Il sole poggiava sull’orizzonte, delineando perfettamente la sagoma della Torre Bianca in lontananza, ma il freddo della notte precedente sembrava più intenso e gli scuri nuvoloni grigi che solcavano il cielo minacciavano una nevicata. L’invento si stava facendo meno rigido, ma era rimasto aggrappato fin oltre il presunto inizio della primavera, lasciando andare la presa scontento. I rumori del mattino penetravano nella tenda di Egwene, pur isolata da tutto ciò che c’era attorno. L’accampamento pareva vibrare. Gli operai portavano acqua dai pozzi e carretti carichi di quantità supplementari di legna da ardere e carbone. Le servitrici andavano a prendere la colazione per le Sorelle, e le novizie del secondo turno si affrettavano ad andare a fare la loro, mentre quelle del primo e del terzo erano a lezione. Era un giorno importante, anche se nessuno di loro lo sapeva.
Probabilmente oggi sarebbero terminati i negoziati fasulli che avevano luogo a Darein, a un tavolo sotto un padiglione ai piedi del ponte per Tar Valon. Fasulli da entrambe le parti. I razziatori di Elaida continuavano a colpire impunemente sull’altra riva del fiume. In ogni caso oggi sarebbe stato l’ultimo incontro per un po’ di tempo. Scrutando la propria colazione, Egwene sospirò e tolse una macchiolina nera dalla farina d’avena fumante, strofinandosela via dalle dita su un tovagliolo di lino, senza guardare troppo da vicino per essere sicura che fosse una larva. Se non potevi essere sicura, ti preoccupavi di meno di quello che rimaneva nella scodella. Si mise una cucchiaiata in bocca e cercò di concentrarsi sulle dolci fette di albicocche secche che Chesa vi aveva mischiato. Le si era spezzato qualcosa sotto i denti?
«Tutto riempie la pancia, era solita dire mia madre, perciò non farci caso» mormorò Chesa come parlando fra sé . Era quello il modo in cui dava consigli a Egwene, senza varcare il confine fra signora e cameriera. Quantomeno le dava consigli quando Halima non era presente, e l’altra donna si era allontanata presto quella mattina. Chesa era seduta su una delle cassapanche dei vestiti, in caso Egwene volesse qualcosa o avesse bisogno di una commissione; ma ogni tanto i suoi occhi deviavano verso la pila di indumenti che quel giorno sarebbero andati alle lavandaie. Non le importava di rammendare o rattoppare di fronte a Egwene ma, a suo modo di vedere, smistare la biancheria avrebbe significato varcare quel confine.
Spianando la smorfia dalla sua faccia, Egwene stava per dire alla donna di andare a prendere la propria colazione – Chesa considerava una trasgressione anche mangiare prima che Egwene avesse terminato – ma prima che potesse aprire bocca, Nisao entrò nella tenda, circondata dal bagliore di saidar. Mentre i lembi d’ingresso si riabbassavano, Egwene colse un’occhiata di Sarin, il tozzo Custode calvo e con la barba nera di Nisao, che attendeva fuori. Il cappuccio della piccola Sorella era abbassato, attentamente sistemato sulle spalle in modo da mostrare la fodera di velluto giallo; tuttavia lei teneva il mantello stretto a sé come se avvertisse il freddo intensamente. Non disse nulla, si limitò a rivolgere a Chesa un’occhiata tagliente. Chesa attese il cenno del capo di Egwene prima di raccogliere il proprio mantello e affrettarsi a uscire. Poteva non essere in grado di vedere la luce del Potere, ma sapeva quando Egwene voleva riservatezza.
«Kairen Stang è morta» disse Nisao senza preamboli. Il suo volto era liscio, la sua voce ferma e gelida. Era tanto bassa da far sentire Egwene alta, ma si erse come per poter guadagnare un altro pollice. Nisao di solito non lo faceva. «Sette Sorelle hanno già saggiato la risonanza prima che arrivassi. Non c’è dubbio che sia stata uccisa usando saidin. Aveva il collo spezzato. Frantumato. Come se la sua testa fosse stata torta con un giro completo. Perlomeno è stato rapido.»
Nisao trasse un respiro profondo e incerto, poi si rese conto di cosa aveva fatto e si erse ancora più ritta. «Il suo Custode è in preda a una furia omicida. Qualcuno lo ha messo a dormire somministrandogli un preparato di erbe, ma sarà un problema quando si sveglierà.» Non assunse la solita espressione sdegnata di ogni Gialla al menzionare le erbe; un indice del suo turbamento, per quanto il suo volto fosse calmo. Egwene appoggiò il cucchiaio sul tavolino e si reclinò all’indietro. All’improvviso la sua sedia non le sembrava più confortevole. Ora la migliore dopo Leane era Bode Cauthon. Una novizia. Cercò di non pensare a cos’altro era Bode. Con i giorni di pratica supplementari, Bode poteva compiere il lavoro bene quasi quanto Kairen. Quasi. Non fece menzione di questo, però. Nisao conosceva alcuni segreti, ma non tutti.
«Anaiya e ora Kairen. Entrambe dell’ Ajah Azzurra. Conosci qualche altro collegamento fra loro?»
Nisao scosse il capo. «Anaiya era Aes Sedai da cinquanta o sessant’anni quando Kairen giunse alla Torre, a quanto ricordo. Forse erano conoscenti. Proprio non so, Madre.» Ora suonava stanca e le sue spalle si incurvarono un poco. La sua investigazione discreta sulla morte di Anaiya non aveva portato a nulla, e doveva essere consapevole che Egwene avrebbe aggiunto Kairen.
«Scoprilo» ordinò Egwene. «Con discrezione.» Questo secondo omicidio avrebbe causato già un putiferio senza che lei vi contribuisse. Per un momento esaminò l’altra donna. Nisao poteva accampare scuse dopo il fatto, o affermare di essere stata dubbiosa dall’inizio, ma fino ad allora era sempre stata un modello della fiducia in sé e dell’assoluta sicurezza proprie dell’Ajah Gialla. Non ora, comunque. «Ci sono molte Sorelle che se ne vanno in giro trattenendo saidar?»
«Ne ho notate diverse, Madre» rispose Nisao in tono rigido. Il suo mento si sollevò con un lieve atteggiamento di sfida. Dopo un momento, però, il bagliore attorno a lei si spense. Si avvolse più stretta nel mantello, come se avesse perso calore all’improvviso. «Dubito che sarebbe servito a qualcosa per Kairen. La sua morte è stata troppo improvvisa. Ma rende una persona più... sicura.»
Dopo che la piccola Sorella se ne fu andata, Egwene rimase seduta a rimestare la sua farina d’avena con il cucchiaio. Non vide altre macchioline scure, ma le era passato l’appetito. Infine si alzò e si mise attorno al collo la stola a sette colori, poi gettò sopra le spalle il suo mantello. Proprio quel giorno non se ne sarebbe rimasta seduta impantanata nella depressione. Doveva seguire con esattezza la sua routine.
All’esterno carri dalle alte ruote procedevano lungo i solchi ghiacciati delle strade dell’accampamento, carichi di grossi barili d’acqua e cataste di legna da ardere già spaccata, sacchi di carbone, carrettieri e individui che viaggiavano avviluppati nei loro mantelli contro il freddo. Come al solito, famiglie di novizie si affrettavano lungo le assi delle strade, di norma riuscendo a rivolgere le loro riverenze alle Aes Sedai di passaggio senza rallentare. Una mancanza nei rispetti dovuti a una Sorella poteva costare una fustigazione, ma allo stesso modo un ritardo, e le insegnanti erano in generale meno tolleranti delle Aes Sedai incontrate passando, che almeno potevano fare delle eccezioni, considerato il motivo per cui una novizia andava di fretta. Le donne biancovestite ancora balzavano per farsi da parte alla vista della stola multicolore che pendeva dal cappuccio di Egwene, ovviamente, ma lei rifiutò di lasciare che il suo umore venisse guastato, più di quanto non fosse già, da novizie che facevano riverenze per strada, scivolando e sdrucciolando sul terreno reso duro dal ghiaccio e talvolta quasi cadendo a faccia in giù prima che le loro cugine potessero afferrarle. ‘Cugina’ era il modo in cui si chiamavano fra loro membri della stessa famiglia, e in qualche modo questo pareva rafforzare il loro rapporto, come se esistesse veramente una parentela, quasi come fossero addirittura cugine molto unite. Quello che inasprì davvero il suo umore furono le poche Aes Sedai che vide in giro, che procedevano sulle assi fra onde di riverenze. Non ce ne furono più di una dozzina circa fra la sua tenda e lo Studio dell’Amyrlin, ma tre su quattro erano avvolte dalla luce del Potere così come dai mantelli. Nella maggior parte dei casi camminavano a coppie, seguite da ogni Custode che avessero. Avviluppate in saidar o no, parevano pure guardinghe, i cappucci che ruotavano costantemente mentre esaminavano chiunque fosse in vista. Le ricordò di quella volta in cui la febbre maculata aveva colpito Emond’s Field, e tutti andavano in giro premendo fazzoletti impregnati di acquavite contro il naso – Doral Barran, la Sapiente di allora, aveva detto che avrebbero aiutato a tenerla lontana – premendo i loro fazzoletti e guardandosi a vicenda per vedere chi sarebbe stato il prossimo a ricoprirsi di macchie e cadere a terra. Undici persone morirono prima che la febbre facesse il suo corso, ma fu solo un mese dopo che l’ultima persona si fu ammalata che la gente fu disposta a riporre i fazzoletti. Per lungo tempo, lei aveva associato l’odore di acquavite alla paura. Poteva quasi fiutarla ora. Due Sorelle erano state assassinate in mezzo a loro, da un uomo in grado di incanalare, per non parlare del fatto che riusciva ad andare e venire a piacimento. La paura si stava diffondendo fra le Aes Sedai più rapidamente di qualunque febbre maculata. La tenda che utilizzava come studio era già tiepida quando arrivò, il braciere emanava un profumo di rose. Le lampade provviste di specchi su sostegni e quella da tavolo erano accese. La sua routine era ben nota. Mettendo il suo mantello sull’appendiabiti nell’angolo, si mise a sedere dietro lo scrittoio, afferrando in modo automatico la gamba instabile della sedia che cercava sempre di piegarsi. Tutto quello che doveva fare era seguire la routine. Domani avrebbe potuto annunciare ciò che era stato fatto.
La sua prima visitatrice fu una sorpresa, forse l’ultima donna che si aspettava di veder entrare nella sua tenda. Theodrin era una Marrone slanciata e con le gote rosse, una Domanese dalla pelle color rame con un piglio ostinato nella bocca. Una volta pareva sempre pronta a sorridere. Scivolò lungo i tappeti consunti, tanto vicina che la frangia del suo scialle sfiorava lo scrittoio. Mentre le rivolgeva una riverenza molto formale, Egwene protese la sua mano sinistra in modo che la donna potesse baciare l’anello col Gran Serpente. Alla formalità si doveva rispondere con la formalità.
«Romanda desidera sapere se può incontrarsi con te oggi, Madre» disse la snella Marrone. Con delicatezza, ma c’era ostinazione sepolta nel suo tono.
«Dille che va bene a qualsiasi ora, Figlia» replicò attentamente Egwene. Theodrin offrì un’altra riverenza senza mutare espressione. Mentre la Marrone faceva per andarsene, una delle Ammesse la sfiorò entrando nella tenda, gettando indietro il suo cappuccio a bande bianche. Emara era una donna magra e piccola quanto Nisao. Sembrava che un vento forte potesse soffiarla via, tuttavia aveva una mano molto ferma con le novizie a lei affidate, più ferma di molte Sorelle. D’altra parte, era dura con sé stessa, e si supponeva che la vita di una novizia dovesse essere dura. Gli occhi grigi di Emara ruotarono verso la frangia dello scialle di Theodrin e la sua bocca si contrasse in una smorfia di sdegno prima che potesse spianarla per allargare le sue nivee gonne a strisce per Egwene. Vivide chiazze di colore infiammarono le guance di Theodrin.
Egwene colpì il tavolo con una mano, tanto forte da far sbatacchiare il calamaio di pietra e la boccetta di sabbia. «Hai dimenticato l’educazione nei confronti di una Aes Sedai, figlia?» disse bruscamente.
Emara impallidì – l’Amyrlin aveva una certa reputazione, dopotutto – e si affrettò a rivolgere una riverenza ancora più profonda a Theodrin, che l’accettò con un rigido cenno del capo prima di andare via dalla tenda molto più rapidamente di come era entrata.
Quello che Emara balbettò, in un accento illianese ancora più marcato per via del suo nervosismo, era una richiesta da parte di Lelaine di incontrarsi con l’Amyrlin. Romanda e Lelaine un tempo erano state molto meno formali, ma la dichiarazione di guerra a Elaida aveva cambiato un bel po’ di cose. Non tutto, ma quanto bastava per essere degno di nota. Egwene le disse di riferire a Lelaine la stessa cosa che aveva fatto comunicare a Romanda, anche se in un tono più brusco; Emara quasi capitombolò nel fare la sua riverenza e uscì dalla terra praticamente di corsa. Un altro chiodo ad assicurare la leggenda di Egwene al’Vere, l’Amyrlin Seat che faceva sembrare Sereille Bagand un cuscino di piume d’oca.
Non appena l’Ammessa se ne fu andata, Egwene sollevò la mano e si accigliò verso quello che aveva coperto. Il riquadro ripiegato di carta che Theodrin aveva depositato sul tavolo mentre le baciava l’anello. Il suo cipiglio si accentuò quando l’aprì. La calligrafia che ricopriva la piccola pagina riusciva a essere scorrevole e allo stesso tempo precisa, ma c’era una macchia d’inchiostro su un bordo. Theodrin era molto ordinata. Forse stava cercando di conformarsi alla reputazione generale delle Marroni.
Romanda ha mandato due Sorelle a Viaggiare a Cairhien per fare luce su una certa diceria che ha messo in agitazione le Adunanti Gialle. Non so quale sia questa diceria, Madre, ma lo scoprirò. Ho sentito una di loro menzionare Nynaeve, non come se fosse a Cairhien, ma come se la voce fosse in qualche modo connessa a lei.
Quella sciocca donna aveva perfino firmato il messaggio!
«Cos’è, Madre?»
Egwene sussultò per la sorpresa e riuscì a malapena ad afferrare la gamba della sedia che si piegava prima che questa la facesse finire sui tappeti. Reindirizzò il suo cipiglio su Siuan, che era appena entrata, a poca distanza dai lembi d’ingresso, con il suo scialle dalla frangia azzurra sulle braccia e le sue cartelle di cuoio premute contro il petto. Le sopracciglia della donna dagli occhi azzurri si sollevarono un poco alla reazione di sconcerto di Egwene.
«Ecco» disse Egwene in tono irritato, gettandole il foglio. Non era il momento di sobbalzare e agitarsi! «Sai di Kairen?» Ma certo, doveva saperlo, ma Egwene aggiunse comunque: «Hai fatto le variazioni necessarie?» Variazioni necessarie. Per la Luce, suonava pomposa quanto Romanda. Era davvero nervosa. Solo dopo pensò di abbracciare saidar e tessere una protezione contro orecchie indiscrete; solo dopo che la protezione fu al suo posto pensò che quello potesse non essere il momento più adatto perché qualcuno pensasse che aveva faccende private da discutere con Siuan.
Siuan non era nervosa. Era stata esposta alle tempeste. Ed era riuscita a riprendersi dall’annegamento, qualcuno avrebbe potuto dire. Quella, per lei, era solo una giornata un po’ ventosa. «Non ce n’è bisogno finché non siamo certe delle barche, Madre» replicò con calma, appoggiando i suoi plichi sul tavolo e collocandoli ordinatamente fra il calamaio e la boccetta di sabbia. «Quanto meno tempo Bode avrà per pensarci, tanto minore sarà la possibilità che si faccia prendere dal panico.» Placida come uno stagno. Perfino due Sorelle assassinate non potevano turbare Siuan. O il fatto di mandare una donna novizia solo da pochi mesi a rimpiazzare una di loro.
La sua fronte però si corruccio quando lesse la nota. «Prima Faolain si rende irreperibile,» borbottò verso il foglio «e ora Theodrin porta questo a te invece che a me. Quella sciocca ragazza ha meno cervello di un martin pescatore! Si potrebbe pensare che voglia che qualcuno scopra che sta tenendo d’occhio Romanda per te.» Tenendo d’occhio. Un modo educato per dire ‘spiando’. Erano entrambe pratiche di eufemismi. Era insito nell’essere Aes Sedai. Quel giorno gli eufemismi irritavano Egwene. «Forse vuole essere scoperta. Forse è stanca che Romanda le dica cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Ho appena ricevuto qui un’Ammessa che ha guardato con sdegno lo scialle di Theodrin, Siuan.»
L’altra donna fece un gesto noncurante. «Romanda cerca di dire a tutti cosa fare. E cosa pensare. Per quanto riguarda il resto, le cose cambieranno una volta che Theodrin e Faolain potranno giurare sul Bastone dei Giuramenti. Non ritengo che qualcuna insisterà davvero che vengano sottoposte alla prova per lo scialle adesso. Fino ad allora, devono adattarsi.»
«Questo non è sufficiente, Siuan.» Egwene riuscì a mantenere il suo tono inespressivo, ma ciò le richiese uno sforzo. Quando aveva detto loro di stare attaccate a Romanda e Lelaine aveva perlomeno sospettato quello in cui le stava cacciando. Aveva avuto bisogno di sapere cosa stavano pianificando le Adunanti, e ce l’aveva ancora, tuttavia era in debito nei loro confronti. Erano state le prime a giurarle fedeltà, e di loro spontanea volontà. E inoltre... «Molto di ciò che si dice di Theodrin e Faolain può essere detto anche di me. Se le Ammesse possono dimostrarsi irrispettose verso di loro...» Be’, lei non aveva paura di quello. Le Sorelle erano un altro paio di maniche. In particolar modo le Adunanti. «Siuan, non ho la minima speranza di riunificare la Torre se le Aes Sedai dubitano di me.»
Siuan sbuffò rumorosamente. «Madre, a questo punto perfino Lelaine e Romanda sanno che sei Amyrlin Seat a pieno tìtolo, che lo ammettano oppure no. Quelle due non avrebbero mostrato rispetto a Deane Aryman. Penso che comincino a considerarti come un’altra Edarna Noregovna.»
«Può darsi» disse Egwene in tono asciutto. Deane era considerata la salvatrice della Torre Bianca, dopo il disastro di Bonwhin con Artur Hawkwing. Edarna veniva ritenuta la donna politicamente più abile che avesse mai portato il bastone e la stola. Entrambe erano state Amyrlin molto forti. «Ma come tu mi hai ricordato, devo accertarmi di non finire come Shein Chunla.» Shein aveva iniziato come un’Amyrlin forte, stabilmente al comando della Torre e del Consiglio, ed era finita come una marionetta che faceva esattamente ciò che le veniva detto. Siuan annuì, d’accordo e con approvazione. Stava davvero insegnando a Egwene la storia, e spesso tirava in ballo delle Amyrlin che avevano commesso errori fatali. Inclusa sé stessa. «Questa è un’altra faccenda, però» borbottò, picchiettando le dita contro la nota. «Quando metterò le mani su Theodrin, le farò desiderare di essere una novizia. E su Faolain! Se pensano di potersi tirare indietro ora, lo giuro, le sbudellerò tutte e due come un grugnitore sul molo!»
«Chi è che sbudellerai?» chiese Sheriam mentre entrava attraverso la protezione insieme a una raffica di aria fredda.
La sedia di Egwene per poco non la fece cadere di nuovo sui tappeti. Aveva bisogno di una sedia che non cercasse di ripiegarsi ogni volta che si muoveva. Era disposta a scommettere che Edarna non sobbalzava mai come se avesse polvere pruriginosa nella schiena.
«Nessuno che ti riguardi» replicò Siuan con calma, avvicinando il foglio alla fiamma di una delle lampade da tavolo. Bruciò in fretta fino alla punta delle sue dita, poi lei lo polverizzò fra le mani e sfregò via le ceneri. Solo Egwene, Siuan e Leane sapevano la verità su Faolain e Theodrin. E le due Sorelle stesse, ovviamente. Anche se c’erano molte cose che nessuna di loro due sapeva.
Sheriam accettò il rimprovero con serenità. La donna con i capelli color fiamma sembrava essersi ristabilita del tutto dal suo mancamento nel Consiglio. Perlomeno aveva riacquistato la sua dignità esteriore, per la maggior parte. Osservando Siuan bruciare la nota, i suoi verdi occhi obliqui potevano essersi serrati un poco, e non si toccò la stretta stola azzurra che le pendeva dalle spalle come per ricordarsi che si trovava lì. Non doveva accettare gli ordini di Siuan – mettere la sua Custode degli Annali in quella posizione era sembrato troppo severo a Egwene, tutto sommato – ma Sheriam sapeva molto bene che neanche Siuan doveva accettare i suoi, di ordini – cosa che doveva irritarla – ora che Siuan era così inferiore a lei nel Potere. Anche sapere che c’erano dei segreti di cui lei non veniva messa a parte doveva irritarla. Sheriam avrebbe dovuto conviverci, però.
Anche lei portava un foglio, che appoggiò sul tavolo di fronte a Egwene. «Ho incontrato Tiana mentre venivo qui, Madre, e mi ha detto di darti questo.»
‘Questo’ era il rapporto giornaliero sulle fuggitive, anche se non arrivava proprio ogni giorno o a volte nemmeno per settimane, da quando le novizie erano state organizzate in famiglie. Le cugine si sostenevano l’una con l’altra fra la frustrazione e le lacrime, e riuscivano a convincersi a vicenda a non commettere errori irreparabili come fuggire via. C’era un solo nome sulla pagina: Nicola Treehill. Egwene sospirò e posò il foglio. Avrebbe pensato che la smania di sapere di Nicola l’avrebbe tenuta ferma nonostante tutta la frustrazione che potesse maturare. E tuttavia non poteva dire di essere dispiaciuta che quella faccenda fosse conclusa. Nicola era cospiratrice e senza scrupoli, disposta a ricorrere al ricatto o a qualunque altra cosa pensasse l’avrebbe aiutata nel suo avanzamento. Era molto probabile che avesse ricevuto aiuto. Areina non avrebbe esitato a rubare dei cavalli perché entrambe potessero fuggire.
All’improvviso le balzò all’occhio la data accanto al nome. Due date, in effetti, contrassegnate come domande. Di rado veniva inserito il nome del mese, tanto meno il numero del giorno, tranne in trattati e documenti ufficiali. Firmato, sigillato e testimoniato nella città di Illian il dodicesimo giorno di Saven, nell’Anno di Grazia tale... E in rapporti di quella natura, e nell’inserimento del nome di una donna nel registro delle novizie. Per gli usi comuni, era sufficiente indicare tanti giorni prima o dopo quella festività. Così scritte, le date le risultavano sempre un po’ strane. Dovette contare sulle dita per essere sicura di quello che vedeva.
«Nicola è scappata tre o quattro giorni fa, Sheriam, e Tiana lo riferisce soltanto adesso? Non è nemmeno sicura se siano passati tre o quattro giorni?»
«Le cugine di Nicola l’hanno coperta, Madre.» Sheriam scosse il capo con aria mesta. Stranamente, il suo piccolo sorriso pareva divertito, però. O perfino d’ammirazione. «Non per affetto, a quanto pare. Sono state liete di veder andare via la bambina e temevano che venisse riportata indietro. Era piuttosto arrogante riguardo al suo Talento per la Preveggenza. Ho paura che Tiana sia molto arrabbiata con loro. Nessuna si siederà comodamente durante le proprie lezioni oggi, o per i giorni a venire, temo. Tiana dice che intende dare a ognuna di loro una dose della cinghia invece della colazione ogni giorno finché Nicola non verrà ritrovata. Penso che possa calmarsi, comunque. Dato che è passato molto tempo prima che la sua fuga fosse scoperta, potrà volerci un bel po’ prima che venga localizzata.»
Egwene trasalì leggermente. Poteva rammentare le proprie visite allo studio della Maestra delle Novizie, allora occupato dalla medesima donna che si trovava adesso di fronte a lei. Sheriam usava le maniere forti. Una dose giornaliera sarebbe stata una punizione severa. Ma tenere nascosta la fuga di una novizia era più serio che andarsene in giro di notte o giocare uno scherzo. Spinse il rapporto da una parte.
«Tiana gestirà la faccenda come ritiene opportuno» disse. «Sheriam, ci sono stati cambiamenti su come le Sorelle parlano del mio sogno?»
Aveva rivelato il sogno su un attacco dei Seanchan la mattina successiva, e le donne a cui l’aveva detto l’avevano fissata con aria apatica, apparentemente perché la morte di Anaiya era ancora recente. Quell’evento aveva sconcertato chiunque.
Invece di rispondere, Sheriam si schiarì la gola e lisciò le sue gonne striate di azzurro. «Forse non ne sei al corrente, Madre, ma una delle cugine di Nicola è Larine Ayellin. Da Emond’s Field» aggiunse, come se Egwene non lo sapesse. «Nessuno penserebbe che stai facendo dei favoritismi se perdonassi l’intera famiglia. Che si calmi o meno, Tiana intende essere molto dura con loro nel frattempo. Soffriranno.»
Reclinandosi all’indietro, facendo attenzione per via della gamba ballerina, Egwene rivolse uno sguardo torvo all’altra donna. Larine aveva quasi la sua stessa età, e crescendo erano state ottime amiche. Avevano passato ore insieme a chiacchierare e a esercitarsi a intrecciare i loro capelli per quando il Circolo delle Donne avesse decretato che erano grandi abbastanza. Nonostante questo, Larine era stata una delle poche ragazze di Emond’s Field che pareva aver accettato che Egwene potesse davvero essere l’Amyrlin Seat, anche se lo dimostrava perlopiù tenendosi a distanza. Ma Sheriam pensava davvero che Egwene potesse fare dei favoritismi? Perfino Siuan sembrava sorpresa. «Sheriam, tu meglio di chiunque altra dovresti sapere che castigare le novizie è competenza della Maestra delle Novizie. Ameno che una ragazza non venga maltrattata, comunque, e certo non hai lasciato intendere questo. Inoltre, se Larine pensa di poterla fare franca nell’aiutare una fuggitiva oggi – aiutare una fuggitiva, Sheriam! – con cosa penserà di farla franca domani? Può raggiungere lo scialle, se ha il buon senso di sopportarne le conseguenze. Non la condurrò per un sentiero che la porterà a essere espulsa per cattiva condotta. Ora, cosa stanno dicendo sul mio sogno?»
Sheriam batté le palpebre dei suoi verdi occhi obliqui e lanciò un’occhiata a Siuan. Per la Luce, quella donna pensava forse che Egwene si stesse comportando in modo severo perché Siuan era presente? Perché Siuan avrebbe potuto riportare delle voci? Avrebbe dovuto sapere che non era così: lei era stata Maestra delle Novizie.
«L’atteggiamento fra le Sorelle, Madre,» disse infine Sheriam «è ancora che i Seanchan si trovano a mille miglia di distanza, non sanno come Viaggiare e se si mettono in marcia su Tar Valon, ne saremo al corrente prima che siano entro duecento leghe.»
Siuan borbottò qualcosa sottovoce che suonò disgustato, ma non sorpreso. Anche Egwene voleva imprecare. Le preoccupazioni per l’omicidio di Anaiya non avevano avuto nulla a che fare con l’apatia delle Sorelle. Non credevano che Egwene fosse una Sognatrice. Anaiya ne era stata sicura, ma era m’orta. Siuan e Leane ci credevano, tuttavia nessuna delle due aveva una posizione tanto elevata da essere ascoltata con qualcosa di più di impaziente educazione, se proprio era necessario. Ed era piuttosto evidente che Sheriam non ci credesse. Obbediva al suo giuramento di fedeltà con tanta scrupolosità quanta Egwene avrebbe potuto desiderare, ma non si poteva ordinare a qualcuno di credere. A parole poteva essere d’accordo con quello che le dicevi, ma non cambiava nulla.
Quando Sheriam se ne andò, Egwene si ritrovò a domandarsi quale fosse la ragione per cui era venuta. Poteva trattarsi solo del fatto che voleva informarla che Larine stava per essere punita? No di certo. Ma non aveva detto nient’altro, a parte rispondere alle domande di Egwene. Poco dopo arrivò Myrelle, seguita a ruota da Morvrin. Egwene poté percepire ognuna di loro lasciar andare la Fonte prima di entrare nella tenda, e i loro Custodi rimasero fuori in attesa. Perfino nelle brevi occhiate che riuscì a dare mentre i lembi d’ingresso venivano scostati, gli uomini parvero guardinghi, perfino per essere dei Custodi. I grandi occhi scuri di Myrelle lampeggiarono alla vista di Siuan, e le sue narici fremettero. Il viso tondo di Morvrin rimase liscio come pietra levigata, ma strofinò le sue gonne marrone scuro con entrambe le mani come per pulire via qualcosa. Forse era un gesto inconscio. A differenza di Sheriam, loro dovevano accettare gli ordini di Siuan, e a nessuna delle due questo piaceva praticamente. Non che Egwene volesse umiliarle, ma si fidava di Siuan, e giuramenti o no, non si fidava del tutto di loro. Non quanto si fidava di Siuan. Inoltre, c’erano dei momenti in cui per lei era sconveniente, se non impossibile, dire alle Sorelle a lei votate cosa voleva che facessero. Siuan poteva portare messaggi, e in questo modo Egwene poteva essere certa che fossero eseguiti.
Chiese immediatamente quello che veniva detto sul suo sogno, ma non fu sorpresa di sentire che le loro storie erano le stesse di Sheriam. I Seanchan erano molto distanti. Se questo fosse cambiato ci sarebbero stati avvertimenti in abbondanza. La storia era stata la stessa per una buona settimana e mezza. Peggio...
«Potrebbe essere differente se Anaiya fosse viva» disse Morvrin, in equilibrio su uno degli sgabelli traballanti di fronte allo scrittoio. Malgrado la sua stazza, ci riusciva facilmente e con grazia . «Anaiya aveva una tale reputazione per la sua conoscenza arcana che ho sempre pensato che avrebbe dovuto scegliere l’Ajah Marrone. Se lei avesse detto che eri una Sognatrice...» I suoi denti si chiusero con uno schiocco all’occhiataccia che le rivolse Egwene. Tutt’a un tratto Myrelle parve interessata a riscaldarsi le mani presso il braciere. Anche loro due non le credevano. Tranne Siuan e Leane, nessuno nell’intero accampamento credeva che Egwene avesse avuto un vero sogno. Varilin aveva preso il controllo dei negoziati a Darein, relegando abilmente Beonin a un ruolo inferiore, e accampava costantemente scuse sul perché non poteva riferire un avvertimento proprio a questo punto. Forse entro qualche giorno, quando i negoziati si fossero fatti più sereni. Come se in realtà non fossero altro che Sorelle che giravano intorno agli stessi argomenti senza dire una parola che potesse offendere l’altra parte tanto da abbandonarli. Proprio nessuno tranne Siuan e Leane. Pensava che loro ci credessero.
Myrelle si voltò dal braciere come se stesse facendosi forza per mettere una mano sui carboni. «Madre, ho pensato al giorno in cui Shadar Logoth è stata distrutta...» Si interruppe e tornò a girarsi verso il braciere, quando una donna dal volto lungo vestita di azzurro intenso entrò nella tenda portando uno sgabello a tre gambe dipinto in vivide spirali.
Maigan era bellissima, con occhi grandi e labbra piene, ma in qualche modo pareva allungata. Non era poi così alta, ma le sue mani sembravano lunghe. Rivolse a Morvrin un cenno col capo e ignorò Myrelle di proposito. «Mi sono portata il mio sedile, Madre» disse, rivolgendole una riverenza per come poteva con uno sgabello in una mano. «I tuoi sono piuttosto instabili, se posso dirlo.»
Non era stata una sorpresa che, con la morte di Anaiya, l’Ajah Azzurra avrebbe nominato qualcun’altra per il ‘Consiglio consultivo’ di Egwene, ma aveva sperato per il meglio quando aveva appreso di chi si trattava. Maigan era stata una d’elle alleate di Siuan quando lei era Amyrlin.
«Ti spiace se mando Siuan a prendere del té, Madre?» disse Maigan mentre si accomodava sul suo sgabello. «Dovresti davvero avere una novizia o un’Ammessa a sbrigare le tue commissioni, ma Siuan andrà bene.»
«Le novizie hanno le loro lezioni, Figlia,» replicò Egwene «e perfino con l’organizzazione in famiglie, le Ammesse hanno a malapena tempo per i propri studi.» E, a parte questo, lei avrebbe dovuto mandare una novizia o un’Ammessa fuori al freddo ogni volta che intendeva parlare con qualcuno in privato. Duro, per qualcuna a cui non era stato ancora insegnato come ignorare il caldo o il freddo, nonché una bandiera piantata fuori dalla tenda che diceva a chiunque che all’interno poteva esserci qualche conversazione che valeva la pena origliare.
«Siuan, per favore, ci porteresti del té? Sono sicura che tutte noi gradiremmo una tazza calda.»
Maigan sollevò una mano dalle lunghe dita mentre Siuan si avviava verso l’ingresso. «Ho un barattolo di miele alla menta nella mia tenda» disse in tono imperioso. «Va’ a prendere quello. E bada a non rubacchiarne. Ricordo che sei sempre stata golosa di dolci. Presto, su.»
Maigan era stata un’alleata. Adesso era una fra le molte Sorelle che incolpavano Siuan di aver spaccato la Torre Bianca.
«Come tu dici, Maigan» replicò Siuan con voce remissiva, e arrivò perfino a piegare leggermente un ginocchio prima di precipitarsi fuori. E in fretta. Maigan era pari in rango a Myrelle o Morvrin, e in questo caso non c’erano ordini o giuramenti di fedeltà a proteggerla. La donna dal viso lungo fece un piccolo cenno col capo di soddisfazione. Siuan aveva dovuto implorare per essere riammessa nell’Ajah Azzurra, e le voci dicevano che Maigan fosse stata la più insistente sulla sua supplica. Morvrin porse le sue scuse e se ne andò subito dopo Siuan, forse intendendo raggiungerla per qualche motivo, ma Myrelle prese uno degli sgabelli ed entrò in competizione con Maigan su chi riuscisse a ignorare l’altra più completamente. Egwene non comprendeva l’animosità fra le due donne. A volte le persone si detestavano a pelle. In ogni caso, non aiutava la conversazione. Egwene colse l’opportunità per sfogliare le pagine nelle cartelle di Siuan, ma non riuscì a concentrarsi su dicerie da Illian e insinuazioni da Cairhien. Non sembrava esserci nulla a supporto dell’affermazione di Theodrin su una voce che aveva messo in agitazione le Adunanti Gialle. Siuan avrebbe detto qualcosa, se l’avesse saputo.
Maigan e Myrelle la fissarono come se osservarla voltare dei fogli di carta fosse l’attività più interessante al mondo. Le avrebbe mandate via entrambe, ma voleva scoprire cos’aveva pensato Myrelle sul giorno in cui Shadar Logoth era stata sradicata dalla terra. Non poteva mandarne via una senza congedare entrambe. Dannazione a tutte e due!
Quando Siuan tornò, con un vassoio di legno sul quale erano appoggiate una teiera d’argento e tazze di porcellana – e il barattolo di miele smaltato di bianco – dietro di lei entrò un soldato in armatura di piastre e maglia, un giovane Shienarese con la testa rasata tranne per un codino. Giovane, ma già un veterano. La guancia scura di Ragan era segnata da una bianca cicatrice frastagliata causata da una freccia, e il suo volto era indurito nel modo in cui poteva esserlo solo la faccia di un uomo che conviveva ogni ora con la morte. Mentre Siuan distribuiva le tazze di té, lui si inchinò, una mano che reggeva un elmo sormontato da una luna contro il fianco, l’altra sull’elsa della spada. Nulla nella sua espressione suggeriva che l’avesse incontrata prima.
«Servirti è un onore, Madre» disse formalmente. «Mi ha mandato lord Bryne. Ha detto di riferirti che sembra che i razziatori siano giunti su questa sponda del fiume, la scorsa notte. Con delle Aes Sedai. Lord Bryne sta raddoppiando le pattuglie. Consiglia che le Sorelle restino vicino all’accampamento. Per evitare incidenti.»
«Puoi scusarmi, Madre?» disse Siuan all’improvviso con il tono leggermente imbarazzato di una donna che aveva un’impellenza fisiologica.
«Sì, sì» replicò Egwene con tutta l’impazienza che poteva, e quasi non attese che l’altra donna schizzasse fuori dalla tenda prima di continuare. «Riferisci a lord Bryne che le Aes Sedai vanno dove vogliono, quando vogliono.» Serrò la bocca prima di poterlo chiamare ‘Ragan’, ma questo contribuì solo a farla apparire severa. Sperava che fosse così.
«Glielo riferirò, Madre» rispose lui con un altro inchino. «Anima e cuore al tuo servizio.»
Maigan sorrise debolmente mentre lui si allontanava. Disapprovava i soldati – i Custodi andavano bene ed erano necessari; i soldati creavano una confusione che altri dovevano ripulire, a suo parere – ma approvava qualunque cosa sembrasse indicare un dissenso fra Egwene e Gareth Bryne. O forse era più giusto dire che era Lelaine ad approvare. In questo, Maigan era una donna di Lelaine in tutto e per tutto. Myrelle si limitò ad assumere un’espressione perplessa. Sapeva che Egwene andava d’accordo con lord Gareth.
Egwene si alzò e si versò una tazza di té. E prese un po’ del miele di Maigan. Le sue mani erano piuttosto salde. Le barche erano al loro posto. Entro poche ore, Leane avrebbe preso con sé Bode e si sarebbero allontanate dall’accampamento prima di spiegare cosa avevano intenzione di fare. Larine doveva subire la punizione che si era guadagnata e Bode doveva fare ciò che era necessario. Egwene era più giovane di Bode quando l’avevano mandata a dare la caccia alle Sorelle Nere. Gli Shienaresi servivano la causa della guerra contro l’Ombra nella Macchia, anima e cuore. Le Aes Sedai e coloro che lo sarebbero diventate servivano la Torre. Un’arma più forte contro l’Ombra di qualunque spada, e non meno affilata per una mano incauta. Quando Romanda arrivò, con Theodrin che le teneva aperto il lembo d’ingresso, la Gialla dai capelli grigi si profuse in una riverenza perfetta, né più né meno di quello che era appropriato da parte di un’Adunante nei confronti dell’Amyrlin. Non erano nel Consiglio, ora. Se lì l’Amyrlin era solo la prima fra eguali, nel suo studio personale era qualcosa di più, perfino per Romanda. Non si offrì comunque di baciare l’anello di Egwene. C’erano dei limiti. Scrutò Myrelle e Maigan come se stesse pensando di chiedere loro di andarsene. O forse di ordinarlo. Era una questione spinosa. Alle Adunanti era dovuta obbedienza, ma nessuna di quelle Sorelle apparteneva alla sua Ajah. E questo era lo Studio dell’Amyrlin.
Alla fine, non fece nessuna delle due cose, ma si limitò a permettere a Theodrin di prendere il suo mantello, ricamato ai bordi con fiori gialli, e versarle una tazza di té. Non dovette chiederle nessuna delle due cose, e Theodrin si ritirò in un angolo, dando degli strattoni al suo scialle e assumendo un’espressione imbronciata mentre Romanda occupava lo sgabello vuoto. Malgrado le gambe disuguali dello sgabello, Romanda riuscì a farlo sembrare un seggio nel Consiglio della Torre o forse un trono, mentre si aggiustava lo scialle dalla frangia gialla che aveva indossato sotto il mantello.
«I negoziati stanno andando male» disse con quella sua acuta voce musicale. Lo fece comunque suonare come un proclama. «Varilin si sta mordendo le labbra dalla frustrazione. Anche Magla è frustrata, se è per questo, e perfino Saroiya. Quando Saroiya arriva al punto di digrignare i denti, la maggior parte delle Sorelle starebbe giù urlando.» Fatta eccezione per Janya, ogni Adunante che aveva avuto un seggio prima della divisione della Torre si era insinuata nei negoziati. Stavano discutendo con donne che avevano conosciuto allora nel Consiglio, dopotutto. Beonin era stata quasi degradata a sbrigare delle commissioni.
Romanda toccò il suo té con le labbra, poi tenne la tazza da un lato sul suo piattino senza dire una parola. Theodrin si precipitò dall’angolo per prendere la tazza dal vassoio e aggiungere del miele prima di ridarla all’Adunante e andare a mettersi di nuovo nel cantuccio. Romanda assaggiò di nuovo il suo té e annuì in segno di approvazione. Il volto di Theodrin si imporporò.
«I negoziati andranno come andranno» disse Egwene attentamente. Romanda si era opposta a ogni genere di negoziati, fasulli o meno. E sapeva cosa sarebbe successo stanotte. Mantenere il Consiglio all’oscuro su quello era sembrato un inutile schiaffo nei loro confronti. La stretta crocchia dietro la testa di Romanda si mosse a scatti mentre lei annuiva. «Ci hanno già mostrato una cosa: Elaida non acconsentirà che le Adunanti che parlano in sua vece cedano di un pollice. Se ne sta rintanata nella Torre come un ratto in un muro. L’unico modo per stanarla è scatenarle contro dei furetti.» Myrelle emise un suono con la gola, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da parte di Maigan. Gli occhi di Romanda restarono fissi su quelli di Egwene.
«Elaida verrà rimossa in un modo o nell’altro» disse Egwene con calma, appoggiando la propria tazza di té sul piattino. La sua mano non tremava. Cosa aveva appreso quella donna? E come?
Romanda fece una debole smorfia verso il suo té, come se, dopotutto, mancasse ancora un po’ di miele. O per la delusione che Egwene non avesse detto di più. La donna si mosse sul suo sgabello con l’aria di una spadaccina che si prepara per un altro attacco, la lama che si sollevava. «Quello che hai detto sulla Famiglia, Madre. Che ce ne sono oltre un migliaio invece di poche dozzine. Che alcune hanno cinque o seicento anni.» Scosse il capo a quella cosa tanto inverosimile. «Com’è possibile che la Torre non se ne sia mai accorta?» Non era una semplice domanda: la stava sfidando.
«Abbiamo appreso solo di recente quante selvatiche ci sono fra il Popolo del Mare» replicò con gentilezza Egwene. «E non siamo ancora sicure di quante ce ne siano in realtà.» La smorfia di Romanda non fu così debole, stavolta. Era stata la Gialla a confermare per prima la presenza di centinaia di selvatiche del Popolo del Mare nella sola Illian. Primo colpo per Egwene.
Ma un colpo non era sufficiente per finire Romanda. O nemmeno per ferirla gravemente. «Dovremo dar loro la caccia, una volta che le nostre faccende qui saranno terminate» disse in tono cupo. «Lasciarne rimanere qualche dozzina a Ebou Dar e Tar Valon, solo per aiutarci a rintracciare le fuggitive, era una cosa, ma non possiamo permettere che un migliaio di selvatiche restino... organizzate.» Mise ancora più sdegno nella parola, nell’idea che delle selvatiche potessero organizzarsi, che non nel resto. Myrelle e Maigan stavano osservando attentamente, in ascolto. Maigan si stava perfino sporgendo in avanti, tanto era assorta. Nessuna delle due sapeva più delle storie che Egwene aveva diffuso, che tutti supponevano provenissero direttamente dalle spie di Siuan.
«Ben più di un migliaio,» la corresse Egwene «e nemmeno una selvatica. Tutte donne mandate via dalla Torre, eccetto qualche fuggitiva che ha eluso la cattura.» Non alzò la voce, ma espose ogni punto con fermezza, incontrando lo sguardo di Romanda. «In ogni caso, come proponi di dar loro la caccia? Sono sparpagliate in ogni paese, in ogni genere di mestiere. Ebou Dar è stato l’unico posto in cui si siano radunate o incontrate non per caso, e tutte quelle sono fuggite con l’arrivo dei Seanchan. Fin dalle Guerre Trolloc, la Famiglia ha permesso alla Torre di sapere solo quello che loro volevano si sapesse. Duemila anni, nascoste sotto il naso della Torre. I loro numeri sono aumentati mentre quelli della Torre sono diminuiti. In che modo proponi di trovarle ora, fra tutte le selvatiche là fuori che la Torre ha sempre ignorato perché ‘troppo vecchie’ per diventare novizie? Le donne della Famiglia non risaltano in alcun modo, Romanda. Usano il Potere tanto spesso quanto le Aes Sedai, ma mostrano l’età come chiunque altro, seppur più lentamente. Se vogliono rimanere nascoste, non saremo mai in grado di rintracciarle.» E questi erano diversi colpi a favore di Egwene, senza subirne nessuno. La fronte di Romanda riluceva debolmente di sudore, un sicuro segno di disperazione per una Aes Sedai. Myrelle era seduta estremamente immobile, ma Maigan pareva sul punto di cadere a faccia in giù dal suo sgabello, per quanto era instabile.
Romanda si umettò le labbra. «Se incanalano, dovrebbero acquisire il volto senza età. Se invecchiano, non è possibile che incanalino molto spesso, o forse non lo fanno mai. E non c’è alcun modo in cui possano vivere cinque o seicento anni!» Niente più sotterfugi, pareva.
«C’è solo una vera differenza fra le Aes Sedai e la Famiglia» disse in tono tranquillo Egwene. Le parole apparivano comunque fragorose. Perfino Romanda sembrò trattenere il respiro. «Hanno lasciato la Torre Bianca prima di poter giurare sul Bastone dei Giuramenti.» Ecco: era allo scoperto finalmente.
Romanda sussultò come se avesse ricevuto un colpo mortale. «Tu non hai ancora pronunciato i giuramenti» disse con voce roca. «Hai intenzione di rinunciarvi? Di chiedere alle Sorelle di rinunciarvi?» Ci fu un rantolo da parte di Myrelle o di Maigan. O forse di entrambe.
«No!» esclamò brusca Egwene. «I Tre Giuramenti sono ciò che ci rende Aes Sedai, e io giurerò sul Bastone dei Giuramenti non appena sarà nostro!» Inspirando profondamente, modulò il proprio tono. Ma si sporse anche verso l’altra donna, cercando di coinvolgerla, di includerla. Di convincerla. Quasi protese una mano. «Per come stanno ora le cose, le Sorelle si ritirano per trascorre i loro ultimi anni in pace, Romanda. Non sarebbe meglio se quelli non fossero i loro ultimi anni? Se le Sorelle si ritirassero nella Famiglia, potrebbero legare la Famiglia alla Torre. Allora non ci sarebbe bisogno di una futile caccia.» Era arrivata a tanto; ormai poteva pure compiere l’ultimo passo. «Il Bastone dei Giuramenti può svincolare come vincolare.»
Maigan finì in ginocchio sui tappeti con un tonfo e scattò di nuovo su, spolverandosi le gonne con aria indignata come se fosse stata spinta. Il viso olivastro di Myrelle sembrava un po’ pallido. Muovendosi lentamente, Romanda appoggiò la sua tazza di té sul bordo dello scrittoio e si alzò in piedi, drappeggiando il suo scialle attorno a sé. Inespressiva, fissò dall’alto in basso Egwene mentre Theodrin le appoggiava il mantello ricamato di giallo sulle spalle, allacciava la spilla dorata e disponeva le pieghe con la stessa attenzione di qualunque cameriera. Solo allora Romanda parlò, la voce come pietra. «Quando ero una ragazzina , sognavo di diventare Aes Sedai. Dal giorno in cui giunsi alla Torre, cercai di vivere come una Aes Sedai. Ho vissuto da Aes Sedai e morirò da Aes Sedai. Questo è inammissibile!»
Si voltò per andarsene con un movimento fluido, ma rovesciò lo sgabello su cui era stata seduta, apparentemente senza accorgersene. Theodrin si affrettò a uscire dietro di lei. Senza preoccupazione sul suo viso, per quanto singolare.
«Madre?» Myrelle trasse un profondo respiro, le dita che pizzicavano le sue gonne verde intenso. «Madre, stai davvero proponendo...?» Lasciò morire le parole, apparentemente incapace di pronunciarle. Maigan sedeva sul suo sgabello come se si costringesse a non sporgersi di nuovo in avanti.
«Ho esposto i fatti» disse Egwene con calma. «Ogni decisione sarà del Consiglio. Dimmi, Figlia. Sceglieresti di morire, se potessi vivere e continuare a servire la Torre?»
La Sorella Verde e quella Azzurra si scambiarono delle occhiate, poi si resero conto di cosa avevano fatto e tornarono di colpo a ignorarsi a vicenda. Nessuna delle due rispose, ma Egwene poteva quasi vedere i pensieri che si agitavano dietro i loro occhi. Dopo pochi istanti si alzò e rimise dritto lo sgabello. Perfino quello non riuscì a scuoterle, oltre a frettolose scuse, per aver lasciato che fosse lei a farlo. Poi si immersero in riflessioni silenziose.
Cercò di tornare alle pagine nei plichi di Siuan – lo stallo alla Pietra di Tear stava continuando, e nessuno ammetteva di non avere idea di come sarebbe finito – ma, poco dopo che Romanda se ne fu andata, arrivò Lelaine.
A differenza di Romanda, la snella Adunante Azzurra era sola, e si versò il proprio té. Accomodandosi sullo sgabello vuoto, gettò indietro il suo mantello foderato di pelliccia sopra entrambe le spalle e lo lasciò pendere da un’apposita spilla in argento ornata di grossi zaffiri. Indossava anche il suo scialle; le Adunanti di solito lo facevano. Lelaine era più diretta di Romanda. O così poteva sembrare, in superficie. I suoi occhi scintillavano intensi.
«La morte di Kairen ha posto un altro ostacolo alle possibilità di stipulare qualunque genere di accordo con la Torre Nera» mormorò sopra la sua tazza di té, inalandone i vapori. «E poi c’è il povero Llyw di cui occuparsi. Forse lo prenderà Myrelle. Due dei suoi tre appartenevano a qualcun’altra prima. Nessun’altra ha mai salvato due Custodi la cui Aes Sedai fosse morta.»
Egwene non fu l’unica a percepire una particolare enfasi in quelle parole. Il volto di Myrelle impallidì decisamente. Aveva due segreti da nascondere, e uno era che aveva quattro Custodi. Il trasferimento del legame di Lan Mandragoran da Moiraine a lei era qualcosa che non veniva fatto da ben più di centinaia di anni, e oggi era visto come legare un uomo contro la sua volontà. «Tre sono abbastanza per me» disse ansante. «Se vuoi scusarmi, Madre...»
Maigan rise debolmente mentre Myrelle lasciava la tenda a passò svelto. Non tanto svelto però da impedirle di abbracciare saidar prima che i lembi d’ingresso si richiudessero.
«Ma certo,» disse Lelaine, scambiando occhiate divertite con l’altra Azzurra «dicono che sposi i suoi Custodi. Tutti quanti. Forse il povero Llyw non andrà bene come marito.»
«È grosso come un cavallo» si inserì Maigan. Malgrado il suo divertimento per la fuga di Myrelle, non c’era malizia nella sua voce. Stava semplicemente enunciando un fatto. Llyw era un uomo davvero corpulento. «Credo di conoscere una giovane Azzurra che potrebbe prenderlo. Non è interessata agli uomini in quel senso.»
Lelaine annuì in un modo che diceva che la giovane Azzurra aveva trovato il suo Custode. «Le Verdi possono essere molto strane. Prendiamo Elayne Trakand, per esempio. In verità, non avrei mai pensato che Elayne avrebbe scelto la Verde. La vedevo come un’Azzurra. La ragazza è abile nel tastare il polso delle correnti politiche. Anche se ha la tendenza ad avventurarsi in acque più profonde di quanto sarebbe sicuro. Non sei d’accordo, Madre?» Sorridendo, sorseggiò il suo té.
Questo non era affatto come le sottili schermaglie di Romanda. Questo era un fendente dopo l’altro, con la lama che appariva dal nulla. Lelaine sapeva di Myrelle e Lan? Aveva forse mandato qualcuno a Caemlyn? E in tal caso, quanto aveva appreso? Egwene si domandò se anche Romanda si fosse sentita confusa e presa alla sprovvista.
«Ritieni che l’omicidio di Kairen sia sufficiente a impedire un accordo?» disse. «Per quanto si sa, potrebbe trattarsi di Logain che torna per qualche folle vendetta.» Per la Luce, perché mai aveva detto una cosa del genere? Doveva mettere un freno alla propria lingua e rimanere lucida. «O più probabilmente qualche povero pazzo da una fattoria nei dintorni o una delle cittadine dei ponti.» Il sorriso di Lelaine si accentuò, ed era beffardo, non divertito. Per la Luce, erano mesi che quella donna non mostrava così tanta mancanza di rispetto.
«Se Logain volesse vendetta, Madre, sospetto che sarebbe nella Torre Bianca a cercare di uccidere Rosse.» Nonostante il suo sorriso, la sua voce era piatta e calma. Un contrasto inquietante. Forse era quella la sua intenzione. «Forse è un peccato che non lo stia facendo. Potrebbe sbarazzarsi di Elaida. Ma sarebbe più semplice di quello che lei si merita. No, Kairen non impedirà un accordo, non più di Anaiya, ma le due assieme faranno preoccupare ancora di più le Sorelle su tutele e condizioni. Può darsi che ci occorrano questi uomini, ma dobbiamo essere certe di avere noi il controllo. Il completo controllo.»
Egwene annuì. Un piccolo cenno col capo. Era d’accordo, ma...
«Potrebbero esserci delle difficoltà nel portarli ad accettare questo» disse. Difficoltà. Stava mostrando un indubbio talento per gli eufemismi, quel giorno.
«Il legame da Custode potrebbe essere lievemente modificato» disse Maigan. «Allo stato attuale, puoi fare in modo che l’uomo faccia ciò che desideri con un piccolo accorgimento, ma la necessità di tale accorgimento potrebbe essere rimossa piuttosto facilmente.»
«Questo suona un po’ troppo simile alla Coercizione» rilevò Egwene con fermezza. Aveva imparato quel flusso da Moghedien, ma solo per lavorare su come annullarlo. Quella cosa era immonda: sottrarre la volontà di un’altra persona, il suo intero essere. La Coercizione obbligava un individuo a fare qualsiasi cosa gli venisse ordinata. Qualsiasi. E credere che fosse per propria scelta. Solo pensarci la faceva sentire sporca.
Maigan però incontrò il suo sguardo quasi con la stessa impassibilità di Lelaine, e la sua voce era uniforme come il suo viso. Non la riteneva qualcosa di immondo. «La Coercizione è stata usata su alcune Sorelle a Cairhien. Pare accertato, ora. Ma io stavo parlando del legame, una cosa completamente diversa.»
«Tu credi di poter convincere gli Asha’man ad accettare il legame?» Egwene non riuscì a trattenere l’incredulità fuori dalla sua voce. «A parte questo, chi sarà a fare questo legame? Perfino se ogni Sorella che ancora non ha un Custode prendesse un Asha’man, e ogni Verde ne prendesse due o tre, non ci sarebbero abbastanza Sorelle. Questo sempre che tu riesca a trovarne una a cui non importi essere legata a un uomo destinato a impazzire.»
Maigan annuì a ogni punto come in approvazione. E si aggiustò le gonne come se non stesse davvero ascoltando. «Se il legame può essere modificato in un modo,» disse una volta che Egwene ebbe terminato «potrebbe essere cambiato anche in altri. Potrebbe esistere un modo per rimuovere la condivisione, forse parte della consapevolezza. Allora forse la pazzia non sarebbe un problema. Sarebbe un diverso tipo di legame, nient’affatto simile a quello da Custode. Sono certa che tutte converranno che non sarebbe come avere un Custode, in realtà. Qualunque Sorella potrebbe legare qualsiasi numero di Asha’man fosse necessario.»
Tutt’a un tratto Egwene si rese conto di cosa stava accadendo. Lelaine sedeva apparentemente scrutando nella sua tazza, ma stava studiando Egwene attraverso le ciglia. E usando Maigan come uno specchio per le allodole. Soffocando la rabbia, Egwene non dovette rendere la propria voce fredda. Era ghiaccio.
«Questo suona esattamente come Coercizione, Lelaine. È
Coercizione, e nessun giro di parole lo renderà qualcosa di diverso. Lo farò notare a chiunque altra lo proporrà. E ordinerò la fustigazione di chiunque vada oltre la semplice proposta. La Coercizione è bandita, e tale rimarrà.»
«Come dici tu» replicò Lelaine, parole che avrebbero potuto significare qualunque cosa. Quello che venne dopo fu più caustico. «La Torre Bianca commette errori, in certe occasioni. È impossibile vivere o muoversi senza commetterne. Ma viviamo e andiamo avanti. E se qualche volta è necessario nascondere i nostri errori, quando è possibile li rettifichiamo. Perfino quando è doloroso.» Rimettendo la tazza sul vassoio, se ne andò con Maigan dietro di lei. Maigan abbracciò la Fonte prima di lasciare la tenda. Lelaine no.
Per un po’ Egwene si concentrò sul mantenere il proprio respiro regolare. Eseguì il fiume contenuto dall’argine. Lelaine non aveva detto propriamente che Egwene al’Vere come Amyrlin fosse un errore che andava rettificato, ma ci era andata molto vicino.
A mezzodì, Chesa portò il pasto di Egwene su un altro vassoio di legno, caldo pane crostoso con solo una o due macchioline scure sospette, stufato di lenticchie con pezzetti di rape dure e carote legnose e qualcosa che poteva essere capra. Una cucchiaiata fu tutto ciò che Egwene riuscì a mandare giù. Non era stata Lelaine a turbarla. Lelaine l’aveva minacciata in precedenza, anche se non l’aveva più fatto da quando lei aveva messo in chiaro di essere l’Amyrlin e non un fantoccio. Invece di mangiare, fissò il rapporto di Tiana poggiato su un lato del tavolo. Nicola avrebbe potuto non ottenere lo scialle nonostante il suo potenziale, ma la Torre aveva una lunga esperienza nel prendere donne testarde e piene di difetti e trasformarle in Aes Sedai fiduciose in sé stesse. Larine aveva un luminoso futuro davanti a sé, ma doveva imparare a obbedire alle regole prima di poter cominciare ad apprendere quali potevano essere infrante e quando. La Torre Bianca sapeva insegnare bene entrambe le cose, ma tutto doveva seguire un certo ordine. Il futuro di Bode sarebbe stato brillante. Il suo potenziale eguagliava quasi quello di Egwene. Ma Aes Sedai, Ammessa o novizia, la Torre ti richiedeva di fare quello che era necessario per la Torre. Aes Sedai, Ammessa, novizia o Amyrlin.
Chesa fu loquace nel suo disappunto quando, tornando, trovò il vassoio quasi intatto, in particolare dopo che già aveva trovato una colazione praticamente integra. Egwene meditò se sostenere di avere mal di stomaco, poi ci ripensò. Dopo che il té di Chesa aveva funzionato per le sue emicranie – almeno per qualche giorno, finché non erano tornate ogni notte più feroci che mai – aveva scoperto che la donna grassoccia possedeva una collezione di rimedi erbacei per ogni malanno, comprati da qualunque ambulante dotato di una buona parlantina, e uno dal sapore più disgustoso dell’altro. Aveva un modo di guardarti così depresso quando non bevevi quelle orrende misture, che ti ritrovavi a tracannarle solo per non farla preoccupare. Talvolta funzionavano, cosa sorprendente, ma non erano certo qualcosa che Egwene gradisse mettere in bocca. Mandò via Chesa con il vassoio e una promessa di mangiare più tardi. Senza dubbio Chesa si sarebbe presentata con una cena tanto abbondante da far ingozzare un’oca. A quel pensiero le venne da sorridere – Chesa sarebbe stata in piedi dietro di lei, torcendosi le mani, finché Egwene non avesse ingoiato fino all’ultimo boccone – ma gli occhi le tornarono al rapporto di Tiana. Nicola, Larine e Bode. La Torre Bianca era severa nell’assegnare i compiti. Ameno che la Torre non fosse in guerra con il consenso del Consiglio, l’Amyrlin non... Ma la Torre era in guerra. Non si rese conto di quanto tempo rimase a fissare quel pezzo di carta con un solo nome sopra, ma quando Siuan tornò, lei aveva preso la sua decisione. La Torre era severa e non faceva favoritismi.
«Leane e Bode sono andate?» chiese.
«Almeno due ore fa, Madre. Leane doveva accompagnare Bode e poi cavalcare verso valle.»
Egwene annuì. «Per favore, fa’ sellare Daishar...» No. Alcune persone ormai riconoscevano il cavallo dell’Amyrlin. Troppe. Non c’era tempo per discussioni e spiegazioni, né per proclamare la propria autorità e farla valere. «Fa’ sellare Bela e incontriamoci all’angolo due strade a nord.» Quasi tutti conoscevano anche Bela. Il cavallo di Siuan, tutti sapevano.
«Cosa intendi fare, Madre?» chiese Siuan preoccupata.
«Intendo fare una cavalcata. E, Siuan, non dirlo a nessuno.»
Guardò l’altra donna negli occhi e li tenne fissi nei suoi. Siuan era stata Amyrlin, e in grado di far abbassare lo sguardo a una pietra. Egwene era Amyrlin, adesso. «Nessuno, Siuan. Ora va’. Va’ e sbrigati.» Con la fronte ancora corrucciata, Siuan si sbrigò.
Non appena fu rimasta sola, Egwene si tolse la stola dal collo, la piegò con attenzione e la infilò nel borsello alla cintura. Il suo mantello era di buona lana resistente, ma piuttosto semplice. Senza la stola che le penzolava fuori dal cappuccio, poteva essere chiunque. Le assi di fronte al suo studio erano vuote, ovviamente, ma una volta che ebbe attraversato la via congelata, dovette farsi strada tra la solita fiumana bianca di novizie punteggiata di Ammesse e di occasionali Aes Sedai. Le novizie piegavano le ginocchia senza rallentare, le Ammesse offrivano riverenze mentre lei passava – quando notavano che le gonne sotto il suo mantello non erano a strisce bianche – e le Aes Sedai procedevano con i volti nascosti dai cappucci. Forse qualcuna avrebbe notato che lei non era seguita da un Custode, ma non tutte le Sorelle ne avevano uno. E non tutte erano circondate dal luccicante alone di saidar. Solo la maggior parte. A due strade dal suo studio, si fermò sul bordo delle assi di legno dando le spalle al rapido flusso di donne. Tentò di non spazientirsi. Il sole era a metà della sua discesa verso l’orizzonte a ovest, una sfera dorata pugnalata dal picco spezzato di Montedrago. L’ombra della montagna si stendeva già lungo il campo, avvolgendo le tende nella fioca luce della sera.
Finalmente Siuan apparve in sella a Bela. La piccola giumenta irsuta camminava con passi sicuri sulla strada scivolosa, ma Siuan si aggrappava alle redini e alla sella come se temesse di cadere. Forse era così. Siuan era una delle peggiori cavallerizze che Egwene avesse mai visto. Quando scese incerta di sella in un turbine di gonne e imprecazioni borbottate, pareva sollevata di esserne uscita viva. Bela riconobbe Egwene con un nitrito. Rimettendo a posto il suo cappuccio in disordine, anche Siuan aprì la bocca, ma Egwene sollevò una mano in un gesto ammonitore prima che l’altra donna potesse parlare. Poteva vedere la parola ‘Madre’ prendere forma sulle labbra di Siuan. E molto probabilmente l’avrebbe detta a voce tanto alta da essere udita a cinquanta passi di distanza.
«Non dirlo a nessuno» mormorò piano Egwene. «E niente messaggi o accenni.» Con questo doveva aver coperto ogni eventualità.
«Tieni compagnia a Chesa finché non ritorno. Non voglio che si preoccupi.»
Siuan le rivolse un riluttante cenno d’assenso. La sua bocca pareva quasi imbronciata. Egwene sospettava di aver fatto bene ad aggiungere ‘messaggi’ e ‘accenni’. Lasciando l’ex Amyrlin Seat con l’espressione di una ragazza immusonita, montò agilmente in sella a Bela. Sulle prime dovette far procedere la tozza giumenta al passo, per via dei solchi ghiacciati nelle strade dell’accampamento. E perché chiunque si sarebbe domandato se quella in sella a Bela era davvero Siuan, se l’avessero vista andare più veloce. Cercò di cavalcare come Siuan, ondeggiando incerta; aggrappandosi all’alto pomello della sella con una mano e talvolta con due. Faceva sentire anche lei come se stesse per cadere. Bela voltò la testa per guardarla. Sapeva chi stava portando in groppa e che Egwene cavalcava meglio di così. Egwene continuò a imitare Siuan e tentò di non pensare alla posizione del sole. Proseguì in questo modo fino a uscire dal campo, oltre le file di carri, finché i primi alberi la nascosero da questi e dalle tende. Poi si chinò sopra il pomello per premere la faccia contro la criniera di Bela. «Mi hai portato lontano dai Fiumi Gemelli » sussurrò.
«Puoi correre altrettanto velocemente adesso?» Raddrizzandosi, diede di talloni.
Bela non poteva galoppare come Daishar, ma le sue robuste zampe spumeggiavano nella neve. Era stata un cavallo da tiro, un tempo, non da corsa o da guerra, ma diede quanto poteva, allungando il collo con lo stesso ardore che avrebbe avuto Daishar. Bela si slanciò in avanti e il sole scivolò più in basso come se all’improvviso potesse scorrere più facilmente nel cielo. Egwene si chinò in basso, sulla sella e spronò la giumenta in avanti. Una corsa contro il sole che Egwene sapeva di non poter vincere. Ma perfino se non poteva batterlo, c’era ancora tempo. Percuoteva i talloni a ritmo con gli zoccoli di Bela, e lei correva. Il crepuscolo si stese su di loro, e poi l’oscurità, prima che Egwene vedesse la luna scintillare sull’acqua del fiume Erinin. C’era ancora tempo. Era quasi il punto in cui si era fermata su Daishar con Gareth, a osservare le navi scivolare verso Tar Valon. Fece arrestare Bela e si mise in ascolto.
Silenzio. E poi un’imprecazione soffocata. I sommessi grugniti e il raschiare di uomini che trascinavano un carico pesante fra la neve e cercavano di farlo in silenzio. Fece voltare Bela fra gli alberi in direzione dei suoni. Le ombre si mossero e lei udì il tenue sussurro di acciaio che scivolava dai foderi.
Poi un uomo borbottò, non abbastanza sottovoce: «Conosco quel pony. È una delle Sorelle. Quella che dicono fosse Amyrlin. A me non sembra. Non è più vecchia di quella che dicono sia Amyrlin ora.»
«Bela non è un pony» replicò Egwene in tono deciso. «Portatemi da Bode Cauthon.»
Una dozzina di uomini presero forma dalle ombre notturne fra gli alberi, circondando lei e Bela. Parevano tutti pensare che lei fosse Siuan, ma questo andava bene. Per loro si trattava comunque di una Aes Sedai, e la guidarono fin dove Bode era in sella a un cavallo non molto più alto di Bela, con un mantello scuro attorno a sé. Anche il suo vestito era scuro. Il bianco avrebbe risaltato, di notte.
Anche Bode riconobbe Bela e allungò una mano per grattare con affetto l’orecchio della giumenta quando Egwene le si accostò.
«Rimarrai a riva» disse piano Egwene. «Puoi tornare assieme a me quando tutto sarà finito.»
Bode tirò indietro la mano con un sussulto, come se fosse stata punta dal suono della voce di Egwene. «Perché?» disse, ma non era proprio una domanda. Almeno questo lo aveva imparato. «Posso farlo. Leane Sedai me l’ha spiegato e sono in grado di farlo.»
«So che lo sei. Ma non bene quanto me. Non ancora.» Quel commento parve troppo simile a una critica che l’altra donna non si era meritata. «Io sono l’Amyrlin Seat, Bode. Alcune decisioni sono una mia prerogativa. E ci sono cose che non dovrei chiedere di fare a una novizia, quando io posso farle meglio.» Forse questo non era un granché più tenero, ma non poteva spiegarle di Larine e Nicola, o del prezzo che la Torre Bianca esigeva da tutte le sue figlie. L’Amyrlin non poteva spiegare la prima ragione a una novizia, e una novizia non era pronta a sapere la seconda.
Perfino nella notte, dal modo in cui Bode incurvò le spalle si poteva capire che non comprendeva, ma che aveva anche imparato a non discutere con le Aes Sedai. Proprio come aveva imparato che Egwene era Aes Sedai. Il resto l’avrebbe appreso col tempo. E la Torre poteva prendersi tutto il tempo necessario per insegnarle. Smontando, Egwene porse le redini di Bela a uno dei soldati e sollevò le gonne per arrancare fra la neve verso i suoni affaticati che indicavano qualcosa che veniva trascinato. Si trattava di una grossa barca a remi, che veniva tirata e spinta fra la neve come una slitta. Una slitta voluminosa che doveva essere manovrata fra gli alberi, anche se con meno imprecazioni una volta che gli uomini impegnati a tirare e a spingere si resero conto che lei li stava seguendo da vicino. Molti uomini tenevano a freno la lingua quando c’era una Aes Sedai nei paraggi, e anche se non potevano vedere il suo volto per via dell’oscurità e del cappuccio, chi altri poteva trovarsi presso il fiume? E anche se sapevano che non si trattava della stessa donna che sulle prime avrebbe dovuto accompagnarli, chi metteva in discussione le Aes Sedai?
Fecero scivolare la barca nel fiume, attenti agli schizzi, e sei uomini si arrampicarono a bordo per inserire i remi in scalmi imbottiti di stracci. Gli uomini erano a piedi nudi, per evitare il rumore di uno stivale che sfregasse le assi dello scafo. Imbarcazioni più piccole navigavano su quelle acque, ma stanotte dovevano dominare le correnti. Uno degli uomini sulla sponda le diede una mano per reggersi mentre saliva a bordo e lei si sistemò su un sedile a prua, tenendo stretto il proprio mantello. La barca scivolò via dalla riva, silenziosa tranne per il debole mulinare dei remi nell’acqua.
Egwene guardò avanti, a sud verso Tar Valon. Le bianche mura brillavano alla luce di una luna calante quasi piena, e finestre illuminate da lampade conferivano alla città un bagliore soffuso, quasi come se l’isola stesse abbracciando saidar. La Torre Bianca si stagliava perfino nell’oscurità, le finestre illuminate, la grande massa che scintillava sotto la luna. Qualcosa guizzò davanti alla luna e a Egwene si mozzò il fiato. Per un istante pensò che si fosse trattato di un Draghkar, un avvistamento maligno proprio quella notte. Solo un pipistrello, decise. La primavera poteva essere ormai prossima perché i pipistrelli svolazzassero in giro. Stringendo il mantello ancora di più, scrutò verso la città che si faceva più vicina. Più vicina.
Quando l’alto muro del porto nord torreggiò di fronte alla barca, gli uomini remarono all’indietro e la prua dell’imbarcazione evitò per poco di urtare la parete accanto all’entrata del porto. Quell’urto sarebbe stato di sicuro udito dai soldati di guardia. Invece i remi fecero solo un piccolo rumore gorgogliante mentre scorrevano all’indietro, e la barca si fermò dove lei avrebbe potuto toccare la massiccia catena di ferro che chiudeva il porto, i suoi enormi anelli che emettevano un debole bagliore per via del grasso che li ricopriva.
Non c’era bisogno di toccarli, però. Né di aspettare. Abbracciando saidar, fu a malapena consapevole dell’eccitazione della vita che la riempiva prima di aver messo i flussi al loro posto. Terra, Fuoco e Aria a circondare la catena; Terra e Fuoco a toccarla. Il ferro nero divampò bianco per tutta la lunghezza dell’imboccatura del porto. Ebbe appena il tempo di accorgersi che qualcuno aveva abbracciato la Fonte non lontano, sul muro sopra di lei, poi qualcosa colpì la barca, colpì lei, ed Egwene si rese conto che l’acqua fredda la stava avviluppando, riempiendole il naso, la bocca. Poi buio.
Egwene percepì qualcosa di duro sotto di lei. Udì voci di donne. Voci eccitate.
«Sai chi è questa?»
«Bene bene. Di certo abbiamo ottenuto di meglio di quanto pattuito, stanotte.»
Qualcosa le venne premuto contro la bocca e un liquido caldo le colò dentro, con un vago sapore di menta. Deglutì fra gli spasmi, tutt’a un tratto conscia di quanto avesse freddo, dei brividi che la squassavano. I suoi occhi si aprirono tremolanti. E si fissarono sul volto della donna che teneva la sua testa e la tazza. Le lanterne in mano ai soldati assiepati attorno fornivano abbastanza luce per permetterle di distinguere quel viso con chiarezza. Un viso senza età. Era all’interno del porto nord.
«Ecco qua, ragazza» disse l’Aes Sedai come per incoraggiarla.
«Bevilo tutto. Una dose forte, per ora.»
Egwene cercò di spingere via la tazza, cercò di abbracciare saidar, ma poteva sentirsi scivolare di nuovo nell’oscurità. La stavano aspettando. Era stata tradita. Ma da chi?