II

I nuovi prigionieri vennero condotti verso la fila di baracche che formavano il blocco A-2. Erano circa cinquecento. Ma non si poteva dire che fossero degli uomini. Erano piuttosto delle entità, i cui ricordi si estendevano appena a un’ora prima. Seduti sui loro sgabelli, i nuovi nati si guardarono curiosamente il corpo, e presero a osservare con interesse le mani e i piedi. Poi si fissarono, e negli occhi degli altri videro riflessi i loro volti. Non erano uomini, ma non erano neppure dei bambini. Certe astrazioni e lo spettro dei ricordi erano rimasti. La maturazione venne rapidamente.

I nuovi uomini si afferrarono ai vaghi ricordi di concetti, di idee, di regole. E dopo poche ore, la flemmatica passività cominciò a svanire. Stavano diventando uomini. Individui. Fuori dalla nebbia di una uniformità superficiale, cominciarono a emergere le differenze. I caratteri stessi si riaffermarono, e i cinquecento uomini cominciarono a scoprire come erano.

Will Barrent si mise in fila per andare a guardarsi nello specchio della baracca. Quando venne il suo turno vide riflesso il volto sottile di un giovane di piacevole aspetto, dai capelli castani. Era una faccia onesta e decisa, non segnata da alcuna forte passione. Barrent tornò via, deluso: quella era la faccia di uno sconosciuto.

Più tardi, esaminandosi attentamente, non trovò sul suo corpo niente, né una cicatrice né alcun altro segno che lo potesse distinguere da migliaia di altri corpi. Le sue mani erano senza calli.

Il corpo, magro. Si chiese quale genere di lavoro avesse potuto svolgere sulla Terra.

L’assassinio?

Corrugò la fronte. Non era pronto ad accettare questa realtà. Qualcuno gli mise una mano sulla spalla.

«Come vi sentite?»

Barrent si volse verso l’uomo dalle spalle massicce e dai capelli rossi che gli stava accanto.

«Abbastanza bene» rispose. «Eravate in fila dietro di me, vero?»

«Esatto. Sono il numero 401. Mi chiamo Danis Foeren.»

Barrent si presentò.

«Qual è il vostro delitto?» chiese Foeren.

«Assassinio.»

Foeren scosse la testa. Sembrava impressionato.

«Io sono un falsario. Non lo si direbbe, a guardarmi le mani» disse, sollevando le due grosse zampe cosparse di peli rossicci. «Ma sono molto abili. Le mie mani hanno ricordato prima di me. Stillo scafo, stavo seduto nella mia cella e le osservavo. Si struggevano. Volevano essere libere di fare qualcosa. Però il resto di me non riusciva a ricordare cosa.»

«E allora, cos’avete l’atto?» domandò Barrent.

«Ho chiuso gli occhi e ho lasciato che le mani prendessero l’iniziativa» rispose Foeren. «Per prima cosa mi sono accorto che stavano cercando di aprire la serratura della cella.» Tornò a sollevare le mani, e le guardò, pieno di ammirazione.

«Aprire la serratura?» ripeté Barrent. «Mi pareva di aver capito che foste un falsario.»

«Be’, certo» rispose Foeren «quella del falsario era la mia specialità. Ma un paio di mani abili possono fare quasi tutto. Penso di essere stato preso per falso, ma avrei benissimo potuto essere anche uno scassinatore. Le mie mani sanno troppe cose per essere semplicemente quelle di un falsario.»

«Avete scoperto su di voi più di quanto io sia riuscito a scoprire su di me» disse Barrent. «Come punto di partenza, io ho soltanto un sogno.»

«Be’, è già qualcosa» commentò Foeren. «Ci dev’essere il mezzo per scovar fuori il resto. Ora la cosa importante è che siamo su Omega.»

«Certo» rispose Barrent cupo.

«Non possiamo lamentarci» continuò Foeren. «Avete sentito quello che ha detto quell’uomo? Questo è il nostro pianeta.»

«Con una media di vita di tre anni terrestri» gli ricordò Barrent.

«Probabilmente è un discorso fatto per metterci paura» disse Foeren. «Non voglio credere alle parole di una guardia. La cosa importante è che siamo su un nostro pianeta. Avete sentito quello che ha detto? “La Terra vi rifiuta.” La Terra! Ma chi ne sente la nostalgia? Noi abbiamo un nostro pianeta. Un intero pianeta, Barrent! Siamo liberi!»

«Hai ragione, amico» esclamò un piccoletto che stava lì accanto. «Mi chiamo Joe. Il nome dovrebbe essere Joao, però preferisco la forma arcaica che mi ricorda tempi migliori. Dovete scusare, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione. Sono pienamente d’accordo con il signore dai capelli rossi. Considerate tutto! La Terra ci ha messo da parte? Ottimo. Stiamo meglio senza di lei. Qui siamo tutti uguali. Uomini liberi in una libera società. Niente uniformi, niente guardie, niente soldati. Solo criminali pentiti che desiderano vivere in pace.»

«Per cosa siete stato condannato?» si informò Barrent.

«Hanno detto che ero un truffatore» disse Joe. «È vergognoso, ma devo ammettere che non ricordo cosa sia un truffatore. Ma è probabile che mi torni in mente.»

«Forse le autorità hanno qualche sistema per far rinascere i ricordi» osservò Foeren.

«Autorità?» esclamò Joe, in tono indignato. «Perché dite autorità? Questo è il nostro pianeta. Qui siamo tutti uguali. Non ci possono essere autorità. No, amici, abbiamo lasciato tutti questi controsensi sulla Terra. Ora noi…»

Si interruppe di scatto. La porta della baracca si era spalancata per lasciar entrare uno sconosciuto. Evidentemente si trattava di un vecchio residente del pianeta, perché non vestiva la grigia uniforme dei prigionieri. Era grasso, e indossava uno stravagante vestito giallo e blu. Intorno alla sua ampia vita portava una cintura alla quale era attaccato il fodero di una pistola, e un coltello. Si fermò sulla soglia, e portate le mani ai fianchi prese a osservare i nuovi arrivati.

«Be’?» disse. «Non riconoscete un Questore? In piedi!»

Nessuno degli uomini si mosse.

La faccia del ciccione divenne scarlatta.

«Credo di dovervi insegnare ad avere un po’ di rispetto.»

Ma ancor prima che avesse potuto togliere la pistola dal fodero tutti i nuovi arrivati erano balzati in piedi. Il Questore li guardò con una certa aria di rincrescimento, e ricacciò la pistola nel fodero.

«La prima cosa che dovete mettervi bene in testa» disse «è la vostra condizione sociale. Voi siete dei peoni, il che significa che non siete niente.» Aspettò un attimo poi riprese: «Ora state attenti, peoni. Vi dirò quali sono i vostri doveri».

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