19 Sorprese

Per tradizione, l’Amyrlin veniva informata della seduta del Consiglio, tuttavia nulla prescriveva che dovessero attendere lei prima di iniziare la sessione, il che voleva dire che poteva mancare poco tempo. Egwene voleva balzare in piedi e marciare dritto verso il grande padiglione prima che Moria e le altre due potessero far scattare qualunque sorpresa avessero in mente. Le sorprese nel Consiglio di rado erano belle. Quelle di cui venivi a conoscenza in ritardo erano peggio. Tuttavia bisognava seguire protocolli che erano leggi, non usanze, riguardo l’ingresso dell’Amyrlin nel Consiglio, perciò rimase dov’era e mandò Siuan a prendere Sheriam in modo da poter essere annunciata adeguatamente dalla Custode degli Annali. Siuan le aveva detto che in realtà si trattava di avvertire le Adunanti della sua presenza – c’erano sempre delle faccende di cui potevano voler discutere senza che l’Amyrlin lo sapesse – e dal suo tono non pareva proprio che stesse facendo una battuta.

In ogni caso, non c’era alcuno scopo nel recarsi al Consiglio finché non fosse potuta entrare. Frenando la propria impazienza, appoggiò la testa alle mani e si massaggiò le tempie mentre tentava di leggere ancora un po’ dei rapporti delle Ajah. Malgrado quello sgradevole té, o forse proprio per via di esso, il suo mal di testa faceva tremolare le parole sulla pagina ogni volta che batteva le palpebre, e Anaiya e le altre due certo non aiutavano.

Un attimo dopo che Siuan fu uscita, Anaiya gettò all’indietro il suo mantello, sistemandosi sullo sgabello rimasto libero – non parve oscillare sotto di lei, gambe diseguali o meno – e cominciò a speculare su quello a cui mirassero Moria e le altre. Non era una donna fantasiosa, perciò le sue supposizioni erano piuttosto misurate, date le circostanze. Misurate, ma non per questo meno inquietanti.

«Le persone spaventate fanno cose sciocche, Madre, perfino le Aes Sedai,» mormorò, appoggiando le mani sulle ginocchia «ma almeno puoi star certa che Moria sarà decisa riguardo a Elaida, perlomeno nel lungo periodo. Attribuisce a Elaida la responsabilità della morte di ogni Sorella dopo la deposizione di Siuan. Moria vuole che Elaida riceva una frustata per ogni singola Sorella prima di andare dal boia. Una donna dura, più dura perfino di Lelaine, per certi versi. Più risoluta, comunque. Non si farà scrupoli per cose di fronte a cui Lelaine potrebbe tirarsi indietro. Temo molto che premerà per un attacco alla città il prima possibile. Se i Reietti si stanno muovendo così apertamente e su scala così vasta, allora meglio una Torre ferita ma unita che una Torre divisa. Perlomeno, temo che sia il modo in cui la vede Moria. Dopotutto, per quanto vogliamo evitare che le Sorelle si uccidano fra loro, non sarebbe la prima volta. La Torre dura da lungo tempo, ed è guarita da molte ferite. Possiamo guarire anche da questa.»

La voce di Anaiya si addiceva alla sua faccia, cordiale, paziente e confortante, ma quelle affermazioni stridevano come unghie su una lavagna. Luce, per quanto Anaiya dicesse che questo era ciò che temeva da parte di Moria, pareva decisamente d’accordo con quella opinione. Era ponderata, imperturbabile e mai avventata con le parole. Se lei era favorevole a un attacco, quante altre lo erano?

Come al solito, Myrelle era tutto fuorché posata. Vivace e focosa erano aggettivi che la descrivevano meglio. Non avrebbe riconosciuto la pazienza se l’avesse morsa sul naso. Camminava avanti e indietro quanto le consentiva lo spazio ristretto della tenda, scalciando le sue gonne color verde intenso e qualche volta dando un calcio a uno degli sgargianti cuscini impilati contro la parete prima di voltarsi per un nuovo giro. «Se Moria è tanto spaventata da premere per un attacco, allora la paura l’ha fatta uscire di testa. Una Torre troppo ferita non sarebbe in grado di ergersi contro i Reietti o chiunque altro. È Malind che dovrebbe preoccuparti. Continua a far notare che Tarmon Gai’don potrebbe abbattersi su di noi da un giorno all’altro. L’ho sentita dire che quello che abbiamo percepito potrebbero essere i primi colpi dell’Ultima Battaglia. E che potrebbe avvenire qui, per di più. Quale posto migliore da colpire di Tar Valon, per l’Ombra? Malind non ha mai temuto di prendere decisioni difficili, o di ritirarsi quando lo riteneva necessario. Abbandonerebbe Tar Valon e la Torre all’istante se pensasse che ciò potrebbe mantenere in vita armeno alcune di noi per Tarmon Gai’don. Lei proporrà di togliere l’assedio e fuggire dove i Reietti non possano trovarci finché non saremo pronte per contrattaccare. Se sottopone la questione al Consiglio nel modo giusto, potrebbe perfino ottenere il consenso maggioritario in appoggio.» Quel solo pensiero fece danzare ancora più forte le parole sulla pagina di fronte a Egwene. Morvrin, il suo volto tondo inflessibile, si limitò a piantare i pugni sulle anche abbondanti; replicava a ogni suggerimento con una risposta lapidaria. «Non ne sappiamo abbastanza da essere sicuri che si trattasse dei Reietti», «Non puoi saperlo finché non lo dice», «Forse sì e forse no», «Una supposizione non è una prova.» Si diceva che non credesse che fosse mattina finché non vedeva il sole con i suoi occhi. La sua voce decisa non tollerava stupidaggini e specialmente il balzare a conclusioni. Anche quello non leniva certo una testa dolorante. Non si stava opponendo ai suggerimenti, in effetti: stava solo mantenendo la mente aperta. Una mente aperta poteva andare in ogni direzione, quando bisognava giungere a un punto fermo.

Egwene richiuse la cartella sui rapporti con un sonoro schiocco. Fra il sapore disgustoso che aveva in bocca e l’acuto pulsare nella sua testa – per non parlare di quelle voci incessanti! – non riusciva a concentrarsi comunque su ciò che leggeva. Le tre Sorelle la guardarono sorprese. Aveva messo in chiaro da molto tempo che era lei a comandare, ma cercava di non mostrare collera. Giuramenti di fedeltà o meno, una giovane donna che si lasciava andare alla collera poteva fin troppo facilmente essere liquidata come imbronciata. La qual cosa la faceva arrabbiare ancora di più, il che acuiva il suo mal di testa, che a sua volta...

«Ho aspettato abbastanza» disse, compiendo uno sforzo per mantenere la propria voce calma. Il suo mal di testa vi aggiunse una lieve punta di asprezza, però. Forse Sheriam pensava di doversi incontrare con lei al Consiglio.

Raccogliendo il suo mantello, uscì a grandi passi nel freddo mentre ancora se lo stava drappeggiando attorno alle spalle, e Morvrin e le altre due esitarono solo un momento prima di seguirla. Accompagnarla al Consiglio poteva far sembrare che fossero il suo seguito, ma si supponeva che dovessero sorvegliarla, e lei sospettava che perfino Morvrin fosse interessata a sentire quello che Akarrin aveva da riferire e cosa avevano intenzione di trame Moria e le altre.

Nulla di troppo difficile da trattare, sperava Egwene, nulla di ciò che pensavano Anaiya e Myrelle. Se necessario, avrebbe potuto tentare di applicare la Legge di Guerra, ma perfino se avesse avuto successo, governare per editti aveva i suoi svantaggi. Quando la gente doveva obbedirti per una cosa, trovava sempre modi per divincolarsi su altre, e quanto più veniva costretta a obbedire, tanti più posti trovava per divincolarsi. Era un equilibrio naturale a cui non si poteva sfuggire. Peggio ancora, aveva imparato l’assuefazione che dava l’avere persone che balzavano a ogni sua parola. Arrivavi a considerarlo l’ordine naturale delle cose, e quando poi non saltavano, venivi colto alla sprovvista. Inoltre, con la testa che le martellava – stava martellando, ora, non pulsando, anche se forse non in modo così secco – con quel suo mal di testa, era pronta a redarguire chiunque solo la guardasse storto. Perfino il fatto di doverle obbedire non veniva accettato di buon grado dalle persone.

Il sole era dritto sopra di loro, una sfera dorata in un cielo azzurro cosparso da nuvole bianche, ma non proiettava calore, solo deboli ombre e uno sbrilluccichio sulla neve dove non era stata calpestata. L’aria era gelata come vicino al fiume. Egwene ignorò il freddo, rifiutando di lasciarsi toccare da esso, ma solo i morti avrebbero potuto non esserne consapevoli, con il fiato di ognuno che si condensava davanti alla faccia. Era l’ora del pasto di metà giornata, tuttavia non era possibile nutrire così tante novizie allo stesso tempo, perciò Egwene e la sua scorta dovevano comunque muoversi fra ondate di donne biancovestite che si toglievano dal loro cammino con un salto e sobbalzavano in una riverenza lì per strada. Adottò un passo tale che di solito si lasciavano alle spalle i capannelli di novizie ancora prima che allargassero le gonne.

Non era un lungo tragitto, e dovettero guadare delle strade fangose solo in quattro punti. Si era parlato di ponteggi di legno, tanto alti da poterci cavalcare sotto, ma questi avrebbero conferito all’accampamento una stabilità che nessuno voleva. Perfino le Sorelle che ne parlavano non premevano mai perché fossero costruiti. Il che non lasciava loro che guadare lentamente, stando attente a tenere ben alzati gonne e mantello per non arrivare inzaccherate fino alle ginocchia. Quantomeno le folle rimanenti scomparvero quando si avvicinarono al Consiglio. La zona lì attorno era vuota come sempre, o quasi.

Nisao e Carlinya erano già in attesa di fronte al grande padiglione di tela con le sue pareti laterali rattoppate, la minuta Gialla che si mordicchiava il labbro inferiore e scrutava Egwene con aria ansiosa. Carlinya era la calma personificata, occhi freddi e mani ripiegate alla cintura. A parte il fatto che si era dimenticata il suo mantello, del fango macchiava l’orlo ricamato a volute della sua pallida gonna, e la sua chioma di riccioli scuri aveva decisamente bisogno di essere pettinata. Rivolgendole le loro riverenze, la coppia si unì ad Anaiya e alle altre due, a poca distanza dietro Egwene. Tutte quante mormoravano piano, i frammenti che Egwene percepiva erano solo innocui commenti sul tempo o su quanto a lungo avrebbero dovuto aspettare. Questo non era un posto in cui mostrarsi connesse a lei troppo da vicino. Beonin giunse lungo la strada di corsa, il suo respiro affannato che si condensava, e si arrestò di colpo, fissando Egwene prima di unirsi alle altre. La tensione attorno ai suoi occhi era ancora più evidente di prima. Forse pensava che questo avrebbe influenzato i suoi negoziati. Ma sapeva che le discussioni sarebbero state un inganno, solo uno stratagemma per prendere tempo. Egwene controllò il proprio respiro e svolse alcuni esercizi da novizia, tuttavia nessuno di essi lenì il suo mal di testa. Non erano mai d’aiuto.

Non c’era segno di Sheriam fra le tende in nessuna direzione, ma non erano precisamente sole sulle assi fuori dal padiglione. Akarrin e le altre cinque Sorelle che erano andate con lei, una per ogni Ajah, stavano attendendo in un capannello sull’altro lato dell’ingresso. Molte di loro offrirono delle riverenze distratte a Egwene, tuttavia si tennero a distanza. Forse erano state avvisate di non dire nulla finché non avessero parlato davanti al Consiglio. Egwene avrebbe potuto semplicemente esigere che le facessero il loro rapporto così su due piedi, certo. E loro avrebbero potuto perfino presentarlo, all’Amyrlin. Era probabile che l’avrebbero fatto. D’altro canto, le relazioni di un’Amyrlin con le Ajah erano sempre delicate, spesso includendo l’Ajah di sua provenienza. Quasi tanto delicate quanto quelle col Consiglio. Egwene si costrinse a sorridere e a rivolgere loro un educato cenno col capo. E se stava digrignando i denti dietro quel sorriso, be’, ciò l’aiutava a tenere la bocca serrata.

Non tutte le Sorelle parevano consce della sua presenza. Akarrin, slanciata nel suo semplice abito di lana marrone e un mantello con un ricamo verde sorprendentemente elaborato, stava fissando il nulla, annuendo fra sé ogni tanto. Sembrava stesse ripassando quello che avrebbe detto all’interno. Akarrin non era forte nel Potere, poco più di Siuan semmai, ma solo un’altra delle sei, Therva, una donna magra in gonne per cavalcare striate di giallo e un mantello bordato sempre di giallo, era pari a lei. Questo era un preoccupante indicatore di quanto le Sorelle fossero state spaventate da quello strano faro di saidar. Le Sorelle più forti si sarebbero dovute fare avanti per l’incarico che gli era stato affidato, ma tranne per la stessa Akarrin, c’era stata una notevole carenza di entusiasmo. Le sue compagne parevano averne ancora meno. Shana di norma manteneva un profondo riserbo malgrado gli occhi che la facevano apparire perennemente sgomenta, ma ora sembrava pronta a diventare irrazionale per la preoccupazione. Scrutò verso l’entrata del Consiglio, chiusa da pesanti lembi, e le sue mani giocherellavano col suo mantello come se non riuscisse a tenerle ferme. Reiko, una corpulenta Azzurra arafelliana, teneva gli occhi bassi, ma i campanellini fra i suoi lunghi capelli scuri tintinnavano debolmente come se stesse scuotendo il capo all’interno del cappuccio. Solo la faccia dal lungo naso di Therva esibiva un aspetto di assoluta serenità, del tutto imperturbata e incrollabile, tuttavia questo di per sé era un cattivo segno. La Gialla era eccitabile di natura. Cosa avevano visto? A cosa miravano Moria e le altre due Adunanti?

Egwene tenne sotto controllo la sua impazienza: era chiaro che il Consiglio non si trovava ancora in seduta. Si stava radunando, ma diverse Adunanti la superarono ed entrarono nel grande padiglione, nessuna di fretta. Salita esitò come se potesse parlare, ma poi si limitò ad abbassare le ginocchia prima di sollevare il suo scialle con la frangia gialla sulle spalle e farsi strada all’interno. Kwamesa guardò Egwene oltre la punta del suo lungo naso mentre le faceva la riverenza e rivolse la stessa occhiata nell’esaminare brevemente Anaiya e le altre, ma del resto la magra Grigia guardava chiunque dall’alto in basso. Non era alta, ma cercava di sembrarlo. Berana, il suo volto una maschera di alterigia e grandi occhi marroni gelidi come la neve, si soffermò per offrire la sua fredda riverenza a Egwene e fissare accigliata Akarrin. Dopo un lungo momento, forse rendendosi conto che Akarrin non l’aveva nemmeno vista, si lisciò le gonne bianche ricamate d’argento, si aggiustò lo scialle lungo le braccia in modo che la frangia pendesse per bene, e scivolò attraverso i lembi d’ingresso come se si fosse trovata per caso ad andare in quella direzione. Tutte e tre erano fra le Adunanti che Siuan aveva indicato come troppo giovani. Come Malind ed Escaralde. Ma Moria era Aes Sedai da centotrent’anni. Per la Luce, grazie a Siuan ora cercava cospirazioni dappertutto!

Proprio quando Egwene cominciava a pensare che la testa le sarebbe scoppiata per la frustrazione, se non per l’emicrania, Sheriam apparve all’improvviso, tenendo sollevati mantello e gonne mentre procedeva quasi di corsa attraverso la sporca fanghiglia della strada.

«Sono terribilmente dispiaciuta, Madre» disse senza fiato, affrettandosi a incanalare per ripulirsi dal fango che si era schizzata addosso. «Ho sentito che il Consiglio stava per entrare in seduta e sapevo che mi avresti cercata, perciò sono venuta il più rapidamente possibile. Sono davvero spiacente.» Dunque Siuan la stava ancora cercando.

«Ora sei qui» disse Egwene in tono deciso. La donna doveva essere proprio dispiaciuta per offrirle delle scuse di fronte alle altre, Akarrin e le sue compagne più che Anaiya e il resto. Perfino quando la gente sapeva che non era così, tendeva a prenderti per quello che apparivi, e la Custode degli Annali non si sarebbe dovuta far vedere mentre si scusava e si torceva le mani. Di certo lei lo sapeva. «Va’ avanti e annunciami.»

Traendo un profondo respiro, Sheriam gettò indietro il cappuccio del suo mantello, si aggiustò la stretta stola azzurra e varcò i lembi dell’ingresso. La sua voce risuonò chiaramente nelle frasi rituali. «Ecco che arriva, ecco che arriva...»

Egwene quasi non aspettò che terminasse – «...la Fiamma di Tar Valon, l’Amyrlin Seat» – prima di incedere fra l’anello di bracieri e le lampade su sostegni addossati alle pareti del padiglione. Le lampade diffondevano una buona luce, e i bracieri, che oggi emanavano un aroma di lavanda, riscaldavano l’intero spazio. Il freddo non era una cosa spiacevole quando si poteva sentire un vero tepore. La disposizione del padiglione seguiva regole antiche, modificate solo lievemente per adattarsi al fatto che non si stavano incontrando nella Torre Bianca, nella grande camera circolare chiamata il Consiglio della Torre. All’estremità opposta, una panca semplice ma ben lucidata era posta in cima a una piattaforma squadrata coperta da un tessuto a strisce nei sette colori delle Ajah. Quello e la stola attorno al collo di Egwene erano di certo gli unici posti nell’accampamento dove l’Ajah Rossa aveva una sua rappresentanza. Alcune Azzurre avevano voluto che il colore fosse rimosso – dal momento che pareva che Elaida avesse fatto ridipingere il vero trono dell’Amyrlin Seat e fatto filare una nuova stola senza l’azzurro – ma Egwene si era rifiutata. Se lei doveva essere di tutte le Ajah o di nessuna, allora sarebbe stata di tutte le Ajah. Lungo i vividi tappeti a strati che servivano per coprire il terreno, due file di panche si allontanavano oblique dall’ingresso a gruppi di tre, in cima a casse coperte di stoffa nei colori delle Ajah. Be’, sei delle Ajah. Per tradizione, le due Adunanti più anziane potevano reclamare i posti più vicini all’Amyrlin Seat per le loro Ajah, perciò quelli erano assegnati a Gialle e Azzurre. Dopodiché tutto stava a chi giungeva per prima e a dove desiderava sedere, la prima arrivata sceglieva sempre il posto per la propria Ajah.

C’erano solo nove Adunanti presenti, troppo poche perché il Consiglio iniziasse la seduta, legalmente parlando, ma una stranezza nella disposizione colpì Egwene fin da subito. Non era sorprendente che Romanda fosse già al suo posto, una panca vuota fra lei e Salita, e Lelaine e Moria occupavano quelle alle due estremità del settore delle Azzurre. Romanda, i suoi capelli in una stretta crocchia grigia sulla nuca, era l’Adunante più anziana, e quasi sempre la prima a raggiungere il proprio posto quando il Consiglio si riuniva. Lelaine, che per età veniva dopo di lei nonostante i suoi lucenti capelli scuri, pareva incapace di lasciare che l’altra donna la precedesse di molto perfino in qualcosa di così insignificante. Gli uomini che avevano spostato le casse – erano conservate lungo le pareti finché non veniva convocata una seduta del Consiglio – dovevano essere già usciti dal retro, poiché Kwamesa, già seduta sulla sua panca, era l’unica Adunante Grigia in vista, e Berana, che si stava accomodando sulla propria, l’unica Bianca. Ma Malind, una Kandori dal volto tondo con gli occhi d’aquila e la sola Verde, era ovviamente entrata prima di loro, tuttavia stranamente aveva scelto di tenere il posto alle Verdi presso l’entrata del padiglione. Di solito i posti più vicini all’Amyrlin Seat erano considerati i migliori. E direttamente davanti a lei, Escaralde era in piedi di fronte alle casse coperte di marrone, discutendo in tono sommesso con Takima. Bassa quasi quanto Nisao, Takirna era una donna calma dall’aspetto simile a un uccello, ma quando voleva sapeva essere energica, e con i pugni sulle anche assomigliava a un passero arrabbiato, tutte le penne rigonfie per apparire più grosso. Dal modo in cui continuava a scoccare occhiatacce verso Berana, era chiaro che non gradiva la disposizione. Ovviamente era troppo tardi per fare dei cambiamenti, ma in ogni caso Escaralde si voltò per incombere su Takima come se si aspettasse di dover combattere per la sua scelta. Egwene rimaneva meravigliata da come Escaralde riusciva a farlo. Incombere, cioè. Era più bassa di diversi pollici perfino di Nisao. Doveva essere per via della pura forza di volontà. Escaralde non si tirava mai indietro quando riteneva di avere ragione. E pensava sempre di avere ragione. Se Moria voleva davvero un attacco immediato a Tar Valon, e Malind voleva davvero una ritirata, cos’era che voleva Escaralde?

Nonostante tutto ciò che aveva detto Siuan sul fatto che le Adunanti desideravano essere avvertite, l’ingresso di Egwene non causò grande agitazione. Quali che fossero le ragioni per cui Malind e le altre avevano convocato il Consiglio per ascoltare il rapporto di Akarrin, non avevano reputato che la faccenda fosse così delicata da dover essere udita soltanto dalle orecchie delle Adunanti, perciò piccoli capannelli di quattro o cinque Aes Sedai erano in piedi dietro le panche delle Adunanti della propria Ajah, e rivolsero riverenze a Egwene mentre lei procedeva lungo i tappeti verso il suo seggio. Le Adunanti invece si limitarono a guardarla, o forse le rivolsero un breve cenno del capo. Lelaine la osservò con sguardo freddo, poi tornò a osservare vagamente Moria, una donna dall’aspetto piuttosto ordinario in semplice lana blu. Tanto ordinario che in effetti a una prima occhiata si poteva non notare che il suo volto era senza età. Sedeva tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, assorbita nei suoi stessi pensieri. Romanda fu una di quelle che inclinarono un po’ il capo verso di lei. All’interno del Consiglio, l’Amyrlin Seat era sempre l’Amyrlin Seat, ma un po’ meno che al di fuori. All’interno del Consiglio, le Adunanti percepivano il proprio potere. In un certo senso, si poteva dire che l’Amyrlin era solo la prima fra pari, all’interno del Consiglio. Be’, forse qualcosa di più, ma non molto. Siuan diceva che molte Amyrlin avevano fallito per aver creduto che le Adunanti fossero uguali a loro in tutto e per tutto, mentre altrettante per aver ritenuto che la differenza fosse più ampia di quanto lo era davvero. Era come correre in cima a uno stretto muro con dei feroci mastini da entrambi i lati. Bisognava mantenere un attento equilibrio e cercare di badare più ai propri piedi che non ai cani. Ma occorreva sempre essere ben consci dei cani.

Slacciandosi il mantello mente saliva sulla cassa a strisce, Egwene lo ripiegò sopra la panca prima di sedersi. Le panche erano dure, e alcune Adunanti portavano dei cuscini quando pensavano che la seduta sarebbe durata a lungo. Egwene preferiva di no. La proibizione di discorsi di rado impediva a una o due donne di andare per le lunghe coi loro commenti, e un sedile duro poteva aiutarla a rimanere sveglia nei casi peggiori. Sheriam prese il posto della Custode degli Annali in piedi alla sinistra di Egwene, e non c’era nulla da fare se non aspettare. Forse avrebbe proprio dovuto portarsi un cuscino.

Le altre panche stavano cominciando a riempirsi, seppure lentamente. Aledrin e Saroiya si erano unite a Berana, la prima tanto grassoccia da far sembrare magre le altre due. Certo le linee verticali di volute bianche che correvano giù per le gonne di Saroiya avevano comunque quell’effetto, mentre le ampie maniche bianche di Aledrin e il riquadro niveo che scendeva sul davanti del suo abito sortiva proprio l’effetto opposto. Pareva che ciascuna stesse cercando di scoprire se le altre sapevano cosa c’era in ballo, dal modo in cui scuotevano le teste e scoccavano occhiate verso le Azzurre, le Marroni e le Verdi. Anche Varilin, una donna dai capelli rossi dall’aspetto simile a una cicogna e più alta di molti uomini, aveva preso posto accanto a Kwamesa. Aggiustandosi e riaggiustandosi incessantemente lo scialle, Varilin spostava lo sguardo da Moria a Escaralde, poi a Malind e ricominciava da Moria. Magla, lo scialle con la frangia gialla avvolto stretto attorno alle ampie spalle, e Faiselle, una Domanese dal volto squadrato in sete ricoperte di fitti ricami verdi, stavano entrando nel padiglione, ignorandosi a vicenda perfino quando le loro gonne si sfioravano. Magla era saldamente dalla parte di Romanda e Faseille da quella di Lelaine, e i due gruppi non si mischiavano. Anche altre Sorelle si stavano riversando all’interno a sprazzi, Nisao e Myrelle fra circa una mezza dozzina di Sorelle che si erano intrufolate dietro Magla e Faiselle. Morvrin si trovava già fra le Marroni dietro Takima ed Escaralde, e Beonin era ai margini delle Grigie dietro Varilin e Kwamesa. A questo ritmo, non sarebbe passato molto tempo prima che metà delle Aes Sedai dell’accampamento si accalcasse nel padiglione. Mentre Magla stava ancora camminando lungo i tappeti diretta alle panche delle Gialle, Romanda si alzò in piedi. «Siamo più di undici ora, perciò possiamo cominciare.» La sua voce aveva un tono sorprendentemente acuto. Si sarebbe potuto pensare che fosse perfetta per il canto, sempre a patto di riuscire a immaginare Romanda cantare. La sua faccia sembrava più improntata al rimprovero o perlomeno a una lieve disapprovazione. «Non penso che ci sia bisogno di fare una seduta formale» aggiunse quando Kwamesa si alzò in piedi. «Già capisco appena perché questo debba essere fatto in sessione, ma se così dev’essere, procediamo e vediamo di finire presto. Alcune di noi hanno faccende più importanti di cui occuparsi. E sono certa che lo stesso vale per te, Madre.»

L’ultima frase venne accompagnata da un profondo inchino col capo, in un tono forse un filo troppo rispettoso. Non così fuori dalle righe da poter essere definito sarcasmo, ovviamente. Era troppo intelligente per mettersi in pericolo: di rado le sciocche conseguivano un seggio nel Consiglio o lo mantenevano a lungo, e Romanda lo deteneva da quasi ottant’anni. Questa era la sua seconda volta come Adunante. Anche Egwene inclinò il capo, gli occhi freddi. Un riconoscimento che aveva ricevuto il suo gesto e che aveva notato il tono. Un equilibrio molto attento.

Kwamesa fu lasciata a guardarsi attorno a bocca aperta, incerta se dire le frasi di rito, sempre pronunciate dalla più giovane Adunante presente, che aprivano una seduta formale del Consiglio. La posizione di Romanda le dava considerevole influenza e un certo grado di autorità, tuttavia altre potevano superarla in questo. Un buon numero di Adunanti si accigliò o si spostò sulle proprie panche, ma nessuna parlò. Lyrelle scivolò nel padiglione, dirigendosi verso le panche delle Azzurre. Alta per una Cairhienese – il che la rendeva nella media per qualunque altro posto – era elegante in un abito di seta striato di azzurro ricamato sul corpetto in rosso e oro, le sue movenze fluenti. Alcune dicevano che fosse stata una danzatrice prima di giungere alla Torre come novizia. A paragone, Samalin, la Verde col viso da volpe che entrò subito dopo, pareva avere un’andatura da uomo, anche se non c’era nulla di goffo nella Murandiana. Sembrarono entrambe sorprese di vedere Kwamesa in piedi, e si affrettarono verso le rispettive panche. In ogni caso, Varilin cominciò a strattonare la manica di Kwamesa, finché l’Arafelliana infine si sedette. La faccia di Kwamesa era una maschera di fredda calma, tuttavia riusciva a irradiare disappunto. Dava molto valore al cerimoniale.

«Forse c’è una ragione per una sessione formale.» La voce di Lelaine sembrava bassa, dopo quella di Romanda. Sistemandosi lo scialle come se avesse tutto il tempo del mondo, si alzò in modo aggraziato, non guardando Egwene di proposito. «Pare che i negoziati con Elaida siano stati autorizzati» disse in tono freddo. «Capisco che siamo sotto la Legge di Guerra e non è necessario consultarsi con noi su questo, ma credo anche che dovremmo discuterne in sessione, specialmente dal momento che molte di noi sono di fronte alla possibilità di essere quietate se Elaida dovesse mantenere qualche potere.»

Quella parola, ‘quietate’, non recava con sé lo stesso gelo che aveva prima che Siuan e Leane ne venissero Guarite, ma dei mormorii si levarono fra le Aes Sedai che assistevano assiepate dietro le panche. Non riusciva a distinguere se le Sorelle fossero eccitate o sgomente, ma di certo erano sorprese. Incluse alcune delle Adunanti. Janya, che era entrata mentre Lelaine stava parlando, si fermò di colpo, e un altro gruppetto di Sorelle appena arrivate quasi la urtò. Fissò l’Azzurra, poi rivolse uno sguardo più lungo e duro alla stessa Egwene. Era evidente, dal modo in cui la sua bocca si indurì, che neanche Romanda l’aveva saputo, e le espressioni fra le Adunanti troppo giovani andavano dalla calma glaciale di Berana alla meraviglia di Samalin fino all’aperto raccapriccio di Salita. Dal canto suo, Sheriam ondeggiò per un momento. Egwene sperò che la donna non rigettasse di fronte all’intero Consiglio.

Ancora più interessanti, però, furono le reazioni di coloro che, stando a quanto Delana aveva riferito, avevano parlato di negoziati. Varilin rimase seduta del tutto immobile e parve reprimere un sorriso mentre esaminava le proprie gonne, ma Magla si umettò le labbra con esitazione e scoccò sguardi a Romanda con la coda dell’occhio. Saroiya aveva gli occhi chiusi e le sue labbra si muovevano come se stesse mormorando una preghiera. Faiselle e Takima fissavano Egwene con in faccia un piccolo cipiglio quasi identico. Quindi si notarono a vicenda ed ebbero un sussulto, per poi affrettarsi ad assumere una serenità tanto regale che pareva si stessero prendendo in giro reciprocamente. Era molto strano. Di certo a quest’ora Beonin le aveva informate di ciò che aveva detto Egwene; eppure, tranne per Varilin, parevano turbate. Non era possibile che credessero di poter negoziare il termine delle ostilità. Ogni donna seduta in questo Consiglio rischiava di essere quietata e giustiziata per il solo fatto di trovarsi lì. Se c’era mai stato un modo per tornare indietro a parte rimuovere Elaida, era andato in frantumi mesi fa, quando era stato scelto l’attuale Consiglio. Da questo non si poteva tornare indietro.

Lelaine appariva soddisfatta per le reazioni alle sue parole – compiaciuta come un gatto arrivato alla crema, in effetti – ma prima che si fosse risistemata sulla sua panca, Moria balzò in piedi. Questo attirò ogni occhio e causò qualche altro mormorio. Nessuno definiva Moria particolarmente aggraziata, ma l’Illianese non era certo una donna che balzasse. «Sì che occorre una discussione,» disse «ma deve avvenire più tardi. Questo Consiglio è stato convocato da tre Adunanti che hanno posto la stessa domanda. Cos’hanno trovato Akarrin e il suo gruppo?

Chiedo che siano fatte entrare per poter esporre il loro rapporto davanti al Consiglio.»

Lelaine studiò la sua compagna Azzurra, ed era bravissima nel farlo, i suoi occhi penetranti come trivelle, tuttavia la legge della Torre era piuttosto chiara sull’argomento, per una volta, e ben nota a tutte. Piuttosto spesso non era né chiara né nota. Con voce malferma, Sheriam chiese ad Aledrin, la più giovane dopo Kwamesa, di andare a scortare Akarrin e le altre davanti al Consiglio. Egwene decise che avrebbe fatto meglio a parlare con la donna dai capelli color fuoco non appena la seduta fosse conclusa. Se Sheriam continuava a questo modo, presto sarebbe diventata ancor meno che inutile come Custode degli Annali. Delana si precipitò nel padiglione in mezzo a un capannello di Sorelle, l’ultima Adunante ad arrivare, ed era sulla sua panca a drappeggiarsi lo scialle fra i gomiti quando la grassoccia Adunante Bianca tornò con le sei Sorelle e le condusse in piedi davanti a Egwene. Dovevano aver lasciato i loro mantelli sulle assi all’esterno, perché nessuna di loro li stava indossando. Delana le scrutò, un’incerta espressione corrucciata che tendeva le sue sopracciglia all’ingiù. Sembrava senza fiato, come se avesse dovuto correre per arrivare. Apparentemente, Aledrin riteneva che, seduta formale o meno, lei almeno dovesse svolgere le formalità del caso. «Siete state convocate davanti al Consiglio della Torre per riferire quanto avete visto» disse in un forte accento tarabonese. La sua combinazione di capelli dorati e occhi castani non era insolita a Tarabon, anche se portava la sua chioma lunga fino alle spalle raccolta in una bianca retina di merletto piuttosto che in trecce provviste di perline. «Vi incarico di parlare di queste cose senza sotterfugi o reticenze, e di rispondere a tutte le domande in modo esaustivo, non tralasciando nulla. Dichiarate ora che lo farete, nel nome della Luce e per la vostra speranza di salvezza e rinascita, o soffritene le cornseguenze.» Le antiche Sorelle che avevano reso questo parte del cerimoniale del Consiglio erano ben consce del margine che i Tre Giuramenti lasciavano. Qualcosa di non detto qui, un tocco di vaghezza lì, e l’intero significato di quello che dicevi poteva essere capovolto, e tu non avresti fatto che dire la verità.

Akarrin pronunciò la promessa in tono forte e in qualche modo impaziente, le altre cinque con vari gradi di formalità e toni affettati. Molte Sorelle avevano trascorso la propria vita senza mai essere chiamate a testimoniare di fronte al Consiglio. Aledrin attese finché l’ultima non ebbe ripetuto ogni parola prima di tornare a grandi passi verso la propria panca.

«Dicci quello che avete visto, Akarrin» esordì Moria non appena l’Adunante Bianca si voltò. Aledrin si irrigidì visibilmente, e quando si mise a sedere, il suo volto era del tutto privo di espressione, ma vivide chiazze di colore mettevano in risalto le sue guance. Moria avrebbe dovuto aspettare. Doveva essere molto ansiosa.

Per tradizione – c’erano molte più tradizioni e usanze che leggi, e, per la Luce, c’erano più leggi di quante chiunque sapesse, spesso strati contraddittori posati gli uni sugli altri nel corso dei secoli, ma la tradizione e le usanze governavano le Aes Sedai quanto la legge della Torre, forse anche più – Akarrin rivolse la sua risposta all’ Amyrlin Seat.

«Quello che abbiamo visto, Madre, era un buco più o meno circolare nel terreno» disse, annuendo per enfatizzare quasi una parola ogni due. Pareva scegliere quelle parole con cautela, come per assicurarsi di esprimersi in modo chiaro per tutte. «Può darsi che in origine fosse stato un cerchio perfetto, della forma di una sfera a metà, ma i margini sono crollati in alcuni punti. Il buco è approssimativamente di tre miglia di diametro e profondo forse un miglio e mezzo.» Qualcuna ansimò rumorosamente e Akarrin si accigliò come se qualcuno avesse cercato di interromperla. Proseguì comunque senza fermarsi. «Non possiamo essere del tutto certe della profondità. Il fondo è ricoperto di acqua e ghiaccio. Crediamo che possa diventare un lago, col tempo. In ogni caso, siamo state in grado di determinare la nostra esatta posizione senza troppa difficoltà, e siamo pronte a dire che il buco è situato dove una volta si trovava la città chiamata Shadar Logoth.» Ammutolì, e per un lungo momento l’unico suono fu il fruscio di gonne mentre le Aes Sedai si muovevano a disagio.

Anche Egwene voleva farlo. Per la Luce, un buco di quelle dimensioni avrebbe coperto metà di Tar Valon! «Hai qualche idea su come questo... buco... sia stato creato, Akarrin?» chiese infine. Era piuttosto orgogliosa della fermezza della propria voce. Sheriam stava davvero tremando! Egwene sperò che nessun’altra se ne accorgesse. Le azioni di una Custode degli Annali si riflettevano sull’Amyrlin. Se Sheriam avesse mostrato paura, gran parte delle Sorelle avrebbe pensato che Egwene era spaventata. Certamente non voleva che qualcuno lo sospettasse.

«Ciascuna di noi è stata scelta per le proprie capacità nell’esaminare i resti, Madre. Migliori di molte altre, in verità.» Dunque non erano state scelte semplicemente perché nessuna di più forte era interessata. In questo c’era una lezione. Ciò che le Aes Sedai facevano di rado era semplice come appariva a livello superficiale. Egwene desiderò poter smettere di dover imparare di nuovo lezioni che pensava di avere già appreso. «Nisain è la migliore di noi in questo» proseguì Akarrin.

«Con il tuo permesso, Madre, lascerò che sia lei a rispondere.»

Nisain lisciò nervosamente le sue scure gonne di lana e si schiarì la gola. Una Grigia allampanata con un mento volitivo e occhi sorprendentemente azzurri , aveva una certa reputazione in materia di legge e trattati, ma il suo disagio nel parlare davanti al Consiglio era evidente. Guardò dritto verso Egwene con l’aria di qualcuno che non voleva davvero vedere tutte le Adunanti riunite. «Dato l’ammontare di saidar utilizzato, Madre, non è stata una sorpresa trovare resti compatti quanto la neve.» La sua lingua conservava ben più di una traccia del Murandy, un suono cadenzato. «Perfino dopo così tanto tempo, avrei dovuto essere in grado di trovare qualche indizio su ciò che è stato intessuto, se fosse stato qualcosa con cui avevo familiarità, ma non è così. Sono riuscita appena a risalire al flusso, Madre, e non aveva alcun senso. Nessuno. In effetti, sembrava così alieno che...» Schiarendosi di nuovo la gola, deglutì. Il suo volto impallidì un po’. «Potrebbe non essere stato intessuto da una donna. Abbiamo pensato che si sia trattato dei Reietti, ovviamente, perciò ho saggiato la risonanza. Tutte l’abbiamo fatto.» Stava per voltarsi per fare un gesto verso le sue compagne, ma si affrettò a girarsi di nuovo. Era ovvio che preferisse guardare Egwene piuttosto che le Adunanti, tutte protese in avanti con aria attenta. «Non posso dire cosa sia stato fatto, a parte scavare via tre miglia di terra, o come sia stato fatto, ma di certo è stato usato anche saidin. La risonanza era così forte da poterla fiutare. È stato usato più saidin di saidar, molto di più, come Montedrago paragonato a una collina. E questo è tutto ciò che so dire, Madre.» Un rumore si diffuse per il padiglione, il suono di Sorelle che esalavano il respiro che avevano trattenuto. Quello di Sheriam parve il più rumoroso, ma forse era solo perché si trovava più vicina.

Egwene ricompose il suo volto in un’espressione di tranquillità. I Reietti, e un flusso che avrebbe potuto strappare via metà di Tar Valon. Se Malind avesse proposto la fuga, come poteva lei tentare di far rimanere le Sorelle per fronteggiare qualcosa del genere? Poteva abbandonare Tar Valon, e la Torre, e solo la Luce sapeva quante decine di migliaia di vite? «Qualcun’altra ha qualche domanda?» chiese.

«Io ne ho una» disse Romanda in tono asciutto. La sua calma non era minimamente incrinata. «Ma non per queste Sorelle. Se nessuna ha altre domande per loro, sono certa che saranno liete di allontanarsi e non avere tutto il Consiglio che le fissa.»

Suggerire ciò non stava precisamente a lei, ma nemmeno non farlo, perciò Egwene lasciò correre. Nessun’altra aveva domande per Akarrin o le sue compagne, a quanto pareva, e Romanda offrì loro ringraziamenti sorprendentemente calorosi per i loro sforzi. Di nuovo qualcosa che non spettava precisamente a lei.

«Per chi è la domanda?» chiese Egwene quando Akarrin e le altre cinque si sparpagliarono per unirsi al crescente numero di Sorelle assiepate fra le lampade su sostegni e i bracieri. Erano ansiose, come Romanda aveva detto, di sottrarsi agli sguardi del Consiglio, ma volevano ascoltare cosa sarebbe venuto dal loro operato. Fu molto difficile per Egwene impedire all’asprezza di farsi strada nella sua voce. Romanda finse di non averlo notato. O forse non lo notò davvero.

«Per Moria» rispose. «Sospettavamo dei Reietti fin dall’inizio. Sapevamo che, qualunque cosa fosse accaduta, era potente e distante. Tutto quello che abbiamo appreso, in effetti, è che Shadar Logoth non esiste più, e posso solo dire che il mondo è un posto migliore senza quel ricettacolo dell’Ombra.» Fissò l’Adunante Azzurra con un cipiglio che aveva fatto strillare molte Aes Sedai come novizie. «La mia domanda è questa. È cambiato qualcosa per noi?»

«Dovrebbe» replicò Moria, incontrando impassibile lo sguardo dell’altra donna. Poteva non essere nel Consiglio da tanto tempo quanto Romanda, ma si supponeva che le Adunanti fossero su uno stesso livello. «Da lungo tempo abbiamo fatto preparativi nel caso in cui i Reietti agiscano contro di noi. Ogni Sorella in grado di formare un circolo sa farlo, oppure sa come unirsi a uno in fase di formazione finché ognuno raggiunge tredici elementi. Tutte devono potervi accedere, perfino le novizie, perfino le più recenti.» Lelaine sollevò occhi penetranti verso di lei, ma per quanto volesse redarguire Moria, erano della stessa Ajah. Dovevano almeno dare l’apparenza di un fronte comune. Però lo sforzo di tenere la bocca chiusa fece assottigliare le labbra di Lelaine.

Romanda non aveva certe restrizioni. «Devi proprio spiegare quello che sanno già tutte? Siamo state noi a creare quelle disposizioni. Te ne sei forse dimenticata?» Stavolta la sua voce era tagliente. Aperte manifestazioni di rabbia erano proibite nel Consiglio, ma non era vietato pungolare.

Se Moria avvertì quel pungolo, non diede alcun segno esteriore tranne aggiustarsi lo scialle. «Devo spiegare dall’inizio, perché non abbiamo pensato con sufficiente lungimiranza. Malind, i nostri circoli possono fronteggiare quello che Akarrin e Nisain hanno descritto?»

Malgrado i suoi occhi fieri, la bocca carnosa di Malind pareva sempre pronta a sorridere, ma quando si alzò era piuttosto severa, e fissò ogni Adunante a turno come per imprimere le proprie parole su di loro.

«Non possono. Perfino se ci riorganizziamo in modo che le Sorelle più forti siano sempre nello stesso circolo – e questo significa che devono vivere, mangiare e dormire assieme, se devono potersi collegare all’istante – perfino in tal caso saremmo come topi che affrontano un gatto. Abbastanza topi possono sopraffare un grosso gatto affamato, ma non prima che molti di essi siano morti. Se però un certo numero di topi muore, anche la Torre perisce.» Di nuovo quel mormorio di sospiri si diffuse per il padiglione come una brezza incostante. Egwene riuscì a mantenere il proprio viso calmo, ma dovette costringersi a rilassare la stretta dei suoi pugni sulla gonna. Cosa avrebbero proposto? Un attacco o la fuga? Per la Luce, come poteva opporsi a loro?

Stessa Ajah o meno, Lelaine non riusciva più a sopportare la tensione. «Cosa stai suggerendo, Moria?» sbottò. «Perfino se riunificassimo la Torre oggi stesso, questo non cambierebbe i fatti.»

Moria esibì un lieve sorriso, come se l’altra Azzurra avesse detto proprio quello che sperava di sentire da qualcuno. «Ma dobbiamo cambiare i fatti. Allo stato attuale i nostri circoli più forti sono troppo deboli. Non abbiamo nessun angreal, tanto meno sa’angreal, perciò faremo meglio a ignorarli. Non sono certa che nemmeno nella Torre ci sia qualcosa che possa fare una notevole differenza, in ogni caso. Allora come possiamo rafforzare i nostri circoli? In modo che siano abbastanza forti, speriamo, da affrontare quello che è successo a Shadar Logoth e fermarlo? Escaralde, cos’hai da dire al riguardo?»

Sconcertata, Egwene si sporse in avanti. Allora stavano davvero lavorando assieme. Ma con quale obiettivo?

Non fu la sola a rendersi conto che le tre Adunanti che avevano convocato il Consiglio erano tutte quante in piedi. In tal modo, Moria e Malind avevano fatto una chiara dichiarazione. Escaralde si erse come una regina, nondimeno la minuta Marrone parve fin troppo consapevole degli occhi che slittavano fra lei, Malind e Moria, delle fronti corrucciate con aria pensierosa e delle facce fin troppo immobili. Spostò il suo scialle due volte prima di parlare. Suonava come se stesse impartendo una lezione, la voce leggera e tuttavia energica.

«Gli antichi scritti sono piuttosto chiari, anche se poco studiati, temo. Attirano più polvere che lettrici. Quelli raccolti nei primi anni della Torre dicono chiaramente che i circoli non erano limitati a tredici, nell’Epoca Leggendaria. Il meccanismo corretto – o dovrei dire l’equilibrio corretto – è ignoto, ma non dovrebbe essere troppo difficile da calcolare. Per coloro fra voi che non hanno trascorso quanto tempo avrebbero dovuto nella biblioteca della Torre, il modo di aumentare le dimensioni di un circolo comporta...» Per la prima volta esitò, e le occorse uno sforzo evidente per continuare: «...comporta l’inclusione di uomini in grado di incanalare.»

Faiselle balzò in piedi. «Cosa stai suggerendo?» domandò, per sedersi un attimo dopo, come se qualcuna potesse pensare che era in piedi per dare il proprio appoggio.

«Io chiedo che il padiglione venga sgombrato!» disse Magla alzandosi. Come Moria, era Illianese, e l’agitazione accentuava la sua inflessione in modo marcato. «Questa non è una materia di discussione davanti a chiunque tranne il Consiglio in seduta ristretta.» Anche lei tornò a sedersi sulla sua panca non appena ebbe terminato, e restò lì con sguardo torvo, ampie spalle incurvate e mani che si aprivano e chiudevano sulle sue gonne.

«Temo che sia troppo tardi per questo» disse Moria a gran voce. Doveva parlare forte, per poter essere udita sopra il mormorio delle Sorelle che parlavano in toni eccitati dietro le panche, un brusio come di un enorme alveare. «Quello che è stato detto è stato detto, ed è stato udito da troppe Sorelle perché si possa tentare di ritirare quelle parole ora.» Il suo seno si sollevò quando trasse un profondo respiro, e alzò la voce ancora un po’. «Presento al Consiglio la proposta di stipulare un accordo con la Torre Nera, in modo da poter far entrare uomini nei nostri circoli in caso di necessità.» Suonò un po’ strozzata alla fine, ma non c’era da stupirsi. Poche Aes Sedai potevano pronunciare quel nome senza emozione, disgusto se non odio esplicito. Cozzò contro il brusio di voci e causò un silenzio assoluto nel giro di tre battiti di cuore.

«Questa è follia!» Lo strillo di Sheriam mandò in frantumi l’immobilità in molti modi. La Custode degli Annali non interveniva nelle discussioni del Consiglio. Non poteva nemmeno entrare nel Consiglio stesso senza l’Amyrlin. La faccia inondata di rosso, Sheriam si alzò in piedi, forse per affrontare l’inevitabile rimprovero, forse per difendersi. Il Consiglio aveva ben altro per la testa che rimproverare lei. Balzando dalle proprie panche per il tempo sufficiente a dire la loro, le Adunanti cominciarono a parlare, a urlare, a volte coprendosi a vicenda.

«Follia lo descrive a malapena!» gridò Faiselle, mentre allo stesso tempo Varilin strillò: «Come possiamo allearci con uomini in grado di incanalare?»

«Questi cosiddetti Asha’man sono contaminati!» proruppe Saroiya senza alcun segno della riservatezza vantata dall’Ajah Bianca. Le mani annodate nello scialle, tremava così forte che la lunga frangia nivea dondolava. «Contaminati dal tocco del Tenebroso!»

«Anche solo suggerire una cosa del genere ci mette contro tutto ciò per cui si erge la Torre» disse Takima in tono rude. «Saremmo disprezzate da ogni donna che si definisce Aes Sedai, da ogni Aes Sedai morta e sepolta da lungo tempo!»

Magla arrivò a scuotere un pugno, con una furia che non tentò di mascherare. «Solo un Amico dell’Ombra suggerirebbe una cosa simile!

Solo un Amico dell’Ombra!» Moria impallidì a quell’accusa, poi a sua volta si fece paonazza dalla rabbia.

Egwene non sapeva che posizione prendere su questo. La Torre Nera era una creazione di Rand, e forse necessaria per avere una qualche speranza di vincere l’Ultima Battaglia, tuttavia gli Asha’man erano uomini in grado di incanalare, una cosa temuta per tremila anni, e incanalavano saidin insozzato dall’Ombra. Rand stesso era un uomo in grado di incanalare, tuttavia senza di lui l’Ombra avrebbe vinto a Tarmon Gai’don. Che la Luce l’aiutasse perché vedeva ciò con tanta freddezza, ma era la dura verità. Qualunque fosse la sua posizione sulla faccenda, in quel momento la situazione stava sfuggendo di mano. Escaralde e Faiselle si stavano scambiando insulti, entrambe urlando con quanto fiato avevano in corpo. Veri e propri insulti! Nel Consiglio!

Saroiya aveva abbandonato gli ultimi brandelli di freddezza da Ajah Bianca e stava urlando contro Malind, che gridava di rimando, nessuna che lasciava terminare l’altra. Ci sarebbe stato da meravigliarsi che capissero quello che l’altra stava dicendo, e forse era una benedizione che così non fosse. Fatto sorprendente, né Romanda né Lelaine avevano aperto bocca fin dall’inizio. Sedevano fissandosi a vicenda senza battere ciglio. Era probabile che ognuna di loro stesse cercando di decifrare la posizione che l’altra avrebbe preso in modo da opporvisi. Magla scese dalla sua panca e si diresse a grandi passi verso Moria, con lo sguardo truce di qualcuno desideroso di fare i conti. Non parole, ma pugni. Quelli di Magla erano serrati contro i suoi fianchi. Il suo scialle a motivi a grappolo scivolò sui tappeti senza che se ne accorgesse. Alzandosi in piedi, Egwene abbracciò la Fonte. Tranne per certe funzioni previste con esattezza, incanalare era proibito nel Consiglio – un’altra delle usanze che indicavano giorni bui nella storia del Consiglio – ma intessé un semplice flusso di Aria e Fuoco. «Una proposta è stata presentata al Consiglio» disse, e lasciò andare saidar. Non era così difficile come un tempo. Non semplice, neanche lontanamente semplice, ma non così difficile. Rimaneva un ricordo della dolcezza del Potere, sufficiente a sostenerla fino alla prossima occasione. Amplificate dal flusso, le sue parole rimbombarono nel padiglione come un tuono. Le Aes Sedai si ritrassero, sussultando e coprendosi le orecchie. Il silenzio che seguì parve incredibilmente fragoroso. Magla la guardò a bocca aperta, meravigliata, poi sobbalzò nel rendersi conto che si trovava a metà strada dalle panche delle Azzurre. Affrettandosi ad allentare i pugni, si soffermò a raccogliere il proprio scialle e si precipitò di nuovo al suo posto. Sheriam era lì in piedi a piangere apertamente. La voce di Egwene non poteva essere stata così forte.

«Una proposta è stata presentata al Consiglio» ripeté Egwene nel silenzio. Dopo quello squillo amplificato dal Potere, la sua voce le riecheggiava nelle orecchie. Forse era stata davvero più forte di quanto pensasse. Quel flusso non era mai stato pensato per essere usato in un interno, perfino se si trattava di pareti di tela rattoppate. «Come ti pronunci a sostegno di un’alleanza con la Torre Nera, Moria?» Si sedette non appena ebbe concluso. Qual era la sua posizione su questo? Quali difficoltà le si sarebbero presentate? Come poteva usarlo a suo vantaggio? La Luce la aiutasse davvero. Quelle erano state le prime domande a venirle in mente. Desiderò che Sheriam si asciugasse gli occhi e si raddrizzasse. Era l’Amyrlin Seat, e aveva bisogno di una Custode degli Annali, non di una femminuccia.

Ci vollero alcuni minuti perché tornasse l’ordine, le Adunanti che si sistemavano i vestiti e lisciavano le gonne senza una vera necessità, evitando gli occhi delle altre e in particolare non guardando le Sorelle che le osservavano assiepate dietro le panche. Le facce di alcune Adunanti si chiazzarono di un rosso che non aveva nulla a che fare con la rabbia. Le Adunanti non si urlavano contro come contadinotte durante la tosatura. E specialmente non di fronte ad altre Sorelle.

«Siamo di fronte a due difficoltà apparentemente insormontabili» disse infine Moria. La sua voce era nuovamente misurata e fredda, ma un accenno di rossore chiazzava ancora le sue gote. «I Reietti hanno scoperto un’arma – scoperto o riscoperto; di certo l’avrebbero usata prima, se l’avessero posseduta – un’arma contro cui non ci possiamo opporre. Un’arma di cui non siamo all’altezza, anche se la Luce sa perché dovremmo volerlo, ma, cosa più importante, un’arma che non possiamo fermare e contro cui non abbiamo scampo. Allo stesso tempo, gli... Asha’man... sono aumentati come gramigna. Rapporti affidabili sostengono che il loro numero sia quasi uguale a quello di tutte le Aes Sedai in vita. Perfino se fosse una cifra gonfiata, non possiamo permetterci di credere che sia esagerata di molto. E aumentano ogni giorno che passa. I rapporti delle spie concordano troppo per credere altrimenti. Dovremmo prendere questi uomini e domarli, ovviamente, ma li abbiamo ignorati per via del Drago Rinato. Li abbiamo messi da parte, con l’intento di occuparcene in seguito. L’amara verità è che ormai è troppo tardi per affrontarli. Sono troppi. Forse era già troppo tardi quando abbiamo appreso cosa stavano facendo.

«Se non possiamo domare questi uomini, allora dobbiamo controllarli in qualche modo. Con un accordo con la Torre Nera – un’alleanza è una parola troppo forte – stipulato con parole ben ponderate, possiamo muovere i primi passi per proteggere il mondo da loro. Possiamo anche farli accedere ai nostri circoli.» Sollevando un dito ammonitore, Moria fece scorrere lo sguardo lungo le panche, ma la voce rimase fredda e misurata. E ferma. «Dobbiamo mettere in chiaro che sarà sempre una Sorella a fondere i flussi – non sto suggerendo di lasciare che un uomo controlli un circolo collegato! – ma con degli uomini nei circoli possiamo espanderli. Con la benedizione della Luce, forse possiamo espanderli tanto da opporci a quest’arma dei Reietti. Prenderemmo due piccioni con una fava. Ma questi piccioni in realtà sono leoni, e se non lanciamo quella fava, uno di loro ci ucciderà di certo. Questo è quanto.»

Calò il silenzio. Tranne Sheriam, perlomeno. In piedi a poca distanza da Egwene, curva su sé stessa, le spalle che tremavano, ancora non era riuscita a controllare le proprie lacrime.

Allora Romanda emise un pesante sospiro. «Forse possiamo espandere i circoli quanto basta per opporci ai Reietti» disse con voce calma. In un certo modo, questo conferì alle sue parole più peso che non se avesse urlato. «Forse possiamo controllare gli Asha’man. Un’esile speranza, forse, in ambedue i casi.»

«Quando stai affogando,» replicò Moria con uguale calma «ti aggrappi a qualunque ramo galleggi lì vicino, perfino se non sei certa che sosterrà il tuo peso finché mantieni la presa. L’acqua non si è ancora richiusa sulle nostre teste, Romanda, ma stiamo affogando. Stiamo affogando.»

Di nuovo ci fu silenzio, tranne per il piagnucolio di Sheriam. Si era dimenticata del tutto l’autocontrollo? D’altro canto, nessuna fra le Sorelle aveva un espressione lieta, nemmeno Moria, Malind o Escaralde. La faccia di Delana aveva assunto una tonalità decisamente verdastra. Pareva che fosse lei sul punto di rimettere, e non Sheriam. Egwene si alzò ancora una volta, quanto bastava per pronunciare la domanda richiesta. Perfino quando veniva proposto l’impensabile, i rituali dovevano essere seguiti. Forse in quel caso più che mai. «Chi si pronuncia contro questa proposta?»

Non c’era certo carenza di persone che volessero prendere la parola, per quello, ma tutte si erano ricomposte quanto bastava per seguire il protocollo. Diverse Adunanti si mossero allo stesso momento, ma Magla fu la prima ad alzarsi in piedi, e le altre si rimisero a sedere senza evidenti manifestazioni di impazienza. Faiselle venne dopo Magla, e Varilin dopo Faiselle. Poi fu il turno di Saroiya e infine di Takima. Ognuna parlò a lungo, Varilin e Saroiya quasi arrivando al punto di usare parole proibite, e ognuna dissertò con tutta l’eloquenza a cui poteva fare appello. Nessuna raggiungeva il seggio da Adunante senza una buona dose di eloquenza. Ciononostante, presto parve evidente che stavano ripetendo sé stesse e le altre, solo con parole diverse.

I Reietti e la loro arma non furono mai menzionati. La Torre Nera era l’argomento delle Adunanti, la Torre Nera e gli Asha’man. La Torre Nera era una macchia sulla faccia della terra, una minaccia per il mondo terribile quanto la stessa Ultima Battaglia. Il solo nome indicava legami con l’Ombra, per non parlare del fatto che era un vero e proprio schiaffo per la Torre Bianca. I cosiddetti Asha’man – nessuna usò il nome senza aggiungere ‘cosiddetti’ o una smorfia beffarda; nella Lingua Antica significava ‘guardiani’ ed erano tutto tranne guardiani – i cosiddetti Asha’man erano uomini in grado di incanalare! Uomini condannati a impazzire se la metà maschile del Potere non li uccideva prima. Folli che maneggiavano l’Unico Potere. Da Magla a Takima, ognuna di loro lo sottolineò con ogni brandello di terrore che poteva. Tremila anni di orrore nel mondo, e la Frattura del Mondo ancora prima. Uomini del genere avevano devastato il mondo, distrutto l’Epoca Leggendaria e trasformato la faccia della terra in una desolazione. Ecco con chi veniva chiesto che stipulassero un’alleanza. Se l’avessero fatto, sarebbero state bandite da ogni nazione, e giustamente. Sarebbero giustamente state disprezzate da ogni Aes Sedai. Non poteva essere. Non poteva. Quando infine Takima si sedette, sistemandosi attentamente lo scialle attorno alle braccia, aveva un sorriso piccolo ma piuttosto soddisfatto. Assieme erano riuscite a far apparire gli Asha’man più temibili e più pericolosi dei Reietti e dell’Ultima Battaglia messi assieme. Forse perfino paragonabili al Tenebroso in persona. Dal momento che era stata Egwene a dare il via alle domande di rito, era suo compito terminare, così si alzò per il tempo necessario a dire: «Chi è a favore di un accordo con la Torre Nera?» E lei che aveva pensato che prima nel padiglione ci fosse silenzio! Sheriam era finalmente riuscita a tenere sotto controllo il suo pianto, anche se le lacrime luccicavano ancora sulle sue guance, ma il suo singulto risuonò come delle grida nella quiete che seguì quella domanda. Il sorriso di Takima scivolò via quando Janya si alzò non appena le parole ebbero lasciato la bocca di Egwene. «Perfino un ramoscello è meglio di nessun ramo quando stai affogando» disse Janya. «Preferisco tentare che affidarmi alla speranza fino a essere sommersa.» Aveva l’abitudine di parlare quando non avrebbe dovuto.

Samalin si alzò per mettersi in piedi accanto a Malind, e all’improvviso si precipitarono in tre a unirsi a loro, Salita, Berana e Aledrin assieme, seguite da Kwamesa solo un istante dopo. Nove Adunanti in piedi, e la situazione restava in bilico a ogni momento che passava. Egwene si rese conto che si stava mordendo il labbro e si affrettò a smettere, sperando che nessuna l’avesse notato. Poteva ancora sentire l’impronta dei propri denti. Sperava che la gengiva non le sanguinasse. Non che qualcuna la stessa guardando. Tutte parevano trattenere il fiato.

Romanda sedeva con un cipiglio rivolto verso l’alto a Salita, che aveva lo sguardo fisso di fronte a sé, il volto terreo e le labbra tremanti. La Sorella tarenese poteva non essere capace di nascondere la paura, ma stava andando avanti. Romanda annuì lentamente e poi, sorprendentemente, si alzò. Anche lei decise di violare le usanze. «A volte» disse, guardando dritta Lelaine «dobbiamo fare cose che non ci piacciono.»

Lelaine incontrò gli occhi della brizzolata Gialla senza battere le palpebre. Era come se il suo volto fosse fatto di porcellana. Il suo mento si sollevò di pochissimo. E, tutt’a un tratto, anche lei si alzò, lanciando un’occhiata impaziente a Lyrelle, la quale la fissò a bocca aperta per un istante prima di mettersi in piedi.

Tutte avevano lo sguardo fisso. Nessuna emetteva un suono. Era fatta.

Quasi fatta, perlomeno. Egwene si schiarì la gola, cercando di attirare l’attenzione di Sheriam. Adesso era il turno della Custode degli Annali, ma Sheriam era lì ad asciugarsi le lacrime con le dita e a far scorrere gli occhi lungo le panche come se stesse contando quante Adunanti erano in piedi e sperasse di aver sbagliato il calcolo. Egwene si schiarì la gola in modo più rumoroso e la donna dagli occhi verdi ebbe un sussulto e si voltò a fissarla. Anche allora parve passare un’eternità prima che tornasse alla propria incombenza.

«Con l’appoggio del consenso minoritario,» annunciò con voce incerta «verrà cercato un accordo con... con la Torre Nera.» Inspirando profondamente, si raddrizzò fino a ergersi nella sua piena altezza, e la sua voce guadagnò forza. Era di nuovo su un terreno familiare.

«Nell’interesse dell’unità, chiedo l’appoggio del consenso maggioritario.»

Questo era un appello potente. Perfino su questioni che potevano essere decise dal consenso minoritario, l’unanimità era sempre preferita, sempre fortemente cercata. Ore di discussione, giorni a volte, potevano essere spesi per raggiungerla, ma lo sforzo non si sarebbe fermato finché tutte le Sorelle non fossero state d’accordo oppure non fosse stato limpido come l’acqua che non poteva esserci alcuna intesa. Un appello potente, che toccava ogni Sorella. Delana si alzò come una marionetta sollevata contro la propria volontà, guardandosi attorno incerta.

«Non posso appoggiare questo» disse Takima, contro ogni decoro.

«Non importa quello che dicono tutte, non importa quanto a lungo restiamo in seduta, non posso e non lo farò. Non lo farò!»

Non si alzò nessun’altra. Faiselle si agitò sulla sua panca e quasi fece per alzarsi, si aggiustò lo scialle e si contorse di nuovo come se fosse sul punto di farlo. Questo fu il massimo da parte di chiunque. Saroiya si stava mordendo le nocche con espressione di terrore e Varilin aveva l’aria di una donna che fosse stata colpita in mezzo agli occhi con un martello. Magla si afferrò alle estremità della propria panca, tenendosi ferma e fissando con sguardo lugubre i tappeti di fronte a sé. Era evidente che fosse conscia dell’occhiata arcigna che Romanda teneva fissa sulla sua nuca, ma la sua sola risposta fu incurvare le spalle. La posizione di Takima avrebbe dovuto porre fine alla questione. Non c’era scopo nel cercare il consenso maggioritario quando qualcuna aveva messo in chiaro che non avrebbe dato il proprio appoggio. Ma Egwene decise che era il suo turno di rompere col decoro e il protocollo.

«C’è qualcuna che sente di dover abbandonare il proprio seggio per questo?» chiese con voce forte e chiara.

Respiri mozzati riempirono il padiglione, ma lei stava trattenendo il fiato. Questo avrebbe potuto mandarle in frantumi, ma se quello sarebbe stato comunque il risultato, era meglio metterlo in chiaro. Saroiya le rivolse uno sguardo feroce, ma nessuna si mosse.

«Allora andremo avanti» disse. «Con cautela. Servirà del tempo per pianificare con esattezza chi dovrà avvicinare la Torre Nera e cosa dovrà dire.» Tempo perché lei potesse organizzare qualche precauzione; era auspicabile. Per la Luce, avrebbe dovuto compiere uno sforzo per affrontare questo. «Per prima cosa, ci sono proposte per la nostra... ambasciata?»

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