L’UNICO CRITICO BUONO È QUELLO MORTO

Omar Runic ha lasciato il palco e adesso sta davanti ai quadri di Chib. Si posa una mano sul petto nudo, a sinistra, dove è tatuato il volto di Herman Melville, mentre Omero occupa il posto d’onore, a destra. Grida forte, e i suoi occhi neri sono come sportelli di fornaci fatti esplodere da una bomba. Come è accaduto altre volte, viene colto dall’ispirazione nel vedere i quadri di Chib.

Chiamatemi Achab, non Ishmael,

Perché ho preso all’amo il Leviatano.

Io sono il puledro dell’asina selvatica, nato da un uomo

Sappiate, il mio occhio ha visto tutto!

Il mio petto è come vino che non ha sfogo.

Sono un mare con tante porte, ma le porte sono bloccate.

Attenti! La pelle scoppierà; le porte si spaccheranno.

“Tu sei Nimrod”, dico al mio amico Chib,

E questa è l’ora in cui Dio dice ai suoi angeli:

Se questo è ciò che sa fare come inizio, allora,

Nulla è impossibile per lui.

Suonerà il corno davanti

Ai bastioni del Paradiso e chiederà

La Luna in ostaggio, la Vergine in sposa,

E reclamerà la sua tangente dei guadagni

Della Grande Meretrice di Babilonia.

— Fermate quel figlio di puttana! — grida il direttore del Festival. — Causerà disordini come l’anno scorso!

I poliziotti cominciano ad avvicinarsi. Chib guarda Luscus, che sta parlando con l’intervistatore del fideo. Non sente le parole del critico, ma è sicuro che non si tratta di complimenti.

Melville scrisse di me molto prima che nascessi.

Io sono l’uomo che vuole comprendere

L’Universo, ma comprenderlo in termini miei.

Io sono Achab, il cui odio deve trafiggere, annientare,

Tutti gli impedimenti di Tempo, Spazio, Argomento

E mortalità, e scaglio la mia fiammeggiante

Incandescenza nel Grembo della Creazione,

Disturbando nella sua Tana qualunque Forza, o

Ignota “Cosa in Sé”, che vi si nasconde,

Lontana, rimossa, non rivelata.

Il Direttore si sbraccia per indicare ai poliziotti di portare via Runic. Ruskinson continua a strillare, sebbene le telecamere puntino esclusivamente su Runic e Luscus. Una dei Giovani Radicchi, Huga Wells-Erb Heinsturbury, la scrittrice di fantascienza, è scossa dall’isteria generata dalla voce di Runic e dalla bramosia di vendetta. Senza farsi vedere, si avvicina furtivamente a un fideocronista di Time. Time ha smesso da molto tempo di essere una rivista, poiché le riviste da edicola non esistono più, ma è diventato un’agenzia per le comunicazioni sussidiata dallo stato. Il Time è un esempio della politica della mano destra, mano sinistra e teniamo lontano le mani praticata dallo Zio Sam, che fornisce alle agenzie di comunicazione tutto il necessario, e nel contempo lascia ai loro dirigenti la scelta della politica da seguire. In tal modo, si riesce a conciliare il finanziamento statale con la libertà di parola. Una cosa bellissima, almeno in teoria.

Il Time ha conservato molti dei suoi princìpi originali, cioè che una battuta di spirito è meglio della verità e dell’obiettività, e che la fantascienza va sempre trattata male. Il Time si è fatto beffe di tutte le opere della Heinsturbury, e perciò lei adesso è decisa a prendersi qualche soddisfazione personale per il dolore causatole dalle recensioni ingiuste.

Quid nunc? Cui bono?

Tempo, Spazio? Sostanza? Accidente?

Quando muori… l’Inferno? Il Nirvana:

Il niente è niente a cui pensare.

I canoni della filosofia sparano.

I loro proiettili sono a salve.

Le santebarbare della teologia scoppiano,

Minate dalla sabotatrice Ragione.

Chiamatemi Ephraim, perché sono stato fermato

Al Guado di Dio e non ho potuto pronunciare

La parola sibilante che mi avrebbe permesso di passare.

Ebbene, non so pronunziare shibboleth,

Ma so dirvi: “Stronzi!”

Huga Wells-Erb Heinsturbury spara un calcione nelle balle all’uomo del Time. Questi alza le mani, e la telecamera, che ha la forma e le dimensioni di un pallone da rugby, gli schizza via e colpisce un ragazzo alla testa.

Il ragazzo è un Giovane Radicchio, Ludwig Euterpe Mahlzart. Arde già di rabbia perché hanno rifiutato il suo poema sinfonico Scagliamo via la materia prima di cui sono fatti i futuri inferni, e la telecamera è l’olio sul fuoco che mancava per farlo divampare incontrollabilmente. Molla un pugno nel ventre grasso del critico musicale più importante.

Intanto, è Huga, non l’uomo del Time, a ululare di dolore. Il suo piede nudo ha colpito la “conchiglia” di dura plastica con cui il cronista, ammaestrato da analoghi calci pregressi, si protegge ora i genitali.

Huga saltella qua e là su un piede solo, e si stringe l’altro fra le mani. Va a sbattere contro una ragazza, e ne nasce una reazione a catena. Un uomo cade addosso al cronista del Time, chinatosi a raccogliere la telecamera.

— Ahaaa! — urla Huga, e strappa via il casco all’uomo del Time, gli balza sulla schiena e lo percuote sulla testa con la parte anteriore della telecamera. Poiché la telecamera a circuiti integrati funziona ancora, miliardi di spettatori hanno occasione di vedere immagini affascinanti e vertiginose. Il sangue oscura un angolo dell’inquadratura, ma non tanto da defraudare completamente il pubblico. E poi questi gode di altre riprese mai viste in precedenza quando la telecamera vola di nuovo in aria e rotea su se stessa.

Infatti, un poliziotto ha cacciato nella schiena di Huga il manganello elettrico, e lei si è irrigidita e ha lanciato la telecamera in un arco altissimo, all’indietro. L’attuale fidanzato di Huga si lancia sul poliziotto; si rotolano sul pavimento; un giovane della banda venuta da Westwood raccatta il manganello e si diverte a terrorizzare gli adulti che gli stanno intorno, fino a quando un giovane del luogo non gli balza addosso.

— Le risse sono l’oppio dei popoli — geme il capo della polizia. Chiama in soccorso tutte le unità, e poi si mette in comunicazione con il capo della polizia di Westwood, che però ha anche lui i suoi guai.

Runic si batte il petto e urla:

Signore, io esisto! E non dirmi adesso,

Come hai detto a Crane, che questo non ti crea

Alcun obbligo nei miei confronti.

Io sono un uomo; io sono unico.

Ho gettato il Pane dalla finestra,

Pisciato nel Vino, ho tolto il tappo

Dal fondo dell’Arca, ho tagliato l’Albero

Per bruciarne la legna, e se ci fosse uno Spirito

Santo, gli caccerei un dito nel culo.

Ma so che tutto questo non significa

Un dannato accidente di niente,

Che niente significa niente,

Che “è” è “è”, e “non è” non è “non è non”,

Che una rosa è una rosa è una rosa,

Che noi qui siamo e qui non saremo,

E questo è tutto ciò che possiamo sapere!

Ruskinson, nel vedere Chib che avanza verso di lui, strilla come un maiale scannato e tenta di fuggire. Chib afferra la tela dei Canoni di un Cane, e la sbatte in testa a Ruskinson. Luscus protesta inorridito, non perché tema per Ruskinson, ma perché il quadro si potrebbe rovinare. Chib si volta e colpisce Luscus allo stomaco con il bordo dell’ovale.

La terra s’innalza come una nave che cola a picco,

Il suo dorso quasi si spezza sotto il diluvio

Di escrementi dai cieli e dal profondo,

Che Dio nella Sua terribile munificenza

Ha concesso sentendo Achab gridare:

“Tutte stronzate! Tutte stronzate!”

Io piango al pensiero che questo è l’Uomo

E questa la sua fine. Ma aspetta!

Sulla cresta dell’onda del diluvio, c’è un tre alberi

Di foggia antica. L’Olandese Volante!

E Achab è di nuovo tornato sul ponte di una nave.

Ridete pure, o Fati, e pigliatemi pure per il culo, o Nome!

Perché sono Achab e sono l’Uomo,

E sebbene non possa aprire una breccia

Nel muro di “Ciò che Sembra”

Fino ad afferrare una manciata di “Ciò che È”,

Continuerò lo stesso a battere contro quel muro,

E io e il mio equipaggio non desisteremo,

Anche se le assi si sfasceranno sotto i nostri piedi,

E sprofonderemo fino a diventare indistinguibili

Dall’universale escremento.

Per un istante che brucerà nell’Occhio

Di Dio per sempre, Achab si erge

Stagliato contro il fulgore di Orione,

Con nel pugno chiuso il fallo insanguinato,

Come Zeus che mostra il trofeo

Della castrazione di suo padre Cronos.

E poi lui e il suo equipaggio e la nave

S’immergono e sprofondano

Oltre l’orlo del mondo.

E a quanto ho sentito, stanno tuttora

p

r

e

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i

p

i

t

a

n

d

o

Chib viene ridotto a una massa fremente dalla scarica del manganello elettrico di un poliziotto. Poi, nel tornare in sé, sente la voce del nonno, dalla ricetrasmittente sistemata nel suo cappello.

«Chib, vieni, presto! Accipiter ha fatto irruzione e sta cercando di entrare nella mia stanza!»

Chib si alza e, a pugni e spintoni, guadagna l’uscita. Quando arriva ansimando a casa, scopre che la porta della stanza del Nonno è già stata forzata e che gli uomini dell’UID e i tecnici elettronici sono fermi nel corridoio. Chib irrompe nella stanza del Nonno. Accipiter sta ritto al centro, è pallido e trema. Una statua nervosa. Vede Chib e indietreggia, dicendo: — Non è stata colpa mia. Sono dovuto entrare con la forza. Era l’unico modo per ispezionare. Non è stata colpa mia: non l’ho neppure toccato.

Chib ha un nodo alla gola. Non riesce a parlare. S’inginocchia e prende la mano del Nonno. Il vecchio ha un lieve sorriso sulle labbra bluastre. Una volta per tutte, è riuscito a sfuggire ad Accipiter. In mano ha l’ultimo foglio del suo manoscritto:


ATTRAVERSO BALAKLAVE DI ODIO,

SI LANCIANO ALLA CARICA VERSO DIO

In quasi tutta la mia vita, ho visto poche persone veramente devote e una stragrande maggioranza di individui del tutto indifferenti. Ma oggi aleggia uno spirito nuovo. In tanti giovani, maschi e femmine, è rinato, non l’amore per Dio, ma una violenta antipatia per Lui. Questo mi stimola e mi tranquillizza. Giovani come mio nipote e Runic gridano bestemmie e perciò Lo adorano. Se non credessero, non penserebbero mai a Lui. Ora ho una certa fiducia nel futuro.

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