CAPITOLO XLII

Gli studiosi dei dischi volanti entrarono a Vandenberg Due senza incontrare ostacoli né fanfare, e in maniera per nulla romantica… sporchi e infangati e laceri e abbattuti.

Non c'era nessuno a vigilare il reticolato, che fino a poco prima era stato sotto metri e metri di acqua salata, nessuno di guardia sul grande cancello, che ora era aperto e traballante… non c'era niente di niente, anzi, a eccezione di dodici centimetri di fanghiglia scivolosa… così essi entrarono, semplicemente, con le loro macchine, quasi tutti a terra per alleggerire i veicoli, e iniziarono la salita che portava all'altopiano.

Hunter era al volante della Corvette. Tutto il sedile posteriore era occupato dalla massa di Wanda, che ne traboccava, anzi, e ansimava affannosamente. Nemmeno Wojtowicz era stato capace di farle superare a urlacci quel nuovo attacco di cuore.

La signora Hixon stava guidando il camion, perché Bill Hixon voleva osservare il cielo, dove il Vagabondo, che mostrava il mandala, e lo Straniero, erano ormai allo zenit… e perché non le importava un accidente, come aveva ripetuto più volte. Era sola nella cabina… Pop avrebbe voluto restare, ma lei gli aveva detto che puzzava più del fango, e il camion era di Bill, e lui non l'avrebbe sopportato.

In fondo al camion c'erano Ray Hanks e Ida, la quale curava sia la gamba di Ray che la sua caviglia gonfia. Non credeva nei sonniferi, e faceva ingerire — e ingeriva — malgrado le deboli proteste di Bill, grandi quantitativi di aspirina.

«Masticale,» diceva a Ray. «Sono tanto amare che non si pensa ad altro.»

Tutti gli altri andavano a piedi. Già per tre volte alcuni di loro avevano dovuto spingere il camion, per fargli superare i punti peggiori, e per due volte il camion aveva dovuto trainare la Corvette, impantanata in pozzanghere più fonde. Tutti erano macchiati di fango, le scarpe erano globi gonfi di fanghiglia; e gli pneumatici del camion erano infangati a loro volta, tanto che le catene non servivano.

Si vide una traccia di colorazione azzurra, nel chiarore combinato dei due pianeti che bagnava il paesaggio fangoso. Harry McHeath, che per la sua età era in grado, come pochi di loro, di tener d'occhio due cose contemporaneamente, esclamò:

«Ricominciano! Lo stanno facendo tutti e due!»

Quattro raggi diritti, sottili e di un azzurro violento si stendevano attraverso la grigia pianura del cielo, dallo Straniero al Vagabondo. Ma ora, invece di passare a una certa distanza, essi convergevano. Eppure non colpivano il Vagabondo, ma si fermavano vicinissimi, lo spazio di un capello di cielo grigio, e venivano respinti in quattro deboli ventagli bluastri.

«Probabilmente colpiscono un campo difensivo,» ipotizzò l'Omino.

«Come le battaglie dei Figli della Lente!» esclamò al colmo dell'eccitazione McHeath.

Tre raggi violetti, assai simili, uscivano dal Vagabondo, diretti verso lo Straniero, e venivano intercettati. I raggi azzurri e violetti si allungavano, s'incrociavano, tra i due pianeti, come un gioco di elastici intrecciati, in una perfetta configurazione geometrica.

«Ci siamo!» gridò Hixon, con forza.

Wojtowicz stava osservando la scena con tanta intensità, che uscì dalla strada. Con la coda dell'occhio, McHeath lo vide cadere e sparire, e corse da quella parte.

«Sto benissimo, ragazzo, sono soltanto scivolato un poco… vedi, posso raggiungerti,» rispose Wojtowicz, in tono rassicurante, alla chiamata ansiosa di McHeath. «Dammi una mano per salire, per favore… non voglio perdere un solo secondo della scena!»

Hixon gridò, rivolgendosi alla signora Hixon sul camion:

«Dovresti essere qui a vedere, tesoro… è fantastico!»

Dalla cabina, la voce della signora Hixon rispose:

«Guarda anche per me i fuochi artificiali, Billy caro… io continuo a guidare il camion!» E suonò rabbiosamente il clacson per chiedere strada, poiché la Corvette pareva sul punto di fermarsi.

Ma Hunter stava soltanto rallentando. Aveva lanciato un paio di rapide occhiate ai due pianeti guerreggianti, ma gli pareva ancora più importante fare entrare il suo gruppo nel sancta sanctorum dell'Astronautica mentre durava l'eccitazione generale, che probabilmente favoriva la loro entrata. Lui doveva fare questo, e consegnare a Opperly la pistola a momentum scarica… aveva cominciato a condividere buona parte dell'ossessione di Margo, su questo punto. Mentre lei, che camminava faticosamente sulla strada, a sinistra della macchina, era evidentemente dello stesso umore, e aveva la stessa determinazione.

Così Hunter chiamò a gran voce:

«Avanti, gente! Adesso giriamo a destra. Non finite fuori strada!» E fece salire finalmente la macchina sul terrapieno.

Là, finalmente, trovarono del personale della base… tre soldati che probabilmente avevano costituito il corpo di guardia, a giudicare dalle tre armi appoggiate alla parete della capanna di metallo dietro di loro, ma che in quel momento erano intenti a osservare la battaglia interplanetaria. Uno di loro faceva schioccare le dita.

Quando il camion arrivò sul terrapieno, dopo la Corvette, ed entrambi i veicoli si furono fermati, Margo camminò rapidamente verso i soldati.

In alto, tre nuove linee azzurre, e due nuove linee violette si aggiunsero al groviglio dei raggi laser, complicando il gioco degli elastici tesi nel cielo.

Margo toccò la spalla del soldato più vicino, e, vedendo che non reagiva, cominciò a scuoterlo. Il soldato le rivolse un viso sudato e sconvolto.

«Dov'è il professor Morton Opperly?» domandò Margo. «Dove sono gli scienziati?»

«Cristo, che ne so io,» le rispose il soldato. «I cervelloni sono lassù, da qualche parte.» Indicò con un vago cenno della mano l'interno del terrapieno. «Non mi disturbi, signora!» Si voltò di scatto, con lo sguardo nuovamente fisso sul cielo, e batté la mano sulla spalla di uno dei compagni.

«Tony!» gridò. «Scommetto altri due bigliettoni, sulla vittoria del Vecchio Dorato su Palladicannone! Lo ridurrà in briciole!»

«Sei pazzo!»

(Duemilacinquecento miglia a est, Jake Lesher afferrò la spalla di Sally Harris, e ansimò: «Oh, Sal, se avessi potuto organizzare un banco di scommesse, su questo affare!)

Margo continuò a camminare. La signora Hixon suonò di nuovo il clacson. Hunter continuò a guidare, lentamente, seguendo Margo. Chiamò le figure che circondavano i due veicoli, dicendo, seccamente: «Voi, continuate a camminare. Guardate e camminate.»

Davanti a loro, dei fari si muovevano lentamente su pareti bianche, mettendo in risalto gruppetti e gruppi nutriti di uomini; nessuno si muoveva, ma tutti stavano guardando il cielo.

Altri due raggi azzurri lampeggiarono, non esattamente dallo Straniero, ma da punti a circa mezzo diametro di distanza dal nuovissimo pianeta… giganteschi incrociatori da guerra degli spazi siderali. Uno dei nuovi raggi, diritto come un ago, arrivò fino al Vagabondo. Apparve una macchia incandescente sul margine dell'incavo giallo del mandala, a nord, e quando l'accecante luce bianca impallidì, si vide un lungo buco nero, dai margini frastagliati, nella pelle d'oro e porpora del Vagabondo.

La voce di Ann si udì, stridula per il dolore:

«Mammina, stanno facendo male al Vagabondo! È terribile!»

Pop, che avanzava zoppicando, e aveva ricominciato ad agitare il pugno, ringhiò con gioia cupa:

«Friggili, oh, accidenti, friggili! Avanti, continua! Ammazzatevi, bastardi!»

Improvvisamente, i nove raggi azzurri che si bloccavano a pochissima distanza dal Vagabondo cominciarono a espandersi, generando una specie di nube di un pallido azzurro, emisferica, che nascondeva per metà il Vagabondo… una specie di cortina di nebbia attraverso la quale i lineamenti viola e gialli del pianeta si potevano vedere fievolmente. I raggi viola erano svaniti.

«Li stanno affogando,» gridò Hixon. «È fatta.»

«No, io credo che il Vagabondo stia alzando un nuovo tipo di schermo difensivo,» obiettò l'Omino.

Cinque punti accecanti di luce bianca apparvero sulla superficie d'acciaio dello Straniero.

«Missili che esplodono!» ipotizzò McHeath. «Il Vagabondo sta rispondendo colpo su colpo!»

Bacchetto, che respirava affannosamente, e si appoggiava con la mano al fianco del camion, mentre camminava accanto a esso, d'un tratto lanciò un'esclamazione, che era come una supplica piena di dolore:

«Ma che cosa dobbiamo capire, da tutto questo? L'odio e la morte regolano il cosmo, anche tra le più alte civiltà?»

Rama Joan, che fissava il cielo e camminava, tenendo per mano Ann, gli rispose in tono deciso, argentino:

«Gli dei spendono la ricchezza che l'universo raccoglie, esplorano i prodigi e li gettano nel nulla. È per questo che sono gli dei! Vi avevo detto che lassù esistevano dei diavoli.»

Ann disse, in tono accusatore:

«Oh, mammina!»

Secondo l'ipotesi di McHeath, i cinque punti bianchi dovevano essere un'arma d'offesa; e infatti essi erano ingigantiti, gonfiandosi nei pallidi emisferi di altrettanti fronti di esplosione, attraverso i quali la metallica, gelida superficie dello Straniero riapparve intatta.

Hixon disse:

«Non so niente di diavoli e dei, ma adesso so che ci sarà sempre la guerra,» Indicò con la mano lo zenit. «Quale ulteriore prova potremmo chiedere, dopo questa

La signora Hixon gridò, ironicamente, dalla cabina:

«Adesso stai parlando in maniera sensata, Bill, e a che ti serve?»

Bacchetto ansimò:

«Ma quando anche i più alti… e i più saggi… Non esiste alcuna cura?»

Il giovane Harry McHeath ascoltò quella domanda, e la tragedia che essa conteneva accese il fuoco della sua immaginazione, e per un momento egli si vide a bordo di un'astronave monoposta quasi onnipotente, galleggiante nello spazio cosmico, a metà strada tra il Vagabondo e lo Straniero, intenta a deviare i loro fulmini e a farli perdere innocui nello spazio lontano, riuscendo così a curare la loro follia.

L'Omino disse, non a voce alta, quasi parlando tra sé:

«Forse la cura deve venire sempre dal basso. E continuare a venire sempre dal basso. Per sempre.»

Ma Wojtowicz lo udì, e senza distogliere lo sguardo dall'incredibile spettacolo celeste, domandò:

«Che cosa intendi dire, Doddsy? Dal basso? Non vorrai alludere a noi?»

L'Omino lo fissò.

«Sì, Wojtowicz,» disse, facendo una risatina per la comicità dell'assunto, «Dai piccoli esseri senza importanza, dai trascurabili nessuno, come me e come te.»

Wojtowicz scosse il capo.

«Accidenti,» rise. «Sono ubriaco.»

Continuando per tutto il tempo ad avanzare, i veicoli e i pedoni si trovarono a questo punto vicinissimi alle mura illuminate dai riflettori. Un giovanotto che indossava una maglietta bianca passò di corsa accanto a Margo, e afferrò il braccio di un maggiore, gridandogli all'orecchio:

«Opperly dice di spegnere quei maledetti riflettori. Stanno rovinando tutte le nostre osservazioni!»

Hunter, ascoltando quelle parole, fu indotto a pensare ad Archimede che diceva al soldato nemico che aveva camminato sul diagramma tracciato nella sabbia: «Non rovinare il mio circolo!»

Il soldato della leggenda aveva ucciso Archimede, ma questo maggiore stava assentendo con vigorosi cenni del capo, e si voltò immediatamente. Hunter riconobbe il maggiore Buford Humphreys, conosciuto due sere prima. Nello stesso istante Humphreys lo vide, vide Rama Joan e Ann, vide l'intero gruppo di 'maniaci dei dischi' che aveva respinto in precedenza da Vandenberg. Spalancò gli occhi e la bocca, poi, scrollando le spalle per manifestare la più totale incomprensione, e lanciando un altro sguardo al cielo, corse via, gridando:

«Accidenti, caporale, spegni quei maledetti riflettori!»

Nel frattempo Margo aveva afferrato il giovanotto per la manica della maglietta, prima che lui avesse potuto andarsene.

«Ci porti dal professor Morton Opperly!» ordinò lei. «Dobbiamo fare rapporto. Guardi, ho qui un messaggio del professore.»

«D'accordo,» assentì il giovane, senza neppure dare un'occhiata al foglietto sporco e appallottolato. «Mi segua.» Puntò la mano verso i due veicoli. «Ma spegnete quei fari!»

I fari della Corvette e del camion si spensero un attimo prima che la parete bianca diventasse nera, ma Margo seguì il giovanotto. La maglietta bianca rendeva facile, a Hunter, il compito di seguirli. Oltre le due figure ora Hunter vedeva le sagome nere di grandi schermi radar, e il cilindro bianco di un telescopio.

In alto, i raggi azzurri si spensero lungo tutta l'estensione, e la cortina di nebbia intorno al Vagabondo impallidì, per essere istantaneamente sostituita da un centinaio di punti di luce bianca, di un bagliore abbacinante.

Ma nell'istante in cui McHeath, socchiudendo gli occhi, gridò, «Globo d'implosione!» si vide che il Vagabondo era scivolato lateralmente, allontanandosi nel cielo di due diametri, dando l'impressione allucinante che le fondamenta stesse dell'universo si stessero spostando. Il globo d'implosione s'illuminò, quando le bianche esplosioni che erano state sull'altra faccia del Vagabondo filtrarono, e il globo aveva adesso un ampio collo frastagliato, là dove il Vagabondo era sfuggito.

«Hanno reso privo d'inerzia… l'intero pianeta!» esclamò Clarence Dodd.

C'erano almeno sei nuovi buchi frastagliati sulla corteccia del Vagabondo, ora, neri, ma con un cupo rosseggiare verso il centro, in profondità… erano tanti, che i lineamenti del mandala erano a malapena identificabili.

Tangenziale dal fianco del pianeta devastato, scaturì verso lo Straniero un raggio viola, più grande e molte volte più luminoso di tutti i precedenti.

Ma prima che esso fosse arrivato a metà strada dallo Straniero, il pianeta più grande si mosse rapido come uno dei suoi raggi… una carica di rinoceronte attraverso il cielo, che distruggeva ogni traccia del senso di stabilità… raggiungendo una posizione a fianco del Vagabondo. Tra di essi non c'era neppure lo spazio di un diametro lunare.

Il Vagabondo svanì.

Un raggio azzurro partì dallo Straniero, e sfrecciò attraverso lo spazio nel quale era stato il Vagabondo.

«Accidenti, l'hanno fatto a pezzi!» urlò Pop, estatico.

«No, è scomparso una frazione di secondo prima,» lo contraddisse l'Omino. «Bisogna imparare a osservare.»

Lo Straniero, con la fosca superficie d'acciaio intatta, anche se segnata da cicatrici brune e verdognole, rimase sospeso nel cielo per tre, quattro, cinque secondi, poi svanì a sua volta… come una grande lampada elettrica, il cui filamento era il riverbero solare, spenta d'un tratto da una mano capricciosa.

Il fascio dei raggi laser azzurri, e il solitario raggio violetto, strisciarono nello spazio, allentandosi gli uni dagli altri, affievolendosi e accorciandosi, ma sempre in linea retta, nelle più remote distanze astronomiche, mentre il perlaceo globo d'imposione al quale il Vagabondo era sfuggito si fece più pallido, più grande, più spettrale.

«Il Vagabondo è fuggito nell'iperspazio,» disse McHeath.

«Forse, ma era già condannato,» disse Hixon. «È stato colpito, ancora un colpo e sarebbe andato a pezzi, e lo Straniero si è tuffato all'inseguimento. Il Vagabondo è finito.»

«Ma non possiamo esserne certi,» disse Hunter. «Potrebbe continuare a fuggire per sempre.» Mentalmente aggiunse, Come l'Olandese Volante.

«Non possiamo essere nemmeno certi che se ne siano andati davvero,» disse Wojtowicz, con una risatina nervosa. «Potrebbero essere balzati semplicemente dall'altra parte della Terra.»

«Questo è vero,» disse l'Omino. «Ma non li abbiamo visti neppure iniziare un movimento… sono semplicemente svaniti. E ho una sensazione…»

In quel preciso istante, quando i riverberi gialli e arancione svanirono dalla loro retina, gli studiosi dei dischi volanti cominciarono a rendersi conto, uno per uno, che erano in piedi, immobili, nell'oscurità totale. Hunter aveva spento il motore della Corvette. Dietro di lui, udì spegnersi il motore del camion. A gruppi di due e tre le stelle cominciarono ad ammiccare nel cielo nero… le vecchie stelle familiari, che il cielo grigio e d'ardesia aveva mascherato per tre notti.


Don e Paul guardarono, attraverso lo schermo visore del Baba Yaga, i vuoti campi di stelle, e i raggi laser azzurri e viola che si allontanavano in linea retta, strisciando verso l'infinito.

Erano entrambi legati ai sedili antigravitazionali. Paul teneva premuto sulla guancia un fazzoletto rosso in più punti. Don osservava il quadro di comando, e l'immagine verde del radar, i cui segnali rimbalzavano dalla California Meridionale e dal Pacifico. Benché soltanto una lievissima traccia dell'atmosfera della Terra fosse sotto di loro, lui aveva già compiuto una volta la manovra di frenaggio, soprattutto per assicurarsi che il motore principale si sarebbe acceso nel momento critico.

«Be', se ne sono andati,» disse Don.

«Nella bufera,» finì per lui Paul. «Il Vagabondo era già un relitto.»

«Non si può chiamare relitto un oggetto capace di immergersi nell'iperspazio,» gli assicurò Don, in tono allegro. Le stelle cominciarono a strisciare attraverso lo schermo, e Don accese per un secondo i razzi stabilizzatori, e le immagini si fermarono.

«Forse il Vagabondo sarà portato alla deriva nell'iperspazio in un altro cosmo,» mormorò pensieroso Paul. «Forse è questa la sua strada; non cercare di aprirsi un varco a forza, ma lasciarsi andare alla deriva, come una nave in avaria nelle correnti dell'iperspazio, arrendersi alla tempesta.»

Don gli lanciò un'occhiata acuta:

«Lei ti ha detto molte cose, vero? Chissà se è ritornata a bordo in tempo.»

«Naturalmente,» disse Paul, in fretta. «Credo che anche quelle piccole astronavi possano muoversi alla velocità della luce, o superarla.»

«È stato un bel graffio, quello che ti ha dato,» fece notare Don, casualmente, affrettandosi però ad aggiungere, «Io non ho avuto nessun grande romanzo d'amore, lassù.» Accese di nuovo i razzi stabilizzatori, e corrugò la fronte, osservando l'indicatore della temperatura esterna. Continuò, bruscamente: «E non credo che me ne siano rimasti neppure laggiù. Direi che Margo fa sul serio con quel tizio, quell'Hunter.»

Paul si strinse nelle spalle.

«E cosa t'importa? Tu hai sempre amato la solitudine più della gente. Non offenderti… amare se stesso è il principio di tutto l'amore.»

Di nuovo, Don gli lanciò una rapida occhiata.

«Scommetto che tu amavi Margo più di quanto l'amassi io,» disse. «Penso di averlo sempre saputo.»

«Naturalmente,» disse Paul, in tono piatto. «Sarà arrabbiata, perché ho perso Miao.»

Don fece una risatina.

«Quali e quante cose vedrà, quella gattina!» Poi la sua voce cambiò. «Tu volevi andare con Tigerishka, vero? Sei rimasto indietro, per chiederglielo.»

Paul annuì.

«E lei non mi ha voluto, a nessuna condizione. Quando le ho chiesto che cosa sentiva per me, mi ha dato questo.» Premette il fazzoletto sulla guancia che sanguinava ancora.

Don ridacchiò.

«Tu sei goloso di punizioni, eh?» Poi, in tono leggero: «Non so, Paul, ma se io fossi innamorato di una bellissima gatta, quel graffio sarebbe l'unica cosa capace di convincermi del fatto che lei mi ricambiava. Adesso stringi la sbarra… stiamo sorvolando le Cascate del Niagara.»


Gli studiosi dei dischi volanti erano in piedi, nell'oscurità fittissima, un nero edificio di tenebre con un tetto di stelle. Poi, così vicino che per un attimo parve loro di trovarsi realmente in una stanza, una piccola luce bassa si accese, mostrando un tavolo ingombro di carte, e dietro il tavolo un uomo che aveva il viso senza età, sottile e dai lineamenti marcati di un faraone. Margo si mosse verso quest'uomo, seguendo il giovane che indossava la maglietta bianca, e Hunter scese dall'auto e andò a sua volta in quella direzione.

L'uomo dietro il tavolo guardava alla sua destra. Qualcuno, in quel punto, disse:

«I campi magnetici di entrambi i pianeti sono scomparsi, Oppie. Siamo ritornati alla norma-Terra.»

Margo disse, ad alta voce:

«Professor Opperly, le stiamo dando la caccia da due giorni. Io ho qui una pistola che è caduta da un disco volante. Serve a imprimere momentum negli oggetti. Abbiamo pensato che dovesse essere affidata a lei. Sfortunatamente, per arrivare qui, abbiamo consumato tutta la carica.»

Egli le lanciò una rapida occhiata, poi abbassò lo sguardo sulla grigia pistola che lei aveva tirato fuori dalla giacca. Le sue labbra si strinsero in un sorrisetto abbastanza sgradevole.

«Direi che assomiglia molto di più a un giocattolo da quattro soldi,» le disse, bruscamente. Poi, volgendosi di nuovo all'uomo che gli stava accanto, «E le comunicazioni radio, Denison? L'etere è più libero, oppure…»

Margo aveva rapidamente spostato la freccia in senso opposto alla canna, poi l'aveva puntata contro il tavolo, e aveva premuto il bottone. Opperly e il giovanotto in maglietta bianca si mossero, cercando di afferrarla, poi si fermarono. Alcuni fogli di carta galleggiarono nell'aria, verso la pistola, e poi furono seguiti da tre fermacarte metallici e da una penna metallica che era stata usata come fermacarte. Per un secondo tutti questi oggetti rimasero appesi alla canna della pistola, poi ricaddero.

«Deve trattarsi di un fenomeno elettrostatico,» disse il giovanotto, con evidente curiosità, osservando i fogli che ricadevano lentamente.

«Agisce anche sugli oggetti metallici,» dichiarò l'uomo che era stato chiamato Denison, osservando i fermacarte che cadevano. «Induzione?»

«Ha attirato la mia mano! L'ho avvertito distintamente,» disse a sua volta Opperly, allargando le dita della mano che aveva allungato, sul tavolo, verso la pistola. Guardò di nuovo Margo. «Ha detto che è effettivamente caduta da un disco volante?»

Lei sorrise, porgendogli la pistola.

Hunter disse:

«Le portiamo anche un messaggio del tenente Donald Merriam, dell'Astronautica. Atterrerà qui…»

Opperly si era rivolto a qualcun altro che era accanto a lui.

«Non c'era un Merriam, tra i dispersi della Base Lunare?»

«Non è disperso,» interloquì Margo. «È riuscito a fuggire a bordo di una delle astronavi lunari. È stato sul nuovo pianeta. Cercherà di atterrare qui… forse sta già arrivando.»

«E aveva un messaggio speciale per lei, professor Opperly,» aggiunse Hunter. «Il nuovo pianeta possiede degli acceleratori lineari pari al raggio terrestre, e un ciclotrone pari alla circonferenza terrestre.»

Opperly sorrise.

«Ne abbiamo avuto appena adesso una dimostrazione, no?»

Nessuno di loro notò una stella ammiccare in ritardo, in prossimità di Marte. Un raggio laser in fuga nello spazio aveva colpito Deimos, la piccola luna esterna di Marte, trasformandola in una massa incandescente… provocando una considerevole eccitazione in Tigran Biryuzov e nei suoi compagni.

Opperly posò sul tavolo la pistola grigia, e girò intorno alla superfice ingombra di carte.

«Venite con me, per favore,» disse, rivolgendosi a Margo e a Hunter. «Dobbiamo avvertire il campo di atterraggio, per l'eventualità di un atterraggio.»

«Aspetti un attimo,» disse Margo. «Non lascerà semplicemente qui la pistola a momentum

«Oh,» disse Opperly, in tono di scusa. Allungò la mano, e porse la pistola a Margo. «Sarà meglio che me la custodisca lei.»


Richard Hillary e Vera Carlisle marciavano lungo una stradicciola fangosa che costeggiava sinuosa le cime delle Malvern Hills, dirigendosi a sud. Ancora una volta c'erano molte altre figure in marcia, con loro, una lunga teoria di punti in movimento.

Avevano scoperto che neppure il sesso e la compagnia possono placare lo stimolo del lemming, almeno di giorno. Richard stava pensando di nuovo alle Black Mountains. Doveva essere possibile raggiungerle, senza abbandonare il terreno alto.

Il sole del mattino era nascosto da una grigia nuvolaglia che era venuta da occidente, proprio quando il Vagabondo era tramontato, mostrando la D. Allora si era verificato un fenomeno apparentemente inesplicabile. Nel momento in cui il Vagabondo era svanito nella cortina di nubi, era sembrato rinascere, tutto di un grigio argenteo, e ancora più grande, un'ora sopra il punto in cui era svanito. Avevano fatto innumerevoli ipotesi, cercando di indovinare se si fosse trattato di un miraggio, o se addirittura non fosse stato un secondo pianeta straniero. Poi il miraggio, o il pianeta straniero che fosse, era svanito nella nuvolaglia.

Vera si fermò, e accese la radiolina a transistor. Richard si fermò, accanto a lei, facendo un sospiro di rassegnazione. Due passanti vicini si fermarono a loro volta, per semplice curiosità.

Vera, lentamente, fece ruotare il disco della sintonia. Non si udivano scariche di statica. Lei alzò il volume al massimo, e ricominciò a far ruotare il disco. E ancora, soltanto silenzio.

«Forse è rotta, signorina,» suggerì uno dei viandanti.

«Hai consumato le batterie,» le disse Richard, in tono ostile. «Meno male.»

Poi la voce giunse, sottile e sibilante, all'inizio, ma poi, quando Vera sintonizzò meglio l'apparecchio, chiara e forte nel silenzio dal grigio tetto delle colline:

«Ripetiamo. Un dispaccio di agenzia, trasmesso via cavo da Toronto, e confermato da Buenos Aires e dalla Nuova Zelanda, afferma definitivamente che i due pianeti stranieri sono svaniti, così come erano arrivati. Questo non significa un'immediata cessazione degli effetti sulle maree, ma…»

Continuarono ad ascoltare. Dalla strada, da ogni punto del percorso, arrivava molta gente, che si radunava, si radunava…


Bagong Bung decise che le onde si erano quietate a sufficienza, così prese il sacco di tela dal fondo della scialuppa di gomma, dove era rimasto, sotto il suo corpo, per maggiore sicurezza, insieme ai sacchetti legati che contenevano le monete della Sumatra Queen, e lo aprì, in modo che anche Cobber-Hume potesse vederne il contenuto.

Le acque tempestose, che avevano spazzato più volte la superficie della piccola scialuppa arancione, avevano portato via tutta la fanghiglia, e pulito tutti i piccoli oggetti contenuti dal sacco. Insieme a frammenti di corallo, e a ciottoli, e a conchiglie, c'era il cupo bagliore di oro antico, e c'erano le fiamme piccole e rosseggianti di tre… no, di quattro!… rubini.


Wolf Loner smise di dare la minestra alla bambina italiana, perché lei aveva girato la testa per guardare l'orlo del sole nascente che spuntava sull'Atlantico grigio. «Il sole,» mormorò lei.

Toccò il legno della Pazienza. «Una nave.»

Posò la mano sul polso della mano che teneva il cucchiaio, e sollevò lo sguardo, finalmente guardandolo negli occhi. «Noi siamo qui.»

«Sì, siamo qui,» le disse.


Il capitano Sithwise guardò in basso, dal ponte di comando della Principe Carlo, e vide leghe e leghe di verde giungla fangosa, che cominciava a fumigare vapore bianco, sotto i raggi del sole rosso e basso sull'orizzonte.

Il commissario di bordo disse:

«Estrapolando dai feriti visibili, signore, abbiamo ottocento arti rotti e quattrocento cranii fratturati da curare.»

Il secondo di bordo disse:

«Il Brasile possiede ora il nucleo di una città atomica nella giungla. Immagino che alla fine sarà questa la sua sorte, signore, benché la causa possa essere lunga, ed eccezionale, e terrà occupate, ne sono certo, tutte le corti di giustizia internazionali!»

Il capitano Sithwise annuì, ma continuò a studiare lo strano mare verde nel quale la sua nave era venuta a ormeggiarsi.


Barbara Katz guardò le acque azzurre, intorno all'Albatros. Erano pochissime le onde che mostravano una cresta bianca, neppure una su dieci. Il sole stava salendo sopra una costa di palme abbattute e contorte, a meno di due miglia di distanza. Hester sedeva sul portello, e teneva in braccio il bambino.

«Benjy,» disse Barbara. «C'è una piccola stiva, là sotto, e ci sono le coperte, se proprio non abbiamo della tela. Credi di riuscire a fabbricare un piccolo albero e una vela, e a…»

«Sì, signorina Barbara, sono sicuro di riuscirci,» le disse. Si stirò, e sbadigliò vigorosamente, offrendo il petto al sole. «Ma questa volta, prima di tutto, mi prenderò un po' di riposo.»


Sally Harris disse a Jake Lesher:

«Oh, accidenti, adesso tutta l'eccitazione è finita.»

«Gesù, Sal, ma tu non vuoi mai dormire?» protestò Jake.

«E chi potrebbe dormire, adesso?» domandò lei. «Cominciamo a fare dei segnali alla gente. O meglio ancora, adesso che abbiamo tutto il materiale, cominciamo a lavorare davvero sulla commedia!»


Pierre Rambouillet-Lacepède mise in disparte, con evidente rammarico, i suoi calcoli sui tre corpi, che ormai non avrebbero più potuto essere pienamente verificati, e prestò orecchio a Francois Michaud.

Il più giovane astronomo disse, con viva eccitazione:

«L'abbiamo scoperto, senza alcuna possibilità di dubbio! Il giorno siderale è stato allungato di tre secondi all'anno! I pianeti stranieri, dopotutto, hanno avuto un effetto misurabile sulla Terra!»


Margo e Hunter erano in piedi nel buio, mano nella mano, ai margini del campo di atterraggio, vicino all'estremità nord dell'altopiano di Vandenberg Due.

«Ti preoccupa incontrare Don e Paul?» le mormorò. «Non dovrei chiedere una cosa simile, naturalmente, ora che siamo preoccupati e ci chiediamo se ce la faranno ad atterrare!»

«No,» rispose lei, abbracciandolo con l'altro braccio. «Sarò felicissima di salutarli. Ora ho te.»

Sì, infatti, meditò lui, non eccessivamente felice. E adesso lui doveva adattare la sua vita a quella nuova conquista. Poteva rinunciare a Wilma e ai ragazzi? Assolutamente no, ne era sicuro.

Poi gli venne in mente un'altra cosa.

«E adesso tu hai Morton Opperly,» mormorò.

Margo sorrise, poi domandò:

«Cosa intendi dire con questo, Ross?»

«Niente di particolare, credo,» le rispose.

Intorno a loro erano radunati gli altri studiosi dei dischi volanti. Il camion e la Corvette erano fermi alle loro spalle.

Da un lato c'erano Opperly, e pochi membri della sua sezione. Il contatto radio con il Baba Yaga era stato annunciato, dalla torre di controllo, pochi secondi prima.

Sopra le loro teste, le vecchie stelle familiari del cielo boreale si stendevano tra le due costellazioni dello Scorpione e dell'Orsa Maggiore, ma in alto, a occidente, tra di esse giaceva uno scintillio a fuso di nuove stelle, alcune deboli, altre luminose, più luminose di Sirio… gli scintillanti resti della vecchia Luna, in un cielo che da quel giorno avrebbe conosciuto un eterno novilunio.

«Sarà strano non avere più una luna,» disse Hixon.

«Cento dèi cancellati dalla mitologia con un solo colpo di spugna,» fece notare Rama Joan.

«A me dispiace di più di avere perso il Vagabondo,» pigolò Ann. «Oh, spero che sia riuscito a fuggire!»

«Molte più cose di tutti gli dei della luna sono state cancellate,» disse Bacchetto, in tono cupo.

«Non importa, Charlie,» gli disse Wanda. «Tu hai visto grandi cose accadere. Tutte le tue predizioni…»

«Tutti i miei sogni,» la corresse. Corrugò la fronte, ma le strinse forte la mano.

Hunter disse:

«Avremo due nuovi dei, per ognuno di quelli che abbiamo perduto. Questa è la mia previsione.»

Pop disse, brontolando:

«Non me ne importa un accidente che sia scomparsa la luna. Per me non aveva mai fatto niente.»

«Non aveva neppure addolcito una bella ragazza, Pop?» gli chiese Margo.

McHeath annunciò, come se l'idea gli fosse venuta in quel momento:

«Niente più Luna… niente più maree.»

«Sì, ci saranno ancora delle maree solari,» lo corresse l'Omino. «Piccole, naturalmente, come quelle che si verificano a Tahiti.»

«Mi chiedo cosa ne sarà dei resti della luna,» disse Margo, guardando a occidente. «Rimarranno lassù, semplicemente, formando un anello intorno alla Terra?»

Opperly udì la domanda, e disse, a mo' di spiegazione:

«No, ora che il suo centro gravitazionale se ne è andato con il Vagabondo, i frammenti si diffonderanno a raggera, alla velocità che avevano in orbita… circa cinque miglia al secondo. Alcuni frammenti colpiranno l'atmosfera terrestre fra dieci ore. Ci sarà una pioggia di meteore, ma immagino non troppo distruttiva. L'anello si trova su un piano che passa sopra il nostro Polo Nord. Quasi tutti i frammenti dovrebbero mancarci. Altri assumeranno delle lunghissime orbite ellittiche intorno alla Terra.»

«Accidenti,» osservò Wojtowicz, quasi allegramente. «È come se fosse tornato Doc a spiegarci le cose.»

«Chi è Doc?» domandò Opperly.

Il gruppo fu silenzioso per un momento. Poi Rama Joan disse:

«Oh… un uomo.»

In quel momento una fiamma gialla apparve allo zenit, diventò una fiamma color limone, più grande, che scendeva verso la terra. Si udì un basso ronzio, che diventò un ruggito, come quello che si ode in un caminetto quando tutti i ceppi cominciano ad ardere. Il Baba Yaga toccò il suolo, mentre la fiamma gialla dei motori si spegneva, in un perfetto atterraggio…


FINE
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