Daishar era già stato condotto via quando Egwene lasciò la tenda, naturalmente, ma la stola a sette colori che pendeva dall’apertura del suo cappuccio funzionava meglio di un volto da Aes Sedai per farsi largo tra la folla. Si mosse fra onde di riverenze, con un occasionale inchino accennato da un Custode o da un artigiano che aveva qualche incombenza fra le tende delle Sorelle. Alcune novizie strillarono alla vista della stola dell’Amyrlin, e intere famiglie si affrettavano a scendere dalle assi, rivolgendole le loro profonde riverenze dal pantano della strada. Dato che lei era stata costretta a ordinare una punizione per alcune donne dei Fiumi Gemelli, fra le novizie si era sparsa la voce che l’Amyrlin era severa quanto Sereille Bagand ed era meglio evitare di incorrere nella sua collera, che poteva divampare come un incendio. Non che la maggior parte di loro conoscesse abbastanza la storia da avere una vera idea su chi fosse stata Sereille, ma il suo nome era stato un sinonimo di rigidità ferrea nella Torre per un centinaio d’anni, e le Ammesse facevano in modo che le novizie assimilassero informazioni del genere. Era un bene che il cappuccio di Egwene le nascondesse la faccia. Dopo la decima volta che una famiglia di novizie balzava via dalla sua strada come lepri spaventate, stava digrignando i denti così forte che vedere il suo volto avrebbe rafforzato la sua reputazione di masticare ferro e sputare chiodi. Aveva la terribile sensazione che, fra cento anni, le Ammesse avrebbero usato il suo nome per spaventare le novizie proprio come ora utilizzavano quello di Sereille. Ovviamente prima c’era la piccola questione di assicurarsi la Torre Bianca. Le irritazioni di poco conto dovevano attendere. Pensava quasi di poter sputare chiodi senza bisogno del ferro.
Le folle si diradarono fino a scomparire del tutto attorno allo Studio dell’Amyrlin, che nonostante il nome non era altro che una tenda di tela a punta con pareti marroni rattoppate. Come il Consiglio, era un posto da evitare a meno di una buona ragione o di essere stati convocati. A nessuno veniva semplicemente chiesto di recarsi al Consiglio della Torre o allo Studio dell’Amyrlin. L’invito più innocuo a entrambi era una convocazione, un fatto che trasformava quella semplice tenda in un rifugio. Attraversando i lembi d’ingresso, si tolse il mantello con una sensazione di sollievo. Un paio di bracieri diffondevano nella tenda un tepore delizioso, paragonato all’esterno, e con pochissimo fumo. Una punta di aroma dolce aleggiava dalle erbe secche che erano state sparse sulle braci incandescenti.
«Per come quelle sciocche ragazze si comportano, si potrebbe pensare che io...» cominciò con un brontolio, poi si interruppe all’improvviso.
Non fu sorpresa nel vedere Siuan in piedi accanto allo scrittoio in un disadorno abito di lana blu, di taglio elegante ma semplice, un’ampia cartella di cuoio trattato contro il petto. Molte delle Sorelle parevano ancora credere, come Delana, che si fosse ridotta a istruire Egwene nel protocollo e a sbrigare faccende, in entrambi i casi controvoglia; ma lei era sempre lì ogni mattina presto, cosa che finora pareva essere passata inosservata. Siuan sì che era stata un’Amyrlin che masticava il ferro, anche se nessuna che non l’avesse conosciuta in precedenza ci avrebbe creduto. Le novizie la indicavano tanto spesso quanto Leane, ma con l’aria di chi stesse dubitando che lei fosse davvero chi dicevano le Sorelle. Graziosa, se non proprio bella, con una bocca delicata e capelli scuri lucenti fino alle spalle, Siuan sembrava perfino più giovane di Leane, solo di qualche anno più vecchia di Egwene. Senza lo scialle con la frangia azzurra drappeggiato attorno alle spalle avrebbero potuto prenderla per una delle Ammesse. Quella era la ragione per cui non andava mai in giro senza, per evitare errori imbarazzanti. I suoi occhi non erano cambiati più del suo spirito, comunque, ed erano gelide trivelle azzurre puntate verso la donna la cui presenza era una sorpresa. Halima era di certo benvenuta, tuttavia Egwene non si era aspettata di vederla stesa sui cuscini dai colori vividi impilati lungo un lato della tenda, con la testa appoggiata a una mano. Se Siuan era graziosa, il genere di giovane donna – giovane all’apparenza, perlomeno – a cui sia donne sia uomini sorridevano, Halima era sbalorditiva, con grandi occhi verdi in un volto perfetto e un seno sodo e pieno; il genere che faceva deglutire gli uomini e accigliare le altre donne. Non che Egwene si accigliasse o credesse alle storie riportate da donne gelose sul modo in cui Halima attirava gli uomini con la sua sola presenza. Dopotutto era il suo aspetto, e non poteva farci nulla. Ma perfino se la sua posizione come segretaria di Delana era ovviamente dovuta a un gesto di carità da parte della Sorella Grigia – una campagnola poco istruita, Halima tracciava le sue lettere con la goffaggine di un bambino piccolo –
Delana di solito la teneva occupata tutto il giorno con qualche genere di lavoro inventato. Di rado compariva prima dell’ora di andare a letto, e quasi sempre lo faceva perché aveva sentito che Egwene aveva uno dei suoi mal di testa. Nisao non riusciva a porvi rimedio perfino usando la nuova Guarigione, ma i massaggi di Halima facevano meraviglie anche quando Egwene arrivava a piagnucolare dal dolore.
«Le ho detto che non avresti avuto tempo per le visite stamattina, Madre» disse Siuan in tono brusco, ancora studiando la donna sui cuscini mentre prendeva il mantello di Egwene con la mano libera. «Ma se invece di aprire la bocca avessi giocato a Labirinto di fili da sola non avrebbe fatto differenza.» Appendendo il mantello sul rustico appendiabiti, sbuffò di disprezzo. «Forse se indossassi delle brache e avessi i baffi, mi darebbe ascolto.» Siuan pareva credere a ogni diceria sui supposti saccheggi di Halima fra gli artigiani e i soldati più avvenenti.
Stranamente, Halima sembrava divertita per la propria reputazione. Anzi, sembrava piacerle. Rise, un suono basso e di gola, e si stirò sui cuscini come un gatto. Aveva una spiacevole preferenza per i corpetti a taglio basso, cosa incredibile con quel tempo, e quasi prorompeva fuori dalle sue sete verdi striate di blu. Gli abiti di seta non erano proprio i più consueti per una segretaria, ma la carità di Delana era profonda, oppure lo era il suo debito verso Halima.
«Sembri preoccupata stamane, Madre,» mormorò la donna dagli occhi verdi «e ti sei allontanata così presto per la tua cavalcata, cercando di non svegliarmi. Pensavo che avresti gradito parlare. Non avresti così tanti mal di testa se confidassi più spesso le tue preoccupazioni. Almeno sai che con me puoi parlare.» Osservando Siuan, che la stava scrutando con sdegno, Halima emise un’altra fumosa risata. «E sai che non voglio nulla da te, come qualcun altro.» Siuan sbuffò di nuovo, e assunse di proposito un’aria indaffarata appoggiando la cartella sullo scrittoio proprio tra il calamaio e la boccetta di sabbia. Giocherellò perfino col poggiapenna.
Con uno sforzo, Egwene riuscì a non sospirare. Appena. Halima non chiedeva altro che un giaciglio nella tenda di Egwene, in modo da poter essere a disposizione quando lei avesse avuto uno dei suoi mal di testa, e dormire lì doveva aver comportato delle difficoltà con i suoi compiti per Delana. Inoltre a Egwene piacevano i suoi modi spicci e diretti. Era molto facile parlare con Halima e dimenticarsi per un po’ di essere l’Amyrlin Seat, una rilassatezza di cui non poteva godere nemmeno con Siuan. Si era battuta con tanta forza per essere riconosciuta come Aes Sedai e Amyrlin, e la sua stretta su quel riconoscimento era troppo tenue. Ogni svista nell’essere Amyrlin avrebbe reso più semplice la successiva, e quella dopo, e quella dopo ancora, finché non sarebbe stata considerata di nuovo come una bambina che stava giocando. Ciò rendeva Halima un lusso da conservare gelosamente, e questo oltre a ciò che le sue dita riuscivano a fare per i mal di testa di Egwene. Con sua irritazione, però, ogni altra donna nell’accampamento pareva condividere l’opinione di Siuan, con la possibile eccezione di Delana. La Grigia sembrava troppo moralista per avere alle proprie dipendenze una sottana facile, qualunque fosse la riconoscenza che poteva nutrire nei suoi confronti. In ogni caso, che la donna desse la caccia agli uomini o li facesse addirittura cadere ai propri piedi, non era questo il punto ora.
«Temo di avere del lavoro da sbrigare, Halima» disse sfilandosi i guanti. Una montagna di lavoro, la maggior parte dei giorni. Sul tavolo non c’era ancora segno dei rapporti di Sheriam, ovviamente, ma li avrebbe inviati presto, assieme ad alcune richieste che pensava meritassero la sua attenzione. Solo alcune: dieci o dodici appelli per riparazioni o lamentele, per ognuna delle quali ci si aspettava che Egwene emettesse il giudizio dell’Amyrlin. Questo non si poteva fare senza un accurato esame delle domande, non se voleva prendere una decisione giusta. «Forse potresti cenare con me.» Se fosse riuscita a terminare in tempo per non limitarsi a mangiare alla scrivania proprio lì nel suo studio. Era quasi già mezzogiorno. «Allora potremo parlare.»
Halima si mise a sedere di colpo, gli occhi che dardeggiavano e le labbra piene premute assieme, ma il suo cipiglio scomparve rapido com’era giunto. Delle braci rimanevano nei suoi occhi, però. Se fosse stata un gatto, avrebbe avuto la schiena inarcata e la coda come uno scovolo per bottiglie. Mettendosi in piedi in modo aggraziato sui tappeti, si lisciò il vestito sopra le anche. «Molto bene, allora. Se sei certa di non volere che io rimanga.»
Con un tempismo sorprendente, un sordo pulsare cominciò dietro gli occhi di Egwene, un’avvisaglia fin troppo familiare di un feroce mal di testa, ma lei scosse comunque il capo e ripeté che aveva del lavoro da fare. Halima esitò ancora un momento, la sua bocca si serrò di nuovo e strinse le mani a pugno fra le gonne, poi afferrò il suo mantello di seta orlato di pelliccia dall’appendiabiti e uscì a grandi passi dalla tenda senza curarsi di mettere l’indumento attorno alle spalle. Avrebbe potuto prendersi un malanno, andandosene in giro così con quel freddo.
«Quel temperamento da pescivendola la farà finire nei guai, presto o tardi» borbottò Siuan prima che i lembi d’ingresso smettessero di oscillare. Guardando accigliata nella direzione verso cui Halima si era allontanata, spostò il suo scialle attorno alle spalle con uno strattone.
«Quella donna si trattiene in tua presenza, ma non ha remore a prendere me a male parole. Me o chiunque altra. L’hanno udita urlare contro Delana. Chi ha mai sentito di una segretaria che urla contro il suo datore di lavoro, e una Sorella, per di più? Un’Adunante! Non capisco perché Delana la tolleri.»
«Di certo sono affari di Delana.» Mettere in discussione le azioni di un’altra Sorella era proibito quanto interferire con esse. Solo secondo le usanze, non per legge, ma alcune usanze erano forti quanto la legge. Di sicuro non c’era bisogno che lei lo ricordasse a Siuan. Massaggiandosi le tempie, Egwene si mise a sedere con cautela nella sedia dietro il suo scrittoio, ma quella dondolò comunque. Progettata per ripiegarsi in modo da poter essere trasportata su un carro, le gambe avevano l’abitudine di flettersi quando non avrebbero dovuto, e nessuno dei carpentieri era stato in grado di aggiustarle nonostante ripetuti tentativi. Anche il tavolo era pieghevole, ma si reggeva in modo ben più saldo. Egwene desiderò aver avuto l’opportunità di acquistare una sedia nuova nel Murandy, ma c’erano state così tante cose da comprare e non abbastanza soldi per una sedia, dal momento che già ne aveva una. Perlomeno aveva acquistato un paio di lampade su sostegni e una da tavolo, tutte e tre in semplice ferro dipinto di rosso ma con buoni specchi privi di bolle. La buona illuminazione non pareva aiutarla con i suoi mal di testa, tuttavia era meglio che cercare di leggere con una manciata di candele di sego e una lanterna.
Se Siuan aveva preso le sue parole come un rimprovero, questo non la intimidì di certo. «Non è soltanto irritabile. Una o due volte pensavo che fosse sul punto di colpirmi. Suppongo che abbia abbastanza buonsenso dal trattenersi, ma qui non ci sono solo Aes Sedai. Sono convinta che in qualche modo abbia tentato di rompere il braccio a un carrettiere. Lui dice di essere caduto, ma a me sembra che menta, con quegli occhi che si muovono di continuo e la bocca che si contrae. Non gli piacerebbe ammettere che una donna gli ha piegato un braccio dietro la schiena, no?» «Lascia stare, Siuan» disse Egwene in tono stanco. «E probabile che quell’uomo abbia cercato di prendersi qualche libertà.»
Doveva essere così. Lei non riusciva a capire come Halima avrebbe potuto rompere il braccio di un uomo. In qualunque modo venisse descritta quella donna, muscolosa non era certo un termine adatto. Invece di aprire la cartella sbalzata che Siuan aveva messo sul tavolo, appoggiò le mani da entrambi i lati del plico, in modo da tenerle lontane dalla testa. Forse se avesse ignorato il dolore, stavolta se ne sarebbe andato. Inoltre, tanto per cambiare, aveva delle informazioni da scambiare con Siuan. «Pare che alcune delle Adunanti stiano parlando di intavolare negoziati con Elaida» esordì.
Senza tradire alcuna espressione, Siuan si tenne in equilibrio su uno dei due traballanti sgabelli a tre gambe di fronte al tavolo e ascoltò assorta – solo le sue dita si muovevano, carezzando lievemente le sue gonne – finché Egwene non ebbe terminato. Poi strinse le mani a pugno e bofonchiò una sequela di maledizioni piuttosto forti perfino per lei, cominciando con l’augurio che tutta quella marmaglia soffocasse a morte mangiando interiora di pesce vecchie di una settimana e poi precipitasse giù per il fianco della collina. Il fatto che tali imprecazioni provenissero da un volto tanto giovane e grazioso non fece che renderle peggiori.
«Suppongo che tu abbia ragione nel lasciare che la cosa vada avanti» borbottò una volta scemata la sua invettiva. «Questi discorsi si diffonderanno, ora che sono iniziati, e in questo modo potrai prevenirli e approfittarne. Beonin non dovrebbe sorprendermi, presumo. È ambiziosa, ma ho sempre pensato che sarebbe tornata a sgattaiolare da Elaida se Sheriam e le altre non le avessero inculcato un po’ di spina dorsale.» Con la voce che accelerava, Siuan fecalizzò gli occhi su Egwene come per cercare di conferire maggiore peso alle proprie parole. «Magari quella di Varilin e le altre fosse una sorpresa, Madre. Senza contare le Azzurre, sei Adunanti da cinque Ajah sono fuggite dalla Torre dopo il colpo di mano di Elaida.» Nel dire quelle parole, la sua bocca si contrasse lievemente. «E qui abbiamo una da ciascuna di quelle cinque. Ero nel Tel’aran’rhiod la scorsa notte, nella Torre...»
«Spero che tu sia stata cauta» la interruppe bruscamente Egwene. Siuan pareva conoscere a malapena il significato della parola cautela, a volte. I pochi ter’angreal per i sogni in loro possesso avevano file di Sorelle che sospiravano per utilizzarli, perlopiù per far visita alla Torre, e nonostante a Siuan non era precisamente impedito il loro uso, in realtà era quasi come se lo fosse. Avrebbe potuto mettere per sempre il suo nome nelle liste senza che il Consiglio le concedesse anche una sola notte. Anche mettendo da parte le Sorelle che attribuivano a Siuan la colpa primaria per lo scisma nella Torre – a tale proposito, non era stata riaccettata con la stessa cordialità di Leane, né coccolata da nessuno – a parte ciò, troppe si ricordavano dei suoi insegnamenti severi, quando lei era una delle poche che sapevano come usare i ter’angreal del sogno. Siuan non era molto tollerante nei confronti degli sciocchi (e chiunque si comportava come tale le prime volte nel Tel’aran’rhiod), perciò ora doveva prendere in prestito il turno di Leane quando voleva visitare il Mondo dei Sogni; e se una Sorella l’avesse vista lì, quel ‘quasi come se lo fosse’ sarebbe diventato un’interdizione assoluta. O peggio, avrebbe dato il via a una ricerca per scoprire chi le aveva prestato il ter’angreal, che sarebbe potuta terminare con lo smascherare Leane.
«Nel Tel’aran’rhiod,» disse Siuan con un gesto per scacciare la questione «sono una donna diversa, con un vestito diverso, ogni volta che giro un angolo.» Questa era una buona notizia, anche se era ugualmente probabile che avvenisse intenzionalmente o che fosse una mancanza di controllo. La convinzione di Siuan nelle proprie capacità a volte era maggiore del dovuto. «Il punto è che l’altra notte ho visto una lista parziale di Adunanti e sono riuscita a leggere buona parte dei nomi prima che si trasformasse in un’etichetta di vino.» Questa era un’eventualità comune nel Tel’aran’rhiod, dove nulla rimaneva com’era per molto tempo a meno che non fosse il riflesso di qualcosa di permanente nel mondo della veglia. «Andava Forae è stata elevata per le Grigie, Rina Halfden per le Verdi e Juilaine Madome per le Marroni. Nessuna ha indossato lo scialle per più di settant’anni al massimo. Elaida ha il nostro stesso problema, Madre.»
«Capisco» disse lentamente Egwene. Si rese conto che si stava massaggiando un lato della testa. Dietro i suoi occhi la pulsazione continuava. Sarebbe diventata più forte. Succedeva sempre così. Al calare della notte, avrebbe rimpianto di aver mandato via Halima. Abbassando con decisione la propria mano, spostò la cartella di cuoio di fronte a sé di mezzo pollice verso sinistra, poi la fece scivolare dov’era prima. «E le altre? Avevano sei Adunanti da rimpiazzare.»
«Ferane Neheran è stata scelta per le Bianche» ammise Siuan «e Suana Dragand per le Gialle. Entrambe sono state nel Consiglio in precedenza. Era solo una lista parziale, e non sono riuscita a leggerla tutta.» Raddrizzò la schiena e protese il mento in avanti con aria ostinata. «Una o due elevate prima del tempo sarebbero già un evento abbastanza insolito – succede, ma non spesso – ma in questo caso sono undici – forse dodici, ma di sicuro undici – tra noi e la Torre. Non credo in coincidenze così grosse. Quando i pescivendoli comprano tutti allo stesso prezzo, puoi scommettere che la notte prima stavano bevendo alla stessa taverna.»
«Non devi convincermi ulteriormente, Siuan.» Con un sospiro, Egwene reclinò la schiena all’indietro, afferrando in modo automatico la gamba della sedia che provava sempre a piegarsi a quel movimento. Era chiaro che stava accadendo qualcosa di strano, ma cosa voleva dire questo? E chi poteva influenzare la scelta di Adunanti in ogni Ajah?
Ognuna tranne l’Azzurra, almeno; avevano scelto una nuova Adunante, ma Moria era stata Aes Sedai per oltre cento anni. E forse la Rossa non ne era stata influenzata: nessuno sapeva quali cambiamenti fossero avvenuti fra le Adunanti Rosse, sempre che ce ne fossero stati. Dietro tutto ciò poteva esserci la Nera, ma cosa avrebbe potuto guadagnarci, a meno che tutte quelle Sorelle troppo giovani fossero Nere? In ogni caso sembrava impossibile; se l’Ajah Nera avesse avuto un’influenza così vasta, il Consiglio sarebbe stato interamente composto da Amici dell’Ombra già molto tempo fa. Tuttavia, se c’era uno schema e non si trattava di una coincidenza, allora all’origine di tutto doveva esserci qualcuno. Solo pensare alle possibilità e alle impossibilità rendeva più acuto il sordo dolore dietro i suoi occhi.
«Se, nonostante tutto, ciò si rivela un caso fortuito, Siuan, ti pentirai anche solo di aver pensato di vedere un enigma.» Si costrinse a sorridere nel dire quelle parole, in modo da rimuovere qualunque acredine. «Ora che mi hai convinto che c’è un enigma, voglio che tu lo risolva. Chi è il responsabile e a cosa mira? Finché non sapremo questo, non sapremo nulla.»
«È tutto qui quello che vuoi?» replicò Siuan in tono asciutto.
«Prima o dopo cena?»
«Dopo andrà bene, suppongo» sbottò Egwene, poi trasse un profondo respiro al vedere lo sconcerto sul volto dell’altra donna. Non c’era scopo nel riversare il suo mal di testa contro Siuan. Le parole di un’Amyrlin avevano potere, e alle volte conseguenze: doveva ricordarselo. «Non appena potrai andrà più che bene» disse con voce più mite. «So che farai più in fretta che puoi.»
Contrariata o meno, Siuan parve capire che lo scoppio di Egwene era dovuto ad altri motivi, oltre al suo sarcasmo. Malgrado la sua apparenza giovanile, aveva anni di esperienza nel decifrare i volti.
«Devo andare a cercare Halima?» disse, facendo per alzarsi. La mancanza di acredine nel nominare quella donna indicava quant’era preoccupata. «Non ci vorrà un minuto.»
«Se cedo a ogni dolore, non riuscirò a combinare nulla» disse Egwene, aprendo il plico. «Ora, cos’hai per me oggi?» Si sforzò di tenere le mani sulle carte, per non sfregarsi le tempie. Uno dei compiti di Siuan ogni mattina era procurarsi quello che le Ajah erano disposte a condividere dalle loro reti di spie, assieme a qualunque cosa ogni singola Sorella avesse riferito alla propria Ajah e l’Ajah avesse deciso di riferire a Egwene. Era uno strano processo simile a un setaccio, tuttavia forniva una buona rappresentazione del mondo quando veniva aggiunto alle informazioni di Siuan. Era riuscita a mantenere gli agenti che erano stati suoi in qualità di Amyrlin grazie al semplice espediente di rifiutare di rivelare a chiunque la loro identità, malgrado tutte le pressioni del Consiglio, e alla fine nessuno poteva obiettare che quegli occhi e orecchie fossero dell’Amyrlin e che di diritto avrebbero dovuto fare rapporto a Egwene. C’erano state continue lamentele al riguardo, e ogni tanto c’erano ancora, ma nessuno poteva negare i fatti.
Come al solito, il primo rapporto non proveniva né dalle Ajah né da Siuan, bensì da Leane, su sottili fogli di carta in una calligrafia fluente ed elegante. Egwene non riusciva con esattezza a capire il perché, ma non si poteva dubitare che qualunque cosa Leane scrivesse fosse stato vergato da una mano di donna. Egwene teneva quelle pagine sopra la fiamma della lampada da tavolo una a una dopo averle lette, lasciando che la carta bruciasse quasi finché la fiamma non le raggiungeva le dita, e sbriciolando poi le ceneri. Non sarebbe servito a nulla che lei e Leane si fossero comportate come delle sconosciute in pubblico, se poi avessero permesso che uno dei suoi rapporti cadesse nelle mani sbagliate.
Pochissime Sorelle erano al corrente che Leane aveva occhi e orecchie all’interno della stessa Tar Valon. Poteva darsi che fosse l’unica Sorella ad averne. Era una debolezza umana osservare con attenzione quello che accadeva in fondo alla strada ignorando allo stesso tempo ciò che c’era ai propri piedi, e la Luce sapeva che le Aes Sedai soffrivano di tante debolezze umane quanto chiunque altro. Sfortunatamente, Leane aveva poche novità da comunicare.
La sua gente in città si lamentava di strade luride che erano sempre più pericolose di notte e poco più sicure alla luce del giorno. Una volta il crimine era stato quasi sconosciuto a Tar Valon, ma adesso le guardie della Torre avevano abbandonato le strade per pattugliare i porti e le torri dei ponti. Eccezion fatta per la raccolta dei dazi doganali e l’approvvigionamento, entrambe mansioni affidate a intermediari, la Torre Bianca pareva essersi sigillata completamente dalla città. Le grandi porte che consentivano al pubblico l’accesso alla Torre rimanevano chiuse e sbarrate, e nessuno aveva visto una Sorella fuori dalla Torre riconoscibile come una Aes Sedai dall’inizio dell’assedio, se non da prima. Tutte conferme di ciò che Leane aveva riferito in precedenza. L’ultima pagina però fece inarcare le sopracciglia di Egwene. Nelle strade girava voce che Gareth Bryne avesse trovato un accesso segreto alla città e sarebbe apparso all’interno delle mura col suo esercito al completo da un giorno all’altro.
«Se qualcuno avesse mormorato una parola che avrebbe potuto significare passaggi, Leane l’avrebbe detto» si affrettò a evidenziare Siuan quando vide l’espressione di Egwene. Aveva già letto tutti quei rapporti, ovviamente, e sapeva quello che Egwene stava leggendo dalla pagina che teneva in mano. Agitandosi sullo sgabello instabile, per poco Siuan non cadde sui tappeti, talmente scarsa era l’attenzione che vi stava prestando. Questo comunque non la rallentò affatto. «E puoi star certa che Gareth non s’è lasciato sfuggire nulla» proseguì rimettendosi dritta.
«Non che qualche suo soldato sia così sciocco da disertare per la città ora, ma sa quando tenere la bocca chiusa. È solo che ha la fama di attaccare dove non sarebbe possibile. Ha compiuto l’impossibile così tante volte che la gente si aspetta che continui a farlo. Tutto qua.»
Nascondendo un sorriso, Egwene tenne il foglio che menzionava lord Gareth vicino alla fiamma e lo osservò arricciarsi e annerire. Pochi mesi fa, Siuan avrebbe offerto un commento acido su quell’uomo, al posto di un elogio. Sarebbe stato ‘Gareth dannato Bryne’, non Gareth. Non era certo possibile che le mancasse lavargli i panni e lucidargli gli stivali, ma Egwene l’aveva vista fissarlo in quelle rare occasioni in cui lui era venuto all’accampamento delle Aes Sedai. Fissarlo e poi fuggire via se lui le rivolgeva anche solo un’occhiata. Siuan! Fuggire via! Siuan era Aes Sedai da più di vent’anni ed era stata Amyrlin per dieci, ma non aveva idea di come comportarsi in amore più di quanto una papera fosse in grado di tosare una pecora.
Egwene sbriciolò le ceneri e si sfregò le mani, il suo sorriso che sbiadiva. Non stava a lei parlare di Siuan. Anche lei era innamorata, ma non sapeva nemmeno dove mai si trovasse Gawyn o cosa fare se l’avesse appreso. Lui aveva il suo impegno verso l’Andor e lei verso la Torre. E l’unico modo per costruire un ponte su quell’abisso e legarlo a sé avrebbe potuto portare alla sua morte. Meglio lasciarlo andare e dimenticarselo del tutto. Facile come dimenticarsi il proprio nome. E lei l’avrebbe legato. Lo sapeva. Certo, non poteva legare quell’uomo senza sapere dove si trovava, senza mettere le mani su di lui, perciò era un cane che si mordeva la coda. Gli uomini erano... una seccatura!
Soffermandosi per premere le dita contro le tempie – non servì affatto ad alleviare il dolore pulsante – scacciò Gawyn dalla propria mente. Per quanto poteva. Pensava che fosse già un assaggio della sensazione di averlo come Custode: c’era sempre qualcosa di Gawyn nei recessi della sua mente. Ed era capace di farsi strada a forza nella sua consapevolezza nei momenti meno opportuni. Concentrandosi su quello che stava facendo, prese il foglio successivo.
Buona parte del mondo era scomparsa, per quanto riguardava i rapporti delle spie. Dalle terre controllate dai Seanchan giungevano poche notizie, divise tra fantasiose descrizioni delle bestie seanchan riportate come prova che stessero usando Progenie dell’Ombra, racconti terrificanti di donne sottoposte a prove per vedere se dovessero essere messe al guinzaglio come damane, e deprimenti storie di accettazione. Pareva che i Seanchan non fossero governanti peggiori di altri, e anzi meglio di alcuni – sempre che tu non fossi una donna in grado di incanalare – e sembrava che fin troppe persone avessero abbandonato progetti di resistenza, una volta che era apparso chiaro che i Seanchan avrebbero lasciato continuare le loro vite come al solito. L’Arad Doman era quasi nella stessa situazione, e anche da lì provenivano solo voci, confermate come tali dalle Sorelle che scrivevano i rapporti, ma incluse per mostrare la condizione in cui si trovava quella nazione. Re Alsalam era morto. No, aveva iniziato a incanalare ed era impazzito. Anche Rodel Ituralde, il Gran Capitano, era morto, o aveva usurpato il trono, o stava invadendo la Saldea. Tutti i membri del Consiglio dei Mercanti erano morti, o avevano lasciato il Paese, o avevano fomentato una guerra civile per stabilire chi dovesse essere il prossimo re. Qualunque di quelle voci poteva essere vera. O nessuna. Le Ajah erano abituate a vedere tutto, ma ora un terzo del mondo era avvolto in una densa nebbia, con solo alcuni piccolissimi varchi. Perlomeno, se avevano avuto modo di osservare qualcosa più chiaramente, nessuna Ajah si era degnata di trasmetterlo.
Un altro problema era che le Ajah ritenevano che cose diverse avessero importanza suprema, mentre in larga parte ignoravano il resto. Le Verdi, per esempio, erano preoccupate in particolar modo di racconti sulle armate delle Marche di Confine vicino Nuova Braem, a centinaia di leghe dalla Macchia che si supponeva dovessero sorvegliare. Il loro rapporto parlava degli uomini delle Marche di Confine e solo di loro, come se dovesse essere fatto qualcosa e subito. Non che proponessero nulla, né vi accennassero, tuttavia la frustrazione traspariva dalla calligrafìa frettolosa e poco decifrabile scarabocchiata con urgenza. Egwene sapeva la verità su quella situazione da Elayne, ma era contenta di lasciare che le Verdi si rodessero i denti per il momento, dato che Siuan aveva rivelato perché non si stessero affannando a mettere le cose in chiaro. Stando al suo agente a Nuova Braem, gli uomini delle Marche di Confine erano accompagnati da cinquanta o cento Sorelle, forse duecento. Il numero di Aes Sedai poteva essere incerto, e di sicuro era stato parecchio gonfiato, ma la loro presenza era un fatto di cui le Verdi dovevano essere al corrente, anche se i rapporti che inviavano a Egwene non ne facevano mai menzione. Nessuna Ajah aveva nominato quelle Sorelle nei propri rapporti. Alla fine, però, c’era poca differenza fra cento Sorelle e duecento. Nessuno poteva essere certo di chi fossero quelle Sorelle o del perché si trovassero lì; tuttavia ficcare il naso sarebbe stato di sicuro considerato come un’interferenza. Pareva strano che potessero essere impegnate in una guerra tra Aes Sedai e allo stesso tempo trattenersi dall’interferire con un’altra Sorella per via delle usanze; ma, fortunatamente, era così.
«Almeno non propongono di mandare qualcuno a Caemlyn.»
Egwene batté le palpebre, il dolore dietro i suoi occhi si acuiva nel seguire quelle lettere così compatte.
Siuan emise uno sbuffo beffardo. «E perché dovrebbero? A quanto ne sanno, Elayne si sta lasciando guidare da Merilille e Vandene, perciò sono certe che otterranno la loro regina Aes Sedai, e una Verde per di più. Inoltre, finché gli Asha’man se ne stanno fuori da Caemlyn, nessuno vuole correre il rischio di stuzzicarli. Nel modo in cui stanno le cose, sarebbe come cercare di tirar fuori dal mare delle gelatine-vespa a mani nude, e perfino le Verdi lo sanno. Comunque, questo non fermerà qualche Sorella, Verde o meno, dal fare un salto a Caemlyn. Solo una visita in segreto per incontrare una delle loro spie. Oppure per farsi cucire un vestito, comprare una sella, o solo la Luce sa per quale altro motivo.»
«Perfino le Verdi?» chiese Egwene in tono aspro. Tutti pensavano che le Marroni si comportassero in questo modo e le Bianche in quello, anche quando si poteva dimostrare che non era così; tuttavia si incollerì un po’ al sentire le Verdi considerate alla medesima stregua come se fossero tutte la stessa donna. Forse pensava a sé stessa come Verde, o come se lo fosse stata, il che era sciocco. L’Amyrlin era di tutte le Ajah e di nessuna – si aggiustò la stola sulle spalle, ricordandosi di ciò che rappresentavano quelle sette strisce – e lei non era mai appartenuta nemmeno a una. Tuttavia provava un – non affetto: quello era un termine un po’ forte – un senso di somiglianza fra lei e le Sorelle Verdi.
«Quante Sorelle sono assenti, Siuan? Perfino le più deboli possono Viaggiare dove vogliono, collegate, e vorrei sapere dove sono andate.»
Per un momento Siuan increspò la fronte, pensierosa. «Circa venti, penso» rispose infine. «Forse qualcuna di meno. Il numero varia da giorno a giorno. Nessuno tiene il conto, in effetti. Nessuna Sorella lo tollererebbe.» Si sporse in avanti, stavolta restando cautamente in equilibrio quando le gambe diseguali fecero vacillare il suo sgabello.
«Hai giostrato le faccende in modo esemplare finora, Madre, ma non può durare. Alla fine il Consiglio scoprirà tutto ciò che sta accadendo a Caemlyn. Potrebbero accettare di mantenere il segreto sulle prigioniere seanchan – sarà vista come una faccenda di Vandene o di Merilille – ma sanno già della presenza del Popolo del Mare a Caemlyn, e presto o tardi apprenderanno dell’accordo con loro. E delle donne della Famiglia, se non dei tuoi piani per loro.» Siuan sbuffò di nuovo, anche se in modo lieve. Lei stessa non era certa di cosa pensare dell’idea che le Aes Sedai si ritirassero nella Famiglia, tanto meno su come altre Sorelle avrebbero reagito alla notizia. «I miei occhi e orecchie non hanno ancora colto nemmeno un barlume, ma le spie di qualcuno lo faranno, questo è certo. Non puoi ritardare ancora a lungo, altrimenti ci ritroveremo a guadare in mezzo a un banco di lucci argentati.»
«Uno di questi giorni» borbottò Egwene «voglio proprio vedere questi lucci argentati di cui parli sempre.» Sollevò una mano quando l’altra donna fece per aprire bocca. «Un giorno. L’intesa col Popolo del Mare causerà problemi,» confessò «ma quando le Ajah ne sentiranno degli accenni, non si renderanno conto fin da subito di quello che stanno ascoltando. Sorelle che insegnano al Popolo del Mare a Caemlyn? Non si è mai udito nulla del genere, ma chi si metterà a porre delle domande o a interferire, contro tutte le usanze? Sono sicura che ci sarà ogni genere di lamentela, e forse verranno sollevate alcune domande all’interno del Consiglio, ma prima che si venga a sapere che c’è un accordo, io avrò introdotto il mio progetto per la Famiglia.»
«E pensi che questo non affilerà i loro denti?» Aggiustandosi lo scialle, Siuan si preoccupò a malapena di nascondere la propria incredulità. In effetti la mutò in uno sguardo arcigno.
«Causerà delle discussioni» concesse Egwene assennatamente. Un notevole eufemismo. Avrebbe causato un tumulto, ecco cosa avrebbe fatto, una volta che l’intera questione fosse venuta allo scoperto. Quanto di più simile a una rivolta si fosse mai visto tra le Aes Sedai. Ma la Torre aveva minimizzato la faccenda ormai da mille anni, se non di più, e lei aveva intenzione di porre fine a tutto ciò. «Ma intendo andare piano. Le Aes Sedai possono essere riluttanti a parlare di età, Siuan, ma si renderanno presto conto che giurare sul Bastone dei Giuramenti accorcia le nostre vite almeno della metà. Nessuno vuole morire prima del dovuto.»
«Sempre che si lascino convincere che esiste davvero una donna della Famiglia che ha seicento anni» ribatté Siuan in tono riluttante, ed Egwene sospirò per il fastidio. Questa era un’altra delle cose su cui Siuan era incerta: le affermazioni delle donne della Famiglia sulla loro longevità. Egwene teneva in gran conto l’opinione di Siuan, così come il fatto che non diceva solo ciò che lei voleva sentire, ma a volte quella donna sembrava recalcitrante quanto Romanda o Lelaine.
«Se sarà necessario, Siuan,» replicò in tono irritato «lascerò che le Sorelle parlino con qualche donna più vecchia di loro di cent’anni o più. Possono tentare di liquidarle come selvatiche o bugiarde, ma Reatine Corly può provare di essere stata nella Torre e quando. E così altre. Con un po’ di fortuna, convincerò le Sorelle ad accettare di essere liberate dai Tre Giuramenti per potersi ritirare nella Famiglia prima ancora che possano apprendere dell’esistenza di un accordo con gli Atha’an Miere. E una volta che avranno accettato che qualunque Sorella venga liberata dai giuramenti, non sarà così difficile convincerle a lasciare andare le Sorelle del Popolo del Mare. A parte questo, il resto di quell’accordo sono inezie. Come dici sempre, capacità e agilità di mano sono necessarie per fare qualunque cosa nel Consiglio, ma la fortuna è un requisito fondamentale. Be’, sarò capace e agile quanto posso e, per quanto riguarda la fortuna, per una volta le probabilità sembrano essere a mio favore.»
Siuan fece una smorfia, tossicchiò ed esitò, ma alla fine dovette dirsi d’accordo. Convenne perfino che Egwene potesse riuscirci, con un po’ di fortuna e tempismo. Non che fosse convinta, né sulla Famiglia né sull’accordo con gli Atha’an Miere, ma quello che Egwene proponeva era talmente senza precedenti che pareva che la maggior parte avrebbe potuto superare il vaglio del Consiglio prima che si rendessero conto di cosa gli stava cadendo addosso. Egwene era disposta ad accontentarsi di questo. Qualunque cosa fosse esposta al Consiglio, quasi sempre abbastanza Adunanti si opponevano, rendendo difficile, nella migliore delle ipotesi, trovare un consenso, e nel Consiglio nulla veniva fatto senza almeno il consenso minoritario e di solito non senza il consenso maggioritario. Le sembrava che la maggior parte delle trattative con il Consiglio consistesse nel convincerle a fare ciò che non volevano. Di certo non c’era motivo perché questa faccenda andasse in modo diverso. Mentre le Verdi erano concentrate sulle Marche di Confine, l’attenzione delle Grigie era rivolta a sud. Ogni Ajah era affascinata dai rapporti da Illian e Tear su un gran numero di selvatiche fra il Popolo del Mare, cosa che trovavano interessante, nel caso fosse vera (anche se sembravano esserci forti dubbi che lo fosse), altrimenti le Sorelle lo avrebbero saputo prima. Dopotutto, come poteva rimanere nascosta una cosa del genere? Nessuna menzionava che avevano semplicemente accettato quello che vedevano in superficie senza mai andare a fondo. Le Grigie, però, erano affascinate dalla continua minaccia seanchan a Illian e dall’assedio della Pietra di Tear cominciato appena di recente. Guerre e minacce di conflitti avevano sempre ipnotizzato le Grigie, dato che il loro scopo era porvi fine. E in tal modo volevano estendere la loro influenza, ovviamente: ogni volta che le Grigie fermavano una guerra con un trattato, accrescevano l’influenza di tutte le Aes Sedai, ma di loro stesse prima di tutto. I Seanchan parevano non essere aperti a negoziati, almeno con le Aes Sedai; e l’oltraggiato senso di frustrazione delle Grigie filtrava fra le concise parole sulle incursioni dei Seanchan oltre confine e le forze sempre maggiori che venivano radunate da lord Gregorin, il sovrintendente a Illian per il Drago Rinato (un titolo che di per sé era motivo di preoccupazione). Tear aveva il proprio sovrintendente per il Drago Rinato, il Sommo Signore Darlin Sisnera, ed era assediato nella Pietra da nobili che si rifiutavano di accettare Rand. Era un assedio molto strano. La Pietra aveva i propri moli e i nemici di Darlin non potevano tagliare gli approvvigionamenti perfino controllando il resto della città, come in effetti facevano, e in ogni caso parevano soddisfatti di starsene seduti ad aspettare. O forse non riuscivano a capire quale potesse essere la loro mossa successiva. Solo gli Aiel si erano impossessati della Pietra con un assalto, e nessuno in precedenza l’aveva presa per fame. Le Grigie avevano qualche speranza a Tear.
Egwene rialzò la testa quando ebbe letto il fondo della pagina, e si affrettò a posarla e a prendere la successiva. Le Grigie avevano avuto qualche speranza. Apparentemente, una Sorella Grigia era stata vista uscire dalla Pietra e poi seguita fino a un incontro con il Sommo Signore Tedosian e la Somma Signora Estanda, due dei nobili di maggiore spicco fra gli assedianti. «Merana» sussurrò. «Dicono che si trattava di Merana Ambrey, Siuan.» Inconsciamente, si massaggiò le tempie. Il dolore dietro i suoi occhi si era acuito un altro po’.
«Potrebbe realizzare qualcosa di buono.» Alzandosi, Siuan attraversò i tappeti fino a un tavolino contro la parete della tenda, dove diverse coppe e due caraffe erano poggiate su un vassoio. Quella in argento conteneva vino speziato, nell’altra in ceramica smaltata di blu c’era té, entrambe erano state poste lì all’alba in previsione dell’arrivo dell’Amyrlin e ormai si erano raffreddate. Nessuno si era aspettato che Egwene andasse fino al fiume. «Sempre che Tedosian e gli altri non capiscano per chi sta lavorando davvero.» Lo scialle di Siuan le scivolò da una spalla mentre tastava il lato della caraffa di ceramica, e la luce di saidar la circondò brevemente mentre incanalava Fuoco, riscaldando il contenuto. «Non si fiderebbero della sua buona fede nel negoziare se scoprissero che è una creatura del Drago Rinato.» Riempiendo di té una tazza di peltro lucidato, vi aggiunse delle generose cucchiaiate dal vasetto del miele, rimestandolo per bene, e portò la tazza a Egwene.
«Questo potrebbe aiutarti col tuo mal di testa. È un tipo di intruglio d’erbe che ha trovato Chesa, ma il miele stempera il sapore.»
Egwene ne assaggiò un sorso con cautela e rimise giù la tazza con un fremito. Se il sapore era così aspro col miele, non voleva immaginare come sarebbe stato senza. Il mal di testa poteva essere preferibile.
«Come puoi prenderla così con calma, Siuan? La comparsa di Merana a Tear è la prima prova reale che abbiamo. A paragone sarei disposta a considerare le tue Adunanti una coincidenza.»
All’inizio c’erano stati solo sussurri, dalle Ajah o dalle spie di Siuan. C’erano Aes Sedai a Cairhien, e parevano muoversi liberamente dentro e fuori dal Palazzo del Sole mentre il Drago Rinato si trovava lì. Poi i sussurri si erano fatti rochi e inquieti, esitanti. Gli occhi e orecchie a Cairhien non volevano dirlo. Nessuna voleva ripetere quello che i propri agenti riferivano. C’erano Aes Sedai a Cairhien, e pareva che seguissero gli ordini del Drago Rinato. Ancora peggiori furono i nomi che a poco a poco filtrarono. Alcune erano donne che erano state a Salidar, fra le prime a opporsi a Elaida, mentre altre donne erano note per esserle leali. Nessuna, a quanto ne sapeva Egwene, aveva menzionato ad alta voce la Coercizione, ma dovevano averci pensato per forza .
«Non serve a niente strapparti i capelli se il vento non soffia nella direzione che vuoi» replicò Siuan, sedendosi di nuovo sul suo sgabello. Fece per incrociare le ginocchia, ma si affrettò a poggiare di nuovo i piedi sul tappeto quando lo sgabello oscillò. Borbottando sottovoce, si aggiustò lo scialle con una contrazione delle spalle. E fu costretta a mantenere l’equilibrio quando il sedile barcollò di nuovo. «Devi orientare le vele per sfruttare il modo in cui il vento sta soffiando. Ragiona a mente fredda, e puoi riuscire a tornare a riva. Accalorati e affogherai.» Alle volte dalle parole di Siuan pareva che lavorasse ancora su una barca da pesca. «Credo che ti servirà più di un sorso perché faccia qualche effetto, Madre.»
Con una smorfia, Egwene allontanò da sé la tazza ancora un po’. Il sapore che le era rimasto appiccicato alla lingua era sgradevole quasi quanto il mal di testa. «Siuan, se hai in mente un modo per sfruttare questo, vorrei che me lo dicessi. Non voglio nemmeno prendere in considerazione di sfruttare il fatto che Rand possa aver usato la Coercizione su delle Sorelle.» Né la possibilità che conoscesse un flusso tanto ripugnante, o che potesse utilizzarlo su qualcuno. Lei lo conosceva – un altro piccolo dono da Moghedien – e avrebbe davvero desiderato dimenticare come farlo.
«In questo caso, non si tratta tanto di usarlo, quanto di capirne gli effetti. Bisognerà occuparsi di lui alla fine, e forse insegnargli una lezione, ma non vuoi che le Sorelle si mettano alle sue calcagna; inoltre questi racconti da Cairhien rendono tutti cauti.» La voce di Siuan era piuttosto calma, ma giocherellava con le dita, evidentemente agitata dentro di sé. Non era un argomento che nessuna Aes Sedai potesse affrontare con troppa calma. «Allo stesso tempo, quando tutte ci avranno riflettuto, capiranno che quelle storie su lui che si sottomette a Elaida non sono che sciocchezze. Potrebbe anche aver mandato delle Sorelle a sorvegliarlo, ma quelle non accetterebbero la presenza di Sorelle che vogliono spodestare Elaida. Comprendere ciò metterà un po’ di spina dorsale in coloro che hanno cominciato a pensare che forse Elaida lo tiene in suo potere. Questa è una ragione di meno per chiunque stia considerando di piegarsi a lei.»
«E Cadsuane?» disse Egwene. Fra tutti i nomi provenienti da Cairhien, questo aveva diffuso il maggiore sconcerto fra le Sorelle. Cadsuane Melaidhrin era una leggenda, sulla quale per di più circolavano opinioni contrastanti. Alcune Sorelle erano certe che si trattasse di un errore: Cadsuane ormai doveva essere morta. Altre parevano solo desiderare che lo fosse. «Sei certa che sia rimasta a Cairhien dopo la scomparsa di Rand?»
«Mi sono assicurata che la mia gente la tenesse d’occhio non appena ho udito il suo nome» rispose Siuan, ora non suonando più calma. «Non so se sia un Amico dell’Ombra, lo sospetto soltanto, ma posso garantire che si trovava nel Palazzo del Sole una settimana dopo la sua scomparsa.»
Strizzando gli occhi fino a chiuderli, Egwene premette la parte inferiore dei palmi contro le palpebre. Non parve avere alcun effetto sull’ago pulsante nella sua testa. Forse Rand era in compagnia di una Sorella Nera, o lo era stato. Forse aveva usato la Coercizione su delle Aes Sedai. Era già un male che l’avesse fatto su qualcuno, ma in qualche modo era peggio se l’aveva usata su delle Aes Sedai, più sinistro. Se osava fare questo contro le Aes Sedai, era dieci volte, cento volte più probabile che la utilizzasse contro coloro che non potevano difendersi. Alla fine avrebbero dovuto fare i conti con lui, in qualche modo. Lei era cresciuta con Rand, tuttavia non poteva lasciare che questo la influenzasse. Lui era il Drago Rinato, ora, la speranza del mondo e forse, allo stesso tempo, la più grande minaccia che il mondo si trovava di fronte. Forse? I Seanchan non potevano fare tanti danni quanto il Drago Rinato. E lei aveva intenzione di sfruttare la possibilità che lui si fosse avvalso della Coercizione su delle Sorelle. L’Amyrlin Seat era una donna davvero differente da quella figlia del locandiere. Guardando accigliata la tazza di peltro di cosiddetto té, la prese in mano e si costrinse a tracannare quell’intruglio disgustoso, mandandolo di traverso e sputacchiando. Forse il saporaccio avrebbe distolto la sua mente dal mal di testa, perlomeno.
Mentre appoggiava la tazza con un secco clangore di metallo su legno, Anaiya entrò nella tenda, la bocca increspata all’ingiù e il liscio volto corrucciato in un cipiglio.
«Akarrin e le altre sono tornate, Madre» disse. «Moria mi ha detto di informarti che ha convocato il Consiglio per ascoltare il loro rapporto.»
«E così Escaralde e Malind» annunciò Morvrin, apparendo dietro Anaiya con Myrelle. La Verde sembrava un’immagine di furia serena, sempre che ciò fosse possibile, il suo volto olivastro inespressivo e gli occhi come braci scure; ma, se paragonata al cipiglio di Morvrin, l’espressione di Anaiya pareva lieta. «Stanno mandando novizie e Ammesse a cercare di corsa tutte le Adunanti» disse la Marrone. «Non siamo riuscite a cogliere nemmeno un sussurro sulla scoperta di Akarrin, ma ritengo che Escaralde e le altre intendano usarla per pungolare il Consiglio verso qualcosa.»
Scrutando gli scuri sedimenti che galleggiavano fra le ultime gocce sul fondo della tazza di peltro, Egwene sospirò. Anche lei avrebbe dovuto presenziare, e ora avrebbe dovuto affrontare le Adunanti col mal di testa e quel disgustoso sapore in bocca. Forse poteva considerarla una penitenza per quello che stava per fare col Consiglio.