— Abbiamo esaminato il muschio tra le piastrelle, e l’abbiamo trovato intatto.
— E immagino che avrete frugato tra le carte di D., e tra i libri della sua biblioteca!
— Certamente; abbiamo aperto ogni plico ed ogni busta; non soltanto abbiamo aperto ogni libro, ma abbiamo sfogliato ogni volume pagina per pagina…
Tre ore più tardi, io e Sid ci lasciavamo cadere sfiniti su un divano: era il divano più vicino alla cucina, ma eravamo troppo stanchi per provare desiderio di cibo, almeno per il momento. Una lunga ricerca, assai più minuziosa di quanto non si possa immaginare, ci aveva rivelato che il Mantenitore non era nel Locale.
Eppure doveva trovarsi nel Locale: continuammo a ripetercelo per le prime due ore. Doveva, se la pratica e le teorie che regolavano la nostra vita nel Mondo del Cambio significavano qualcosa. Un Mantenitore è ciò che mantiene in esistenza un Locale. Il Mantenitore Minore si occupa dell’ossigeno, della temperatura, umidità, gravità e in generale delle altre minuterie vitali e materiali, ma il Mantenitore Maggiore è quello che impedisce alle pareti di schiacciarci e al soffitto di cascarci sulla testa. Non è molto grande, ma, perdiana, svolge un compito molto importante.
Non funziona mediante fili o con onde radio e altre cose complicate. Si limita ad ancorarsi allo spaziotempo locale.
Mi hanno detto che la sua parte interna, la parte che ne assicura il funzionamento, è costituita da certe molecole molto robuste, molto dure, gigantesche, ciascuna delle quali è praticamente un minuscolo cosmo a sé stante. Visto dall’esterno, sembra una radio portatile, con qualche manopola in più del solito, varie spie luminose, levette e una serie di prese a cui collegare le cuffie auricolari e tutto l’assortimento degli altri ammennicoli sensoriali.
Ma il Mantenitore era scomparso, e il Vuoto non si era ancora chiuso su di noi, almeno per il momento. Io, comunque, ero talmente esausta che la cosa non avrebbe fatto molta differenza.
Una cosa almeno era certa: o il Mantenitore era stato messo in posizione Introversione prima di involarsi, oppure la sua scomparsa produceva automaticamente l’Introversione, come preferite, poiché, senza ombra di dubbio, eravamo Introvertiti: severa presa di coscienza della realtà (e sapevo, senza dover provare a bere, che l’alcol non sarebbe riuscito a mitigarla), il fatto che non alitasse il minimo Vento del Cambio a rendere meno soffocante l’atmosfera; il grigio del Vuoto era diventato totalmente interiore, si era così compenetrato nel mio cervello, che capii cosa intendono dire i nostri scienziati quando spiegano che il Locale è una specie di mescolanza o di intreccio del materiale con il mentale: una Monade Gigante, la definì uno di loro.
Comunque, dissi a me stessa: Greta, se questa è l’Introversione, a me non garba affatto. Non è affatto piacevole essere tagliati fuori dal cosmo, vagare alla deriva, e conoscere questa situazione. Una lancia di salvataggio sperduta in mezzo al Pacifico, o un’astronave nel vuoto tra le galassie sono uno scherzo, al confronto.
Mi domandai perché mai i Ragni mettessero in tutti i Mantenitori l’interruttore dell’Introversione, visto che non veniva mai usato nel corso dell’addestramento e che dovevamo azionarlo soltanto in casi di emergenza estrema, quando le uniche alternative erano l’Introversione o la resa ai Serpenti, e per la prima volta ne compresi la ragione, abbastanza evidente.
L’Introversione era come l’apertura dei portelli per far inabissare deliberatamente la nave: il suo scopo principale era quello di impedire che il nemico si impadronisse di segreti militari e di materiale bellico. Metteva il Locale in una situazione dalla quale neppure l’Alto Comando dei Ragni avrebbe potuto salvarlo: il Locale si limitava ad affondare sempre più giù (o su? Fuori?) nel Vuoto.
Se le cose stavano così, le nostre possibilità di tornare indietro erano pressappoco uguali alla possibilità che io tornassi bambina a giocare a pallone in riva al mare, nel Piccolo Tempo.
Mi avvicinai maggiormente a Sid e mi appoggiai alla sua spalla, strofinando la guancia sul velluto grigio e bisunto del suo farsetto ricamato in oro. Lui abbassò lo sguardo su di me, e io gli feci: — Siamo molto lontani da King’s Lynn, eh, Sid?
— Idol mio, l’hai proprio favellata giusta — rispose lui. (E quando parla così, mescolando locuzioni di secoli diversi, quel vecchio caro furfante lo fa sempre apposta.)
— Sid — continuai io — perché questo ricamo dorato? Sarebbe molto più morbido, senza.
— Cospetto, un uomo deve pur farsi rimarcare in qualche modo, e in fede mia, credo che un po’ di metallo faccia elegante.
— Ma le ragazze si graffiano. — Fiutai l’aria, poi dissi: — No, aspetta a metterlo in lavatrice. Finché saremo perduti nella foresta, preferisco averlo vicino.
— Cospetto del diavolo, perché dovrei metterlo in lavatrice? — mi chiese con aria sorpresa, e credo che non fingesse. L’ultima cosa a cui badano i viaggiatori nel tempo è se il loro odore dia o non dia fastidio agli altri. Il suo volto si rabbuiò: mi diede l’impressione di volersi far consolare anche lui. — Idol mio, questa tua foresta ha ben più alberi di quella di Sherwood.
— L’hai detto — risposi, e mi domandai la ragione delle sue tenerezze. Non mi pareva che le mie grazie potessero far molta presa: dovevo avere un aspetto orribile, in quel momento. Ma Sid mi era sempre rimasto accanto, per tutta la durata della caccia al Mantenitore, e non si può mai dire. Poi ricordai che era stato l’unico, oltre a me, a non prendere posizione quando Bruce ci aveva chiesto se eravamo con lui o contro di lui: questo, probabilmente, aveva turbato la sua vanità maschile. Io, invece, non mi sentivo affatto turbata… anzi, ringraziavo ancora in cuor mio il Mantenitore per avermi permesso di uscire dall’impiccio, anche se poi ci aveva messo tutti in un impiccio assai più grave. Mi pareva che fosse trascorsa un’eternità, da allora.
Dapprima eravamo giunti alla conclusione che le due ragazze Fantasma fossero fuggite col Mantenitore: non sapevamo dove fossero fuggite, o il motivo che le aveva indotte a fuggire, ma pareva la soluzione più plausibile. Maud aveva cominciato a protestare che non si era mai fidata dei Fantasmi e che aveva sempre saputo che un giorno o l’altro avrebbero cominciato ad agire di propria iniziativa; Kaby, poi, si era messa fermamente in testa che Frine, essendo greca, doveva avere organizzato tutta la faccenda della sparizione per condurci alla rovina.
Ma successivamente, quando avevamo eseguito il primo controllo dei Depositi, avevo notato che le custodie delle ragazze Fantasma sembravano troppo sottili. L’ectoplasma non occupa molto spazio, quando è ripiegato, ma io avevo provato ugualmente ad aprire una custodia, poi un’altra, e infine avevo chiamato aiuto.
Tutte le custodie, dalla prima all’ultima, erano vuote. Avevamo perso più di mille ragazze Fantasma, la completa riserva di Sid.
Be’, ciò dimostrava, se non altro, una cosa che nessuno di noi aveva mai saputo: che c’è un legame spettrale — una sorta di collegamento, sul tipo dei Venti del Cambio — tra un Fantasma e la sua linea di vita; quando questo cordone ombelicale (così lo battezzammo subito) viene tagliato, la parte staccata dalla linea di vita muore.
Interessante, ma assai preoccupante: mi chiedevo se anche noi Demoni ci saremmo dissolti, poiché anche noi, al pari dei Fantasmi, siamo dei Doppelgänger, e l’Introversione aveva reciso anche i nostri cordoni. Noi, certo, siamo più solidi di loro, ma questo, probabilmente, significava soltanto che ci avremmo messo più tempo per dissolverci. Il ragionamento non faceva una grinza.
Ricordo che avevo alzato lo sguardo su Lili e Maud… sì, ci eravamo incaricate noi ragazze di controllare le custodie; è una nostra incombenza tenere in ordine la riserva, e del resto, se se ne occupa qualcuno di sesso maschile, comincia subito a fare battute pesanti sulle “donne liofilizzate, preparazione istantanea” come se non avessimo già sentito mille volte questa frase, grazie.
Dicevo, avevo alzato lo sguardo su di loro e avevo salutato come per l’ultima volta: — È stato un piacere conoscervi, ragazze Fantasma mie — e Lili aveva detto: — Ventitré, tutte vuote — e Maud: — Qui non c’è più niente — poi ci eravamo date la mano.
Ormai eravamo quasi certe che Frine e la Contessa fossero svanite insieme con le altre ragazze Fantasma, ma la precedente idea continuava a tormentarmi, cosicché chiesi: — Sid, c’è forse una minima possibilità che, mentre eravamo occupati a guardare Bruce, le due ragazze Fantasma abbiano messo in azione il Mantenitore, abbiano formato una Porta e se la siano svignata con l’apparecchio?
— Mi hai letto nel pensiero, dolcezza, ma tutto sembrerebbe negarlo. Prima di tutto, si sa che i Fantasmi non possono ordire intrighi né metterli in atto. Secondo, il tempo a disposizione non era sufficiente per formare una Porta. Terzo… e questa è la cosa più importante… il Locale crolla su se stesso se manca il Mantenitore. Quarto, sarebbe stato follia sperare che nessuno di noi… quanti siamo? dieci, undici… si guardasse in giro e notasse le loro manipolazioni per tutto il periodo necessario…
— Io mi ero guardata in giro, Sid. Stavano bevendo e si erano portate sul divano di comando senza che nessuno glielo ordinasse. Anzi, mi pare di ricordare il momento esatto. Sì, quando Bruce ci parlava degli Zombie.
— Sì, dolcezza. E come stavo per dire, incoronando con il quinto motivo la mia argomentazione, prima che tu mi interrompessi, sarei stato pronto a giurare che nessuno potesse toccare il Mantenitore… tanto meno metterlo in azione o rubarlo… senza che io me ne accorgessi. Eppure…
— Già, proprio “eppure”… — annuii.
Qualcuno doveva avere aperto una Porta ed essere uscito dal Locale con l’apparecchio. Eravamo certi che non fosse più nel Locale. La nostra ricerca era stata qualcosa di epico. Non è facile nascondere una cosa grossa come una macchina per scrivere portatile, e avevamo guardato nell’interno di ogni possibile contenitore, dal pianoforte di Beau ai serbatoi del Ristoratore.
Avevamo perfino esaminato tutti ai raggi X, anche se la cosa aveva fatto contorcere Illy come una scatola di vermi (com’egli stesso ci aveva avvertito, del resto); disse che gli faceva un solletico pazzo, e io, poi, insistetti per accarezzargli il mantello per cinque minuti.
Alcune zone, come il bar, la cucina e i Depositi, richiesero molto tempo, ma preferimmo esaminarle tutte nel modo più completo. Kaby aiutò Doc a controllare in Ambulatorio: dopo la sua ultima visita al Locale, Kaby era rimasta a lungo in un Ospedale da Campo (in effetti, i Ragni se ne servono davvero come quartier generale per organizzare le operazioni belliche!) e aveva appreso alcuni curiosi trucchetti.
Comunque, Doc eseguì onestamente la sua parte di ricerca, anche se, per sicurezza, ogni posto veniva esaminato da altre tre persone, senza contare Bruce e Lili. Non appena ci eravamo accorti della sparizione del Mantenitore, Doc era uscito dalla sua sbronza in un modo che mi avrebbe sorpreso, se non gliel’avessi già visto fare varie volte, ma quando, terminato l’Ambulatorio, cominciammo a esaminare la Galleria d’Arte, mi accorsi che cercava deliberatamente di andare per le lunghe: infine gli vidi aprire il pastrano, chinare la testa, prendere una bottiglia e berne una lunga sorsata. Pochi istanti dopo, era già sulla buona strada verso un’altra sbornia.
Anche la Galleria d’Arte aveva richiesto molto tempo, perché è un enorme guazzabuglio di oggetti strampalati; provai un tuffo al cuore quando Kaby prese l’ascia e fece a pezzi una bellissima scultura in legno azzurro, raffigurante una medusa venusiana, per il semplice fatto che, anche se la sua superficie polita non rivelava tracce di manomissione, aveva dimensioni abbastanza grandi, secondo lei. Doc pianse un poco, e, quando ce ne andammo, era intento a cercare di rimettere insieme i pezzi e a fissare con aria assorta gli altri oggetti d’arte.
Una volta esaminato tutto il resto, Marcus insistette perché frugassimo anche sotto il pavimento. Tanto Beau quanto Sid cercarono di fargli capire che è un Locale ad accesso singolo, che non c’è niente, proprio niente, sotto il pavimento; esso, semplicemente, diventa molto più duro dei diamanti che lo ricoprono, non appena si raggiunga la profondità di mezzo centimetro: si tratta dell’equivalente solido del Vuoto. Ma Marcus era testardo (come tutti i romani, mi assicurò Sid, parlandomi all’orecchio), e dovette consumare quattro punte elicoidali di superdiamante prima di cedere.
Oltre a possibili nascondigli a sorpresa, rimaneva soltanto il Vuoto, ma gli oggetti non svaniscono affatto, quando li gettate nel Vuoto: essi rimangono lì indefinitamente, mezzo fusi e mezzo congelati, sempre che non riusciate a ripescarli. Dietro il Ristoratore, più o meno all’altezza della mia testa, ci sono tre noci di cocco venusiane, scagliate da un energumeno hittita nel corso di una baruffa tremenda. Io cerco di non guardarle mai, perché mi ricordano le teste mummificate e mi fanno venire i brividi. Le zone del Locale immediatamente vicine al Vuoto hanno delle strane proprietà geometriche, e uno dei marchingegni dell’Ambulatorio sfrutta tali proprietà in un modo che mi dà dei brividi ancora più forti, ma la cosa esula dall’argomento.
Nel corso della ricerca, Kaby ed Erich avevano cercato di servirsi dei loro Comunicatori come bussole, per individuare la direzione del Mantenitore, come fanno nel cosmo per trovare la direzione della Porta (e so che lo si fa anche nell’interno dei Locali più grandi). Ma i Comunicatori erano impazziti — come quando l’ago della bussola continua a girare senza fermarsi in alcuna direzione — e nessuno riusciva a spiegarsene il motivo.
I possibili nascondigli a sorpresa erano il Piccolo Mantenitore (idea divertente, ma è grande quanto il Maggiore e anch’esso ha le sue misteriose interiora, e, ovviamente, aveva continuato a svolgere con precisione il proprio lavoro, cosicché ritenemmo di poterlo escludere a ragione), e il baule della bomba, ma ci pareva impossibile che qualcuno lo avesse aperto, sempre che conoscesse la giusta combinazione della serratura, prima che Erich, saltandovi sopra, facesse convergere su di esso ogni luce della ribalta. Ma quando avete escluso tutte le altre possibilità, la parola impossibile cambia significato.
Poiché il viaggio nel tempo è il nostro ramo, potreste pensare a ogni sorta di trucchi per spedire il Mantenitore nel passato o nel futuro, in modo permanente o temporaneo. Ma il Locale si mantiene rigorosamente nel Grande Tempo, e ogni persona competente mi ha sempre detto che il viaggio nel tempo lungo il Grande Tempo è impossibile. La cosa sta nei seguenti termini: il Grande Tempo è come un treno, e il Piccolo Tempo è la regione in cui viaggia il treno. Noi rimaniamo sul treno, a meno che non usciamo da una Porta, e, come potrebbe dire Gertrude Stein, non puoi viaggiare nel tempo lungo il tempo in cui viaggi nel tempo quando viaggi nel tempo.
Mi ero anche gingillata al pensiero di qualche nascondiglio estremamente ovvio, magari una cosa che diverse persone potevano passarsi l’un l’altra, cioè avevo pensato a una cospirazione, e una volta che supponiate l’esistenza di una cospirazione abbastanza grande, potete spiegare con essa qualsiasi cosa, compresa l’origine dell’universo. In particolare, i tre colbacchi degli ussari neri mi avevano fatto sospettare una sorta di gioco delle tre carte e dell’ombrello: non fui soddisfatta finché non li allineai tutt’e tre uno accanto all’altro e non ne controllai l’interno con una singola occhiata.
— Sveglia, Greta, prendi qualcosa. Non posso rimanere qui in eterno. — Maud aveva portato in giro alcuni vassoi con dei tramezzini racimolati qui e là, e confesso che erano decisamente invitanti; Maud ha il tocco per queste cose.
Studiai il vassoio e dissi: — Sid, preferirei un hot dog.
— E io un pasticcio di cinghiale! Che tu debba piantare sempre delle grane, ficcanaso pedante, ronzinaccia puntigliosa, capricciosa e tirannica pupattola?
Afferrato qualche tramezzino, tornai a rannicchiarmi contro di lui.
— Avanti, Sid, continua a insultarmi — lo incoraggiai. — Ma mettici qualche vera parolaccia, altrimenti non mi diverto.