Le guardie fecero uscire Barrent dall’ufficio del Comitato e lo scortarono fino a una cella situata sotto l’Arena. Gli dissero di essere paziente: le Gare erano già cominciate e il suo turno sarebbe venuto presto.
C’erano nove uomini stipati in quella cella costruita per ospitare al massimo tre persone. Tutti erano seduti o sdraiati in silenziosa apatia, quasi rassegnati alla morte. Uno solo sembrava non essersi conformato alla situazione e, come Barrent entrò, gli si fece incontro.
«Joe!»
Il piccolo truffatore sorrise con amarezza.
«Un brutto posto per rivederci, Will.»
«Cosa ti è accaduto?»
«Su Omega la politica è una brutta faccenda» disse Joe. «Specialmente nei periodi vicini alle Gare. Pensavo di essere al sicuro, invece…» Scosse le spalle. «Sono stato scelto questa mattina per le Gare.»
«C’è possibilità di non farle?»
«Sì» rispose Joe. «Ho detto di te alla tua ragazza. Forse i suoi amici possono fare qualcosa. Per me, sono in attesa di una sospensione.»
«È possibile?» chiese Barrent.
«Tutto è possibile. Comunque è meglio non sperare.»
«Come sono le Gare?» chiese Barrent.
«Esattamente ciò che ci si può aspettare» rispose Joe. «Combattimenti contro altri uomini, battaglie contro vari tipi di flora e di fauna di Omega, duelli con pistole a raggi e a calore. Tutto è stato copiato dai vecchi spettacoli sulla Terra, così mi hanno detto.»
«E se qualcuno sopravvive» disse Barrent «passa al dilà della legge.»
«Esatto.»
«Ma cosa vuol dire?»
«Non lo so» rispose Joe. «Pare che nessuno sappia molto su questo argomento. Tutto quello che sono riuscito a scoprire è che i vincitori delle Gare vengono presi dal Nero. E sembra che non sia una cosa piacevole.»
«Ben poche cose di Omega sono piacevoli.»
«Non è un brutto posto» disse Joe. «Tu non sei ancora entrato nell’ordine…»
Fu interrotto dall’arrivo di un distaccamento di guardie. Era ormai tempo di entrare nell’Arena.
«Niente sospensioni» sospirò Barrent.
«Be’, è andata così» commentò con amarezza Joe.
Furono fatti allineare dietro la porta di ferro che separava l’ala delle celle dall’Arena vera e propria. Ma un attimo prima che il capitano delle guardie facesse aprire la porta, videro giungere di corsa da un corridoio laterale un uomo grasso e ben vestito, che agitava un foglio.
«Cos’è?» chiese il capitano.
«Un’ordinanza» disse il grassone porgendo la carta al capitano. «Qui troverete l’ordine di sospensione e di estinzione» disse togliendo altre carte dalla tasca. «Qui la dichiarazione del fallimento, l’ipoteca sui beni mobili, l’ordine di habeas corpus, e il pignoramento del salario.»
Il capitano spinse indietro l’elmetto e corrugò la fronte.
«Non riesco mai a capire quello che voi avvocati dite. Cosa significa?»
«Che deve essere rilasciato» disse il grassone indicando Joe.
Il capitano guardò le carte con un’occhiata distratta.
«Va bene» disse «portatelo via. Ai vecchi tempi non succedevano cose simili! Niente avrebbe potuto fermare l’ordine fissato delle Gare.»
Con un sorriso trionfante Joe uscì dalla fila dei prigionieri e si avvicinò all’avvocato.
«Non avete nessuna ordinanza per Will Barrent?»
«No. Il suo caso è all’esame di altre persone. Mi spiace, ma non potrà venir presa alcuna decisione prima della fine delle Gare.»
«Allora forse sarò morto» borbottò Barrent.
«Questo, ve lo posso assicurare, non impedirà che il caso venga escusso» disse l’avvocato, con orgoglio. «Vivo o morto, otterrete i vostri diritti.»
Il capitano si volse ai prigionieri.
«Bene, andiamo» ordinò.
«Buona fortuna» gridò Joe. Poi la fila dei prigionieri oltrepassò la soglia dell’Arena.
Barrent sopravvisse ai duelli a corpo a corpo in cui un quarto dei prigionieri morì.
Poi, uomini armati di spada, vennero messi a confronto con la fauna più feroce di Omega. Tra quegli animali c’erano l’hintolyte e l’hintosced, pachidermi dalle enormi zanne che abitavano il deserto a sud di Tetrahyde.
Alla morte del quindicesimo prigioniero, tutti gli animali erano stati uccisi.
Barrent combatté contro un saunus, nero rettile volante delle montagne dell’ovest. Per un attimo quasi venne sopraffatto da quella creatura dai denti avvelenati. Poi, appena in tempo, riuscì a trovare la soluzione. Smise di colpire il corpo del rettile e concentrò tutti i suoi sforzi sulle ali, più delicate. E quando finalmente riuscì, il saunus perse l’equilibrio di volo e andò a cozzare contro il muro che divideva l’Arena dagli spalti. Allora fu relativamente facile vibrare il colpo di grazia nell’unico occhio del rettile.
Subito si levò all’indirizzo di Barrent l’applauso entusiastico della folla.
Il giovane si ritirò in panchina per una pausa, e prese a osservare quelli che stavano combattendo contro i trichometredi, piccole creature della grandezza di un topo, incredibilmente veloci, e di una voracità spaventosa. Furono impegnate cinque squadre di prigionieri.
Dopo un breve interludio di duelli a corpo a corpo, l’Arena venne sgomberata.
E fecero il loro ingresso i criatins. Erano animali anfibi, molto lenti, ma protetti da una corazza di scaglie spesse parecchi centimetri. Avevano una lunga coda a frusta che, oltre a servire da antenna, risultava inesorabilmente fatale, a chiunque si fosse avvicinato. Barrent dovette combattere contro uno di questi animali che aveva liquidato quattro suoi compagni.
Aveva osservato attentamente i combattimenti che avevano preceduto il suo, e aveva scoperto l’unico punto a cui l’antenna del criatin non poteva giungere. Barrent aspettò il momento opportuno poi balzò proprio di fronte all’animale. E come lo scudo si aprì per permettere all’animale di spalancare la gigantesca bocca, Barrent menò un fendente proprio nell’apertura. Il criatin spirò con prontezza veramente lodevole, e la folla manifestò la sua ammirazione lanciando i cuscini nell’Arena.
La vittoria lasciò Barrent solo sulla sabbia insanguinata. Tutti gli altri prigionieri erano morti, o feriti in maniera troppo grave per poter continuare il combattimento. Rimase ad aspettale, chiedendosi quale animale il Comitato delle Gare gli avrebbe messo di fronte.
Un viticcio spuntò dalla sabbia, e poi un altro. In pochi secondi un grosso tronco crebbe nell’Arena. Altri viticci vennero spinti sulla sabbia. E come incontravano carne, viva o morta che fosse, la portavano a cinque piccole bocche situate alla base del tronco. Si trattava di un carrion delle paludi dell’estremo nord, trasportato con grandi difficoltà. Si diceva fosse vulnerabile al fuoco, ma Barrent non aveva fuoco a disposizione.
Brandendo la spada con entrambe le mani Barrent mozzò alcuni tentacoli, ma subito altri crebbero al loro posto. Allora cominciò a colpire all’impazzata, per evitare di essere circondato. Era stanco, e i tentacoli tornavano a crescere più veloci che mai. Quella maledetta pianta sembrava indistruttibile.
La sua sola speranza stava nei pigri movimenti dell’albero. Uscì dall’angolo nel quale stava per essere intrappolato, e si lanciò verso una seconda spada che giaceva seminascosta nella sabbia, a una ventina di metri. La raccolse e in quel momento sentì il grido di avvertimento della folla.
Un tentacolo gli afferrò la caviglia. Subito se ne liberò con un colpo di spada, ma altri tentacoli gli avevano circondato la vita. Allora puntò i talloni nella sabbia, e picchiò le spade una contro l’altra nel tentativo di provocare una scintilla.
Ma al primo colpo una delle spade si ruppe a metà.
Provò ancora, mentre i tentacoli lo trascinavano verso le bocche, e alla fine una pioggia di scintille sprizzò dall’acciaio. Una toccò un tentacolo.
Con incredibile rapidità la liana venne avvolta dalla fiamma, che poi si spostò verso la pianta. Le cinque bocche si contorsero mentre il fuoco stava per raggiungerle.
Se la situazione si fosse protratta, Barrent sarebbe morto bruciato in mezzo all’Arena. Ma le fiamme avevano cominciato a lambire le pareti di legno che cingevano lo stadio, e le guardie furono costrette a intervenire per salvare gli spettatori, e di conseguenza lui.
Barcollando per la stanchezza Barrent si portò in mezzo all’Arena, chiedendosi cosa lo aspettava adesso. Ma nulla accadde. Dopo alcuni istanti, dal palco del Presidente venne fatto un segnale e tutta la folla proruppe in un applauso.
Le Gare erano finite. Barrent era sopravvissuto.
Tuttavia nessuno abbandonò il proprio posto.
Gli spettatori erano in attesa di vedere Barrent passare al dilà della legge.
Poi udì la folla mormorare riverente, e si girò di scatto. Allora vide un piccolo punto luminoso apparire a mezz’aria. Crebbe, e divenne troppo brillante per essere fissato. Barrent ricordò le parole di Zio Ingemar. “A volte il Nero ci ricompensa apparendo davanti a noi in tutta la sua spaventosa bellezza di fuoco. Sì, Nipote, io ho avuto il privilegio di vederlo. Due anni fa apparve dopo la conclusione dei Giochi. E nella stessa occasione apparve l’anno precedente…”
Il punto era diventato una sfera rossa e gialla del diametro di circa sei metri. A un tratto il centro si assottigliò, e la parte superiore divenne scura. C’erano due globi, adesso. Uno luminoso e uno nero, congiunti da un sottile filamento.
E mentre Barrent fissava il globo nero, lo vide trasformarsi nella inconfondibile testa cornuta del Nero…
Cercò di fuggire ma la mostruosa figura si lanciò in avanti e lo avvolse. Cercò di gridare. Ma svenne.