che Bruce abbia perduto la testa… non che la cosa possa scusarlo.
— Bruce sarebbe il Ragazzo? — chiesi. Sid, impegnato a dirigere il recupero del Romano, non si era ancora recato da lui; il Ragazzo era fermo, con gli occhi bassi, nello stesso punto dove Erich l’aveva lasciato, simile a una nera colonna di vergogna e di ira.
— Ja. Un tenentino della prima guerra mondiale. Inglese.
— Che fosse inglese lo sapevo già — dissi. — Ed è davvero effeminato come dicevi?
— Weibischer? — Sorrise. — Dovevo pur dirgli qualcosa, quando mi ha dato del vigliacco. Diverrà un ottimo Soldato… ha soltanto bisogno di venire un po’ dirozzato.
— Voialtri uomini siete sempre molto originali, quando vi insultate… — Poi, abbassando la voce: — Ma non dovevi arrivare al punto di dargli del serpente, Erich mio.
— Schlange? — Il suo sorriso acquistò una piega amara. — E chi può esserne certo… per tutti? Come San Pietroburgo ha saputo dimostrarmi, le spie dei Serpenti sono più furbe delle nostre. — I suoi occhi azzurri avevano perso completamente l’espressione dolce. — E tu, Liebchen, dimmi, non sei davvero altro che un buon Ragno leale?
— Erich!
— D’accordo, sono andato troppo oltre… prima con Bruce, e adesso con te. Ma tutti abbiamo il morale a pezzi, ormai, a forza di correre su un ciglio che ci frana sotto i piedi.
Intanto Maud e Beau avevano preso il Romano per le ascelle e lo stavano accompagnando a un divano (la maggior parte del peso la reggeva Maud), mentre Sid si limitava a dirigerli e il Ragazzo, tutto solo, continuava a rodersi il fegato. Naturalmente, con lui ci sarebbe dovuta essere la Ragazzina, ma non potei scorgerla da nessuna parte: probabilmente si era andata a rifugiare nel Ristoratore, in preda a una crisi di nervi, la scioccherella.
— Il Romano mi pare conciato molto male, Erich — dissi.
— Oh, Marcus ha la pelle dura. Ha virtù, come dicono i suoi concittadini. E la nostra antica astronauta riuscirà a restituirlo alla vita, se la cosa è ancora possibile e se…
— …e se questa si può chiamare vita — terminai con le parole di prammatica.
Erich aveva ragione. Maud ha al suo attivo una cinquantina d’anni di pratica psichiatrica, nel 23° secolo. In verità quel lavoro sarebbe stato di pertinenza di Doc, il quale però aveva al suo passivo una cinquantina di sbronze di troppo.
— Maud e Marcus… — fece Erich. — Dovrebbe essere un esperimento piuttosto interessante. Come quelli di Goering coi marinai assiderati e le ragazze zingare nude.
— Sei un osceno nazista. Maud userà l’ipnosi indotta elettricamente e la suggestione della psiche profonda, a quanto ne posso sapere.
— E come potrai saperne qualcosa, Liebchen, se la tua amica tirerà le tende sul divano, come mi pare stia per fare?
— Sei un osceno nazista: l’ho detto e lo ripeto.
— Precisamente. — Batté i tacchi e si inchinò di un millimetro. — Erich Friederich von Hohenwald, Oberleutnant dell’esercito del Terzo Reich. Caduto a Narvik, dove venne Reclutato dai Ragni. Linea di vita prolungata a causa di un Grande Cambio dopo la sua prima morte, e, in base agli ultimi rapporti ricevuti. Comandante di Toronto, dove possiede estesi allevamenti di bambini per assicurarsi le bistecchine per la prima colazione, se dobbiamo credere ai manifesti della Resistenza. Ai vostri ordini.
— Oh. Erich, è tutto così penoso — dissi, prendendogli la mano. Erich era uno di quei poveretti che sono Risorti da un punto della loro linea di vita molto distante dalla morte: nel suo caso, ciò era dovuto al fatto che la data della sua morte era stata spostata in avanti da un Grande Cambio, dopo la sua Resurrezione. Come ogni Demone giunge prima o poi a scoprire (a meno che non riesca a immaginarselo fin dal primo momento), è una tremenda tortura ricordarsi il proprio futuro, e tanto più breve è il tempo trascorso dalla vostra Resurrezione alla vostra morte, laggiù nel cosmo, tanto meglio per voi. Nel mio caso, per fortuna, il periodo si riduce a soli dieci minuti, assai movimentati, sulla North Clark Street.
Erich appoggiò lievemente l’altra mano sulla mia.
— Sono i casi della Guerra del Cambio, Liebchen. Ma almeno sono un Soldato, e qualche volta vengo assegnato a operazioni che si svolgono nel futuro… anche se non so perché mai dobbiamo avere questa mania di sapere cosa succeda alle nostre personalità del futuro, laggiù nel cosmo. La mia è quella di uno stupido Oberst, sottile come un foglio di carta, e indignata contro i suoi detrattori! Ma vedo che ricevo un certo aiuto psicologico dal fatto di poterla vedere così in prospettiva, e almeno ritorno nel cosmo abbastanza regolarmente, Gott sei Dank, cosicché me la passo meglio di voi Intrattenitori. Non gli dissi a voce alta che un cosmo che Cambia è peggio che non averlo, ma rivolsi una preghiera al buon Dio per l’eterno riposo di mio padre, perché i Venti del Cambio soffiassero piano sulla linea di vita di Anton A. Forzane, professore di fisiologia, nato in Norvegia e sepolto a Chicago. Il Cimitero di Woodlawn è un luogo fresco e verde.
— Certo Erich — gli dissi. — Ma anche noi Intrattenitori abbiamo i guanti, come dite voi tedeschi.
Lui aggrottò le sopracciglia e mi fissò con sospetto, chiedendosi se non stessi dando i numeri.
— Guanti? — disse. — Cosa intendi dire? Io non li ho, come vedi. Ti riferisci ai guanti di Bruce… che, tra parentesi, devono avergli dato qualche fastidio, non so quale? No, seriamente, Greta, a cosa servono i guanti, a voi Intrattenitori?
— Ci servono perché abbiamo paura. Io almeno. La frase non ti dice niente?
Sul suo viso prussiano scese finalmente una piccola luce. — Abbiamo i guanti… — borbottò. In inglese: Got mittens. “Gott mit uns”… Dio con noi. — E aggiunse, incollerito: — Greta, non sopporto che tu assassini la grande lingua tedesca per fare delle battute da scolaretti.
— Devi prendermi come sono — gli risposi — guanti e tutto il resto, grazie all’Abbondio… — e mi affrettai a spiegare: — Viene dal francese… le bon Dieu… non picchiarmi. Non ti rivelerò mai più nessuno dei miei segreti, lo giuro.
Fece una debole risatina, come se fosse in punto di morte.
— Fatti coraggio — gli dissi. — Non sarò qui per sempre, e ci sono posti peggiori del Locale.
Lui annuì, imbronciato, e si guardò intorno. — Vuoi sapere una cosa, Greta? — mi chiese. — Ma devi promettermi di non fare un’altra di quelle tue indescrivibili battute. Quando sono fuori in missione, mi ripeto sempre che presto mi recherò dietro le quinte, a corteggiare nel suo camerino la grande danzatrice Greta Forzane, famosa in tutto il mondo.
E aveva perfettamente ragione a parlare di quinte. Il Locale è come un teatro, a pianta greca, e come pubblico ha il Vuoto: il grigiastro Vuoto, non interrotto dai paraventi dietro cui si celano l’Ambulatorio (Ugh!), il Ristoratore e i Depositi. Tra questi due ultimi sono situati il bar e la cucina, e il pianoforte di Beau. Tra l’Ambulatorio e la zona in cui di solito appare la Porta ci sono gli scaffali e i bassi tavolinetti della Galleria d’Arte. Il divano di controllo è nel centro esatto di questo “palcoscenico”. Intorno a esso, a distanze regolari, ci sono sei divani larghi e bassi (ai lati di uno di essi, in questo momento, le tendine si innalzano fino a svanire nel grigio), e alcuni tavolini.
Sembra la scenografia per un balletto, e i folli personaggi e i curiosi costumi che vi compaiono non guastano l’illusione. Tutt’altro. Diaghilev li avrebbe scritturati quasi tutti per i Balletti Russi, a prima vista, senza neppure informarsi se sapessero tenere il tempo.