Alviarin attraversò il passaggio, lasciando che si richiudesse dietro di lei in una sferzata di brillante luce bianco azzurra che si andava dissolvendo, e quasi immediatamente starnutì per via della polvere sollevata dalle sue scarpe. All’istante un altro starnuto la scosse, e poi un altro ancora che le fece venire le lacrime agli occhi. Illuminato solo dal globo scintillante che fluttuava di fronte a lei, il magazzino dalle pareti scabre ricavato dalla roccia viva tre livelli sotto la Biblioteca della Torre era vuoto tranne per la polvere depositatasi da secoli. Avrebbe preferito di gran lunga tornare subito ai suoi appartamenti nella Torre stessa, ma c’era sempre la possibilità di imbattersi in una servitrice intenta a pulire, e poi avrebbe dovuto sbarazzarsi del cadavere e sperare che nessuno si ricordasse che era stata vista per l’ultima volta entrare nelle sue stanze.
‘Rimani nascosta e non causare il benché minimo sospetto’ le aveva ordinato Mesaana. Tutto ciò sembrava un atteggiamento fin troppo timoroso quando l’Ajah Nera aveva calcato i terreni della Torre impunita fin dalla sua fondazione, ma quando uno dei Prescelti ordinava, solo uno sciocco disobbediva. Quantomeno se c’era un qualche rischio di essere scoperti.
Con irritazione, Alviarin incanalò per togliere la polvere dall’aria, schiacciandola a terra così forte da poter scuotere il pavimento di pietra. Non avrebbe dovuto ripetere questo procedimento ogni volta, se avesse semplicemente spazzato la polvere in un angolo piuttosto che lasciarla sparsa. Nessun altro era giunto fin lì nei sotterranei della Biblioteca da anni; nessuno avrebbe notato che la stanza era pulita. Ma c’era sempre qualcuno che faceva quello che nessuno avrebbe fatto. Spesso era così anche per lei, e non aveva intenzione di essere colta in fallo per uno stupido errore. Ciononostante, brontolò sottovoce mentre incanalava per togliere il fango rossiccio dalle scarpe e dall’orlo delle gonne e del mantello. Sembrava improbabile che chiunque lo riconoscesse come proveniente da Tremalking, la più grande fra le isole del Popolo del Mare, ma qualcuno si sarebbe potuto domandare dove era stata per infangarsi. I terreni della Torre erano sepolti dalla neve eccetto dove era stata spalata, e il suolo era compatto per il gelo. Ancora borbottando fra sé, incanalò di nuovo per ovattare lo stridio dei cardini arrugginiti mentre apriva con una spinta la porta di ruvido legno. C’era un modo per creare un flusso e nasconderlo, così da non dover smorzare quel cigolio ogni volta – era certa che esistesse – ma Mesaana si rifiutava di insegnarglielo.
Mesaana era la vera causa della sua irritazione. La Prescelta le insegnava quello che voleva e nulla più, accennava a quelle meraviglie e poi gliele negava. E Mesaana la usava come fosse un fattorino. Alviarin sedeva a capo del Consiglio Supremo e conosceva i nomi di ogni Sorella Nera in ogni cuore, che era più di quanto potesse dire Mesaana. Quella donna mostrava poco interesse in chi avrebbe portato a termine i suoi ordini, sempre che venissero eseguiti, e attenendosi con precisione alle istruzioni. Fin troppo spesso voleva che venissero portati a compimento da Alviarin stessa, costringendola a trattare con uomini e donne che si reputavano suoi pari solo perché anch’essi servivano il Sommo Signore. Troppi degli Amici si consideravano sullo stesso piano delle Aes Sedai, o perfino superiori. Peggio ancora, Mesaana le impediva di fare anche solo di uno un monito per gli altri. Piccoli parassiti repellenti, nessuno in grado di incanalare, e Alviarin doveva essere educata solo perché alcuni di loro potevano servire un altro dei Prescelti! Era ovvio che Mesaana non lo sapesse per certo. Era una dei Prescelti, eppure faceva sorridere Alviarin, per quanto era sprovveduta. Con la sfera di pallida luce che fluttuava davanti a lei per illuminare, Alviarin procedette lungo il corridoio di pietre irregolari, spianando la polvere dietro di sé con soffici tocchi di Aria in modo che sembrasse indisturbata, e ripassando nella propria testa diversi commenti salaci che le sarebbe piaciuto rivolgere a Mesaana. Non avrebbe pronunciato nessuno di essi, ovviamente, il che non fece che aumentare la sua irritazione. Criticare uno dei Prescelti perfino in termini blandi era la strada più rapida per il dolore, forse per la morte. Quasi sicuramente entrambi, in verità. Con i Prescelti, adulare e obbedire era il solo modo per sopravvivere, e la prima cosa era importante quanto la seconda. Il premio dell’immortalità valeva un po’ di adulazione. Con esso avrebbe potuto ottenere tutto il potere che desiderava, di gran lunga superiore a quanto qualunque Amyrlin avesse mai maneggiato. Prima però era necessario sopravvivere. Una volta raggiunta la cima della prima rampa che portava di sopra, non si preoccupò più di nascondere le sue tracce. Qui non c’era così tanta polvere, e quella poca era segnata dalle ruote di carretti a mano e da strascichi di scarpe: un’altra serie di impronte vaghe non sarebbe mai stata notata. Continuò a camminare veloce. Di solito, il pensiero di vivere per sempre la metteva di buonumore, la possibilità che alla fine avrebbe potuto brandire attraverso Mesaana tanto potere quanto quello che ora aveva attraverso Elaida. Be’, quasi lo stesso: aspettarsi di portare Mesaana allo stesso stato di condiscendenza di Elaida era troppo ambizioso, ma poteva comunque legare le cordicelle alla donna in un modo che avrebbe assicurato la sua ascesa. La sua mente continuava a tornare al fatto che era stata lontana dalla Torre per quasi un mese. Mesaana non si sarebbe preoccupata di mantenere Elaida sotto controllo durante la sua assenza, anche se la Prescelta avrebbe attribuito ad Alviarin la colpa, se qualcosa fosse andato storto. Ovviamente Elaida era stata adeguatamente sottomessa dopo l’ultima volta. Quella donna aveva implorato di essere risparmiata dalle penitenze private da parte della Maestra delle Novizie. Ovviamente era troppo intimorita per aver fatto qualche passo falso. Ovviamente Alviarin teneva Elaida con fermezza per la collottola, ma non rallentò i suoi passi.
Una seconda rampa la portò fino al primo sotterraneo, dove fece svanire la sfera scintillante e lasciò andare saidar. Le ombre qui erano costellate di puntini luminosi che quasi si toccavano, proiettati da lampade alloggiate su bràcci di ferro lungo pareti che su questo livello erano di pietre ben squadrate. Nulla si muoveva eccetto un ratto che se la svignò con un flebile zampettio sul pavimento di pietra. Questo le fece quasi venire da ridere. Quasi. Gli occhi del Sommo Signore ora crivellavano la Torre, anche se nessuna pareva aver notato che le protezioni erano venute meno. Non pensava che fosse opera di Mesaana: semplicemente le protezioni non funzionavano più come dovevano. C’erano brecce. Di certo non le importava se l’animale l’avesse vista o se l’avesse riferito, ma nonostante questo si affrettò su per una stretta scala a chiocciola. Potevano esserci persone in giro su questo livello, e di loro non ci si poteva fidare come dei ratti. Forse, pensò mentre saliva, avrebbe potuto interrogare Mesaana su quell’impossibile vampata di Potere, sempre che l’avesse fatto in modo delicato. La Prescelta avrebbe pensato che nascondeva qualcosa, se non l’avesse mai menzionata. Ogni donna in grado di incanalare nel mondo intero probabilmente si stava domandando cosa fosse accaduto. Bastava che fosse tanto cauta da non lasciarsi sfuggire nulla che suggerisse che aveva visitato effettivamente il sito. Molto dopo che la vampata era svanita, certo – non era tanto stupida da andare a fare una passeggiata lì in mezzo! – ma Mesaana pareva pensare che Alviarin dovesse portare a termine i suoi compiti senza prendersi un momento per sé stessa. Quella donna riusciva davvero a credere che non avesse propri affari di cui occuparsi? Era meglio comportarsi come se non ne avesse nessuno. Per il momento, almeno.
Nelle ombre in cima alle scale, si fermò davanti alla porticina liscia, a malapena terminata su quel lato, per riprendersi mentre piegava il mantello sopra il braccio. Mesaana era una dei Prescelti, ma comunque umana. Mesaana commetteva errori. E avrebbe ucciso Alviarin in un batter di ciglia se lei ne avesse commesso uno. Adulare, obbedire e servire. Ed essere sempre cauti. Lo aveva saputo da molto prima di incontrare una dei Prescelti. Recuperando la stola bianca da Custode degli Annali dal borsello alla cintura, se lo sistemò attorno al collo e socchiuse attentamente la porta per ascoltare. Silenzio, come previsto. Entrò nel Deposito Nove e chiuse la porta dietro di sé. Sul lato interno, la porta era altrettanto disadorna, ma lucidata fino a un fioco bagliore.
La Biblioteca della Torre era divisa in dodici depositi, almeno per quanto ne sapeva il mondo, e il Nove era il più piccolo, dedicato a testi di varie forme di aritmetica; tuttavia era comunque una grande stanza, un lungo ovale con una cupola schiacciata come soffitto, riempita di file e file di alte scaffalature di legno, ognuna circondata da uno stretto camminamento quattro passi sopra le piastrelle a sette colori del pavimento. Alte scale erano addossate agli scaffali, su ruote in modo da poter essere spostate facilmente, sia sul pavimento che sui camminamenti, così come lampade su sostegni d’ottone dotate di specchi con basi talmente pesanti che ci volevano tre o quattro uomini per spostarne una. Il fuoco era una preoccupazione costante nella Biblioteca. Le lampade ardevano tutte vivide, fatte apposta per illuminare la strada a qualunque Sorella volesse trovare un libro o un manoscritto, ma un carretto a mano con tre grossi volumi rilegati in cuoio da rimettere a posto era ancora in mezzo a uno dei corridoi, esattamente dove se lo ricordava la scorsa volta che aveva attraversato quella stanza. Non capiva perché ci fosse bisogno di diverse forme di aritmetica o perché su di esse fossero stati scritti così tanti libri, e, per quanto la Torre si vantasse di possedere la più vasta raccolta di libri al mondo, che trattavano qualunque argomento possibile, pareva che molte Aes Sedai fossero d’accordo con lei. Non aveva mai visto un’altra Sorella nel Deposito Nove, motivo per cui lo usava come punto d’accesso. Presso le ampie porte ad arco, aperte in maniera invitante, stette in ascolto finché il corridoio al di là fosse vuoto, e poi sgusciò fuori. Chiunque avrebbe ritenuto strano che avesse sviluppato un interesse per i libri là dentro.
Mentre si affrettava lungo i corridoi principali, dove le piastrelle erano disposte in file dei colori delle Ajah che si ripetevano, si rese conto che la Biblioteca era più silenziosa del solito, perfino tenendo conto dello scarso numero di Aes Sedai rimaste nella Torre. C’era sempre una Sorella o due nei paraggi, che pure si trattasse delle bibliotecarie – alcune Marroni in effetti tenevano degli appartamenti ai livelli superiori in aggiunta alle loro stanze nella Torre – tuttavia era come se gli unici frequentatori della Biblioteca fossero le enormi figure scolpite nelle pareti dei corridoi, persone dagli abiti stravaganti e animali bizzarri alti dieci piedi o più. Degli spifferi facevano cigolare debolmente sulle loro catene gli ingranaggi delle lampade fittamente cesellate che pendevano a dieci piedi di altezza. I suoi passi parevano innaturalmente rumorosi, proiettando sommessi echi dal soffitto a volta.
«Posso aiutarti?» disse una voce di donna dietro di lei. Spaventata, Alviarin ruotò su sé stessa, quasi lasciando cadere il suo mantello prima di potersi riprendere. «Volevo solo fare una passeggiata per la Biblioteca, Zemaille» disse, provando all’istante una punta di irritazione. Se era tanto nervosa da giustificarsi con una bibliotecaria, allora doveva davvero cercare di controllarsi prima di fare rapporto a Mesaana. Quasi voleva dire a Zemaille cosa stava accadendo a Tremalking, solo per vedere se la donna avrebbe sussultato. L’espressione blanda sul volto scuro della Sorella Marrone non cambiò, ma un accenno di qualche emozione indecifrabile alterò il tono della sua voce. Alta e molto esile, Zemaille manteneva sempre quella maschera esteriore di riserbo e distacco, ma Alviarin sospettava che fosse meno timida di quanto fingeva, e meno amabile. «È piuttosto comprensibile. La Biblioteca è riposante, ed è un momento triste per tutte noi. E ancora di più per te, naturalmente.»
«Naturalmente» ripeté Alviarin in modo meccanico. Un momento triste? Per lei in particolare? Meditò di trascinare la donna in qualche angolo appartato dove poterla interrogare e poi sbarazzarsene, ma poi notò un’altra Marrone, una donna rotonda ancora più scura di Zemaille, che le osservava da più lontano nel corridoio. Aiden e Zemaille erano deboli nel Potere, tuttavia sopraffarle entrambe sarebbe stato difficile, sempre che fosse possibile. Perché erano entrambe quaggiù a pianterreno? Quelle due si vedevano di rado, poiché se ne stavano a fare la spola fra le stanze dei livelli superiori che condividevano con Nyein, la terza Sorella del Popolo del Mare, e il cosiddetto Deposito Tredici, dove erano conservati i documenti segreti. Tutte e tre lavoravano lì, immerse di buon grado fino al collo nel proprio lavoro. Continuò a camminare e cercò di convincersi che non c’era motivo per essere nervosi, ma questo non l’aiutò a placare il pizzicore fra le sue scapole. La mancanza di bibliotecarie che sorvegliassero l’entrata principale non fece che acuire quella sensazione. Le bibliotecarie si trovavano sempre a ogni accesso, per assicurarsi che nemmeno un brandello di carta lasciasse la Biblioteca a loro insaputa. Alviarin incanalò per spingere una delle alte porte istoriate prima di raggiungerla e la lasciò aperta sui cardini di bronzo mentre si affrettava giù per l’ampia scalinata di marmo. Il largo sentiero lastricato fiancheggiato da querce che conduceva verso l’alta colonna bianca della Torre era stato spalato, ma se così non fosse stato, lei avrebbe usato il Potere per far sciogliere la neve davanti a sé, e che chiunque pensasse ciò che voleva. Mesaana era stata cristallina sul prezzo del rischio che si correva se qualcuno avesse appreso il flusso per Viaggiare, o anche solo che lei lo conosceva, altrimenti avrebbe Viaggiato fino alla destinazione precisa. Con la Torre in vista, che incombeva sopra gli alberi e scintillava nella pallida luce mattutina, avrebbe potuto arrivarci con un passo. Invece represse l’istinto di correre.
Non fu una sorpresa trovare gli ampi e alti corridoi della Torre vuoti. Vi si aggiravano pochi servitori con la bianca Fiamma di Tar Valon sul petto e le rivolgevano inchini e riverenze mentre passava, ma non erano di maggiore utilità o importanza degli spifferi che facevano tremolare le lampade dorate e increspavano i vivaci arazzi che pendevano dalle pareti bianche come la neve. In quei giorni le Sorelle se ne restavano negli alloggi delle loro Ajah il più possibile, naturalmente, e a meno che non incontrasse un membro del suo cuore, perfino vedere una Aes Sedai che sapeva essere dell’Ajah Nera sarebbe stato inutile. Lei conosceva loro, ma loro non conoscevano lei. Inoltre non aveva certo intenzione di rivelarsi a nessuno se non doveva. Forse qualcuno di quei meravigliosi strumenti dell’Epoca Leggendaria di cui parlava Mesaana un giorno le avrebbe consentito di interrogare qualunque Sorella immediatamente, se mai quella donna glieli avesse davvero dati, ma per ora si trattava ancora di ordini cifrati lasciati sotto il cuscino o in posti segreti. Quelle che una volta erano sembrate repliche istantanee, ora parevano arrivare con interminabile ritardo. Un robusto servitore pelato deglutì udibilmente nel fare il suo inchino, e lei si ricompose. Si vantava del proprio glaciale distacco, esibendo sempre una fredda facciata imperturbata. In ogni caso, attraversare la Torre con un cipiglio in volto non l’avrebbe portata proprio da nessuna parte. C’era una persona nella Torre che era certa di sapere esattamente dove trovare, qualcuno da cui poteva esigere delle risposte senza temere cosa avrebbe pensato. Anche in quel caso era necessaria un po’ di cautela, certo – domande avventate rivelavano più di parecchie risposte – ma Elaida le avrebbe detto tutto. Con un sospiro, cominciò a salire le scale.
Mesaana le aveva parlato di un’altra meraviglia dell’Epoca Leggendaria che lei desiderava davvero vedere, una cosa chiamata ascensore. Quelle macchine volanti suonavano ben più impressionanti, naturalmente, ma era molto più facile visualizzare un apparato meccanico che ti sbalzava da un piano all’altro. In effetti non era del tutto sicura che fossero davvero esistiti edifici diverse volte più alti della Torre Bianca – nel mondo intero, nemmeno la Pietra di Tear rivaleggiava con la Torre in altezza – ma il solo fatto di sapere dell’esistenza di ascensori faceva sembrare faticoso salire per corridoi a spirale e lunghe rampe di scale.
Si soffermò davanti allo Studio dell’Amyrlin, solo tre piani più su, ma come previsto entrambe le stanze erano vuote, gli scrittoi spogli lucidati fino a brillare. Le camere stesse sembravano spoglie, senza arazzi o altri ornamenti, nulla tranne i tavoli, le sedie e le lampade spente sui loro sostegni. Ormai Elaida scendeva di rado dai suoi appartamenti vicino alla cima della Torre. Una volta ciò era sembrato accettabile, dato che isolava quella donna ancora di più dal resto della Torre. Poche Sorelle erano disposte a salire fin lassù. Quel giorno però, nel tempo che le occorse per salire quasi otto rampe, stava seriamente considerando di far trasferire Elaida di nuovo di sotto. La sala d’aspetto di Elaida era vuota, anche se un plico con delle carte in cima allo scrittoio rivelava che qualcuno era stato lì. Vedere cosa conteneva e decidere se Elaida dovesse essere punita per averlo poteva aspettare. Alviarin gettò il suo mantello sullo scrittoio e aprì con una spinta la porta – appena intagliata con la Fiamma di Tar Valon e in attesa del doratore – che conduceva più all’interno negli appartamenti. Rimase sorpresa all’impeto di sollievo che provò nel vedere Elaida seduta dietro lo scrittoio sobriamente intagliato e dorato, con la stola a sette colori – no, a sei colori, adesso – attorno al collo e la Fiamma di Tar Valon che risaltava in pietre lunari sul motivo in oro dell’alto schienale sopra la sua testa. Una sottile preoccupazione che non aveva lasciato affiorare finora era stata la possibilità che la donna fosse morta in qualche stupido incidente. Ciò avrebbe spiegato il commento di Zemaille. Per scegliere una nuova Amyrlin sarebbero potuti occorrere mesi, perfino con le ribelli e tutto quello che stavano affrontando, ma i suoi giorni come Custode degli Annali sarebbero stati contati. Quello che la sorprese più del sollievo, però, fu la presenza di oltre metà delle Adunanti del Consiglio in piedi di fronte allo scrittoio nei loro scialli frangiati. Elaida sapeva di non doversi intrattenere con questo genere di delegazione quando lei non era presente. L’enorme orologio a cassa addossato alla parete, un pezzo decorato così tanto da risultare volgare, rintoccò due volte e piccole figure smaltate di Aes Sedai sbucarono da minuscole porticine sul davanti, mentre lei apriva la bocca per dire alle Adunanti che aveva bisogno di conferire con l’Amyrlin in privato. Una Custode degli Annali non aveva l’autorità per mandarle via, ma loro sapevano che la sua autorità andava oltre quella che le attribuiva la stola, perfino se non iniziavano nemmeno a sospettare come fosse possibile.
«Alviarin» disse Elaida in tono sorpreso prima che lei potesse pronunciare anche solo una parola. La durezza sul volto di Elaida si ammorbidi in quello che parve quasi compiacimento. Era da un po’ di tempo che Elaida non aveva motivi per sorridere. «Rimani lì in silenzio finché non avrò tempo di occuparmi di te» disse, facendo un imperioso gesto con la mano verso un angolo della stanza. Le Adunanti si spostarono un po’ e aggiustarono i loro scialli. Suana, una donna muscolosa, rivolse ad Alviarin uno sguardo severo, e Shevan, alta come un uomo e angolosa, la fissò dritta senza alcuna espressione, ma le altre evitarono di incrociare il suo sguardo.
Sbalordita, se ne rimase immobile a bocca aperta sullo sgargiante tappeto di seta a motivi geometrici. Questa non poteva essere una semplice ribellione da parte di Elaida – quella donna avrebbe dovuto essere pazza! – ma, nel nome del Sommo Signore, cos’era accaduto per darle il coraggio? Cosa?
La mano di Elaida percosse la superficie dello scrittoio con uno schianto sonoro, un colpo che fece sbatacchiare una delle scatole laccate lì sopra. «Quando ti dico di startene nell’angolo, Figlia,» disse in tono basso e pericoloso «mi aspetto che tu obbedisca.» I suoi occhi scintillavano. «O devo forse convocare la Maestra delle Novizie in modo che queste Sorelle possano assistere alla tua punizione ‘privata’?»
Il calore pervase il volto di Alviarin, in parte umiliazione e in parte rabbia. Per il fatto che qualcuno udisse certe cose, e in sua presenza!
Anche la paura ribollì in lei, e il suo stomaco si fece acido. Qualche parola da parte sua ed Elaida avrebbe dovuto affrontare l’accusa di aver mandato le Sorelle al disastro e alla prigionia, non una volta ma due. Erano già cominciate a circolare voci sugli eventi a Cairhien; voci nebulose, che diventavano più certe ogni giorno. E una volta che si fosse saputo che oltretutto Elaida aveva inviato cinquanta Sorelle a tentare di sconfiggere centinaia di uomini in grado di incanalare, nemmeno l’esistenza delle Sorelle ribelli che svernavano nel Murandy col loro esercito le avrebbe permesso di conservare la stola dell’Amyrlin sulle sue spalle, o la testa. Non poteva osare farle questo. Ameno che... A meno che non potesse screditare Alviarin come membro dell’Ajah Nera. Questo avrebbe potuto farle ottenere un po’ di tempo. Solo un po’, certo, una volta che i fatti sui Pozzi di Dumai e sulla Torre Nera fossero venuti a galla, ma Elaida poteva essere pronta ad aggrapparsi a qualunque spiraglio. No, non era possibile, non poteva essere vero. La fuga non era certo un’opzione. Per prima cosa, se Elaida era disposta a formulare delle accuse, la fuga non avrebbe fatto che confermarle. Inoltre Mesaana l’avrebbe trovata e uccisa, se fosse scappata. Tutto questo le balenò in testa mentre si spostava pesantemente per andare a mettersi nell’angolo come una novizia in punizione. Doveva esserci un modo per recuperare questa situazione, qualunque cosa fosse accaduta. C’era sempre un modo per recuperare. Ascoltare poteva farglielo trovare. Avrebbe pregato, se solo l’Oscuro Signore avesse ascoltato le preghiere.
Elaida la scrutò per un momento, poi annuì soddisfatta. Gli occhi della donna però brillavano ancora in preda all’eccitazione. Sollevando il coperchio di una delle tre scatole laccate sul suo tavolo, ne trasse un piccolo intaglio di una tartaruga in avorio scurito dall’età e lo strofinò fra le dita. Accarezzare gli intagli conservati in quella scatola era un’abitudine che aveva quando voleva calmare i nervi. «Ora» disse. «Mi stavate spiegando perché dovrei acconsentire a dei negoziati.»
«Non stavamo chiedendo il permesso, Madre» disse in tono deciso Suana, protendendo il mento. Il suo era fin troppo pronunciato, una pietra squadrata, e lo spingeva all’infuori verso chiunque per via della sua arroganza. «Una decisione di questo tipo appartiene al Consiglio. Da parte dell’Ajah Gialla c’è una forte propensione.» Il che significava che era lei ad avere una forte propensione. Era il capo dell’Ajah Gialla, la Prima Tessitrice, qualcosa che Alviarin sapeva perché l’Ajah Nera conosceva tutti i segreti delle Ajah, o quasi tutti, e agli occhi di Suana le sue opinioni erano quelle della sua Ajah.
Doesine, l’altra Gialla presente, osservò Suana in tralice, ma non disse nulla. Pallida e magra come un ragazzo, Doesine aveva l’aria di non voler essere lì, un grazioso ragazzo imbronciato che era stato trascinato per l’orecchio da qualche parte. Le Adunanti spesso si tiravano indietro quando il capo della loro Ajah faceva pressioni, ma non era impossibile che Suana avesse trovato un modo.
«Anche molte Bianche sono a favore dei negoziati» disse Ferane, accigliandosi distrattamente a una macchia d’inchiostro su un dito grassoccio. «È la cosa più logica da fare, nelle circostanze attuali.» Era la Prima Ragionatrice, capo dell’Ajah Bianca, ma rispetto a Suana era meno probabile che considerasse le proprie opinioni come quelle dell’intera Ajah. Meno probabile, ma di poco. Ferane spesso sembrava distratta quanto le peggiori fra le Marroni – i lunghi capelli neri che incorniciavano il suo volto parevano aver bisogno di una spazzolata, e parte della frangia del suo scialle sembrava essere stata incautamente inzuppata nel té della colazione – ma poteva individuare la pur minima falla nella logica di un’argomentazione. Poteva anche darsi che fosse lì da sola semplicemente perché non riteneva che le occorresse assistenza da parte delle altre Adunanti Bianche.
Appoggiandosi contro lo schienale della sua alta sedia, Elaida assunse un’espressione torva, le sue dita che accarezzavano la tartaruga sempre più veloci, e Andava parlò rapidamente, senza guardare Elaida mentre fingeva di aggiustare lo scialle con la frangia grigia lungo le braccia.
«Il punto, Madre, è che dobbiamo trovare un modo per mettere fine a questa situazione pacificamente» disse, l’accento tarabonese marcato nelle sue parole come quando si sentiva a disagio. Di solito diffidente vicino a Elaida, lanciò un’occhiata a Yukiri come sperando in un sostegno, ma quella donna piccola ed esile voltò lievemente la testa di lato. Yukiri era straordinariamente ostinata per essere così minuta; a differenza di Doesine, non si sarebbe lasciata intimidire da pressioni. Allora perché si trovava qui se non voleva esserci? Rendendosi conto che doveva cavarsela da sola, Andaya proseguì. «Non bisogna permettere che si arrivi a un combattimento per le strade di Tar Valon. O nella Torre; specialmente non questo, non di nuovo. Finora le ribelli sono sembrate soddisfatte di starsene a osservare la città, ma non può durare. Hanno riscoperto come Viaggiare, Madre, e l’hanno utilizzato per trasportare un esercito da centinaia di leghe di distanza. Dobbiamo intavolare dei negoziati prima che decidano di avvalersi del Viaggiare per portare quell’esercito dentro Tar Valon, o tutto sarà perduto perfino se vinciamo.»
Con i pugni stretti nelle gonne, Alviarin deglutì forte. Pensava che gli occhi le sarebbero schizzati fuori dalle orbite. Le ribelli sapevano come Viaggiare? Erano già qui a Tar Valon? E queste sciocche volevano negoziare? Riusciva a vedere piani attentamente architettati, schemi cautamente disposti evaporare come foschia al sole estivo. Forse l’Oscuro Signore avrebbe ascoltato, se avesse pregato con fervore. Il cipiglio di Elaida non diminuì, ma posò la tartaruga d’avorio con molta cautela e la sua voce tornò simile al solito, il vecchio solito, prima che Alviarin la sottomettesse, con un fondo d’acciaio sotto la delicatezza delle parole. «Anche l’Ajah Marrone e la Verde appoggiano i negoziati?»
«La Marrone» esordì Shevan, poi increspò le labbra pensierosa e cambiò visibilmente quello che aveva intenzione di dire. Dall’esterno sembrava del tutto compassata, tuttavia si stava strofinando inconsciamente i lunghi pollici contro gli indici ossuti. «La Marrone è piuttosto chiara sui precedenti storici. Tu hai letto tutte le cronache segrete, o avresti dovuto. Ogni volta che la Torre è stata divisa al suo interno, il disastro si è abbattuto sul mondo. Con l’Ultima Battaglia che incombe, in un mondo che contiene la Torre Nera, non possiamo permetterci di rimanere divise un giorno in più di quanto sia necessario.»
Pareva impossibile che il volto di Elaida potesse incupirsi ancora di più, ma lo fece al sentir menzionare la Torre Nera. «E la Verde?» La sua voce era ancora controllata.
Tutte e tre le Adunanti Verdi si trovavano lì, indicando un sostegno molto forte tra la loro Ajah, o una pesante pressione dal capo delle Verdi. In qualità di più anziana, Talene avrebbe dovuto rispondere a Elaida – le Verdi si attenevano alla loro gerarchla per tutto – ma l’alta donna dai capelli dorati per qualche ragione lanciò un’occhiata a Yukiri, poi, cosa altrettanto strana, a Doesine, quindi abbassò gli occhi verso il tappeto e se ne restò a pizzicare le sue gonne di seta verde. Rina si accigliò un po’, corrugando il suo naso levato verso l’alto con aria perplessa, ma indossava lo scialle da meno di cinquant’anni, perciò toccava a Rubinde replicare. Una donna vigorosa, Rubinde appariva bassa e tarchiata accanto a Talene, e quasi scialba malgrado gli occhi color zaffiro.
«Sono stata incaricata di sollevare le stesse argomentazioni di Shevan» disse, ignorando lo sguardo sconcertato che Rina le rivolse. Era chiaro che c’erano state pressioni da parte di Adelorna, il Capitano Generale delle Verdi, ed era ovvio che Rubinde non era d’accordo se era disposta a renderlo pubblico. «Tarmon Gai’don sta arrivando, la Torre Nera è una minaccia quasi altrettanto pericolosa e il Drago Rinato è scomparso, sempre che non sia morto. Non possiamo più permetterci di rimanere divise. Se Andava può convincere le ribelli a tornare nella Torre, dobbiamo lasciarla provare.»
«Capisco» disse Elaida in tono piatto. Ma stranamente il suo colorito migliorò e una traccia di sorriso toccò perfino la sua bocca.
«Allora portatele pure indietro, se ci riuscite. Ma i miei editti restano. L’Ajah Azzurra non esiste più, e ogni Sorella che segue quella bambina, Egwene al’Vere, deve scontare una penitenza sotto la mia guida prima di essere riammessa in qualsiasi Ajah. Intendo saldare la Torre Bianca in un’arma da usare a Tarmon Gai’don.»
Ferana e Suana aprirono la bocca, la protesta dipinta sulle loro facce, ma Elaida le zittì alzando una mano. «Ho parlato, figlie. Ora lasciatemi, e occupatevi dei vostri... negoziati.»
Non c’era nulla che le Adunanti potessero fare tranne sfidarla apertamente. Godevano degli stessi diritti del Consiglio, ma questo di rado osava intromettersi nell’autorità dell’Amyrlin Seat. A meno che l’intero Consiglio fosse unito contro l’Amyrlin, e questo era tutt’altro che unito su qualunque questione. Alviarin stessa aveva contribuito a questo. Se ne andarono, Ferane e Suana con la schiena rigida e le labbra serrate, Andava quasi sgattaiolando. Nessuna di loro lanciò nemmeno un’occhiata in direzione di Alviarin.
Attese a malapena che la porta si chiudesse dietro l’ultima. «Questo non cambia proprio nulla, Elaida, di certo lo sai. Devi pensare con chiarezza, non inciampare su una momentanea follia.» Sapeva che stava farneticando, ma non pareva in grado di fermarsi. «Il disastro ai Pozzi di Dumai, la certa sventura alla Torre Nera: queste decisioni possono ancora spodestarti. Hai bisogno di me, Elaida. Tu...» Serrò i denti prima che la sua lingua gettasse tutto al vento. Doveva esserci ancora un modo.
«Mi sorprende che tu sia tornata» disse Elaida alzandosi e lisciando le sue gonne sferzate di rosso. Non aveva mai abbandonato il suo modo di vestirsi come una Rossa. Stranamente stava sorridendo quando girò attorno al tavolo. Non l’accenno di un sorriso, ma una curva delle labbra piena e compiaciuta. «Ti sei nascosta da qualche parte in città dall’arrivo delle ribelli? Pensavo che ti fossi imbarcata su una nave nel momento in cui avevi appreso che erano qui. Chi avrebbe mai pensato che avrebbero riscoperto come Viaggiare? Immagina quello che potremo fare quando ne saremo a conoscenza.» Sorridendo, scivolò lungo il tappeto.
«Ora fammi capire. Cos’ho da temere da te? Le storie provenienti da Cairhien sono sulle labbra di tutte nella Torre, ma perfino se ci fossero davvero delle Sorelle che obbediscono al ragazzo al’Thor, cosa a cui io non riesco a credere, tutte incolpano Coiren. Lei aveva la responsabilità di portarlo qui, ed è come se già fosse stata processata e condannata, nelle menti delle Sorelle.» Elaida si fermò di fronte ad Alviarin, chiudendola nell’angolo. Il sorriso non raggiunse mai i suoi occhi. Sorrideva, e i suoi occhi scintillavano. Alviarin non riusciva a sottrarsi a quello sguardo. «Nell’ultima settimana abbiamo sentito anche un bel po’ di cose sulla Torre Nera.» Le labbra di Elaida a quel nome si contorsero dal disgusto. «Sembra che ci siano ancora più uomini di quanti avevi ipotizzato. Ma tutte pensano che Toveine avrebbe dovuto avere il buon senso di apprenderlo prima di attaccare. Ci sono state un bel po’ di discussioni al riguardo. Se dovesse tornare qui strisciando sconfitta, la colpa ricadrà tutta su di lei. Perciò le tue minacce...»
Alviarin indietreggiò contro il muro, cercando di scacciare i puntini dalla sua vista, ancora prima di rendersi conto che l’altra donna l’aveva schiaffeggiata. Si sentiva già la guancia gonfia. Il bagliore di saidar aveva circondato Elaida, e lo schermo si posò su Alviarin prima che potesse muoversi, isolandola dal Potere. Ma Elaida non intendeva usare il Potere. Tirò indietro un pugno. Ancora sorridendo. Lentamente, la donna trasse un profondo respiro e lasciò ricadere la mano. Non rimosse lo schermo, comunque. «Lo useresti davvero?» chiese in un tono quasi mite.
La mano di Alviarin si ritrasse di colpo dall’elsa del pugnale alla sua cintura. Lo aveva afferrato di riflesso, ma anche se Elaida non avesse trattenuto il Potere, ucciderla quando così tante Adunanti sapevano che erano assieme sarebbe stato equivalente a un suicidio. Nondimeno, il suo volto era in fiamme quando Elaida tirò su col naso con fare sprezzante.
«Aspetto solo di vedere il tuo collo steso sul ceppo del boia per tradimento, Alviarin, ma finché non avrò le prove che mi occorrono, ci sono ancora alcune cose che posso fare. Ti ricordi quante volte hai fatto venire Silviana per impartirmi penitenze private? Spero di sì, perché ne subirai dieci per ognuna che ho patito. E... ah, sì.» Con uno strattone tirò via la stola da Custode degli Annali dal collo di Alviarin. «Dal momento che nessuno è riuscito a trovarti quando le ribelli sono arrivate, ho chiesto al Consiglio di rimuoverti dall’incarico di Custode degli Annali. Non l’intero Consiglio, ovviamente. Può darsi che lì tu goda ancora di qualche influenza. Ma è stato sorprendentemente facile ottenere il consenso da coloro che erano presenti quel giorno. Si suppone che una Custode degli Annali stia con la sua Amyrlin, non che se ne vada a zonzo per conto suo. Ripensandoci, può darsi che tu non goda più di alcuna influenza, dato che a quanto pare eri nascosta in città per tutto il tempo. O sei tornata indietro per nave aspettandoti di trovare il disastro, pensando davvero di poter recuperare qualcosa dalle rovine?
«Non importa. Forse sarebbe stato meglio se fossi saltata sulla prima barca che lasciava Tar Valon. Ma devo ammetterlo, il pensiero di svignartela di villaggio in villaggio vergognandoti di mostrare la tua faccia a un’altra Sorella impallidisce di fronte al piacere che proverò nel vederti soffrire. Ora allontanati dalla mia vista prima che decida di consegnarti alla verga piuttosto che alla cinghia di Silviana.» Gettando a terra la stola bianca, le voltò le spalle e lasciò andare saidar, scivolando verso la sua sedia come se Alviarin avesse cessato di esistere. Alviarin non si limitò ad andarsene: fuggì, correndo come se avesse sul collo il fiato dei Segugi Neri. Era stata a malapena in grado di pensare da quando aveva udito la parola tradimento. Quella parola le riecheggiava nella testa e le faceva venire voglia di ululare. Tradimento poteva significare una sola cosa: Elaida sapeva, e stava cercando le prove. Che l’Oscuro Signore avesse pietà. Ma non l’aveva mai. La pietà era per coloro che avevano paura di esse forti. Lei non aveva semplicemente paura. Era solo una pelle ricolma di terrore fino a scoppiare.
Fuggì giù per la Torre, e se ci fosse stato qualche servitore nei corridoi non l’avrebbe visto. Il terrore rendeva i suoi occhi ciechi a qualunque cosa non fosse direttamente sul suo cammino. Corse fin giù al sesto livello, ai suoi appartamenti. Almeno presumeva che fossero ancora suoi, per il momento. Le stanze col balcone che dava sulla grande piazza di fronte alla Torre erano associate all’incarico di Custode degli Annali. Per il momento era più che sufficiente che avesse delle stanze. E un’opportunità di vivere.
L’arredamento era ancora costituito dai mobili domanesi lasciati dall’occupante precedente, tutti di legno con striature chiare, intarsiato con ambra e madreperla. Giunta in camera da letto, aprì uno dei guardaroba e cadde in ginocchio, scostando i vestiti per frugare sul fondo in cerca di un piccolo scrigno, una piccola scatola quadrata che era sua da molti anni. L’intarsio sulla scatola era intricato ma rozzo, file di nodi diversi apparentemente realizzati da un intagliatore con più ambizione che abilità. Le mani le tremavano mentre la portava a un tavolo; l’appoggiò per asciugarsi le mani umide sul vestito. Il trucco per aprire la scatola consisteva semplicemente nell’allargare le dita il più possibile e premere nello stesso momento quattro diversi nodi nell’intaglio. Il coperchio si sollevò di poco, e lei lo aprì del tutto, rivelando il suo oggetto più prezioso avvolto in un piccolo panno di tela marrone per impedire che sbatacchiasse se per caso una cameriera avesse scosso la scatola. Molti dei servitori della Torre non si arrischiavano a rubare, ma molti non voleva dire tutti. Per un momento Alviarin si limitò a fissare il pacchetto. Era il suo oggetto più prezioso, risalente all’Epoca Leggendaria, ma non aveva mai osato utilizzarlo prima. Solo nella più grave emergenza, aveva detto Mesaana, nella necessità più disperata, tuttavia quale poteva essere più urgente di questa? Mesaana aveva detto che quell’oggetto poteva sopportare delle martellate senza rompersi, ma lei aprì l’involto con la cura che avrebbe usato per uno squisito vetro soffiato, rivelando un ter’angreal, una verga rosso brillante non più grande del suo indice, la cui superficie era completamente liscia tranne per alcune linee sottili istoriate in un disegno sinuoso e intricato. Abbracciando la Fonte, toccò quello schema con finissimi flussi di Fuoco e Terra in due delle interconnessioni. Ciò non sarebbe stato necessario nell’Epoca Leggendaria, ma quelli che erano chiamati ‘flussi stabili’ non esistevano più. Un mondo in cui quasi ogni ter’angreal poteva essere usato da persone incapaci di incanalare pareva tanto strano da andare oltre la comprensione. Perché era stato permesso?
Premendo forte col pollice un’estremità della verga – l’Unico Potere da solo non era sufficiente – si accasciò su una sedia reclinandosi contro il basso schienale e fissando l’oggetto nella sua mano. Era fatta. Si sentiva vuota, ora, un vasto spazio cavo con paure che svolazzavano nell’oscurità come enormi pipistrelli.
Invece di riporre il ter’angreal nel suo involto, se lo infilò nel borsello che aveva alla cintura e si alzò per il tempo necessario a rimettere la scatola nel guardaroba. Finché non avesse saputo di essere al sicuro, non intendeva tenere l’oggetto lontano da sé. D’altro canto tutto ciò che poteva fare era starsene seduta ad aspettare, dondolando avanti e indietro con le mani serrate fra le ginocchia. Non riusciva a smettere di dondolare più di quanto potesse fermare i bassi gemiti che le scivolavano fra i denti. Da quando la Torre era stata fondata, nessuna Sorella era mai stata accusata di essere dell’Ajah Nera. Oh, c’erano stati sospetti su qualche Sorella, e in certe occasioni delle Aes Sedai erano morte per far sì che quei sospetti non diventassero qualcosa di più, ma non si era mai arrivati a incriminazioni ufficiali. Se Elaida era disposta a menzionare a chiare lettere il ceppo del boia, doveva essere vicina a formulare delle accuse. Molto vicina. Anche le Sorelle Nere erano state fatte sparire, ogni volta che i sospetti erano aumentati troppo. L’Ajah Nera rimaneva nascosta a qualunque prezzo. Desiderava poter smettere di gemere.
Tutt’a un tratto la luce nella stanza si affievolì, avviluppando la camera in vorticanti ombre crepuscolari. La luce del sole che batteva contro le finestre pareva incapace di penetrare i vetri. Alviarin si mise in ginocchio in un istante, gli occhi bassi. Tremolò per la voglia di sfogare le proprie paure, ma con i Prescelti bisognava seguire l’etichetta. «Vivo per servire, Grande Padrona» disse, e non aggiunse altro. Non poteva perdere neanche un momento, tanto meno un’ora a urlare dal dolore. Teneva le mani serrate per impedire che tremassero.
«Qual è la tua grave emergenza, bambina?» Era una voce di donna, ma simile a campanelli di cristallo. Campanelli scontenti. Solo scontenti. Campanelli arrabbiati avrebbero significato morte immediata.
«Se pensi che alzerò un dito per riprendere la stola da Custode degli Annali per te, ti sbagli di grosso. Puoi portare ancora a termine il tuo incarico con qualche sforzo in più. E puoi considerare le tue penitenze con la Maestra delle Novizie come una piccola punizione da parte mia. Ti avevo avvertito di non calcare troppo la mano con Elaida.»
Alviarin si rimangiò le sue proteste. Elaida non era una donna che si potesse piegare senza forti pressioni. Mesaana doveva saperlo. Ma le proteste potevano essere pericolose, con i Prescelti. Molte cose erano pericolose, con i Prescelti. In ogni caso, la cinghia di Silviana era un’inezia a paragone dell’ascia del boia.
«Elaida sa, Grande Padrona» mormorò, sollevando gli occhi. Di fronte a lei si ergeva una donna di luce e ombra, vestita di luce e ombra, tutta neri cupi e bianchi argentati che mutavano di continuo dall’uno all’altro. Occhi argentei la fissavano accigliati da un volto di fumo, con labbra d’argento tirate in una linea serrata. Era solo Illusione, e certo non migliore di quanto avrebbe potuto fare Alviarin. Un guizzo di una gonna di seta verde ricamata con fasce color bronzo apparve quando Mesaana scivolò lungo il tappeto domanese. Ma Alviarin non era in grado di vedere i flussi che formavano l’Illusione più di quanto avesse percepito quelli che la donna aveva usato per arrivare o per sprofondare la stanza nelle ombre. Per quanto poteva percepire, Mesaana non era affatto in grado di incanalare! La sete di quei due segreti di solito la tormentava, ma oggi la notò a malapena. «Sa che sono dell’Ajah Nera, Grande Padrona. Se mi ha scoperto, allora qualcuno ha scavato più in profondità per lei. Dozzine di noi possono essere a rischio, forse tutte.» Meglio rendere la minaccia più grande possibile per avere la certezza di una risposta. E poi poteva essere davvero cosi.
Ma la risposta di Mesaana fu un gesto di noncuranza con una mano ora argentata. Il suo volto splendeva come una luna attorno a occhi più neri del carbone. «Questo è ridicolo. Elaida non riesce a decidere un giorno sì e l’altro no se credere o meno all’esistenza dell’Ajah Nera. Stai soltanto cercando di risparmiarti qualche sofferenza. Forse un po’ di dolore in più ti ammaestrerà sul tuo errore.» Alviarin cominciò a implorare mentre Mesaana sollevava più in alto quella mano, e un flusso che ricordava fin troppo bene si formò nell’aria. Doveva fare in modo che quella donna capisse!
All’improvviso le ombre nella stanza traballarono. Ogni cosa parve spostarsi di lato mentre l’oscurità si addensava in grumi di buio. E poi l’oscurità comparve. Sconcertata, Alviarin si ritrovò con le mani imploranti protese verso una donna dagli occhi azzurri in carne e ossa, abbigliata in verde con ricami color bronzo. Una donna vagamente familiare che pareva di qualche anno più giovane della mezza età. Sapeva che Mesaana si era aggirata per la Torre mascherata come una delle Sorelle e nessun Prescelto da lei incontrato mostrava segni di un volto privo di età, tuttavia non riusciva ad associare quel volto a nessun nome. E si rese conto anche di qualcos’altro. Quel volto era spaventato. Lo nascondeva, ma era spaventato.
«È stata molto utile» disse Mesaana, in tono tutt’altro che spaventato e con una voce che le pareva quasi di riconoscere «e ora dovrò ucciderla.»
«Sei sempre stata troppo propensa... agli sprechi» replicò una voce aspra, come un osso marcio che si sbriciola sotto i piedi. Alviarin crollò dallo shock al vedere l’alta sagoma di un uomo in una contorta armatura nera, tutta formata da lamine sovrapposte come le squame di un serpente, di fronte a una delle finestre. Non era un uomo, però. Quel volto esangue non aveva occhi, solo liscia pelle bianca e morta dove si sarebbero dovuti trovare. Aveva incontrato dei Myrddraal in precedenza, al servizio dell’Oscuro Signore, ed era perfino riuscita a sostenere i loro sguardi privi di occhi senza tradire l’orrore che le causavano, ma questo la fece sgattaiolare all’indietro fino a urtare una gamba del tavolo. I Lurk erano uguali come gocce d’acqua, alti, magri e identici, ma questo era più alto di una testa e da lui la paura sembrava irradiarsi instillandosi dentro le sue ossa. Senza pensare, raggiunse la Fonte. E per poco non urlò. La Fonte era sparita! Non era schermata: semplicemente lì non c’era nulla che potesse abbracciare! Il Myrddraal la guardò e sorrise. I Lurk non sorridevano mai. Mai. Il respiro le uscì a rantoli soffocati.
«Può essere utile» stridette il Myrddraal. «Non vorrei l’Ajah Nera distrutta.»
«Chi sei tu per sfidare uno dei Prescelti?» domandò Mesaana sprezzante, poi rovinò l’effetto umettandosi le labbra.
«Credi forse che la Mano dell’Ombra sia solo un nome?» La voce del Myrddraal non raspava più. Era vuota e pareva riecheggiare come in profonde caverne da una distanza inimmaginabile. La creatura crebbe mentre parlava, aumentando di dimensioni fino a sfiorare il soffitto con la testa, oltre due spanne più in alto. «Sei stata convocata e non sei venuta. La mia mano giunge lontano, Mesaana.»
Tremando visibilmente, la Prescelta aprì la bocca, forse per supplicare, poi all’improvviso un fuoco nero avvampò attorno a lei e urlò quando i suoi vestiti le caddero di dosso ridotti in cenere. Fasci di fiamme nere le legarono le braccia ai fianchi, si avvilupparono stretti attorno alle sue gambe, e una sfera di nero ribollente le apparve in bocca, aprendole a forza la mascella. Restò lì a contorcersi, nuda e inerme, e lo sguardo di quegli occhi roteanti indusse quasi Alviarin a farsela sotto.
«Vuoi sapere perché uno dei Prescelti dev’essere punito?» Con la voce tornata a un raspare stridente, il Myrddraal pareva solo un Lurk troppo alto, ma Alviarin non si faceva ingannare. «Vuoi guardare?» le chiese.
Sarebbe dovuta crollare a faccia in giù sul pavimento, supplicare per la propria vita, ma non riusciva a muoversi. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel volto senza occhi. «No, Sommo Signore» riuscì a dire con la bocca secca come polvere. Lei lo sapeva. Non era possibile, ma lo sapeva. Si rese conto che lacrime le colavano lungo le guance.
Il Myrddraal sorrise di nuovo. «Molti sono caduti da grandi altezze per aver voluto sapere troppo.»
L’essere fluì verso di – no, non un essere – il Sommo Signore, vestito della pelle di un Myrddraal, fluì verso di lei. Camminò su delle gambe, tuttavia non c’erano altre parole per descrivere il modo in cui si mosse. La pallida forma ammantata di nero si chinò verso di lei, e Alviarin avrebbe strillato al tocco delle dita di lui sulla sua fronte. Avrebbe strillato se fosse riuscita a fare appello a un qualche suono. I suoi polmoni erano sacche prive d’aria. Quel tocco bruciava come un ferro incandescente. Si domandò vagamente perché non percepisse l’odore della propria carne cauterizzata. Il Sommo Signore si raddrizzò e il dolore bruciante scemò e scomparve. Il suo terrore però non diminuì neanche un po’.
«Sei marchiata come mia» stridette il Sommo Signore. «Mesaana non ti farà del male, ora. A meno che io non le dia il permesso. Troverai coloro che minacciano le mie creature qui e li consegnerai a me.» Le voltò le spalle e l’armatura nera cadde dal suo corpo. Lei rimase di sasso quando colpì i tappeti che ricoprivano il pavimento con uno schianto d’acciaio invece che semplicemente scomparire. Era vestito di nero, e lei non avrebbe saputo dire se si trattasse di seta, cuoio o qualcos’altro. Quel colore scuro pareva risucchiare la luce dalla stanza. Mesaana cominciò a contorcersi nei suoi legacci, lanciando strilli acuti attraverso il bavaglio che le copriva la bocca. «Vai adesso,» disse lui «se desideri vivere un’altra ora.» Il suono proveniente da Mesaana crebbe fino a un urlo di disperazione.
Alviarin non seppe in che modo uscì dalle sue stanze – non riusciva a capire come si fosse messa in piedi dal momento che si sentiva le gambe come gelatina – ma si ritrovò a correre per i corridoi, le gonne tirate fino al ginocchio e andando più veloce che poteva. A un tratto la cima di un’ampia rampa di scale comparve davanti a lei e riuscì a malapena a fermarsi prima di ruzzolare giù. Appoggiandosi tremante al muro, guardò in basso lungo la rampa ricurva di bianchi gradini di marmo. Nella sua mente poteva vedere il suo corpo che si rompeva capitombolando giù.
Col respiro affannoso, in rantoli fiochi e arrochiti, si mise una mano tremante sulla fronte. I suoi pensieri ruzzolavano uno sopra l’altro, come avrebbe fatto lei per le scale. Il Sommo Signore l’aveva marchiata come sua. Le sue dita scivolarono sulla pelle liscia e immacolata. Aveva sempre tenuto in gran conto la conoscenza – il potere derivava dalla conoscenza – ma non voleva sapere cosa stava succedendo nelle stanze che aveva lasciato. Desiderò non sapere che qualcosa stava accadendo. Il Sommo Signore l’aveva marchiata, ma Mesaana avrebbe trovato un modo di ucciderla per ciò che sapeva. Il Sommo Signore l’aveva marchiata e le aveva impartito un ordine. Avrebbe potuto vivere, se avesse trovato chi stava dando la caccia all’Ajah Nera. Raddrizzando la schiena con uno sforzo, si affrettò a sfregarsi via le lacrime dalle guance. Non riusciva a distogliere gli occhi dalle scale che scendevano davanti a lei. Di certo Elaida sospettava di lei, ma se non aveva altro, Alviarin poteva sempre inventarsi un’indagine. Questa doveva semplicemente includere la stessa Elaida come una minaccia a cui porre fine. Da consegnare al Sommo Signore. Le sue dita tornarono di nuovo alla fronte. Aveva l’Ajah Nera ai suoi ordini. Pelle liscia e immacolata. Talene era stata lì, nelle stanze di Elaida. Perché aveva guardato Yukiri e Doesine a quel modo? Talene era Nera, anche se non conosceva la vera identità di Alviarin, ovviamente. Un marchio del genere sarebbe apparso in uno specchio? C’era qualche segno che altri potessero vedere? Se doveva architettare un piano per individuare le presunte investigatrici di Elaida, Talene poteva essere un buon inizio. Cercò di tracciare il percorso che un qualunque messaggio avrebbe seguito da cuore a cuore prima di raggiungere Talene, ma non riuscì a smettere di fissare le scale, vedendo il suo colpo rimbalzare e spezzarsi mentre giungeva in fino. Il Sommo Signore l’aveva marchiata.