Il mattino seguente Barrent cominciò le sue esplorazioni. La tecnica era molto semplice. Bastava suonare il campanello di una porta e prendere a fare domande. Avvisava subito gli intervistati che le sue domande sarebbero state mescolate a quesiti apparentemente senza senso, ma strettamente necessari ai fini della statistica. In questo modo Barrent trovò che poteva domandare qualsiasi cosa sulla Terra, e che poteva farlo senza palesare la propria ignoranza.
C’era sempre il pericolo che qualche funzionario gli domandasse le sue credenziali; o che qualche poliziotto balzasse fuori quando meno se lo aspettava. Ma doveva correre il rischio.
Partendo dalla Orange Esplanade, Barrent cominciò il lavoro di interviste casa per casa.
(Cittadina A. L. Gotthreid, 55 anni, professione: casalinga. Donna forte, imperiosa ma cortese, con aria di sicurezza.)
«Volete farmi delle domande sulla classe e sullo status» disse. «Non è così?»
«Sì, signora.»
«Voi Intervistatori fate sempre delle domande sulla classe e sullo status. A quest’ora dovreste sapere tutto. Comunque, oggi, dato che tutti sono uguali, c’è solo una classe. Quella di mezzo. La sola domanda che si può fare è quindi questa… A che rango della classe di mezzo si può appartenere? Alto, basso, o medio?»
«Come lo si può determinare?»
«Da parecchie cose. Dal modo in cui una persona parla, mangia, veste, da come si comporta in pubblico. Si può sempre riconoscere un appartenente alla classe di mezzo superiore dalle maniere e dai vestiti. Non ci si può sbagliare.»
«Capisco. E la classe media bassa come si distingue?»
«Per prima cosa, mancano di ingegno creativo. Vestono abiti confezionati senza prendersi il disturbo di fare le modifiche necessarie. Lo stesso si può dire per le loro case. Arredate in maniera sciatta. No, non si dovrebbe ricevere gente simile.»
«Grazie, Cittadina Gotthreid. Voi come vi classifichereste?»
«Oh, non ci ho mai pensato… classe media superiore, direi.»
(Cittadino Dreister, 43 anni, professione: commerciante in calzature. Magro, cortese, aspetto giovanile.)
«Sì, signore. Myra e io abbiamo tre bambini che frequentano la scuola. Tutti e tre maschi.»
«Potete dirmi in cosa consiste la loro educazione?»
«Imparano a leggere e scrivere, e come diventare ottimi cittadini. Imparano a scegliersi una carriera. Il primo vuol continuare il mio lavoro. Gli altri due faranno il lavoro dei genitori di mia moglie. Imparano inoltre a mantenere il proprio status e le tecniche per progredire. Questo è quello che imparano nelle classi aperte.»
«Ci sono delle classi che non sono aperte?»
«Naturalmente. Ci sono le classi chiuse. Tutti i bambini le frequentano.»
«Cosa imparano in queste classi?»
«Non so. Come ho detto, sono chiuse.»
«I bambini non parlano mai di quello che imparano in quelle classi?»
«No. Parlano di qualsiasi cosa, ma non di questo.»
«Avete idea di cosa possa venir loro insegnato?»
«Mi spiace, non so. Immagino, ma è solo una mia idea, che si tratti di qualcosa che riguarda la religione. Dovreste domandare ai maestri.»
«Vi ringrazio. Come classifichereste voi il vostro status?»
«Classe media media.»
(Cittadina Maryjane Morgan, 57 anni, professione: insegnante. Donna alta e ossuta.)
«Sì, signore. Penso di aver detto tutto ciò che si insegna alla Little Beige Schoolhouse.»
«Tranne quello che si insegna nelle classi chiuse.»
«Come avete detto?»
«Le classi chiuse. Non ne avete parlato.»
«Mi spiace, ma non posso.»
«Perché no, Cittadina Morgan?»
«È forse una domanda tranello? Tutti sanno che i maestri non possono entrare nelle classi chiuse.»
«Chi può entrare?»
«I bambini, naturalmente.»
«Chi insegna, allora?»
«Il governo si incarica di ciò.»
«Certo. Ma chi, specificamente, insegna in queste classi?»
«Non ne ho idea. Non è certo un mio compito. Le classi chiuse sono un’istituzione antica e rispettata. Penso che si insegni qualcosa di natura religiosa. Ma è solo una mia congettura. Qualunque cosa sia, non mi riguarda. Né riguarda voi, giovanotto, Intervistatore o meno.»
«Vi ringrazio, Cittadina.»
(Cittadino Edgar Nief, 107 anni, professione: ufficiale in congedo. Alto, curvo, con occhi brillanti e bastone.)
«Più forte, per favore. Cosa mi avete domandato?»
«Le Forze Armate. Vi ho chiesto…»
«Ah, ecco. Sì, ero colonnello del Ventunesimo Commando Spaziale del Nord America, un reparto regolare dei Corpi di Difesa Terrestre.»
«Vi siete ritirato dal servizio?»
«No, il servizio ha fatto ritirare me.»
«Come avete detto?»
«Avete capito bene, giovanotto. È stato sessantatré anni fa. Le Forze Armate Terrestri furono smobilitate, tranne la polizia.»
«Perché?»
«Non c’era più nessuno contro cui combattere mi hanno detto. Una grossa sciocchezza.»
«Perché, signore?»
«Un vecchio soldato sa che un nemico può spuntare da un momento all’altro. Potrebbe accadere ora.»
«Non si potrebbe ricreare l’esercito?»
«Certo. Ma la generazione presente non ha più il concetto del servire sotto le armi. Non ci sono più Comandanti, tranne qualche vecchio rimbambito come me. Ci vorrebbero anni per formare un esercito efficiente.»
«Intanto la Terra è completamente aperta a qualsiasi invasione che può venire dall’esterno?»
«Sì. Ci sono le forze di polizia. Ma dubito seriamente che possano sostenere un conflitto a fuoco.»
«Potete dirmi qualcosa della polizia?»
«Non ne so niente. Non mi sono mai preoccupato di questioni che non fossero militari.»
«Però, è presumibile che ora la polizia svolga anche funzioni militari. Non credete?»
«Sì. Tutto è possibile.»
(Cittadino Moertin Honners, 31 anni, professione: scrittore. Magro, faccia infantile. Capelli biondissimi.)
«Voi siete scrittore, Cittadino Honners?»
«Sì, signore. Però se non vi spiace, preferisco la parola “autore”.»
«Certo. Voi, Cittadino Honners, scrivete per un periodico di grande diffusione?»
«Certo che no! Quelli sono scritti da incompetenti per il discutibile diletto del pubblico della classe media bassa. Quelle storie, nel caso non lo sapeste, sono ricopiate riga per riga da lavori di scrittori popolari del ventesimo e ventunesimo secolo. Quelli che fanno questo lavoro si limitano a cambiare gli avverbi e gli aggettivi. Di tanto in tanto, così mi è stato detto, cambiano un verbo o un nome. Ma è raro. Gli editori di quei periodici hanno paura delle innovazioni.»
«Voi non fate questo lavoro?»
«Assolutamente no! Il mio non è un lavoro commerciale. Sono uno Specialista di Conrad.»
«Mi volete dire cosa significa, Cittadino Honners?»
«Ne sono felice. Il mio lavoro particolare è quello di ricreare i lavori di Joseph Conrad, un autore vissuto nell’Era preatomica.»
«Cosa significa, ricreare?»
«In questo momento sono impegnato nella mia quinta ricreazione di Lord Jim. Per fare questo devo immergermi nel lavoro originale. Poi lo scrivo come lo avrebbe scritto Conrad se fosse vissuto in questi giorni. È un lavoro che richiede una estrema diligenza, allo scopo di ottenere la più completa resa artistica. Come potete vedere, questo lavoro richiede la perfetta conoscenza del vocabolario di Conrad, degli intrecci, dei personaggi, e così via. E tuttavia non deve essere una ripetizione del lavoro originale. Deve dire qualcosa di nuovo, proprio come l’avrebbe detto Conrad.»
«Avete successo?»
«La critica mi è favorevole e l’editore mi incoraggia.»
«Capisco. La ricreazione è dunque un’arte?»
«È il fine di ogni artista.»
(Cittadino Willis Ouerka, 8 anni, professione: scolaro. Vivace ragazzo dai capelli neri.)
«Mi spiace, signor Intervistatore, i miei genitori non sono in casa in questo momento.»
«Non ha importanza, Willis. Ti spiace se ti faccio una domanda o due?»
«Fate pure. Cosa avete sotto la giacca, signore? È gonfia.»
«Sono io che faccio le domande, Willis, se non ti spiace. Allora, ti piace la scuola?»
«Sì.»
«Che materie impari?»
«A leggere e scrivere, “ama il tuo status”, e poi arte, musica, architettura, ballo e teatro. Le solite cose.»
«Tutto questo nelle classi aperte?»
«Certo.»
«Frequenti anche le classi chiuse?»
«Naturalmente. Ogni giorno.»
«Ti spiace parlare di queste classi?»
«No. Cos’è quel gonfiore? Un’arma? So cosa sono. Alcuni giorni fa dei miei compagni avevano delle fotografie di armi, e io le ho potute vedere. È un’arma quella che avete?»
«No. È il vestito fatto male, ecco tutto. Allora ti spiace parlare delle classi chiuse?»
«No.»
«Cosa imparate?»
«Non ricordo.»
«Non dire bugie, Willis.»
«È la verità, signor Intervistatore. Entriamo in quelle classi e ne usciamo due ore dopo per la ricreazione. Questo è tutto. Non riesco a ricordare altro. Ho parlato anche con gli altri miei compagni, ma anche loro non ricordano.»
«Strano…»
«No, signore. Se si potesse ricordare non sarebbero chiuse.»
«Forse hai ragione. Ricordi com’è fatta la classe o chi è il maestro?»
«No, signore. Non ricordo niente di niente.»
(Cittadino Cuchulain Dent, 37 anni, professione: inventore. Prematuramente invecchiato. Occhi dalle palpebre pesanti.)
«Sì, esatto. Sono un inventore specializzato in giochi. L’anno scorso ho inventato il “Triangolate… altrimenti!”, È un gioco molto popolare. Non lo conoscete?»
«No.»
«È un gioco di abilità. Si simula un oggetto perso nello spazio e i giocatori devono ritrovarlo usando i piccoli calcolatori che hanno a disposizione. Ci sono molte luci che si accendono e si spengono, pulsanti, interruttori, e altre cose del genere. Si è venduto moltissimo.»
«Avete inventato qualcos’altro, Cittadino Dent?»
«Quando ero giovane avevo inventato una mietitrice tre volte più efficiente di quelle in uso. Volete ridere? Pensavo veramente di poterla vendere.»
«Non è stata venduta?»
«Naturalmente no. Allora non sapevo ancora che l’ufficio brevetti accettava solamente nuovi giochi.»
«Siete rimasto contrariato?»
«Un po’. Poi mi sono reso conto che le mietitrici in uso andavano benissimo. Non c’è bisogno di invenzioni più ingegnose ed efficienti. La gente è felice dello stato attuale delle cose. Inoltre le nuove invenzioni non porterebbero nessun beneficio all’umanità. Le nascite e le morti sono rigorosamente stabili; tutti hanno abbastanza da vivere. Per costruire una nuova invenzione sarebbe necessario riconvertire una intera officina. E questo è impossibile, dato che le macchine sono tutte automatiche e predisposte a un solo lavoro. Ecco perché accettano solo invenzioni di nuovi giochi.»
«Che ne pensate di tutto questo?»
«Che cosa volete che pensi? Le cose stanno così.»
«Vorreste che cambiassero?»
«Forse. Ma, essendo un inventore, sono comunque schedato come temperamento instabile.»
(Cittadino Barn Threnten, 41 anni, professione: ingegnere nucleare, specializzato nello studio di astronavi. Nervoso, aspetto intelligente, occhi scuri.)
«Volete sapere qual è il mio lavoro? Mi spiace che mi facciate una simile domanda, Cittadino, perché io non faccio altro che camminare avanti e indietro nello stabilimento. Lo statuto sindacale impone la presenza di un uomo per ogni robot. Ecco, io faccio la presenza.»
«Siete insoddisfatto, Cittadino Threnten?»
«Sì. Vorrei fare l’ingegnere atomico. Ho studiato per questo. Poi, quando presi la laurea, scoprii che le mie conoscenze erano indietro di cinquant’anni. Ora, anche se mi sono messo alla pari con i tempi, non saprei dove svolgere la mia professione.»
«Perché?»
«Per il semplice motivo che gli stabilimenti atomici sono tutti automatizzati. Non so se la popolazione ne è a conoscenza, ma è così. Dal materiale grezzo al prodotto finito, tutte le operazioni avvengono con mezzi automatici. La sola partecipazione dell’uomo in questo programma è il controllo della quantità in rapporto all’indice di popolazione.»
«Cosa accade quando si guasta una macchina automatica?»
«Viene riparata da squadre di robot.»
«E se questi si rompessero?»
«Quei maledetti sono auto-riparantisi. A me non rimane altro che guardare e compilare un rapporto. Il che è un lavoro ridicolo per un uomo che si considera ingegnere.»
«Perché non vi siete messo a lavorare in un altro campo?»
«È la stessa cosa. Mi sono informato. Tutti gli ingegneri sono nella mia stessa posizione. Osservano dei processi automatici che non possono capire. Nelle industrie alimentari, nelle fabbriche di automobili, nelle costruzioni, sempre la stessa cosa. Ingegneri che non sono affatto ingegneri.»
«Questo vale anche per i voli nello spazio?»
«Certo. Nessun membro del Sindacato Piloti Spaziali ha più lasciato la Terra da cinquant’anni a questa parte. Credo che abbiano persino dimenticato come si piloti un’astronave.»
«Capisco. Tutte le astronavi sono automatiche.»
«Esattamente. Automatiche in maniera irrevocabile e permanente.»
«Cosa accadrebbe se una di queste astronavi si venisse a trovare in una situazione imprevista?»
«È diffìcile a dirsi. Le astronavi non possono pensare, questo voi lo sapete, possono solo seguire un programma prestabilito. Se un’astronave si venisse a trovare in una situazione non programmata, penso che rimarrebbe paralizzata. Temporaneamente, almeno. Credo che ci sia un selettore in grado di superare ogni nuova situazione, ma non si è mai avuto il caso di sperimentarlo. Nel migliore dei casi reagirebbe con troppa lentezza. Nel peggiore, non reagirebbe affatto. E questo sarebbe una cosa magnifica.»
«Parlate seriamente?»
«Certo. Sono stanco di stare a osservare una macchina che ogni giorno fa la stessa cosa. Molti dei professionisti che io conosco la pensano come me. Vogliono fare qualcosa. Una cosa qualsiasi. Voi sapete che un secolo fa astronavi pilotate stavano esplorando i pianeti degli altri sistemi solari?»
«Sì.»
«Ecco. È quello che dovremmo fare noi ora. Muoverci, esplorare, avanzare.»
«Sono d’accordo. Però non pensate di aver detto alcune cose piuttosto pericolose?»
«Lo so. Ma non me ne importa. Che mi portino su Omega se vogliono. Qui non posso fare niente di buono.»
«Voi avete sentito parlare di Omega?»
«Tutti quelli che lavorano alle astronavi sono a conoscenza di Omega. Viaggi di andata e ritorno Terra-Omega, ecco cosa fanno le nostre astronavi. Personalmente do la colpa al clero.»
«Al clero?»
«Nella maniera più assoluta. Questi pazzi santoni con le loro fandonie senza fine sulla chiesa dello Spirito dell’Umanità Incarnata. Ce n’è abbastanza per far desiderare l’inferno.»
(Cittadino Abbot Boeren, 51 anni, professione: ecclesiastico. Maestoso, rotondo, indossa una tunica zafferano e sandali bianchi.)
«Sì, figlio mio, sono l’abate della locale chiesa dello Spirito dell’Umanità Incarnata. La nostra chiesa è l’unica ed esclusiva espressione religiosa del governo della Terra. La nostra chiesa parla a tutti i popoli della Terra. È composta da tutte le migliori dottrine delle religioni primitive, maggiori e minori, mescolate in modo da formare una fede unica.»
«Cittadino Abbot, non sono sorte contraddizioni in una dottrina l’atta con diversi credi religiosi?»
«C’erano. Ma i fondatori di questa nostra chiesa hanno eliminato tutte le materie controverse. Noi vogliamo l’intesa, non il dissenso. Nella nostra religione non ci sono mai stati scismi perché noi accettiamo tutto. Si può credere in ciò che si vuole purché si conservi la fede nello spirito dell’Umanità Incarnata. La nostra fede è l’adorazione dell’Uomo. Lo spirito che noi riconosciamo è quello del divino e sacro Bene.»
«Volete darmi una definizione del Bene, Padre Abbot?»
«Certo. Il Bene è quella forza che abbiamo in noi e che ci ispira ad agire in conformità e nell’osservanza. L’adorazione del Bene è essenzialmente adorazione di se stessi, quindi è la sola e vera fede. L’Io che si adora è l’essere sociale ideale. L’uomo è felice di essere nella sua nicchia nella società, tuttavia è sempre pronto a migliorare il suo status. Il Bene è dolce, dato che è la pura riflessione dell’universo amorevole e pietoso. Il Bene cambia continuamente di aspetto, benché venga a noi in… Ma avete una strana espressione.»
«Scusate, Cittadino Abbot. Credo di aver già sentito questo sermone. Almeno, uno molto simile.»
«Ma è la verità. Ovunque la si ascolti.»
«Certo. Un’ultima domanda. Potete dirmi qualcosa sull’istruzione religiosa dei bambini?»
«Questo è un incarico svolto dai robot-confessori.»
«Sì?»
«Il metodo ci è giunto dall’antico Trascendentale Freudiano. Il robot-confessore istruisce i bambini e gli adulti alla stessa maniera. Ascolta i loro problemi ed è il loro amico costante e il loro istruttore religioso. Essendo robot, i confessori sono in grado di dare una risposta esatta a ogni domanda.»
«Capisco. E cosa fanno i preti umani?»
«Osservano i robot-confessori.»
«Questi robot-confessori sono presenti nelle classi chiuse?»
«Non sono competente per rispondere a questa domanda.»
«Ma esistono?»
«Veramente, non so. Le classi chiuse sono proibite ai preti come agli adulti.»
«Per ordine di chi?»
«Per ordine del capo della Polizia Segreta.»
«Capisco…»
(Cittadino Enyen Dravivian, 43 anni, professione: impiegato statale. Magro, occhi sottili, invecchiato e stanco oltre la sua età.)
«Buona sera, signore. Avete detto di essere un impiegato statale?»
«Esatto.»
«Nell’amministrazione dello stato o in quella federale?»
«In tutte e due.»
«Capisco. Occupate da molto tempo il vostro impiego?»
«Da circa diciotto anni.»
«Capisco. Volete dirmi esattamente in cosa consiste il vostro lavoro?»
«Certo. Sono il capo della Polizia Segreta.»
«Siete… ma certo, signore. Molto interessante. Io volevo…»
«Non cercate di impugnare la pistola, ex Cittadino Barrent. Vi posso assicurare che nella zona attorno a questa casa non funzionerebbe. E se cercaste di usarla ferireste voi stesso.»
«Come?»
«Anch’io ho i miei mezzi di protezione.»
«Come fate a sapere il mio nome?»
«So di voi fin quasi dal momento in cui avete messo piede sulla Terra. Non siamo completamente privi di risorse, dovreste saperlo. Potete entrare per discutere con maggiore comodità. Non volete entrare?»
«Preferirei di no.»
«Mi spiace, ma dovete farlo. Venite, Barrent. Non morsico.»
«Sono in arresto?»
«No. Entrate a far quattro chiacchiere. Accomodatevi.»