L’aria nella stanza era appena poco più calda dell’esterno, tanto da far appannare i vetri incassati nelle imposte dipinte di rosso; e nonostante questi fossero anche pieni di bolle, Cadsuane se ne stava a scrutare fuori come se potesse scorgere chiaramente il paesaggio tetro. In ogni caso poteva vedere con chiarezza più che sufficiente. Alcuni sfortunati individui, talmente intabarrati che soltanto gonne informi o brache rigonfie distinguevano gli uomini dalle donne, stavano arrancando nei campi fangosi che circondavano il maniero, talvolta chinandosi per tastare una manciata di terreno. Non sarebbe passato molto tempo prima di iniziare ad arare e concimare, ma solo la loro ispezione indicava che la primavera sarebbe giunta presto. Al di là dei campi, la foresta era tutta rami scuri e spogli, che si stagliavano contro un cielo mattutino grigio e scialbo. Una bella patina di neve avrebbe reso il panorama meno brullo, ma qui le nevicate erano poche e lievi, e le tracce di una di rado duravano fino alla successiva. Ciononostante, riusciva a pensare a pochi posti più adatti ai suoi scopi, con la Dorsale del Mondo a poco più di un giorno di galoppo verso est. Chi avrebbe pensato di guardare all’interno di Tear? Ma convincere il ragazzo a rimanere qui non era stato troppo facile? Con un sospiro si voltò dalla finestra, sentendo oscillare gli ornamenti fra i suoi capelli, i piccoli uccelli e pesci, stelle e lune. Era ben conscia della loro presenza, ultimamente. Conscia? Ultimamente aveva preso in considerazione di dormire tenendoli addosso.
Il salone era ampio ma non elaborato, come il maniero stesso, con cornici di legno intagliato e dipinto di rosso. Il mobilio era di colori sgargianti ma senza un tocco di doratura, i due lunghi caminetti di semplice pietra anche se ben fatti, gli alari di robusto ferro battuto pensati più per durare a lungo che per le apparenze. Nei focolari ardevano piccoli fuochi – dietro sua insistenza; le fiamme guizzavano basse su ceppi semiconsumati, ma ognuno era sufficiente per riscaldarle le mani, che era tutto ciò che voleva. Se avesse lasciato fare a lui, Algarin l’avrebbe ovattata in un caldo cocente e soffocata di servitori, per quanto ne rimanessero pochi al suo servizio. Un signore della terra minore – era lungi dall’essere ricco – tuttavia pagava i suoi debiti nella forma e nella sostanza, perfino quando molti altri uomini indebitati avrebbero fatto il contrario.
La porta priva di intagli della sala si aprì con un cigolio – molti dei servitori di Algarin erano anziani quasi quanto lui, e anche se mantenevano tutto pulito e spolverato, le lampade piene d’olio e gli stoppini spuntati, i cardini nel maniero parevano sfuggire a un’oliatura regolare – per far entrare Verin, ancora in abiti da viaggio di semplice lana marrone, con gonne divise e il mantello sopra un braccio. Cercava di mettere a posto con una mano i suoi capelli striati di grigio. La Sorella piccola e robusta aveva un’espressione contrariata sul volto squadrato e stava scuotendo il capo. «Be’, quelli del Popolo del Mare sono stati inviati a Tear, Cadsuane. Non sono andata vicino alla Pietra, ma ho sentito che il Sommo Signore Astorii ha smesso di lamentarsi delle sue giunture scricchiolanti e ha raccolto i suoi uomini all’interno con Darlin. Chi avrebbe pensato che Astorii si sarebbe risvegliato e messo al fianco di Darlin? Le strade sono piene di armigeri, per la maggior parte ubriachi, che si azzuffano fra loro quando non stanno combattendo gli Atha’an Miere. Ci sono tanti uomini del Popolo del Mare quanti in qualunque altro posto messi assieme. Marine era inorridita. Si è precipitata alle navi non appena è riuscita a noleggiare una barca, aspettandosi di essere nominata Maestra delle Navi e di mettere tutto a posto. Non sembra esserci alcun dubbio sulla morte di Nesta din Reas.»
Cadsuane era soddisfatta che la piccola donna rotondetta continuasse a ciarlare. Verin non era tanto distratta quanto immaginava. Alcune Marroni erano capaci di inciampare nei loro stessi piedi per non averli notati, ma Verin indossava un presunto manto di ingenuità. Pareva credere che Cadsuane accettasse quel manto come realtà, tuttavia se c’era una questione da sottolineare, l’avrebbe sottolineata. E anche quello che lasciava da parte poteva essere rivelatore. Cadsuane era meno sicura delle altre Sorelle di quanto avrebbe desiderato. L’incertezza era un fatto della vita, ma era insicura su fin troppe cose, per i suoi gusti. Sfortunatamente, Min doveva essere in ascolto vicino alla porta, e quella giovane donna aveva poca pazienza. «Ho detto a Harine che non sarebbe stato così» protestò, irrompendo nella stanza. «Le ho detto che sarebbe stata punita per l’accordo che aveva stipulato con Rand. Solo in seguito diventerà Maestra delle Navi, e non so dire se fra dieci giorni o fra dieci anni.» Magra e graziosa, e alta nei suoi stivali coi tacchi rossi, con riccioli scuri che le pendevano sulle spalle, Min aveva una voce femminile, ma indossava una giacca rossa da ragazzo e brache blu. La giacca era ricamata con fiori variopinti sui risvolti e sulle maniche, e le brache con fasce che correvano lungo l’esterno delle gambe, ma erano comunque indumenti maschili.
«Puoi entrare, Min» disse con calma Cadsuane. Era un tono che di solito induceva le persone a prestare la massima attenzione. Quelle che la conoscevano, perlomeno. Chiazze di colore apparvero sulle gote di Min. «La Maestra delle Onde ha già appreso ciò che le accadrà dalla tua visione. Ma vista la tua urgenza, forse hai letto l’aura di qualcun altro e desideri dirmi ciò che hai visto?» La peculiare capacità della ragazza si era rivelata utile in passato e senza dubbio lo sarebbe stata ancora. Forse. A quanto ne sapeva Cadsuane, non mentiva su quello che vedeva nelle immagini e nelle aure che percepiva fluttuare attorno alle persone, ma non era sempre del tutto schietta. In particolare quando si trattava dell’unica persona su cui Cadsuane avrebbe voluto sapere più che su qualunque altra.
Gote rosse o no, Min sollevò il mento con fare ostinato. Era cambiata da Shadar Logoth, o forse era cominciato prima, ma a ogni modo il cambiamento non era stato per il meglio. «Rand vuole che tu vada da lui. Ha detto di chiederlo, perciò non è il caso di fare la petulante.»
Cadsuane si limitò a guardarla e lasciò perdurare il silenzio. Petulante? Decisamente non per il meglio. «Riferiscigli che verrò quando potrò» disse infine. «Chiudi bene la porta dietro di te, Min.» La giovane donna aprì la bocca come per dire qualcos’altro, ma alla fine conservò abbastanza buon senso da tenerlo per sé. Le rivolse perfino una riverenza passabile, malgrado quegli stivali ridicoli, e chiuse per bene la porta dietro di sé. Ci mancò poco che la sbattesse, in effetti. Verin scosse di nuovo il capo, emettendo una risata lievemente divertita. «È innamorata del giovane, Cadsuane, e gli ha infilato il cuore in tasca. Seguirà quello invece della testa, qualunque cosa tu dica o faccia. Penso che sia spaventata perché lui è quasi morto, e sai che questo può rendere una donna determinata a restare aggrappata a un uomo.»
Le labbra di Cadsuane si assottigliarono. Sulle relazioni con gli uomini Verin aveva un’esperienza maggiore della sua – non aveva mai ritenuto opportuno concedersi ai suoi stessi Custodi, come facevano alcune Verdi, e altri uomini non erano mai stati nemmeno in discussione – ma la Marrone era andata vicina a una verità senza saperlo. Perlomeno, Cadsuane non pensava che l’altra Sorella sapesse che Min era legata al ragazzo al’Thor. Lei stessa ne era al corrente solo perché la ragazza si era lasciata sfuggire qualcosa di troppo in un momento di avventatezza. Perfino l’ostrica serrata più saldamente cedeva, una volta che riuscivi a far leva su quella prima fessura nella conchiglia. Alle volte ne usciva perfino una perla inattesa. Sì, Min avrebbe voluto tenere in vita il ragazzo, che lo amasse o meno, ma non più di quanto lo volesse Cadsuane.
Drappeggiando il suo mantello sull’alto schienale di una sedia, Verin si spostò presso il caminetto più vicino e protese le mani per riscaldarle alle basse fiamme. Non si poteva dire che Verin scivolasse, ma era molto più aggraziata di quanto la sua corporatura lasciasse intendere. Quanto inganno c’era in lei? Ogni Aes Sedai si nascondeva dietro varie maschere; dopo un po’ diventava un’abitudine. «Credo che la situazione a Tear possa essere ancora risolta in maniera pacifica» disse, scrutando nel fuoco. Poteva darsi che stesse parlando fra sé. O che volesse che Cadsuane lo pensasse. «Hearne e Simaan stanno diventando piuttosto disperati, temendo che gli altri Sommi Signori tornino da Ilian e li intrappolino nella città. Possono essere disposti ad accettare Darlin, viste le altre opzioni. Estanda è una persona più rigida, ma se si riesce a convincerla che anche lei può trame vantaggio...»
«Ti ho detto di non avvicinarti a loro» la interruppe Cadsuane con tono severo.
La donna robusta batté le palpebre dalla sorpresa. «Non l’ho fatto. Le strade sono sempre piene di dicerie, e io so come metterle assieme e passarle al setaccio per ottenere qualche verità. In effetti ho visto Alanna e Rafela, ma mi (sono chinata dietro il carretto di un ambulante che vendeva, tortini di mele col suo carretto prima che mi vedessero. Sono sicura che non mi hanno notato.» Fece una pausa, attendendo chiaramente che Cadsuane spiegasse perché le aveva ordinato di evitare anche le Sorelle.
«Devo andare dal ragazzo adesso, Verin» disse invece Cadsuane. Quello era il problema quando si acconsentiva a consigliare qualcuno. Perfino quando riuscivi a stabilire tutte le condizioni che desideravi – la maggior parte, perlomeno – presto o tardi, quando ti chiamava, dovevi andare. Ma le dava un motivo per sfuggire alla curiosità di Verin. La risposta era semplice. Se cercavi di risolvere ogni problema da solo, finivi per non risolverne alcuno. E con certi problemi, il modo in cui venivano risolti a lungo andare non importava. Ma non rispondere lasciava Verin con un enigma su cui riflettere, un po’ di pane per i suoi denti. Quando Cadsuane non era certa di qualcuno, voleva che anche quel qualcuno fosse incerto su di lei.
Verin raccolse il mantello e lasciò la stanza con lei. Aveva forse intenzione di accompagnarla? Ma uscite dal salotto, incontrarono Nesune che procedeva svelta lungo il corridoio. Si fermò all’improvviso. Non più di una manciata di persone riusciva a ignorare Cadsuane, tuttavia Nesune fu piuttosto credibile, i suoi occhi scuri fissi su Verin.
«Sei tornata, allora?» Anche le migliori fra le Marroni avevano l’abitudine di affermare l’ovvio. «Hai scritto un saggio sugli animali delle Terre Sommerse, a quanto rammento.» Il che voleva dire che Nesune ricordava ogni cosa che aveva visto; un’utile capacità, se Cadsuane fosse mai riuscita a fidarsi abbastanza di lei da avvalersene.
«Lord Algarin mi ha mostrato la pelle di un grosso serpente, che afferma provenire dalle Terre Sommerse, ma sono convinta che sia lo stesso che ho osservato...» Verin lanciò un’occhiata di impotenza a Cadsuane mentre la donna più alta la trascinava via per la manica, ma prima che avessero percorso tre passi lungo il corridoio era impegnata in una discussione su quello stupido serpente.
Era una scena sorprendente e per certi versi preoccupante. Nesune era leale a Elaida, o lo era stata, mentre Verin era tra quelli che volevano spodestarla. O lo era stata. Ora parlavano amabilmente di serpenti. Il motivo per cui entrambe avessero giurato fedeltà al ragazzo al’Thor poteva essere attribuito al fatto che lui era ta’veren e piegava il Disegno attorno a sé inconsciamente; ma quel giuramento era sufficiente per far sì che ignorassero il loro contrasto su chi detenesse la carica di Amyrlin Seat? O erano influenzate dall’avere un ta’veren nelle vicinanze? Le sarebbe piaciuto molto saperlo. Nessuno dei suoi ornamenti la proteggeva dai ta’veren. Certo, non conosceva la funzione di due dei pesci e di una delle lune, ma pareva improbabile che fosse quella. Forse si trattava semplicemente del fatto che Verin e Nesune erano entrambe Marroni. Le Marroni potevano dimenticare ogni altra cosa quando si mettevano a studiare qualcosa. Serpenti. Bah! I piccoli ornamenti dondolarono quando scosse il capo prima di voltarsi, lasciandosi alle spalle le due Marroni che si allontanavano. Cosa voleva il ragazzo? Non le era mai piaciuto essere una consigliera, che fosse necessario o no.
Alcuni spifferi lungo il corridoio increspavano i pochi arazzi alle pareti, tutti vecchio stile, che mostravano l’usura dovuta all’essere rimossi e appesi molte volte. Il maniero originario non era grande, ma era cresciuto come una casa colonica ampliata senza alcun ordine, con delle aggiunte ogni volta che le fortune e il numero dei membri della famiglia crescevano. La casata Pendaloan non era mai stata ricca, ma c’erano stati tempi in cui era stata numerosa. I risultati si manifestavano in altri modi, a parte antiquati arazzi lisi. Le cornici erano dipinte con colori brillanti – rosso, blu o giallo – ma i corridoi variavano in ampiezza e altezza, e talvolta si incontravano in modo un po’ sghembo. Finestre che una volta guardavano sui campi ora davano su cortili, di solito spogli tranne per qualche panca, e posti lì solo per fornire un po’ di luce. A volte non c’era modo di accedervi tranne da un colonnato ricoperto da una tettoia che dominava uno di quei cortili. Le colonne molto spesso erano di legno, sebbene non fossero intagliate, erano splendidamente dipinte.
Su uno di quei camminamenti con grosse colonne verdi, due Sorelle si trovavano in piedi a guardare l’attività nel cortile sottostante. Perlomeno era quello che stavano facendo quando Cadsuane aprì la porta che dava sul colonnato. Beldeine la vide varcarla e si irrigidì, strattonando lo scialle con la frangia verde che indossava da meno di cinque anni. Graziosa, con gli alti zigomi e una lieve inclinazione degli occhi castani, non aveva ancora raggiunto il volto senza età e sembrava più giovane di Min, soprattutto quando scoccò a Cadsuane un’occhiata gelida e si affrettò ad allontanarsi dal colonnato nella direzione opposta, Merise, la sua compagna, sorrise dietro le sue spalle divertita, spostando solo leggermente il suo scialle frangiato di verde. Alta e di solito piuttosto seria, con i capelli ben tirati indietro dal volto pallido, Merise non era una donna che sorridesse spesso. «Beldeine, lei è preoccupata poiché non ha ancora una Custode» disse con inflessione tarabonese mentre Cadsuane si fermava accanto a lei, anche se i suoi occhi azzurri tornarono al cortile. «Pare che stia prendendo in considerazione un Asha’man, se riesce a trovarne uno. Le ho detto di parlare con Daigian. Se questo non l’aiuta, almeno aiuterà Daigian.»
Tutti i Custodi che avevano con loro erano radunati nel cortile pavimentato in pietra, indossavano maniche corte nonostante il freddo, e per la maggior parte erano seduti su panche di legno a osservare due di loro che si allenavano con spade da esercitazione. Jahar, uno dei tre di Merise, era un giovane uomo piacente e scurito dal sole. I campanelli assicurati alle estremità delle sue due lunghe trecce tintinnavano con la furia del suo attacco. Si muoveva come una lancianera all’attacco. Non spirava un alito di vento, ma la stella a otto punte, come una dorata rosa dei venti, parve muoversi contro i capelli di Cadsuane. Se l’avesse tenuta in mano, avrebbe chiaramente potuto percepirla vibrare. D’altra parte sapeva già che Jahar era un Asha’man, e la stella non l’avrebbe indicato ma si sarebbe limitata a dirle che nelle vicinanze c’era un uomo in grado di incanalare. Aveva appreso che quanti più uomini del genere fossero stati presenti, tanto più forte avrebbe vibrato la stella. L’avversario di Jahar, un tizio molto alto con le spalle larghe, con un volto di pietra e una fascia di cuoio intrecciato attorno alle tempie brizzolate per trattenere i capelli lunghi fino alle spalle, non era il secondo Asha’man laggiù, ma a suo modo era comunque letale. Lan non pareva muoversi così velocemente, piuttosto... fluiva. La sua arma di assicelle intrecciate era sempre lì a deviare quella di Jahar, spostando ogni volta il giovane un po’ dalla sua posizione.
All’improvviso, la lama di legno di Lan colpì il fianco di Jahar con uno schianto sonoro, un colpo mortale se fosse stato inferto con l’acciaio. Mentre il giovane stava ancora sussultando per la forza del fendente, Lan fluì all’indietro in una posa di attesa, la lunga lama dritta fra le mani. Nethan, un altro dei Custodi di Merise, si alzò in piedi, un individuo con le tempie striate di bianco, snello e alto, sebbene di un palmo o due meno di Lan. Jahar gli fece cenno di allontanarsi e sollevò di nuovo la sua spada da allenamento, domandando a gran voce un altro tentativo.
«Come sta Daigian?» chiese Cadsuane.
«Meglio di quanto mi aspettassi» ammise Merise. «Rimane troppo a lungo nella sua stanza, ma versa le sue lacrime in privato.» Il suo sguardo si spostò dagli uomini che facevano danzare le loro spade a una panca dipinta di verde, dove il robusto Tomas dai capelli grigi, il Custode di Verin, era seduto accanto a un tizio brizzolato a cui restava soltanto una frangia di capelli bianchi. «Damer, lui voleva provare la sua Guarigione su di lei, ma Daigian si è rifiutata. Può anche non aver avuto un Custode prima, ma sa che il lutto per la sua morte è parte integrante del ricordarlo. Sono sorpresa che Corele l’abbia permesso.»
Scrollando la testa, la Sorella tarabonese tornò a studiare Jahar. I Custodi delle altre Sorelle non la interessavano davvero, perlomeno non quanto i suoi. «Gli Asha’man, loro sono addolorati alla maniera dei Custodi. Pensavo che Jahar e Damer si limitassero a seguire l’esempio degli altri, ma Jahar, lui mi ha detto che è anche la loro usanza. Non mi sono intromessa, ovviamente, ma li ho osservati bere alla memoria del giovane Eben di Daigian. Non hanno mai menzionato il suo nome, ma c’era una coppa di vino piena al suo posto. Bassane e Nethan, loro sanno di poter morire qualunque giorno, e lo accettano. Jahar si aspetta di morire: se lo aspetta ogni giorno. Per lui ogni ora è quasi certamente l’ultima.»
Cadsuane si trattenne a malapena dal guardare l’altra donna. Non era da Merise parlare così a lungo. Il volto dell’altra donna era impassibile, i suoi modi imperturbabili, ma qualcosa l’aveva sconvolta.
«So che ti eserciti a collegarti con lui» disse delicatamente, scrutando giù nel cortile. La delicatezza era un requisito essenziale nel parlare a un’altra Sorella del suo Custode. Era in parte il motivo per cui fissava il cortile, accigliata. «Hai già stabilito se il ragazzo al’Thor abbia avuto successo a Shadar Logoth? È davvero riuscito a ripulire la metà maschile della Fonte?»
Anche Corele si esercitava a collegarsi con Damer, ma la Gialla era così concentrata sui suoi futili tentativi di comprendere come fare con saidar quello che lui faceva con saidin, che non avrebbe notato la corruzione del Tenebroso nemmeno se le fosse scesa giù per la gola. Era un peccato che lei stessa non avesse ottenuto lo scialle cinquant’anni più tardi, altrimenti avrebbe legato di persona uno degli uomini e non avrebbe avuto bisogno di chiedere. Ma cinquant’anni avrebbero significato che Noria sarebbe morta nella sua casetta sulle Colline Nere prima che Cadsuane Melaidhrin potesse andare alla Torre Bianca. Questo avrebbe alterato buona parte della storia. Per dirne una, per lei sarebbe stato improbabile trovarsi in una situazione simile alle circostanze attuali. Perciò domandò con delicatezza e attese. Merise rimase in silenzio e immobile per un lungo momento, poi sospirò. «Non lo so, Cadsuane. Saidar è un oceano calmo che ti porta ovunque vuoi, sempre che tu conosca le correnti e ti lasci trasportare da esse. Saidin... Una valanga di pietre infuocate. Montagne di ghiaccio che crollano. Sembra più pulito della prima volta che mi sono collegata con Jahar, ma in quel caos potrebbe nascondersi qualunque cosa. Qualunque.»
Cadsuane annuì. Non era sicura di essersi aspettata una risposta differente. Perché mai avrebbe dovuto trovare una qualunque certezza su una delle due più importanti domande al mondo, quando non riusciva a trovarne nessuna per così tante questioni semplici? Nel cortile, l’arma di legno di Lan si fermò, stavolta non con uno schianto, solo toccando la gola di Jahar, dopodiché fluì di nuovo nella sua posizione di attesa. Nethan si alzò di nuovo, e ancora una volta Jahar gli fece cenno di tornare al suo posto, sollevando con rabbia la sua spada e preparandosi. Il terzo Custode di Merise, Bassane, un tizio largo e basso, scurito dal sole quasi quanto Jahar nonostante le sue origini cairhienesi, rise e fece un commento rude su uomini troppo ambiziosi che inciampavano nelle proprie lame. Tomas e Damer si scambiarono un’occhiata e scossero il capo; a quell’età gli uomini avevano smesso di dileggiarsi a vicenda da un pezzo. Lo schiocco di legno su legno ricominciò.
Gli altri quattro Custodi non erano l’unico pubblico di Lan e Jahar nel cortile. La magra ragazza con i capelli scuri acconciati in una lunga treccia, che osservava con aria ansiosa da una panchina rossa, era quella su cui era concentrato il cipiglio di Cadsuane. Quella bambina avrebbe dovuto scuotere il suo anello col Gran Serpente sotto il naso della gente, per essere presa per una Aes Sedai, cosa che in effetti era, anche se non in senso stretto. Non lo era solo perché il volto di Nynaeve era ancora quello di una ragazza: Beldeine appariva altrettanto giovane. Nynaeve sobbalzava sulla panchina, sempre sul punto di saltare in piedi. Ogni tanto la sua bocca si muoveva come se stesse urlando in silenzio degli incoraggiamenti, e talvolta le sue mani si torcevano come se volesse mostrare a Lan come muovere la sua spada. Una ragazza frivola, piena di passione, che solo di rado dimostrava di avere un cervello. Min non era la sola ad aver gettato testa e cuore in un pozzo per un uomo. Secondo le usanze dello scomparso regno di Malkier, il puntino rosso dipinto sulla fronte di Nynaeve indicava il suo matrimonio con Lan, anche se le Gialle di rado sposavano i loro Custodi. Se era per questo, ben poche Sorelle lo facevano. E, ovviamente, Lan non era il Custode di Nynaeve, per quanto la ragazza fingesse altrimenti. A chi appartenesse era un argomento che eludevano come ladri nella notte. Ancora più interessanti e inquietanti erano i gioielli indossati da Nynaeve: una lunga collana d’oro e una sottile cintura anch’essa dorata, braccialetti e anelli abbinati, e vistose gemme rosse, verdi e blu incastonate che stridevano con il suo abito striato di giallo. E indossava anche quel pezzo particolare sulla mano sinistra, anelli dorati collegati a un braccialetto d’oro da piatte catenelle. Quello era un angreal, molto più potente dell’ornamento a forma di avèrla di Cadsuane. Anche gli altri erano molto simili alle sue decorazioni, ter’angreal chiaramente creati nello stesso periodo, durante la Frattura del Mondo, quando molte mani potevano scagliarsi contro una Aes Sedai, specialmente quelle di uomini in grado di incanalare. Strano pensare che anche loro si fossero chiamati Aes Sedai. Sarebbe stato come incontrare un uomo di nome Cadsuane.
La domanda – la sua mattinata pareva piena di domande, e il sole non era ancora a metà del suo percorso verso lo zenit – la domanda era: la ragazza indossava quei gioielli per via del ragazzo al’Thor o degli Asha’man? O per via di Cadsuane Melaidhrin? Nynaeve aveva dimostrato la propria lealtà nei confronti di un giovane del suo stesso villaggio, ma anche cautela nei suoi confronti. Aveva davvero un cervello, quando sceglieva di usarlo. Finché Cadsuane non avesse trovato una risposta a quella domanda, comunque, era troppo pericoloso fidarsi della ragazza. Il problema era che in quei giorni poche cose non sembravano pericolose.
«Jahar sta diventando più forte» disse a un tratto Merise. Per un istante, Cadsuane fissò accigliata l’altra Verde. Più forte? La camicia del giovane stava iniziando ad appiccicarsi umida contro la sua schiena, mentre Lan pareva non aver versato nemmeno una goccia di sudore. Poi comprese. Merise intendeva nel Potere. Cadsuane si limitò a sollevare un sopracciglio interrogativo. Non riusciva a rammentare l’ultima volta che aveva permesso al proprio volto di mostrare sconcerto. Forse era stato anni fa, nelle Colline Nere, quando aveva cominciato a guadagnarsi gli ornamenti che ora indossava.
«Sulle prime pensavo che il modo in cui questi Asha’man si addestrano, sforzandosi fino al limite, lo avesse portato già alla sua piena potenza» disse Merise, guardando torva i due uomini che si esercitavano con le spade da allenamento. Ma in realtà era Jahar che lei stava fissando. Solo una lieve grinza degli occhi, ma lei riservava il suo cipiglio a coloro che potevano vederla e riconoscere il suo disappunto.
«A Shadar Logoth credevo di immaginarlo. Tre o quattro giorni fa ero quasi convinta di essere in errore. Ora sono certa di avere ragione. Se gli uomini guadagnano forza a sprazzi, non si può dire quanto crescerà.»
Non espresse la sua evidente preoccupazione, naturalmente: che potesse diventare più forte di lei. Dire una cosa del genere sarebbe stato impensabile da molti punti di vista, e mentre Merise si era in qualche modo abituata a fare l’impensabile – molte delle Sorelle sarebbero svenute alla sola idea di legare un uomo in grado di incanalare – non era mai a suo agio nell’esprimerlo a chiare lettere. Cadsuane sì, ma mantenne la voce neutra. Per la Luce, quanto odiava essere delicata. Ne odiava la necessità, perlomeno.
«Pare soddisfatto, Merise.» I Custodi di Merise sembravano sempre soddisfatti: lei li gestiva bene.
«È in preda a...» L’altra donna toccò un lato della propria testa come per tastare il groviglio di sensazioni che percepiva tramite il legame. Era davvero sconvolta! «Non rabbia. Frustrazione.»
Allungando una mano nel suo borsello di cuoio lavorato alla cintura, estrasse una spilletta smaltata, una figura sinuosa in rosso e oro, come un serpente con zampe e criniera leonina. «Non so dove il ragazzo al’Thor abbia preso questo, ma l’ha dato a Jahar. A quanto pare, per gli Asha’man è come ottenere lo scialle. Gliel’ho dovuto portar via, ovviamente: Jahar, lui è ancora allo stadio in cui deve imparare ad accettare solo ciò che io dico che gli è permesso. Ma è così agitato per questo oggetto... Dovrei restituirglielo? In un certo senso, lo riceverebbe dalla mia mano, in quel caso.»
Le sopracciglia di Cadsuane iniziarono a sollevarsi prima che potesse controllarle. Merise le stava chiedendo consiglio su uno dei suoi Custodi? Certo, era stata Cadsuane a suggerirle di interrogare l’uomo, ma questo grado di intimità era... Impensabile? «Sono sicura che qualsiasi cosa deciderai sarà corretta.»
Con un’ultima occhiata a Nynaeve, lasciò la donna più alta ad accarezzare la spilla smaltata col pollice e a scrutare giù nel cortile. Lan aveva appena sconfitto Jahar ancora una volta, ma il giovane si stava rimettendo in sesto, esigendo un altro scontro. Qualunque cosa Merise avesse deciso, lei aveva già imparato una cosa che non le piaceva. I confini fra Aes Sedai e Custodi erano sempre stati chiari come le loro relazioni: le Aes Sedai comandavano e i Custodi obbedivano. Ma se fra tutte proprio Merise stava esitando per una spilletta – Merise, che gestiva i suoi Custodi con mano ferma – allora era il momento di stabilire nuovi confini, perlomeno con i Custodi in grado di incanalare. Pareva improbabile che ora le Sorelle smettessero di legarli: Beldeine ne era la prova. Le persone non cambiavano mai davvero, ma il mondo sì, con inquietante regolarità. Non restava che conviverci, o perlomeno sopravviverci. Ogni tanto, con un po’ di fortuna, potevi influenzare la direzione dei cambiamenti, ma perfino se riuscivi a fermarne uno, non facevi altro che metterne in movimento un altro.
Come previsto, non trovò la porta per le stanze del ragazzo al’Thor priva di sorveglianza. Alivia era lì, naturalmente, seduta su una panca a un lato della porta con le mani pazientemente piegate in grembo. La Seanchan dalla chioma pallida si era autonominata protettrice del ragazzo, in un certo senso. Alivia gli attribuiva il merito di averla liberata dal collare da damane, ma c’era di più. Min la disprezzava, per esempio, e non era il solito tipo di gelosia. Alivia quasi pareva non sapere quello che uomini e donne facevano assieme. Ma c’era una connessione fra lei e il ragazzo, rivelata da occhiate che da parte di Alivia trasmettevano determinazione, e speranza, per quanto difficile da credere, da parte del giovane al’Thor. Finché Cadsuane non avesse capito quello che c’era dietro, non intendeva fare nulla per separarli. I penetranti occhi azzurri di Alivia scrutarono Cadsuane con rispettosa cautela, ma lei non vedeva un nemico. Alivia andava per le spicce con coloro che considerava nemici del ragazzo al’Thor.
L’altra donna di guardia era della stessa corporatura di Alivia, ma le due non avrebbero potuto essere più diverse, e non solo perché gli occhi di Elza erano castani e lei possedeva il liscio aspetto senza età da Aes Sedai, mentre Alivia aveva delle sottili rughe agli angoli degli occhi e fili bianchi quasi nascosti fra i capelli. Elza balzò in piedi non appena vide Cadsuane, ergendosi di fronte alla porta e avvolgendosi stretta nello scialle. «Non è da solo» disse, la sua voce che trasudava gelo.
«Hai intenzione di metterti sulla mia strada?» chiese Cadsuane con altrettanta freddezza. La Verde andorana si avrebbe dovuto farsi da parte. Elza era talmente inferiore a lei nel Potere che Cadsuane non avrebbe dovuto esitare, tantomeno attendere a impartirle un ordine, ma la donna piantò i piedi e il suo sguardo si fece addirittura più acceso. Era un dilemma. Altre cinque Sorelle nel maniero avevano giurato fedeltà al ragazzo, e quelle che erano state leali a Elaida fissavano tutte Cadsuane come se sospettassero le sue intenzioni verso di lui. Il che sollevava la questione del perché Verin non lo facesse, ovviamente. Ma solo Elza tentava di tenerla lontano da lui. L’atteggiamento di quella donna puzzava di gelosia, il che non aveva senso. Non poteva certo ritenersi più adatta a consigliarlo, e se c’era stato qualche cenno che Elza bramasse il ragazzo, come uomo o come Custode, Min le avrebbe ringhiato contro. La ragazza aveva un istinto particolarmente affinato, in quel campo. Cadsuane avrebbe digrignato i denti, se fosse stata il genere di donna che digrignava i denti.
Arrivata al punto in cui pensava che avrebbe ordinato a Elza di farsi da parte, Alivia si sporse in avanti. «L’ha mandata a chiamare lui, Elza» disse biascicando. «Se ne avrà a male se la teniamo fuori. Con noi, non con lei. Lasciala entrare.»
Elza guatò la donna Seanchan con la coda dell’occhio e il suo labbro si arricciò in segno di sprezzo. Alivia era di gran lunga superiore a lei nel Potere – se era per quello, era superiore anche a Cadsuane – ma era una selvatica, e agli occhi di Elza una bugiarda. La donna dai capelli scuri non sembrava accettare che Alivia fosse stata una damane, tanto meno il resto della sua storia. Nondimeno, Elza scoccò un’occhiata a Cadsuane, poi alla porta dietro di sé, e spostò il suo scialle. Era chiaro che non voleva che il ragazzo se la prendesse. Non con lei.
«Vedrò se è pronto a riceverti» disse, molto prossima a un broncio.
«Tienila qui» aggiunse rivolta ad Alivia, in tono più netto, prima di voltarsi per bussare lievemente alla porta. Una voce maschile chiamò dall’altra parte, e lei aprì l’uscio quanto bastava per scivolare dentro, chiudendoselo alle spalle.
«Devi perdonarla» disse Alivia in quell’accento seanchan tanto lento e molle da essere irritante. «Penso sia solo che prende il suo giuramento molto seriamente. Non è abituata a servire nessuno.»
«Le Aes Sedai mantengono la loro parola» replicò Cadsuane in tono asciutto. Quella donna la faceva sentire come se il suo modo di parlare fosse rapido e incisivo quanto quello cairhienese. «Dobbiamo.»
«So che è così. E perché tu lo sappia, anch’io mantengo la mia parola. Sono in debito con lui, qualunque cosa desideri da me.»
Un commento affascinante, e un’apertura, ma prima che lei potesse approfittarne, Elza uscì. Dietro di lei veniva Algarin, la barba bianca rifinita in una punta precisa. Offri un inchino a Cadsuane, con un sorriso che accentuò le rughe sul suo volto. La sua semplice giacca di lana scura, che risaliva a quando era più giovane, ora gli calzava larga, e i capelli gli fornivano una debole copertura. Non c’era modo di scoprire perché avesse fatto visita al ragazzo al’Thor.
«Ora ti riceverà» affermò Elza in tono brusco.
Cadsuane quasi digrignò i denti. Alivia avrebbe dovuto attendere. Come Algarin.
Il ragazzo era in piedi quando Cadsuane entrò, alto e largo di spalle quasi quanto Lan, nella sua giubba nera lavorata con oro sulle maniche e sull’alto colletto. Per i gusti di Cadsuane, era simile alla giubba di un Asha’man con l’aggiunta di un po’ di ricamo, ma lei non disse nulla. Lui le rivolse un cortese inchino, facendole strada verso una sedia con un cuscino guarnito di nappe di fronte al caminetto e chiedendole se gradisse del vino. Quello nella caraffa poggiata su un tavolino con due coppe si era raffreddato, ma poteva farne portare altro. Lei aveva lavorato sodo per indurlo a usare modi cortesi; poteva indossare qualunque giubba volesse. C’erano questioni più importanti su cui doveva essere guidato. O pungolato, o strattonato, a seconda delle esigenze. Cadsuane non avrebbe perso tempo a parlare del suo abbigliamento.
Inclinando educatamente la testa, bevve il vino. Una coppa di vino offriva molte opportunità – bere un sorso quando ti serviva un momento per pensare; guardarci dentro quando desideravi nascondere i tuoi occhi – tuttavia questo giovane uomo doveva essere controllato in ogni momento. Il suo volto lasciava trasparire poco, quasi come quello di una Sorella. Con quei capelli rosso scuro e quegli occhi azzurro-grigi avrebbe potuto passare per un Aiel, ma pochi Aiel avevano occhi tanto freddi. Facevano sembrare caldo il cielo mattutino che lei aveva osservato poco prima. Più freddi di quanto erano stati prima di Shadar Logoth. Anche più duri, purtroppo. Parevano anche stanchi.
«Algarin aveva un fratello in grado di incanalare» disse, voltandosi verso una sedia di fronte. A metà movimento, barcollò. Si aggrappò a un bracciolo con una risata soffocata, fingendo di essere inciampato nei suoi stessi stivali, ma non era accaduto nulla del genere. E non aveva afferrato saidin – lei lo aveva visto barcollare, nel tentativo – oppure i suoi ornamenti l’avrebbero avvertita. Corele aveva detto che gli serviva solo un altro po’ di sonno per riprendersi da Shadar Logoth. Per la Luce, aveva bisogno di tenere il ragazzo in vita, o sarebbe stato tutto inutile!
«Lo so» replicò lei. E dal momento che sembrava che Algarin potesse avergli detto tutto, aggiunse: «Fui io a catturare Emarin e a portarlo a Tar Valon.» Era strano che Algarin potesse essere grato per una cosa del genere, agli occhi di qualcuno, ma il suo fratello più giovane era sopravvissuto per più di dieci anni dopo essere stato domato, dopo che lei lo aveva aiutato a riconciliarsi con l’accaduto. I fratelli erano stati molto vicini.
Le sopracciglia del ragazzo si contrassero mentre si sistemava nella sedia. Non l’aveva saputo. «Algarin vuole essere messo alla prova» disse.
Lei incontrò il suo sguardo, impassibile e serena, e trattenne la lingua. I figli di Algarin, quelli ancora in vita, erano sposati. Forse era pronto ad affidare questo appezzamento di terra ai suoi discendenti. In ogni caso, un uomo in grado di incanalare in più o in meno a questo punto faceva poca differenza. A meno che non fosse il ragazzo che ora la stava fissando.
Dopo un istante, il mento del ragazzo si mosse, la traccia di un cenno d’assenso. Stava forse mettendo lei alla prova? «Non temere che io non ti dica quando ti stai comportando da sciocco, ragazzo.» A molte persone bastava incontrarla una volta per ricordarsi che lei aveva una lingua affilata. A questo giovane uomo bisognava rammentarlo, ogni tanto. Lui grugnì. Poteva essere stata una risata. Poteva essere stata mesta. Cadsuane ricordò a sé stessa che era stato lui a volere che gli insegnasse qualcosa, anche se non pareva sapere cosa. Non aveva importanza. Lei aveva un elenco da cui scegliere, e aveva solo cominciato.
Il volto del ragazzo poteva essere stato intagliato nella pietra, per quanta espressività mostrava, ma lui balzò di nuovo in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro fra il caminetto e la porta. I suoi pugni erano serrati dietro la schiena. «Ho parlato con Alivia dei Seanchan» disse. «Chiamano la loro armata l’Esercito Sempre Vittorioso per un motivo. Non ha mai perso una guerra. Battaglie sì, ma una guerra mai. Quando perdono una battaglia, si fermano ad analizzare cos’hanno sbagliato, o cosa ha fatto di giusto il nemico. Poi cambiano quello che occorre per poter vincere.»
«Un modo saggio» asserì lei quando il flusso di parole si interruppe. Era chiaro che lui si aspettava qualche commento. «Conosco uomini che fanno lo stesso. Davram Bashere, per dirne uno. Gareth Bryne, Rodel Ituralde, Agelmar Jagad. Perfino Pedron Niall, quando era vivo. Tutti reputati grandi capitani.»
«Sì» replicò lui, ancora camminando su e giù. Non la guardava, forse non la vedeva, ma stava sentendo. C’era da sperare che ascoltasse anche. «Cinque uomini, tutti grandi capitani. Tutti i Seanchan lo fanno. E per loro è così da mille anni. Cambiano quello che occorre, ma non desistono.»
«Stai considerando la possibilità che non possano essere sconfitti?» chiese lei in tono calmo. La calma era l’atteggiamento migliore finché non conoscevi i fatti, e di solito anche dopo.
Il ragazzo le girò attorno, il collo rigido e gli occhi di ghiaccio.
«Posso sconfiggerli alla fine» disse, sforzandosi di mantenere un tono civile. Questa almeno era una buona cosa. Meno spesso Cadsuane doveva dimostrargli che poteva e voleva punire trasgressioni alle sue regole, meglio sarebbe stato. «Ma...» Si interruppe con un grugnito quando i suoni di una discussione in corridoio giunsero attraverso la porta.
Un attimo più tardi l’uscio si spalancò ed Elza entrò indietreggiando nella stanza, ancora discutendo ad alta voce e cercando di trattenere altre due Sorelle con le braccia distese. Erian, il suo volto pallido accalorato, stava spingendo a forza l’altra Verde davanti a lei. Sarene – una donna così bella da far sembrare Erian quasi ordinaria – aveva un’espressione più controllata, come ci si poteva aspettare da una Bianca, ma stava scuotendo la testa dall’esasperazione e tanto forte da far schioccare le perle colorate nelle sue treccine. Sarene era una persona dotata di un certo temperamento, anche se di norma lo teneva sotto controllo.
«Bartol e Rashan stanno venendo» annunciò a gran voce Erian, l’agitazione che accentuava l’inflessione di fllian nelle sue parole. Quelli erano i suoi due Custodi, che aveva lasciato a Cairhien. «Non li ho mandati a chiamare, ma qualcuno ha Viaggiato con loro. Un’ora fa all’improvviso li ho sentiti vicini, e proprio adesso ancora più vicini. Stanno arrivando verso di noi ora.»
«Anche il mio Vitalien si sta avvicinando» disse Sarene. «Sarà qui entro poche ore, ritengo.»
Elza lasciò ricadere le braccia anche se, a giudicare dalla schiena ancora rigida, continuava a scrutare le due Sorelle. «Anche il mio Fearil sarà qui a breve» borbottò. Era il suo unico Custode; si diceva che fossero sposati, e le Verdi maritate di rado prendevano un altro Custode. Cadsuane si domandò se doveva parlare, nel caso le altre non l’avessero fatto.
«Non mi aspettavo che accadesse così presto» disse in tono sommesso il ragazzo. Sommesso, ma c’era acciaio nella sua voce. «Ma non mi sarei dovuto aspettare che gli eventi attendessero me, non è così, Cadsuane?»
«Gli eventi non attendono nessuno» rispose, alzandosi in piedi. Erian trasalì come se l’avesse appena notata, anche se Cadsuane era certa che il proprio volto era liscio quanto quello del ragazzo. E forse altrettanto impassibile, se era per quello. Cosa avesse indotto questi Custodi a venire da Cairhien e chi avesse Viaggiato con loro potevano essere già problemi sufficienti per cominciare, ma pensava di aver ottenuto un’altra risposta dal ragazzo, e avrebbe dovuto meditare molto attentamente su come consigliarlo al riguardo. A volte, le risposte erano più spinose delle domande.