LA STRAGE DEL SENSO INTERIORE

L’atrio (uno dei dodici) da cui entra Chib è stato progettato molto tempo addietro da nonno Winnegan. Il visitatore trova davanti a sé un lungo tubo curvo rivestito di specchi disposti a varie angolazioni. Vede una porta triangolare in fondo al corridoio. La porta sembra troppo piccola perché possa varcarla qualcuno che abbia più di nove anni. L’illusione ottica dà al visitatore l’impressione di salire sulla parete, mentre avanza verso la porta. Arrivato in fondo al tubo, il visitatore è convinto di stare in piedi sul soffitto.

Ma la porta s’ingrandisce via via che si avvicina, e finisce per diventare enorme. I commentatori hanno intuito che quell’entrata è la rappresentazione simbolica, secondo l’architetto, della porta del mondo dell’arte. Bisogna mettersi a testa in giù, prima di entrare nel paese delle meraviglie dell’estetica.

Però, continuando, il visitatore ha dapprima l’impressione che l’enorme sala sia rovesciata. La vertigine aumenta. La parete di fondo sembra vicinissima, fino a quando il visitatore non riacquista il senso dell’orientamento. Alcuni non si abituano mai, e bisogna portarli fuori prima che svengano o vomitino.

Sulla destra c’è un attaccapanni con un cartello: APPICCATE QUI LA TESTA. Una battuta a doppio senso del Nonno, che in queste cose, secondo molta gente, ha sempre avuto la mano pesante. E se il Nonno oltrepassa i limiti del buon gusto verbale, i quadri di suo nipote non stanno né in cielo né in terra. Trenta dei suoi dipinti più recenti sono stati messi in mostra, inclusi gli ultimi tre della sua serie dei Cani: La costellazione del Cane, Cane voglioso e Cane a gradoni. Ruskinson e i suoi discepoli fingono di avere i conati di vomito. Luscus e il suo gregge lodano, ma con parsimonia. Luscus ha detto ai suoi di aspettare che lui abbia parlato con il giovane Winnegan, prima di compromettersi. Quelli del fideo sono occupatissimi a riprendere e a intervistare gli uni e gli altri; e cercano di provocare un litigio.

La sala principale dell’edificio è un enorme emisfero con il soffitto luminoso, che passa attraverso l’intero spettro dei colori ogni nove minuti. Il pavimento è un’enorme scacchiera, e al centro di ogni casella c’è una faccia: i grandi personaggi delle varie arti. Michelangelo, Mozart, Balzac, Zeusi, Beethoven, Li Po, Twain, Dostoevski, Farmisto, Mbuzi, Cupel, Krishnamurti e così via. Dieci riquadri sono stati lasciati liberi, in modo che le future generazioni possano aggiungere i loro candidati all’immortalità.

Le parti inferiori delle pareti sono coperte da affreschi raffiguranti eventi significativi delle vite degli artisti. Contro il muro Curvilineo vi sono nove palchi, uno per ciascuna delle Muse. Su una mensola, al di sopra di ogni palco, sta una statua gigantesca della dea patrona. Sono tutte nude, e hanno figure sovrabbondanti: seni enormi, fianchi larghi, gambe solide, come se lo scultore le avesse immaginate come immagini della Madre Terra, non tipi raffinati e intellettuali.

Le facce sono sostanzialmente strutturate come quelle, placide e levigate, delle statue greche classiche, ma gli occhi e le bocche hanno espressioni inquietanti. Le labbra sorridono ma sembrano pronte a ringhiare. Gli occhi sono profondi e minacciosi. NON TRADIRMI, dicono, ALTRIMENTI…

Su ogni palco si stende un emisfero di plastica trasparente; ha proprietà acustiche che impediscono, a quanti non si trovano sotto la conca, di udire i suoni provenienti dal palco, e viceversa.

Chib si avvia tra la folla rumorosa verso il podio di Polinnia, la Musa che include nel suo dominio la pittura. Passa davanti al podio su cui sta Benedectine, che dal suo cuore di piombo trae un’alchimia di note auree. Lei vede Chib, e riesce a lanciargli un’occhiataccia, pur continuando nel contempo a sorridere al pubblico. Chib non le bada, ma osserva che non ha più l’abito che le hanno strappato nella taverna. Vede anche i molti poliziotti piazzati tutt’intorno. La folla non sembra affatto pronta a esplodere. Anzi, sembra felice, anche se un po’ chiassosa. Ma i poliziotti sanno che la calma può essere ingannevole. Una sola scintilla e…

Chib passa davanti al podio di Calliope, dove Omar Runic sta improvvisando. Raggiunge il palco di Polinnia, saluta con un cenno del capo Rex Luscus, che agita la mano, e sistema il quadro. È intitolato La strage degli innocenti (sottotitolo: Il Cane nella mangiatoia).

Il quadro raffigura una stalla.

La stalla è una grotta dalle stalattiti di forma bizzarra. La luce che si spezza — o frantuma — nella grotta è il caratteristico rosso di Chib. Compenetra ogni oggetto, raddoppia di forza, e poi si irradia irregolarmente. Chi osserva, spostandosi da una parte all’altra per avere una visione completa, può scorgere i numerosi livelli della luce mentre si muove, e così intravvedere le figure al di. sotto delle figure esterne.

Le mucche, le pecore e i cavalli sono nei vari box in fondo alla grotta. Alcuni guardano con orrore Maria e il Bambino. Altri stanno a bocca aperta, evidentemente nel tentativo di avvertire Maria. Chib si rifà alla leggenda secondo la quale gli animali della stalla poterono parlare tra loro, la notte in cui nacque Cristo.

Giuseppe, un vecchio stanco così curvo da sembrar privo di spina dorsale, sta in un angolo. Ha due corna, ma ognuna ha un’aureola, e quindi è tutto a posto.

Maria volta la schiena al giaciglio di paglia su cui dovrebbe stare il bambinello. Da una botola che si apre sul pavimento della grotta, un uomo si sporge per collocare un uovo enorme sulla paglia. È in una grotta sotto la grotta, e indossa abiti moderni, ha un’espressione da ubriaco e, al pari di Giuseppe, è afflosciato come un invertebrato. Dietro di lui una donna grassa e grossolana, straordinariamente somigliante alla madre di Chib, tiene il bambino, che l’uomo le ha passato prima di metter l’uovo sul giaciglio di paglia.

Il bambino ha un volto squisitamente bello, ed è soffuso di una luce bianca irradiata dall’aureola. La donna gli ha tolto l’aureola dalla testa, e ne usa il bordo tagliente per farlo a pezzi.

Chib ha una profonda conoscenza dell’anatomia, poiché ha sezionato parecchi cadaveri quando era iscritto al corso di laurea in belle arti all’Università di Beverly Hills. Il corpo del bambinello non è allungato innaturalmente, come tante delle figure di Chib. È più che fotografico: sembra un bambino vero. Le viscere si srotolano attraverso un ampio squarcio sanguinante.

Coloro che lo vedono si sentono colpiti allo stomaco, come se quello non fosse un dipinto, ma un bambino vero, dilaniato e sventrato, trovato sui gradini della porta di casa mentre uscivano.

L’uovo ha il guscio semitrasparente. Nel tuorlo buio galleggia un diavoletto orribile, con corna, coda e zoccoli. Il volto confuso sembra una combinazione tra quello di Henry Ford e quello di Zio Sam. Quando gli osservatori si spostano da una parte o dall’altra, appaiono i visi di altri personaggi eminenti dell’evoluzione della società moderna.

Alla finestra si affollano gli animali selvatici che sono accorsi per adorare, ma sono rimasti per urlare, muti, il loro orrore. Le bestie in primo piano sono quelle sterminate dall’uomo o sopravvissute solo negli zoo o nelle riserve. Il dodo, la balenottera azzurra, il piccione migratore, il qagga, il gorilla, l’orango, l’orso polare, il puma, il leone, la tigre, l’orso grizzly, il condor della California, il canguro, la marmotta, il rinoceronte, l’aquila calva.

Dietro di loro ci sono altri animali e, su una collina, le scure forme acquattate dell’aborigeno della Tasmania e dell’indio di Haiti.

— Qual è il suo giudizio su questo quadro straordinario, dottor Luscus? — chiede un intervistatore del fideo.

Luscus sorride e dice: — Esprimerò un giudizio meditato tra pochi minuti. Forse sarà bene che lei parli prima con il dottor Ruskinson. Sembra che abbia già preso una decisione; rapido come gli sciocchi e gli angeli, dice il proverbio.

Il fideo trasmette la faccia rossa di Ruskinson e il suo urlo di furore.

— Lo stronzo vuol farsi riconoscere da tutto il mondo! — commenta forte Chib.

Un insulto! Uno sputo! Una merda di plastica! Un pugno in faccia all’arte e un calcio in culo all’umanità! Un insulto!

— Cosa c’è di tanto offensivo, dottor Ruskinson? — chiede l’intervistatore del fideo. — Perché deride la fede cristiana, e anche la fede panamorita? A me non sembra. Mi sembra che Winnegan cerchi di dire che gli uomini hanno pervertito il cristianesimo, forse tutte le religioni e gli ideali, per asservirli ai loro scopi di avidità e di autodistruzione; che l’uomo è fondamentalmente un uccisore e un corruttore. Almeno, è quel che mi dice quest’opera, anche se naturalmente sono un semplice profano e…

— Lasci le analisi ai critici, giovanotto! — insorge Ruskinson. — Lei ha due lauree, una in psicologia e una in belle arti? Ha fatto il concorso statale per l’abilitazione professionale come critico?

“Winnegan, che non possiede il benché minimo talento, e men che meno il genio di cui blaterano taluni illusi, Winnegan, questo abominio di Beverly Hills, presenta il suo ciarpame… in realtà un guazzabuglio che ha richiamato l’attenzione solo grazie a una tecnica nuova che qualunque tecnico elettronico poteva inventare… mi offende l’idea che un semplice trucco, una novità banale, riesca non solo a ingannare certi settori del pubblico ma anche critici di grande erudizione e autorizzati con certificato federale, come il qui presente dottor Luscus… anche se vi saranno sempre somari accademici che ragliano in modo così forte, pomposo e oscuro da…”

— Non è vero, forse — continua perfido l’intervistatore del fideo — che molti pittori oggi riconosciuti grandi, Van Gogh, tanto per fare un esempio, furono disprezzati o ignorati dai critici della loro epoca? E che…

L’intervistatore del fideo, esperto nel provocare l’ira degli intervistati per la gioia del pubblico, s’interrompe. Ruskinson arrossisce; la sua testa è a un vaso sanguigno dall’aneurisma.

— Io non sono un profano ignorante! — urla. — Non è colpa mia se in passato ci sono stati degli altri Luscus! Io so quel che dico! Winnegan è solo una micrometeorite nel cielo dell’Arte, indegno di lustrare le scarpe dei grandi luminari della pittura. La sua reputazione è stata gonfiata da una certa cricca di iene, che vogliono brillare di gloria riflessa, mordendo la mano che le nutre, come cani rabbiosi…

— Non si sta un po’ confondendo tra una metafora e l’altra? — chiede l’intervistatore del fideo.

Luscus prende teneramente per mano Chib e lo trae in disparte, fuori portata del fideo.

— Chib, tesoro — tuba — è arrivato il momento di dichiararti. Tu sai quanto ti amo, non solo come artista, ma anche per te stesso. Deve essere impossibile, per te, resistere ancora alle profonde vibrazioni di simpatia che sgorgano liberamente tra noi. Dio, se sapessi quanto ti ho sognato, mio splendido, divino Chib, con…

— Se pensi che dirò di sì solo perché puoi creare o distruggere la mia reputazione, e perché puoi negarmi la borsa di studio, ti sbagli — dice Chib. Tira via la mano.

Luscus lo guarda con ira. — Mi trovi ripugnante? Senza dubbio non sarà per motivi morali…

— È una questione di principio — dice Chib. — Anche se fossi innamorato di te, e non lo sono, non ti lascerei far l’amore con me. Voglio essere giudicato solo per i miei meriti, solo per quelli. Anzi, ora che ci penso, non me ne importa niente del giudizio degli altri. Non voglio sentire né lodi né biasimi, da te o da altri. Guardate i miei quadri e parlate fra di voi, sciacalli. Ma non pretendete di obbligarmi ad accettare le piccole immagini che voi stessi vi fate di me.

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