16 L’argomento dei negoziati

Il sole mattutino sedeva sull’orizzonte, lasciando la parte più vicina di Tar Valon ancora avvolta nelle ombre, ma la neve che ricopriva ogni cosa scintillava luminosa. La città stessa pareva splendere dietro le sue bianche lunghe mura, tutte magnificamente provviste di torri e stendardi, tuttavia a Egwene, in sella al suo castrone roano sulla riva del fiume più in alto rispetto alla città, sembrava ancora più distante di quanto fosse in realtà. L’Erinin si allargava fino a più di due miglia qui, e l’Alindrelle Erinin e l’Osendrelle Erinin, che scorrevano da entrambi i lati dell’isola, erano ampi quasi la metà, in modo tale che Tar Valon pareva sorgere in mezzo a un grande lago, irraggiungibile malgrado i massicci ponti che si ergevano alti sulle acque affinchè le navi potessero passare facilmente al di sotto. La stessa Torre Bianca, uno spesso fusto bianco come un osso che si elevava a un’altezza impossibile dal centro della città, riempiva il suo cuore con un anelito di casa. Non per i Fiumi Gemelli, ma per la Torre. Era quella la sua casa, ora. Un pennacchio di fumo catturò il suo occhio, una flebile linea nera che si sollevava dalla riva opposta oltre la città, e il suo viso si contrasse in una smorfia. Daishar pestò uno zoccolo nella neve, ma una pacca sul collo fu sufficiente a calmare il roano. Sarebbe servito molto di più per calmare lei. La nostalgia di casa costituiva solo una minima parte della sua agitazione. Minuscola, se paragonata al resto.

Con un sospiro, appoggiò le redini sull’alto pomello della sua sella e sollevò il lungo cannocchiale bordato d’ottone. Il suo mantello ricadde all’indietro, scivolandole da una spalla, ma lei ignorò il freddo che le condensava il respiro e mise una mano guantata per schermare le lenti davanti contro il riverbero del sole. Le mura della città balzarono più vicine alla sua vista. Mise a fuoco gli alti bracci ricurvi del porto nord che si protendevano nelle correnti a monte del fiume. La gente si muoveva decisa in cima ai bastioni che circondavano il porto, ma a quella distanza poteva a malapena distinguere gli uomini dalle donne. Tuttavia era grata di non avere addosso la sua stola a sette colori e che il suo volto fosse celato nelle profondità del cappuccio, in caso qualcuno lì avesse un cannocchiale più potente del suo. L’ampia imboccatura del porto artificiale era bloccata da una massiccia catena di ferro tesa pochi piedi sopra il pelo dell’acqua. Per sollevare un singolo anello della lunghezza di un passo sarebbero serviti due uomini. Una barca a remi sarebbe potuta scivolare sotto quella barriera, ma nessun vascello di qualunque dimensione sarebbe entrato se la Torre Bianca non l’avesse consentito. Ovviamente quella catena aveva solo lo scopo di tenere lontani i nemici.

«Eccole lì, Madre» mormorò lord Gareth, e lei abbassò il cannocchiale. Il suo generale era un uomo robusto in una corazza disadorna indossata sopra una semplice giacca marrone, senza alcun tocco di doratura o ricamo da nessuna parte. Il suo volto era schietto e segnato dalle intemperie dietro le sbarre del suo elmo, e gli anni gli avevano conferito uno strano tipo di calma confortante. Bastava guardare Gareth Bryne per sapere che, se il Pozzo del Destino si fosse aperto di fronte a lui, avrebbe soffocato la propria paura e si sarebbe apprestato a fare ciò che era necessario. E altri uomini l’avrebbero seguito. Aveva dato prova, campo di battaglia dopo campo di battaglia, che seguire lui era la strada per la vittoria. Un ottimo uomo da avere dalla sua parte. Gli occhi di Egwene seguirono la sua mano guantata che indicava un punto a monte.

Appena apparse da dietro un promontorio, cinque, sei – no, sette – navi stavano lasciando le loro scie sull’Erinin. Erano imbarcazioni grandi ma tali da poter navigare sul fiume, una con tre alberi, le loro vele triangolari ben tese e i lunghi remi che affondavano nell’acqua azzurro-verde per aggiungere un po’ di velocità. Tutto in quelle navi dava l’impressione di un bruciante desiderio, di urgenza di raggiungere Tar Valon ora! Il fiume era abbastanza profondo che in alcuni punti le navi avrebbero potuto procedere a poca distanza dalle sponde, ma veleggiavano quasi su un’unica fila, tanto vicine al centro dell’Erinin quanto i timonieri riuscivano a mantenerle controbilanciando il vento. I marinai aggrappati in cima agli alberi perlustravano la riva, e non per avvistare ammassi di sabbia.

In effetti, non avevano nulla da temere finché si fossero tenuti fuori portata degli archi. Certo, da dove lei si trovava col suo cavallo, avrebbe potuto incendiare ciascuna di quelle navi, o semplicemente aprire dei buchi nei loro scafi e lasciarle affondare. Una questione di istanti. Tuttavia questo avrebbe di sicuro causato l’affogamento di alcuni degli uomini a bordo. Le correnti erano forti, le acque gelide, e la nuotata verso riva lunga, per coloro che sapevano effettivamente nuotare. Perfino una sola morte avrebbe reso il suo uso del Potere come un’arma. Stava cercando di vivere come se fosse già vincolata dai Tre Giuramenti, e i giuramenti proteggevano quei vascelli da lei o da ogni altra Sorella. Una Sorella che avesse giurato sul Bastone dei Giuramenti non sarebbe stata in grado di posare quei flussi, forse nemmeno di formarli, a meno che non fosse riuscita a convincersi che quelle navi costituivano per lei un immediato pericolo. Ma, a quanto pareva, né i capitani né gli equipaggi lo credevano.

All’avvicinarsi delle navi, le urla smorzate fino a un flebile suono dalla distanza vagarono sull’acqua. Le vedette in cima agli alberi indicarono lei e Gareth, e fu presto chiaro che l’avevano presa per una Aes Sedai col suo Custode. O, perlomeno, i capitani non erano disposti a correre il rischio che non lo fosse. Dopo un momento, il ritmo dei remi accelerò. Solo di poco, ma i rematori faticarono per consentire quel poco. Una donna sul cassero del vascello di testa, probabilmente il capitano, agitò le braccia, come per richiedere uno sforzo ancora maggiore, e una manciata di uomini cominciarono a correre su e giù per la tolda, stringendo questa cima o allentando quella per cambiare l’angolazione delle vele, anche se agli occhi di Egwene non ottennero nulla. Su quei ponti c’erano uomini che non erano marinai, e molti di essi si affollarono contro i parapetti, alcuni sollevavano i propri cannocchiali. Alcuni parevano misurare la distanza ancora da coprire prima di raggiungere la sicurezza del porto.

Le venne in mente di intessere una fiammata, un’esplosione di luce, forse con uno schianto fragoroso, appena sopra ognuno dei vascelli. Quello avrebbe certo fatto capire a coloro che a bordo erano dotati di cervello che né la velocità né la distanza li avrebbe tenuti al sicuro qui, solo la tolleranza derivante dai Tre Giuramenti. Avrebbero dovuto sapere che erano al sicuro grazie alle Aes Sedai. Espirando profondamente, scosse il capo e si rimproverò mentalmente. Quel semplice flusso avrebbe attirato l’attenzione anche in città, di certo più dell’apparizione di una singola Sorella. Le Sorelle si soffermavano spesso sulla riva del fiume per osservare Tar Valon e la Torre. Anche se l’unica reazione alle sue fiammate fosse stata una sorta di contromanitestazione, quella specie di competizione, una volta iniziata, poteva essere difficile da fermare. Una volta cominciate, le cose potevano facilmente degenerare e sfuggire di mano. Nella situazione attuale era già molto probabile che questo potesse accadere, ancor di più in questi ultimi cinque giorni.

«Il capitano del porto non ha lasciato approdare più di otto o nove navi alla volta da quando siamo arrivati,» disse Gareth mentre il primo vascello passava loro davanti «ma pare che i capitani abbiano ottimizzato i tempi. Un altro gruppo apparirà presto, e raggiungerà la città giusto per quando le guardie della Torre saranno sicure che questi individui sono venuti davvero per arruolarsi. Jimar Chubain sa bene di dover controllare che io non abbia intrufolato miei uomini a bordo delle navi. Ha molte più guardie ammassate ai porti che in qualunque altro punto della città tranne le torri dei ponti, e non molte altrove, da quello che ho appreso. Questo cambierà, però. Il flusso di navi inizia alle prime luci dell’alba e prosegue fin quasi al calar della notte, qui e anche al molo sud. Pare che questo gruppo non trasporti tanti soldati quanto gli altri. Ogni piano è geniale fin quando non dev’essere attuato, Madre, ma allora devi adattarti alle circostanze o esserne travolto.»

Egwene emise un suono contrariato. In totale dovevano esserci duecento passeggeri o più su quelle sette navi. Alcuni potevano essere mercanti o commercianti di qualche altro genere o viaggiatori innocenti, ma il sole brillava su elmi e corazze e dischi d’acciaio cuciti in giustacuori di cuoio. Quanti carichi arrivavano ogni giorno? Qualunque fosse il loro numero, un flusso continuo si stava riversando in città per arruolarsi sotto il gran capitano Chubain. «Perché gli uomini si precipitano con tanta foga per uccidere o essere uccisi?» borbottò in tono irritato.

Lord Gareth la guardò con volto calmo. Sedeva sul suo cavallo, un grosso castrone baio con una striscia bianca lungo il muso, immobile come una statua. A volte, lei pensava di sapere su quell’uomo solo una piccola parte di come si sentiva Siuan. A volte pensava che allarmarlo sarebbe valso qualunque sforzo avesse richiesto, solo per vederlo allarmato.

Sfortunatamente, lei conosceva la risposta alla sua stessa domanda bene quanto lui. Perlomeno valeva per gli uomini che si arruolavano come soldati. Oh, c’erano alcuni che si precipitavano ad appoggiare una causa o difendere ciò che ritenevano giusto, e altri che cercavano l’avventura, qualunque cosa credessero che fosse, tuttavia la semplice ragione era che, imbracciando una picca o una lancia, un uomo poteva guadagnare ogni giorno il doppio di quanto avrebbe ottenuto per camminare dietro l’aratro di qualcun altro, e tre volte se era capace di cavalcare quanto serviva per unirsi alla cavalleria. Balestrieri e arcieri si situavano nel mezzo. Un uomo che lavorava per un altro poteva sognare di possedere un giorno la propria fattoria o il proprio negozio, o di avviare un’attività in modo che i suoi figli potessero ampliarla, ma di sicuro Gareth aveva sentito un migliaio di racconti di uomini che avevano fatto il soldato per cinque o dieci anni ed erano tornati a casa con oro sufficiente a sistemarsi in modo agiato, racconti di uomini comuni che erano arrivati a diventare generali o lord. Per un pover’uomo, aveva detto bruscamente Gareth, guardare la punta di una picca poteva essere una vista migliore del posteriore del cavallo che tirava l’aratro di qualcun altro. Perfino se era più probabile morire su quella picca che guadagnare fama e fortuna. Una considerazione amara, tuttavia Egwene immaginava che anche la maggior parte degli uomini sulle navi la vedesse a quel modo. Per ogni uomo che voleva vedere l’usurpatrice scalzata dalla carica di Amyrlin Seat, per ogni uomo che sapeva per certo chi era Elaida, dieci se non cento si erano uniti per la paga. Alcuni degli individui sulla nave stavano sollevando le mani, per mostrare alle guardie sulle mura del porto che non tenevano armi.

«No» disse, e lord Gareth sospirò. La sua voce rimase calma, ma quando lui si pronunciò le parole non erano certo confortanti.

«Madre, finché i porti rimangono aperti, Tar Valon mangerà meglio di noi e, invece di indebolirsi per la fame, la guardia della Torre crescerà in numero e forza. Dubito fortemente che Elaida lascerà che Chubain ci attacchi in una sortita, per quanto desidererei che lo facesse. Ogni giorno che aspetti non fa che incrementare il conto del macellaio che presto o tardi dovremo pagare. Fin dal principio ho detto che saremmo arrivati a un assalto, alla fine, e questo non è cambiato, ma tutto il resto sì. Fa’ in modo che le Sorelle mettano me e i miei uomini all’interno delle mura adesso, e potrò prendere Tar Valon. Non sarà pulito. Non lo è mai. Ma posso prendere la città per te. E moriranno meno di quanti ne periranno se aspetterai.»

Le venne un nodo allo stomaco, così stretto che riusciva a malapena a respirare. Attentamente, passo passo, eseguì esercizi da novizia per allentarlo. La riva conteneva il fiume, guidandolo senza controllarlo. La calma si posò su di lei, dentro di lei. Troppe persone avevano cominciato a intuire gli utilizzi dei passaggi e, in un certo senso, Gareth ne era l’esempio peggiore. Il suo mestiere era la guerra, e in questa era molto esperto. Non appena aveva appreso che un passaggio poteva portare più di un piccolo manipolo di persone alla volta, ne aveva visto le implicazioni. Perfino le grandi mura di Tar Valon, oltre la portata di qualunque catapulta si trovasse su un’imbarcazione e rafforzate col Potere in modo che nemmeno le catapulte più grosse potessero intaccarle in ogni caso, avrebbero potuto essere fatte di carta contro un esercito in grado di Viaggiare. Ma che Gareth Bryne l’avesse compreso o no, altri uomini avrebbero colto quell’idea. Gli Asha’man l’avevano già fatto, a quanto pareva. La guerra era sempre stata terribile, ma ora lo sarebbe stata ancora di più.

«No» ripeté lei. «So che delle persone moriranno prima che tutto questo sia finito.» Che la Luce l’aiutasse, poteva vederle morire soltanto chiudendo gli occhi. Ne sarebbero morte ancora di più se lei avesse preso le decisioni sbagliate, però, e non solo qui. «Ma devo mantenere in vita la Torre Bianca – contro Tarmon Gai’don – per frapporsi tra il mondo e gli Asha’man, e la Torre morirà se arriveremo al punto in cui le Sorelle si metteranno a uccidersi nelle strade di Tar Valon.» Era già successo una volta. Non si potevano permettere che accadesse una seconda. «Se la Torre Bianca muore, muore la speranza. Non dovrei ricordartelo di nuovo.»

Daishar sbuffò e gettò indietro la testa, allungandosi come se avesse percepito la sua irritazione, ma lei lo trattenne con fermezza e fece scivolare il cannocchiale nella custodia in cuoio lavorato che le pendeva dalla sella. Gli uccelli tuffatori smisero di pescare e schizzarono in aria mentre la spessa catena che bloccava il porto nord cominciava ad abbassarsi. Sarebbe stata immersa sotto la superficie con buon anticipo rispetto a quando la prima nave avesse raggiunto l’imboccatura del porto. Quanto tempo era passato da quando era giunta a Tar Valon per quella stessa strada? Le sembrava che andasse oltre i suoi ricordi. Un’Epoca fa. Quella che era sbarcata ed era stata accolta dalla Maestra delle Novizie era stata un’altra donna. Gareth scosse il capo con una rapida smorfia. Ma d’altra parte non si arrendeva mai, non era così? «Tu devi mantenere viva la Torre Bianca, Madre, ma il mio compito è consegnarla a te. A meno che non siano cambiate cose di cui non sono a conoscenza. Sono in grado di vedere le Sorelle che sussurrano e si guardano oltre le spalle perfino se non so cosa significa. Se vuoi ancora la Torre, si arriverà a un assalto, meglio prima che poi.»

Tutt’a un tratto la mattinata parve più scura, come se le nubi avessero oscurato il cielo. Qualunque cosa lei avesse fatto, i morti si sarebbero accatastati come legna da ardere, ma doveva tenere in vita la Torre Bianca. Doveva. Quando non c’erano buone opzioni, bisognava scegliere quella che sembrava la meno sbagliata.

«Ho visto abbastanza qui» disse lei piano. Con un’ultima occhiata allo stretto filo di fumo al di là della città, fece voltare Daishar verso gli alberi a un centinaio di passi dal fiume, dove la sua scorta attendeva fra le ericacee sempreverdi, le betulle e i faggi spogli. Duecento unità di cavalleria leggera, in corazze di cuoio o giubbe ricoperte di dischi metallici, avrebbero certo attirato l’attenzione se fossero apparse sulla sponda, ma Gareth l’aveva convinta della necessità di questi uomini con le loro lance affusolate e i corti archi da sella. Senza alcun dubbio, il pennacchio di fumo sulla sponda opposta si levava da carri o provviste in fiamme. Punture di spillo; tuttavia quelle punture di spillo giungevano ogni notte, a volte una, a volte due o tre, finché chiunque appena alzato cercava il fumo. Braccare i saccheggiatori finora si era rivelato impossibile. Improvvise bufere di neve imperversavano attorno agli inseguitori, o venti notturni di un gelo pungente, oppure le tracce semplicemente svanivano all’improvviso, la neve sull’ultima impronta di zoccolo liscia come appena caduta. I residui di flussi rendevano evidente che erano aiutati da Aes Sedai, e non c’era motivo di dubitare che Elaida avesse uomini e forse Sorelle anche da questa sponda del fiume. Poche cose avrebbero compiaciuto Elaida più del mettere le mani su Egwene al’Vere.

Non costituivano la sua intera scorta, ovviamente. Oltre Sheriam, la sua Custode degli Annali, aveva portato altre sei Aes Sedai stamattina, e quelle che avevano dei Custodi li avevano con sé, cosicché dietro alle Sorelle otto uomini erano in attesa in mantelli dai colori cangianti che si increspavano in modo piuttosto nauseante quando una brezza li colpiva, oppure facevano sì che parte di cavalli e cavalieri sembrassero svanire nei tronchi degli alberi. Consci del pericolo – dei saccheggiatori, perlomeno – e che le loro Aes Sedai erano tese fin quasi al punto di rottura, sorvegliavano il boschetto circostante come se gli uomini della cavalleria non fossero lì. La sicurezza delle loro Aes Sedai era la loro preoccupazione primaria, e non si fidavano di nessun altro. Sarin, un ometto dalla barba nera, non così basso ma molto largo, stava talmente vicino a Nisao che sembrava incombere sulla minuta Gialla, e anche Jori riusciva a torreggiare sopra Morvrin, sebbene in realtà fosse più basso di lei. Corpulento quanto Sarin, ma molto basso perfino per un Cairhienese. I tre Custodi di Myrelle, o meglio i tre che osava ammettere di avere, erano assiepati attorno a lei tanto che non avrebbe potuto muovere il suo cavallo senza spingere da parte uno di loro. Setagana, snello e scuro, e tanto affascinante quanto la sua Anaiya era ordinaria, quasi riusciva a circondarla da solo, e Tervail, col suo naso ben delineato e il volto sfregiato, faceva lo stesso con Beonin. Carlinya non aveva Custode, cosa non insolita per una Bianca, ma studiava gli uomini dalle profondità del suo cappuccio orlato di pelliccia come se stesse pensando di trovarsene uno.

Non molto tempo addietro, Egwene avrebbe esitato a farsi vedere con quelle sei donne. Tutte loro e Sheriam le avevano giurato fedeltà, per varie ragioni, e né loro né lei volevano che quel fatto fosse reso noto o perfino sospettato. Erano state il suo modo per influenzare gli eventi, per quanto aveva potuto, quando chiunque la riteneva nulla più di un fantoccio, una Amyrlin ragazzina che il Consiglio della Torre poteva usare a proprio piacimento e a cui nessuno avrebbe dato retta. Il Consiglio aveva perso quell’illusione quando lei le aveva portate a dichiarare guerra a Elaida, ammettendo finalmente quello che avevano intenzione di fare fin da quando erano fuggite dalla Torre; questo però aveva soltanto fatto preoccupare il Consiglio e le Ajah per ciò che lei avrebbe fatto in seguito e aveva indotto le Sorelle a cercare di capire come assicurarsi che, di qualunque cosa si trattasse, incontrasse la loro approvazione. Le Adunanti erano state molto sorprese quando lei aveva accettato la loro proposta di un concilio – una Sorella di ciascuna Ajah – per consigliarla con la loro saggezza ed esperienza. O forse pensavano che il suo successo con la dichiarazione di guerra le avesse dato alla testa. Ovviamente, lei aveva soltanto detto a Morvrin, ad Anaiya e alle altre di assicurarsi che fossero loro le Sorelle prescelte, e godevano di prestigio all’interno delle loro Ajah per riuscirci, quanto bastava. Erano ormai settimane che ascoltava i loro consigli, anche se non li adottava sempre, ma ora non c’era più la necessità di tenere incontri segreti o passare messaggi di nascosto.

Sembrava comunque che ci fosse stata un’aggiunta al gruppo mentre Egwene si era soffermata a fissare la Torre.

Sheriam, che indossava la stola blu del suo incarico sopra il suo mantello, riuscì a rivolgerle un inchino molto formale pur stando in sella. La donna dai capelli rosso fiammante poteva essere incredibilmente cerimoniosa, a volte. «Madre, l’Adunante Delana desidera parlare con te» disse come se Egwene non potesse vedere la robusta Grigia seduta lì in sella a una giumenta pezzata scura quasi quanto la cavalcatura dalle zampe nere di Sheriam. «Su una faccenda di una certa importanza, così afferma.» E la lieve punta di asprezza nella sua voce indicava che Delana non le aveva detto quale faccenda. A Sheriam questo non piaceva. Sapeva essere molto gelosa della sua posizione.

«In privato, se permetti, Madre» disse Delana, spingendo indietro lo scuro cappuccio per rivelare capelli quasi del colore dell’argento. La sua voce era profonda per una donna, ma non lasciava quasi trasparire l’urgenza di qualcuno che dovesse parlare di faccende importanti. La sua presenza era in qualche modo una sorpresa. Delana appoggiava spesso Egwene nel Consiglio della Torre, quando le Adunanti cavillavano sul fatto che una particolare decisione potesse interessare o meno la guerra contro Elaida. Questo implicava che il Consiglio fosse necessario per supportare gli ordini di Egwene come se questi avessero incontrato il più ampio consenso, e perfino alle Adunanti che si erano schierate per la guerra quel fatto non piaceva molto, ragione che portava a dibattiti senza fine. Volevano scalzare Elaida, tuttavia, se fossero state lasciate a sé stesse, il Consiglio non avrebbe fatto altro che litigare. A dire la verità, però, il sostegno di Delana non era sempre gradito. Un giorno poteva essere la perfetta immagine di una negoziatrice Grigia a caccia di consenso, e quello successivo così in contrasto con le sue argomentazioni da far adirare ogni Adunante che le avesse udite. Era risaputo che usava anche altri metodi per suscitare quella reazione. Erano ormai non meno di tre volte che aveva preteso che il Consiglio facesse una dichiarazione formale sul fatto che Elaida era dell’Ajah Nera, il che aveva portato inevitabilmente a un imbarazzato silenzio finché qualcuno non aveva dichiarato aggiornata la seduta. Poche erano disposte a discutere dell’Ajah Nera. Delana avrebbe dibattuto su tutto, dal modo di trovare vestiti adatti per novecentottantasette novizie a se Elaida avesse delle sostenitrici segrete fra le Sorelle, un altro argomento che causava il prurito a più di una di loro. Il che lasciava aperta la questione del perché si fosse allontanata così presto e da sola. Non aveva mai avvicinato Egwene senza un’altra Adunante o anche tre. I pallidi occhi azzurri di Delana non lasciavano trasparire nulla più di quanto rivelasse il suo liscio volto da Aes Sedai.

«Mentre cavalchiamo» le disse Egwene. «Avremo bisogno di un po’ di riservatezza» aggiunse quando Sheriam aprì la bocca. «Resta indietro con le altre, per favore.» Gli occhi verdi della Custode degli Annali si serrarono per quella che avrebbe quasi potuto essere rabbia. Efficiente e appassionata al proprio ruolo, aveva concentrato le proprie speranze su Egwene e aveva fatto poco mistero del fatto che non le piacesse essere esclusa da qualunque suo incontro. Turbata o no, chinò il capo in segno di accettazione soltanto con una minima esitazione. Sheriam non aveva sempre saputo chi fra loro comandasse, ma lo sapeva ora.

La terra si inclinava verso l’alto dal fiume Erinin, non in colline ma semplicemente sollevandosi verso il mostruoso picco che incombeva a ovest, così massiccio che sembrava farsi beffe del termine ‘montagna’. Montedrago avrebbe torreggiato sopra ogni altra cosa perfino nella Dorsale del Mondo; nella regione relativamente piatta attorno a Tar Valon, la sua cresta ammantata di bianco pareva toccare il cielo, specialmente quando come adesso un sottile filo di fumo si levava dalla sua cima frastagliata. Un filo sottile a quell’altezza sarebbe stato qualcosa di completamente diverso, da vicino. Gli alberi scomparivano a neanche metà dei fianchi di Montedrago, e nessuno era mai riuscito a raggiungere la vetta o nemmeno ad arrivarvi vicino, anche se si diceva che le pendici fossero disseminate delle ossa di coloro che avevano tentato. Perché qualcuno volesse anche solo provarci era qualcosa di inspiegabile. Alle volte la lunga ombra che la montagna proiettava la sera si stendeva fino alla città. Le persone che vivevano in quella regione erano abituate a Montedrago che dominava il cielo, proprio come lo erano alla Torre Bianca che incombeva sopra le mura cittadine, visibile per miglia. Erano entrambe vestigia immutabili, che erano sempre state lì e sempre ci sarebbero state, ma erano i raccolti e i mestieri a impegnare le vite delle persone, non montagne o Aes Sedai. In minuscoli borghi di dieci o dodici case di pietra col tetto di paglia o ardesia e nell’occasionale villaggio di cento, i bambini che giocavano nella neve o trasportavano secchi d’acqua dai pozzi si fermavano per fissare stupiti i soldati che cavalcavano lungo i percorsi in terra battuta che potevano passare per strade quando non erano coperti di neve. Non portavano nessuno stendardo, ma alcuni dei soldati avevano la fiamma di Tar Valon ricamata sui mantelli o sulle maniche della giacca, e gli strani mantelli dei Custodi lasciavano intendere che alcune delle donne erano Aes Sedai. Perfino così vicino alla città, era stato raro vedere delle Sorelle fino a poco tempo fa, ed erano ancora qualcosa che faceva brillare gli occhi dei bambini. D’altra parte gli stessi soldati arrivavano poco dopo nella lista delle meraviglie. Le fattorie che nutrivano Tar Valon coprivano la maggior parte del territorio, campi cinti di pietra che circondavano case dalle forme irregolari e alti granai di roccia o di mattoni, con macchie, boschetti e gruppi di alberi nel mezzo, e capannelli di bimbi delle cascine spesso correvano a poca distanza paralleli alla linea del tragitto, balzando fra la neve come lepri. Le incombenze dell’inverno tenevano dentro casa molta della gente più anziana, ma coloro che si avventuravano fuori, pesantemente imbacuccati contro il freddo, non riservavano che una fugace occhiata a soldati, Custodi o Aes Sedai. La primavera sarebbe giunta presto, così come la semina, e questa non sarebbe stata influenzata dalle azioni delle Aes Sedai. Che la Luce volesse, non sarebbe stato così. Non era il caso di avere delle guardie a meno che cavalcassero come aspettandosi un attacco, e lord Gareth aveva organizzato un forte gruppo di avanguardia e linee di fiancheggiatori, con altre unità che procedevano in retroguardia mentre lui guidava la massa dei soldati proprio dietro i Custodi che seguivano da presso Sheriam e il ‘concilio’. Tutti assieme formavano un grande anello oblungo attorno a Egwene, e lei riusciva quasi a immaginare di star cavalcando per la campagna sola con Delana se non si guardava attorno con troppa attenzione. O se guardava al di là. Invece di spronare l’Adunante Grigia a parlare – era una lunga cavalcata fino all’accampamento, e a nessuno era permesso di tessere un passaggio dove il flusso poteva essere osservato; quindi c’era tempo in abbondanza per sentire quello che Delana aveva da dire –

Egwene paragonò le fattorie che oltrepassavano a quelle nei Fiumi Gemelli.

Forse la consapevolezza che i Fiumi Gemelli non erano più la sua casa la spinse a esaminarle. Riconoscere la verità non poteva mai essere un tradimento, tuttavia aveva bisogno di ricordare i Fiumi Gemelli. Se dimenticavi le tue origini, potevi dimenticare anche chi eri, e a volte la figlia del locandiere di Emond’s Field le sembrava un’estranea. Qualunque di queste fattorie sarebbe parsa decisamente singolare, se fosse sorta vicino a Emond’s Field, anche se non riusciva a stabilire con esattezza il perché. Una forma differente nelle case, una diversa inclinazione nei tetti. E qui le case erano sormontate da lastre di ardesia più spesso che dalla paglia, quando riusciva a distinguerle attraverso la neve che in molti casi era ammonticchiata sui tetti. Certo, adesso nei Fiumi Gemelli c’era meno paglia e più pietra e mattoni di un tempo. L’aveva visto, nel Tel’aran’rhiod. I cambiamenti giungevano così lentamente che non li notavi mai avvicinarsi furtivi, oppure troppo veloci per abituarcisi, ma arrivavano. Nulla restava lo stesso, perfino quando pensavi che fosse così. O lo speravi.

«Alcune ritengono che tu stia per legarlo a te come Custode» disse Delana all’improvviso con voce calma. Era come se stesse parlando di argomenti spiccioli. La sua intera attenzione pareva concentrata sul sistemare il cappuccio del suo mantello con mani guantate di verde. Cavalcava bene, armonizzandosi con il movimento della sua giumenta talmente senza sforzo che pareva ignara dell’animale. «Altre pensano che forse tu l’abbia già fatto. Io stessa non ne ho uno da un po’ di tempo, ma solo sapere che il tuo Custode è lì può essere un sollievo. Se scegli quello giusto.»

Egwene sollevò un sopracciglio – era orgogliosa di non aver fissato la donna a bocca spalancata, questo era proprio l’ultimo argomento che si sarebbe aspettata – e Delana aggiunse: «Lord Gareth. Passa un bel po’ di tempo con te. È un po’ più vecchio della norma, ma le Verdi scelgono spesso un uomo più esperto come primo. So che non hai mai davvero avuto una Ajah, tuttavia penso spesso a te come a una Verde. Mi domando, Siuan sarebbe sollevata o turbata se tu lo legassi? A volte penso la prima, a volte la seconda. La loro relazione, se può essere definita così, è molto particolare, nondimeno lei non pare affatto a disagio.»

«Allora devi chiederlo a Siuan.» Il sorriso di Egwene aveva in sé un certo mordente. Anche il suo tono, se era per quello. Lei stessa non comprendeva del tutto perché Gareth Bryne le avesse offerto la sua lealtà, ma il Consiglio della Torre avrebbe dovuto far miglior uso del proprio tempo piuttosto che chiacchierare come contadinotte. «Puoi dire a chiunque vuoi che non ho legato nessuno, Delana. Lord Gareth passa del tempo con me, per dirla con le tue parole, perché io sono l’Amyrlin e lui è il mio generale. Puoi ricordare loro anche questo.» Perciò Delana pensava a lei come a una Verde. Quella era l’Ajah che avrebbe scelto, anche se, in verità, voleva un solo Custode. Ma Gawyn era o all’interno di Tar Valon oppure sulla strada per Caemlyn e, in ogni caso, lei non avrebbe messo le mani su di lui per un bel pezzo. Da quello che aveva visto del Consiglio, ora capiva perché spesso Siuan pareva un orso col mal di denti quando era Amyrlin.

«Non lo definirei un argomento che suscita ampie discussioni» mormorò Delana. «Finora. Tuttavia, c’è qualche interesse sulla possibilità che tu leghi un Custode, e chi. Dubito che Gareth Bryne verrebbe considerato una scelta saggia.» Si torse sulla sella per guardare dietro di loro. Verso lord Gareth, pensò Egwene, ma quando l’Adunante si voltò di nuovo disse, molto piano: «Sheriam non è mai stata una tua scelta come Custode degli Annali, ovviamente, ma devi sapere che le Ajah hanno messo il resto di quelle Sorelle anche per sorvegliarti.» La sua giumenta grigia pezzata era più bassa di Daishar, perciò dovette alzare la testa per guardare Egwene, cosa che cercò di fare senza darne l’impressione. Quegli acquosi occhi azzurri furono all’improvviso piuttosto acuti. «Qualcuno supponeva che Siuan ti stesse consigliando... troppo bene... dopo il modo in cui hai determinato la dichiarazione di guerra contro Elaida. Ma lei è ancora in preda al rancore per il mutamento della sua condizione, non è vero? Sheriam viene vista come la colpevole più accreditata, ora. In ogni caso, le Ajah vogliono un po’ di preavviso se decidi di tirar fuori un’altra sorpresa.»

«Ti ringrazio per l’avvertimento» disse Egwene in tono cortese. Colpevole? Aveva dimostrato al Consiglio che lei non sarebbe stata il loro fantoccio, tuttavia molte di loro insistevano a pensare che ci fosse qualcuno a tirare i fili. Perlomeno nessuna sospettava la verità riguardo al suo concilio. C’era da sperare che nessuna lo facesse.

«C’è un’altra ragione per cui dovresti essere cauta» proseguì Delana, l’intensità nei suoi occhi che contrastava con la noncuranza della sua voce. Questo per lei era più importante di quanto non volesse far sapere a Egwene. «Puoi star certa che qualunque consiglio ognuna di loro ti da proviene dritto dal capo della sua Ajah e, come sai, il capo di un’Ajah e le sue Adunanti non sempre vedono le cose allo stesso modo. Ascoltare troppo attentamente potrebbe metterti ai ferri corti col Consiglio. Non tutte le decisioni riguardano la guerra, ricorda, ma di certo vorrai che alcune di quelle vadano nella tua direzione.»

«Una Amyrlin dovrebbe ascoltare ogni parte prima di prendere una decisione,» replicò Egwene «ma mi ricorderò del tuo avvertimento quando mi offriranno i loro consigli, Figlia.» Delana la riteneva forse una sciocca? O forse quella donna stava cercando di farla arrabbiare. La rabbia portava a decisioni affrettate e parole avventate che a volte era difficile rimangiarsi.

Non riusciva a immaginare a cosa stesse mirando Delana, ma quando le Adunanti non riuscivano a manipolarla in un modo, provavano in un altro. Aveva acquisito molta pratica nell’evitare le manipolazioni da quando era stata elevata ad Amyrlin. Con respiri regolari e profondi, cercò l’equilibrio della calma e lo trovò. Di recente aveva fatto fin troppo esercizio su quello.

La Grigia alzò lo sguardo verso di lei oltre il bordo del suo cappuccio, il suo volto del tutto inespressivo. Ma i pallidi occhi azzurri erano molto acuti ora, come trivelle. «Potresti domandare cosa pensano sull’argomento dei negoziati con Elaida, Madre.»

Egwene quasi sorrise. Quella pausa era stata molto intenzionale. A quanto pareva, a Delana non piaceva essere chiamata Figlia da una donna più giovane di molte delle novizie. Più giovane di molte che erano uscite dalla Torre, a parte le più recenti. D’altro canto, la stessa Delana era troppo giovane per essere un’Adunante. E non riusciva a trattenere la propria collera tanto bene quanto la figlia di un locandiere.

«E perché mai dovrei chiedere una cosa simile?»

«Perché l’argomento è stato sollevato nel Consiglio negli ultimi giorni. Non come proposta, ma è stato menzionato, in modo molto sommesso, da Varilin, da Takima e anche da Magla. E Faiselle e Saroiya sono parse interessate a quello che avevano da dire.»

Calma o no, un tarlo di rabbia all’improvviso si insinuò dentro Egwene, e schiacciarlo non era semplice. Quelle cinque erano state Adunanti prima dello scisma della Torre, ma, cosa più importante, erano divise fra le due fazioni maggiori che lottavano per il controllo del Consiglio. In realtà, erano divise fra seguire Romanda o Lelaine, per quanto quelle due si sarebbero contrapposte anche se questo le avesse fatte annegare entrambe. Mantenevano anche una stretta di ferro sulle loro seguaci.

Poteva credere che le altre fossero state prese dal panico per gli eventi, ma non Romanda o Lelaine. Ormai da mezza settimana, ogni tentativo di parlare di Elaida o di riprendere la Torre era stato sovrastato da conversazioni concitate su quell’eruzione del Potere, così incredibilmente lunga e potente. Quasi tutte volevano sapere cosa l’aveva causata, e quasi tutte avevano paura di apprenderlo. Soltanto ieri Egwene era stata in grado di convincere il Consiglio che doveva essere sicuro per un gruppetto Viaggiare verso il luogo dell’eruzione – perfino il ricordo era così forte che chiunque di loro poteva indicare con esattezza dov’era avvenuta – e molte delle Sorelle parevano ancora trattenere il fiato tutte assieme finché Akarrin e le altre non fossero tornate. Ogni Ajah aveva voluto una sua rappresentante, ma Akarrin era stata l’unica Aes Sedai a farsi avanti.

Né Lelaine né Romanda parevano preoccupate, però. Per quanto la manifestazione fosse stata violenta e prolungata, era stata anche molto distante, e non aveva provocato alcun danno apparente; se era opera dei Reietti, come pareva certo, le possibilità di apprendere qualcosa erano estremamente basse, e ancora minori quelle di poter fare qualcosa per contrastarla. Sprecare tempo e fatica su cose impossibili era insensato quando davanti a loro avevano un compito importante. Così avevano detto, digrignando i denti nel trovarsi d’accordo. Concordavano sul fatto che Elaida dovesse essere privata della stola e del bastone però, Romanda con quasi altrettanto fervore di Lelaine; e se il fatto che l’Amyrlin scalzata da Elaida proveniva dall’Ajah Azzurra aveva fatto adirare Lelaine, il proclama di Elaida che l’Ajah Azzurra era stata disciolta l’aveva resa furiosa. Se stavano permettendo che si parlasse di negoziati... Non aveva senso.

L’ultima cosa che Egwene voleva era che Delana o chiunque altra sospettasse che Sheriam e le altre fossero più di un branco di cani da pastore posti a farle la guardia, ma le chiamò a gran voce. Erano abbastanza furbe da mantenere i segreti che andavano serbati, dal momento che le loro Ajah le avrebbero scuciate se ne avessero lasciato trapelare solo la metà, e senza troppa fretta avanzarono e si disposero in un capannello attorno a lei, le loro facce perfette maschere di serenità e pazienza da Aes Sedai. Poi Egwene disse a Delana di ripetere quello che le aveva riferito. Nonostante la sua iniziale richiesta di riservatezza, la Grigia assunse solo una fugace espressione schiva prima di obbedire. E quella fu la fine di serenità e pazienza.

«Questa è follia» disse Sheriam prima che chiunque altra potesse aprire bocca. Suonava arrabbiata, e forse un po’ spaventata. Be’, era comprensibile. Il suo nome era su una lista di Sorelle da quietare.

«Nessuna di loro può davvero credere che sia possibile negoziare.»

«Lo ritengo inconcepibile» si inserì Anaiya in tono secco. Il suo volto liscio era più da contadina che non da Sorella Azzurra, e si vestiva in modo molto semplice, perlomeno in pubblico, con abiti di buona lana, ma guidava il suo castrone baio con la stessa facilità di Delana con la sua giumenta. Erano poche le cose in grado di turbare la calma di Anaiya. Ovviamente non c’era nessuna Azzurra fra le Adunanti che parlavano di negoziati. Anaiya pareva improbabile come soldato, ma per le Azzurre, questa era una guerra a coltello, in cui non chiedere né concedere grazia. «Elaida ha messo la situazione piuttosto in chiaro.»

«Elaida è irrazionale» disse Carlinya gettando indietro la testa cosicché il cappuccio le ricadde sulle spalle e i suoi corti riccioli scuri si agitarono. Rimise a posto il cappuccio irritata. Carlinya mostrava di rado qualunque accenno di emozione, tuttavia le sue gote pallide erano arrossite quasi quanto quelle di Sheriam e la sua voce trasudava animosità. «Non può credere che torneremo tutte da lei strisciando, ora. Come può pensare Saroiya che accetterebbe qualcosa di meno?»

«Strisciare è quello che Elaida ha preteso, però» borbottò Morvrin con acredine. La sua faccia tonda solitamente placida ora mostrava un’espressione arcigna, e le sue mani grassocce erano strette forte alle redini. Quando uno stormo di gazze si sparpagliò levandosi in volo da una macchia di betulle al passaggio dei cavalli, lei le guardò con un cipiglio tale che pareva sarebbero precipitate dal cielo. «Takima adora il suono della propria voce. Deve parlare per ascoltarsi.»

«Anche Faiselle» disse Myrelle in tono cupo, puntando lo sguardo su Delana come se la colpa fosse sua. La donna dalla carnagione olivastra era nota per il suo temperamento, perfino tra le Verdi. «Non mi sarei mai aspettata di sentire quel genere di discorsi da lei. Non è mai stata una sciocca prima.»

«Non riesco a credere che Magla intenda davvero certe cose» insistette Nisao, scrutando ognuna di loro a turno. «Non è possibile e basta. Per dirne una, per quanto detesti ammetterlo, Magla è talmente sottomessa a Romanda che strilla quando lei starnutisce, e l’unico dubbio di Romanda è se Elaida debba essere fustigata prima di essere esiliata.»

L’espressione di Delana era tanto mite che di certo stava reprimendo un sorriso di compiacimento. Era chiaro che questa era esattamente la reazione che sperava. «Romanda tiene sotto di sé anche Saroiya e Varilin in modo altrettanto risoluto, e Takima e Faiselle mettono a malapena un piede davanti all’altro senza il permesso di Lelaine, ma hanno comunque detto quello che hanno detto. Però penso che le tue consigliere siano più vicine alle sensazioni di molte Sorelle, Madre.» Lisciandosi i guanti, rivolse a Egwene uno sguardo con la coda dell’occhio. «Puoi fare in modo che questa situazione non degeneri, se ti muovi con decisione. Pare che avrai il sostegno che ti serve dalle Ajah. E il mio, ovviamente, nel Consiglio. Il mio e non solo, quanto basta per mettervi la parola fine.» Come se Egwene avesse avuto bisogno di sostegno per riuscirci. Forse stava cercando di ingraziarsela. O di far sembrare che l’appoggio a Egwene fosse la sua unica preoccupazione. Beonin cavalcava in silenzio, stringendo il mantello attorno a sé e con lo sguardo fìsso su un punto fra le orecchie della sua giumenta, ma all’improvviso scosse il capo. Di norma i suoi grandi occhi azzurro-grigi la facevano sembrare allarmata, ma scrutavano dal suo cappuccio in una vampata di rabbia mente osservava le sue compagne una dopo l’altra, inclusa Egwene. «Perché mai i negoziati dovrebbero essere fuori discussione?» Sheriam la guardò battendo le palpebre dalla sorpresa e Morvrin aprì la bocca e aggrottò le sopracciglia, ma Beonin si slanciò in avanti, indirizzando la sua collera verso Delana ora, il suo accento tarabonese più marcato del solito. «Siamo Grigie, tu e io. Noi negoziamo, mediamo. Elaida, lei ha stabilito condizioni molto onerose, ma è spesso così all’inizio dei negoziati. Possiamo riunificare la Torre Bianca e assicurare la salvezza di tutti, se solo parliamo.»

«Giudichiamo anche,» sbottò Delana «ed Elaida è stata giudicata.»

Questo non era precisamente vero, ma lei pareva più sconcertata di chiunque altra dall’improvviso sfogo di Beonin. La sua voce grondava acido. «Forse sei disposta a negoziare per la tua fustigazione. Io no, e penso che troverai poche altre che lo siano.»

«La situazione, quella è cambiata» insistette Beonin. Protese una mano verso Egwene, quasi implorante. «Elaida non avrebbe emanato quel suo proclama sul Drago Rinato a meno che non lo avesse in mano sua, in un modo o nell’altro. Quell’eruzione di saidar è stata un avvertimento. I Reietti devono essere in movimento, e la Torre, quella dev’essere...»

«Basta» la interruppe Egwene. «Tu sei disposta ad aprire dei negoziati con Elaida? Con le Adunanti ancora nella Torre?» si corresse. Elaida non avrebbe discusso.

«Sì» rispose Beonin con fervore. «La situazione può essere sistemata in modo soddisfacente per tutti. Sono sicuro che è possibile.»

«Allora hai il mio permesso.»

All’istante tutte tranne Beonin cominciarono a parlare in tono frenetico coprendosi a vicenda, cercando di dissuaderla, dicendole che era una follia. Anaiya urlò forte quanto Sheriam, gesticolando con enfasi, e Delana strabuzzò gli occhi in quello che parve terrore. Alcuni uomini dell’avanguardia cominciarono a guardare tanto verso le Sorelle quanto verso le fattorie che oltrepassavano, e c’era dell’agitazione fra i Custodi, che di certo in questo momento non avevano bisogno dei loro legami per sapere che le Aes Sedai erano nervose, ma rimasero al loro posto. Gli uomini saggi non si intromettevano quando le Aes Sedai iniziavano ad alzare la voce.

Egwene ignorò le grida e lo sbandierare di braccia. Aveva preso in considerazione ogni possibilità che le era venuta in mente per fare in modo che questa contesa terminasse con la Torre Bianca integra e unita. Aveva parlato per ore con Siuan, che più di tutte aveva motivo di spodestare Elaida. Se ciò avesse potuto salvare la Torre, Egwene si sarebbe arresa a Elaida, mettendo da parte il fatto che Elaida poteva non essere diventata legalmente Amyrlin Seat. A quella proposta, a Siuan era quasi venuto un colpo, tuttavia aveva convenuto, pur con riluttanza, che preservare la Torre veniva prima di ogni altra considerazione. Beonin mostrava un sorriso talmente bello che smorzarlo sembrava un crimine.

Egwene alzò la voce quanto bastava perché fosse udita sopra le altre. «Tu avvicinerai Varilin e le altre che Delana ha nominato, e vi organizzerete per avvicinare la Torre Bianca. Questi sono i termini che accetterò: Elaida deve dimettersi e andare in esilio.» Poiché Elaida non avrebbe mai accettato il ritorno delle Sorelle che si erano ribellate contro di lei. Una Amyrlin non aveva voce in capitolo su come una Ajah si governava, ma Elaida aveva dichiarato che le Sorelle che avevano lasciato la Torre non facevano più parte di nessuna Ajah. Stando a lei, avrebbero dovuto implorare di essere riammesse nella loro Ajah, dopo aver scontato una penitenza sotto il suo diretto controllo. Elaida non avrebbe riunificato la Torre, l’avrebbe solo frantumata ancora peggio di quanto già non fosse. «Questi sono i termini che accetterò, Beonin. Gli unici termini. Mi capisci?»

Beonin roteò gli occhi e sarebbe caduta da cavallo se Morvrin non l’avesse afferrata, borbottando sottovoce mentre teneva dritta la Grigia e la schiaffeggiava, e non piano. Tutte le altre fissarono Egwene come se non l’avessero mai vista prima. Perfino Delana, che doveva aver previsto che qualcosa del genere sarebbe accaduto fin dalla prima parola che aveva detto. Con il mancamento di Beonin si erano arrestate, e l’anello di soldati attorno a loro si era fermato a un comando urlato da lord Gareth. Alcuni tenevano lo sguardo fisso verso le Aes Sedai, la loro ansia evidente perfino con le facce nascoste dietro le sbarre dei loro elmi.

«È tempo di tornare all’accampamento» disse Egwene. Con calma. Quello che andava fatto andava fatto. Forse la resa avrebbe sanato la Torre, ma lei non riusciva a crederci. E ora si sarebbe potuti arrivare ad Aes Sedai che si fronteggiavano nelle strade di Tar Valon, a meno che lei non riuscisse a trovare un modo per far funzionare il suo piano.

«Abbiamo del lavoro da fare,» disse, raccogliendo le sue redini «e non rimane molto tempo.» Pregò che fosse sufficiente.

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