Con l’aiuto del Capo della Polizia, Barrent inserì un messaggio nella prima astronave in partenza per Omega. Il messaggio parlava delle condizioni sulla Terra e della necessità di un’azione immediata. Fatto questo Barrent fu pronto per il suo ultimo compito: trovare il giudice che lo aveva condannato per un delitto che lui non aveva commesso, e il falso informatore che lo aveva portato davanti al giudice. Barrent sapeva che il momento in cui avesse ritrovato quei due avrebbe ritrovato anche la parte mancante della sua memoria.
Prese l’espresso notturno per Youngerstun, dove giunse alle prime ore del mattino seguente. Superficialmente le case di quella città assomigliavano a quelle di qualsiasi altra. Tuttavia erano differenti. Barrent le sentiva familiari. Riconosceva quella città. Sentiva di essere nato e cresciuto in quel luogo.
Ecco il negozio di Grothmeir, e dall’altra parte della strada la casa degli Havening. Ed ecco la casa di Billy Havelock. Billy era stato il suo miglior amico. Con lui aveva sognato di diventare astronauta, e gli era stato vicino fino a quando non lo avevano mandato su Omega.
Ed ecco la casa di Andrew Therkaler. Più oltre, la scuola in cui aveva studiato. Ricordò le aule. E ricordò come ogni giorno fosse entrato nella classe chiusa. Tuttavia non ricordava cosa vi avesse imparato.
Ed ecco, vicino a due grandi olmi, il punto in cui era stato commesso l’assassinio. Barrent raggiunse il luogo e subito ricordò com’era avvenuto. Stava andando verso casa, e a un tratto aveva udito un grido. Si era voltato e un uomo, Illiardi, era sopraggiunto di corsa gettandogli qualcosa. Barrent aveva afferrato istintivamente l’oggetto e si era trovato con un’arma illegale tra le mani.
Aveva fatto alcuni passi e si era trovato davanti il cadavere di Andrew Therkaler.
Cos’era accaduto poi? Confusione. Panico. La sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Là, in fondo alla via, c’era il rifugio dove si era diretto allora.
Si avviò da quella parte e si trovò di fronte a una cabina di robot-confessore.
Entrò. Il locale era molto piccolo, e nell’aria aleggiava un vago odore d’incenso. Vide una sola sedia, e di fronte a questa un pannello molto illuminato.
«Buongiorno, Will» gli disse il pannello.
Come udì la voce meccanica del pannello, Barrent fu preso da un senso di scoraggiamento. Ora ricordava. Il pannello sapeva tutto, capiva tutto, ma non poteva perdonare. Quella era la voce con cui aveva parlato e che poi lo aveva condannato. Nel suo sogno aveva identificato la voce del robot con quella di un giudice.
«Vi ricordate di me?» chiese Barrent.
«Certo» rispose il robot. «Eri un mio parrocchiano prima di essere tradotto su Omega.»
«Mi ci avete mandato voi su Omega.»
«Per omicidio.»
«Ma non avevo commesso quel delitto. Non lo avevo commesso, e voi dovevate saperlo.»
«Certo, lo sapevo» rispose il robot. «Ma i miei poteri sono rigorosamente definiti. Io condanno secondo le prove, non per intuizione. Per legge, il robot-confessore deve prendere in considerazione solo le prove evidenti che gli vengono fornite. Nel dubbio, deve condannare. Infatti, la sola presenza di fronte a me di un individuo fa presupporre che sia colpevole.»
«Avevate delle prove contro di me?»
«Sì.»
«Chi ve le ha date?»
«Non ti posso dire il nome.»
«Dovete!» gridò Barrent. «I tempi stanno cambiando sulla Terra. I prigionieri stanno per tornare. Lo sapevate?»
«Me lo aspettavo» ammise il robot.
«Dovete dirmi il nome di chi mi ha denunciato» disse Barrent estraendo di tasca la pistola.
«Una macchina non può essere obbligata con la forza.»
«Ditemi il nome!» gridò ancora Barrent.
«Non posso, per il tuo stesso bene. Il pericolo potrebbe essere troppo grande. Credimi Will…»
«Il nome!»
«D’accordo. Troverai l’informatore al numero 35 della Maple Street. Però ti consiglio di non andare. Non puoi sapere…»
Barrent premette il grilletto. Le luci del pannello si accesero e si spensero diverse volte, poi una striscia di fumo salì verso il soffitto e si perse nell’aria.
Barrent uscì dalla cabina e ripose la pistola nella tasca. Poi si diresse verso la Maple Street.
C’era già stato. Conosceva quella strada che saliva dolcemente verso la collina. E tutte le case cui passava di fronte gli erano familiari.
Si fermò di fronte al numero 35. Il silenzio che circondava la casa era sinistro. Allora, per provare un’illusione di sicurezza, tolse di tasca la pistola e avanzò stringendola nella mano.
Raggiunse la porta d’ingresso, e, vedendola aperta, entrò.
Nella penombra vide il contorno dei mobili che arredavano la stanza, un quadro alla parete, e una statua su un piedistallo di ebano. Con la pistola sempre in pugno si avviò verso la stanza accanto.
E si trovò di fronte all’informatore.
Fissandolo in volto Barrent ricordò. E in una sovraimpressione di ricordi vide se stesso ragazzo quando entrava nella classe chiusa. Poteva ancora udire il ronzio della macchina, vedere lo scintillio delle luci, e udire la voce insinuante che gli parlava nell’orecchio. In un primo momento la voce lo aveva riempito di orrore. Quel che suggeriva era impensabile.
Poi lentamente si era abituato a tutto ciò che avveniva nelle classi chiuse.
E imparò. La macchina si insinuava profondamente in lui. Cosa gli insegnava?
Per il bene della società, tu devi essere poliziotto e testimonio di le stesso. Devi assumerti la responsabilità di ogni delitto che potresti aver commesso.
La faccia dell’informatore lo fissava impassibile. Era il suo stesso volto che lo fissava riflesso nello specchio appeso alla parete.
Luì era stato l’accusatore di se stesso. Quel giorno, con una pistola nella mano, mentre fissava il corpo dell’uomo che avrebbe voluto uccidere. Ed era andato nella cabina del robot-confessore a proclamarsi colpevole. Si era accusato sulla base delle probabilità.
Il robot aveva emesso la sentenza e lui era uscito dalla cabina. Istruito da quello che aveva appreso nelle classi chiuse, lui si era preso in custodia e si era trasferito al centro di controllo del pensiero di Trenton.
Qui degli abili androidi gli avevano tolto completamente la memoria. E, a lavoro ultimato, un Barrent automatizzato era uscito da quel centro per recarsi spontaneamente all’astronave che lo avrebbe portato su Omega. Poi si era addormentato fino al momento dello sbarco…
Ora, fissando il suo volto nello specchio, gli venne alla mente l’ultima lezione che si era svolta nella classe chiusa.
Le lezioni della classe chiusa non devono mai venire a conoscenza dell’individuo. Dovesse prenderne coscienza, l’organismo umano deve compiere immediatamente un atto di auto-distruzione.
Ora capiva perché la sua conquista della Terra era stata così facile. Lui non aveva conquistato niente. La Terra non aveva bisogno di forze di sicurezza perché il poliziotto era nella mente di ogni individuo. Dietro la superficie della civiltà terrestre c’era una civiltà di robot. Venire a conoscenza di questo significava la morte.
E in quel momento cominciò la lotta per il possesso della Terra.
Il subcosciente lo incitò a portare la pistola contro la sua tempia. Ecco da cosa il robot-confessore lo aveva messo in guardia, e cosa la ragazza mutante aveva previsto. Il giovane Barrent, condizionato all’obbedienza, doveva uccidersi.
Il vecchio Barrent, quello che aveva passato la vita su Omega, cercava di resistere. Le due parti di lui combattevano per il possesso dell’arma, per il controllo del corpo, per impossessarsi della mente.
La pistola raggiunse la tempia, il dito si portò sul grilletto. Ma il Barrent omegano, il Barrent 2 riuscì a farla abbassare.