CAPITOLO XVI

Doc grugnì, soddisfatto, e disse:

«Non credo che un altro sandwich mi farebbe male.»

«Abbiamo pensato che sarebbe stato meglio conservarne la metà,» gli disse la donna magra in tono di scusa, dalla parte opposta del lungo tavolo.

«L'idea è stata mia,» aggiunse il giovane Harry McHeath, imbarazzato.

«E probabilmente l'idea è buona,» concesse Doc. «Uscita dalla Famiglia Robinson Svizzera, vero? Qualcuno gradirebbe un sorsetto di Scotch?» Dalla tasca sinistra della giacca estrasse una bottiglia da mezza pinta. La grassona sbuffò.

«Meglio conservarlo per qualche caso di emergenza, Rudy,» disse con calma Ross Hunter.

Doc sospirò, e infilò di nuovo la bottiglia nella tasca.

«Suppongo che la seconda tazza di caffè sia stata severamente proibita dal Comitato di Salute Pubblica, vero?» brontolò.

Harry McHeath scosse il capo, nervosamente, e si affrettò a versare dell'altro caffè a Doc e agli altri.

Rama Joan disse:

«Rudolf, secoli fa lei si stava chiedendo che cosa producesse i colori del Vagabondo.»

Aveva fatto sdraiare Ann su due sedie accostate, vicino a lei, avvolta nel soprabito che qualcuno aveva dimenticato; la testa della bambina era appoggiata sulle gambe della madre. Rama Joan stava fissando il Vagabondo. La macchia gialla orientale adesso era completamente circondata dalla porpora, e questo distruggeva l'illusione delle fauci voraci. Le due macchie gialle polari si stavano rimpicciolendo, mano a mano che la rotazione del pianeta le portava fuori vista. L'effetto, in quel momento, sembrava quello di un bersaglio purpureo, con un grande centro giallo. Nel frattempo, la luna percorsa da reticolati vaghi e indistinti di spaccature, ormai a forma di losanga, aveva quasi terminato una seconda attraversata a ovest della faccia visibile del Vagabondo.

Rama Joan disse:

«Non credo che si tratti di una configurazione naturale, tutt'altro. Credo che si tratti semplicemente di una… decorazione. Un effetto ornamentale.» Fece una pausa. «Se esistono degli esseri capaci di guidare il loro pianeta attraverso l'iperspazio, certamente sarebbero in grado di dargli un aspetto che essi considerino artistico e distintivo. I cavernicoli non dipingevano l'esterno delle loro case, ma noi sì.»

«Sa che questo mi piace?» disse Doc, schioccando le labbra. «Un pianeta dipinto in due toni di colore. Per impressionare i vicini della galassia accanto.»

Wojtowicz e Harry McHeath risero con evidente disagio. Bacchetto pensò: Involontariamente, essi salgono verso la comprensione della gloria di Ispan. Hunter, a voce bassa ma vibrante di tensione, disse:

«Se fossero così progrediti, non credo che userebbero un pianeta naturale; ne traccerebbero il progetto, e lo costituirebbero come vogliono. Accidenti, questa sembra una pazzia!» concluse, rapidamente.

«Niente affatto,» gli assicurò Doc; «Sarebbe dannatamente efficace usare tutto il volume di un pianeta. Una prova di efficienza. Si potrebbero sistemare magazzini e dormitori e generatori fino al nucleo. Naturalmente, per questo sarebbero necessarie delle opere gigantesche di sostegno e di ingegneria, ma…»

«Se si possedesse il segreto dell'antigravità, non ci sarebbero delle difficoltà così enormi,» disse Rama Joan.

«Accidenti,» disse Wojtowicz, con voce atona.

«Come sei brava, mammina,» osservò Ann, con voce assonnata.

Hunter disse:

«Se si potesse cancellare la gravità di un pianeta rotante, bisognerebbe avere la maniera di tenerlo assieme con mezzi molto potenti, per impedire che la forza centrifuga lo faccia dissociare nelle componenti fondamentali.»

«Niente affatto,» gli disse Doc. «La massa e la velocità inerziale sparirebbero contemporaneamente.»

Paul si schiarì la voce. Era seduto accanto a Margo, e si era tolto la giacca posandola sulle spalle della ragazza. Aveva anche l'idea di circondarle le spalle con un braccio se non altro allo scopo molto pratico di scaldarsi un poco, ma qualcosa lo aveva fatto esitare fino a quel momento. Disse:

«Se esistessero delle creature così progredite non userebbero anche la massima prudenza, per evitare di danneggiare, o perfino di turbare, qualsiasi pianeta abitato cui si avvicinassero?» Aggiunse, in tono incerto, «Suppongo con questo di sottintendere l'esistenza di qualche benevola Federazione Galattica, o di un equivalente…»

«Un Ministero per il Benessere Cosmico,» suggerì Doc, in tono ironico.

«No, lei ha perfettamente ragione, giovanotto,» disse in tono autoritario la grassona, mentre la donna magra annuiva, tenendo le labbra serrate. «La prima legge degli Abitatori dei Dischi è quella di non fare alcun male alla vita, ma di amarla, e coltivarla, e proteggerla.»

«Ma è questa la prima legge della General Motors?» volle sapere Hunter. «0 del generale Mao?»

Rama Joan fece un sorriso misterioso, e domandò a Paul:

«Quando lei compie un viaggio in automobile, quali precauzioni speciali prende per non investire cani e gatti? I formicai sono tutti catalogati e circondati da cartelli di avviso, nel suo giardino?»

«Ancora appassionata per la sua teoria dei demoni, eh?» osservò Doc.

Rama Joan si strinse nelle spalle.

«I demoni e i diavoli potrebbero essere semplicemente degli esseri intenti nei loro scopi, che ora casualmente si scontrano con i suoi.»

«Allora il male è soltanto un incidente d'auto?»

«Forse. Ricordi che esistono dei guidatori imprudenti, e perfino degli automobilisti che usano un'auto per esprimersi.»

«Anche se l'auto è un pianeta?» chiese Paul.

Rama Joan annuì.

«Uhm. Io, per esprimermi, generalmente mi accontento di denudarmi,» asserì Doc, ridacchiando perfidamente.

Magro, che teneva le mani intorno al corpicino addormentato di Miao, intervenne a questo punto:

«Quando guido io, riesco a vedere un gatto sul marciapiede a tre isolati di distanza. I gatti sono persone. Ecco perché non avrei mai potuto entrare a Vandenberg, anche se fossero stati più decorosi su tutto il resto.»

«Ma le persone sono sempre persone?» le domandò Hunter, con un sorriso.

«Di questo non ne sono sicura,» ammise lei, arricciando il naso.

La grassona fece un suono di disgusto. Rama Joan disse gentilmente a Margo:

«Spero che quando le cose si faranno… be'… più scomode, lei non rimpiangerà mai di avere rinunciato a Vandenberg per venire con noi. Ha avuto l'occasione di scegliere, sa; le occasioni vengono una volta sola.»

Wojtowicz balzò in piedi.

«Guardate là!» gridò.

Stava puntando il braccio verso la distesa di sabbia, dove un paio di fari stavano salendo e scendendo. E in quel momento, alle loro orecchie giunse il ronzio pesante di un motore.

«Paul,» disse Hunter, «Sembra che il maggiore Humphreys abbia cambiato idea, e abbia mandato qualcuno a prenderla.»

«Viene dalla direzione sbagliata,» disse Doc.

«Già,» aggiunse Wojtowicz, «Viene dall'autostrada, e sta aggirando la frana.»

I fari rallentarono, esitarono, si affievolirono, poi ritornarono vividi. Il riverbero rendeva difficile distinguere l'auto, malgrado la luminosità dell'aria.

«Rimarranno bloccati, chiunque siano,» esclamò Margo.

«No, se accelerano ce la faranno,» disse Wojtowicz.

L'auto venne avanti come se avesse voluto sfondare la piattaforma, e poi frenò bruscamente, a quindici metri di distanza, e spense i fari.

«È il camioncino degli Hixon!» disse l'Omino.

«E quella è la signora Hixon,» disse Doc, quando una figura che indossava dei minishorts grigi e una maglietta del medesimo colore scese dal retro del camioncino, e corse verso di loro.

Wojtowicz, Ross Hunter e Harry McHeath corsero incontro alla donna. Quando la signora Hixon passò loro accanto, gridò:

«Andate ad aiutare Bill a curare Ray Hanks. Ray ha una gamba rotta.» Poi salì con un balzo sulla piattaforma.

Quella sera, poche ore prima, la signora Hixon era stata una bella donna, ma ora le mani, il viso, i minishorts e la maglietta erano macchiati di terriccio, i capelli erano scomposti come quelli di una Erinni, le labbra erano tese e scoprivano i denti, e gli occhi erano vitrei e sbarrati. C'era del sangue sul mento della donna. Non appena si fu fermata, cominciò a tremare violentemente.

«L'autostrada è bloccata su entrambi i sensi,» ansimò. «Abbiamo perduto gli altri. Credo che siano morti. Credo che tutto il mondo sia andato a pezzi. Mio Dio, avete qualcosa da bere?»

Doc disse, «L'ha voluto lei,» a Hunter, quando estrasse di tasca la sua bottiglia, versò una doppia dose in una tazzina da caffè vuota, e cominciò ad aggiungere dell'acqua. La donna afferrò la tazzina prima che Doc potesse finire, e trangugiò tutto avidamente, poi rabbrividì di nuovo. Doc le circondò le spalle con un braccio, e disse, con forza:

«Adesso ci racconti tutto, punto per punto,» La sua stretta si accentuò. «Dall'inizio.»

«Avevamo disseppellito tre auto. Quella di Rivis, il nostro camioncino e l'utilitaria di Wentcher. Le altre erano sepolte troppo in profondità, ma quelle bastavano a portarci tutti comodamente. Nel camioncino siamo saliti soltanto io, Bill e Ray. Quando siamo arrivati sull'autostrada, non abbiamo incontrato alcun traffico. Questo avrebbe dovuto metterci in guardia, ma sul momento abbiamo pensato soltanto di essere stati fortunati. Cristo! Rivis è andato a nord. Noi ci siamo diretti verso Los Angeles, seguendo l'utilitaria. L'autoradio è riuscita a captare due stazioni, malgrado le continue scariche di statica. Solo dei brevi frammenti. Niente, all'infuori del grande terremoto di Los Angeles… fate questo, fate quello, non fate quell'altro. Abbiamo dovuto compiere molte deviazioni, per aggirare rocce e frane. E ancora nessuna automobile in vista. Eravamo dove non c'era spiaggia, ma solo uno strapiombo sul mare.

«La strada si è gonfiata… così, semplicemente, senza alcun preavviso, mio Dio! Ha fatto sussultare l'auto, portandola come se fosse stata una barca. Lo sportello si è aperto, e Ray Hanks è caduto. Io mi sono aggrappata a Bill. Lui frenava, tenendosi puntellato al sedile. Le colline sono crollate. Una roccia grossa come una stanza è piombata sulla strada, davanti a noi, aprendo una spaccatura larga tre metri. Ricordo di essermi morsa la lingua. Bill ha fermato l'auto. Anche la strada ha smesso di gonfiarsi. E allora io ho sentito la polvere, soffocavo, ma poi, attraverso la polvere, ho sentito un gran rumore d'acqua, dove la roccia era caduta in mare… lo spruzzo è arrivato fino a noi. Così avevo in bocca il sapore di sale e di sangue e di polveri, e mi sentivo tremare tutta.

«A questo punto, è caduto un silenzio spaventoso. La strada, davanti a noi, era bloccata, con mucchi di detriti e il fondo smosso. Non so se avremmo potuto salire sulla montagna di detriti, da quella parte; ne avevamo l'intenzione, perché non sapevamo se l'utilitaria fosse rimasta sepolta, o fosse sfuggita, o chissà che altro. In quel momento, è avvenuto un altro smottamento. Un masso grosso come un leone mi ha mancata di così. Un altro è semplicemente esploso, come un fuoco d'artificio. Bill mi ha fatto salire in auto, e lui mi ha preceduto a piedi, tra le nuove frane, indicandomi dove mettere le ruote, in quell'inferno di montagnole e di crepacci e di detriti. Tossiva, e mandava un sacco di maledizioni al nuovo pianeta.

«C'era qualcun altro che stava urlando delle maledizioni… a noi, però. Era Ray. Lo avevamo dimenticato. Aveva una gamba spezzata, sopra il ginocchio, ma lo abbiamo sistemato sul retro. Io sono rimasta accanto a lui. Bill ormai poteva girare l'auto, la strada era ampia a sufficienza, e così siamo tornati indietro.

«Le frane continuavano, ma siamo riusciti ad aggirarle. Ora avremmo voluto incontrare delle auto sulla strada, ma non c'era nessuno. Bill si è fermato a un posto telefonico, ma era muto, e la luce, nella cabina, si è spenta proprio mentre lui cercava di captare un segnale. La radio era soltanto una bailamme di scariche di statica. L'unica parola che, apparentemente, riuscivamo a captare, tra le scariche, era fuoco! Ray e io continuavamo a urlare a Bill di andare più in fretta e più adagio.

«Abbiamo superato lo svincolo, qui vicino, ma dopo un quarto di miglio la strada era bloccata da un'altra frana, non un'anima in vista, nemmeno una luce… a parte quella maledetta cosa lassù. Siamo tornati qui. Non c'era alcun posto in cui andare, altrimenti.»

Respirò profondamente. Doc domandò:

«E quelle piccole strade che attraversano le montagne di Santa Monica? E in particolare, cosa ne è stato della Collinare di Santa Monica?»

«Piccole strade?» La signora Hixon lo guardò, pensierosa e stupita, poi cominciò a ridere e a singhiozzare nello stesso tempo. «Maledetto, stupido pezzo d'idiota, quelle montagne sono state agitate come un covone di fieno!» La risata diventò incontrollabile. Doc le mise le mani sulla bocca. Lei si dibatté selvaggiamente per un momento, poi abbassò il capo, afflosciandosi. Wanda e la donna magra vennero ad aiutare Doc, e accompagnarono la signora Hixon più avanti, sulla piattaforma. Rama Joan le seguì, dopo aver chiesto a Margo di prendere il suo posto, come guanciale per Ann, che stava osservando, attenta come un topolino.

Paul disse a Doc:

«Mi sorprende che non ci fossero delle altre automobili intrappolate in quel pezzo di autostrada. Sembra una cosa innaturale.»

«Probabilmente sono passate prima delle precedenti frane, quelle più leggere,» disse Doc. «E le stesse frane avrebbero impedito il passaggio alle auto successive, che avessero voluto percorrere la strada. Eppure, malgrado tutto quello che ha detto, io penso che alcuni siano riusciti a sfuggire al terremoto, prendendo la Collinare di Santa Monica.»

Hunter chiamò:

«Scendete, voialtri, e portate una branda. Dobbiamo far scendere Ray dal camioncino, in modo che qualcuno salga a bordo e raggiunga le nostre automobili.»


Tremanti, senza fiato e barcollanti per la folle corsa attraverso i grattacieli, Arab, Pepe e 'High' imboccarono la 125a Strada, dirigendosi a est, provando inizialmente un senso di maggiore confidenza, essendo entrati nel corridoio della loro amichevole, familiare casa afro-latina.

Ma i marciapiedi, gremiti di folla appena due ore prima, adesso erano vuoti e deserti. Solo una grande confusione di bicchieri e borse di carta, bottigliette vuote e fiaschette da mezza pinta testimoniava che le moltitudini di poco prima erano esistite davvero. Nessuna automobile si muoveva nelle strade, benché qua e là si vedessero delle auto parcheggiate a casaccio, e vuote… due avevano il motore acceso, e il fumo azzurrino usciva dai tubi di scappamento.

I fratelli di viaggio dovettero proteggere gli occhi dal riverbero del sole, quando guardarono a est, cercando qualche segno di vita all'orizzonte; ma a perdita d'occhio si vedeva lo stesso abbandono, la stessa immobilità predominava in tutte le strade laterali che portavano nel cuore di Harlem.

I soli suoni, dapprima, oltre a quelli dei loro passi e dei motori accesi, furono i profluvi sepolcrali di parole che uscivano da radio invisibili, e avevano un suono orribilmente importante, a giudicare dal tono; ma le parole erano incomprensibili, a causa delle continue scariche di statica e della lontananza… e soffocate com'erano dall'eccitato e ugualmente incomprensibile richiamo di sirene e di clacson, lontano.

«Dove sono finiti tutti?» bisbigliò 'High'.

«Attacco atomico,» affermò Pepe. «La Russia ha mandato i fuochi d'artificio. Tutti sono nascosti in cantina. Anche noi dobbiamo andare.» Poi, con un tremito nella voce, «La palla di fuoco si sta sollevando dal fiume.»

«No!» lo contraddisse gentilmente Arab. «Mentre noi eravamo al fiume, la Resurrezione è venuta e finita. I vecchi padri predicatori avevano ragione, dopotutto. Tutti sono stati presi… non c'è stato tempo per fermare i motori e spegnere le radio. Noi siamo gli unici rimasti.»

Si presero per mano e proseguirono in punta di piedi, per soffocare il suono dei loro passi, e avanzarono colmi di terrore.


Sally Harris e Jake Lesher uscirono in punta di piedi dalla piccola scatola di alluminio che li aveva portati per gli ultimi tre piani. Davanti ai loro occhi c'era penombra, con dei riflessi che coloravano un grande pianoforte. Sotto i loro piedi c'era un folto, soffice tappeto.

Sally mandò un sommesso grido di evviva. Con un lungo sospiro, la porta dietro di loro cominciò a scorrere, ma Sally la fermò, e la bloccò con un tavolino che reggeva un vassoio d'argento.

«Cosa tenti di fare?» domandò Jake.

«Non lo so,» disse lei. «Sentiremo il cicalino, se qualcun altro vorrà entrare. Vieni.»

«Aspetta un momento,» disse Jake. «Sei sicura che Hasseltine non sia in casa?»

Sally si strinse nelle spalle.

«Darò un'occhiata, mentre tu saccheggi il frigorifero. Avanti, non hai anche tu una specie di voragine al posto dello stomaco?»

Lo guidò silenziosamente verso la cucina.


Dai Davies ascoltò, con crudele divertimento, le misteriose notizie sul Vagabondo che giungevao per radio, nel piccolo pub sulla riva della Severn, vicino a Portishead, dove era andato, dopo un riposo di due ore, a bere qualche bicchiere del mattino. Di quando in quando, ampliava le notizie con sfoghi di fantasia, per l'edificazione e la soddisfazione dei suoi compagni bevitori, che parevano non apprezzare eccessivamente la cosa:

«Color porpora e ambra, eh? Questo è un grande cartellone pubblicitario che gli americani hanno dipinto su una stella, gente, per pubblicizzare un nuovo succo di frutta e una marca di birra denaturata!» e, «È un super-pallone sovietico, un sacro messaggero, ragazzi, mandato sulla Chicago senza legge per inondare il cuore della patria degli Yankee con una pioggia di copie preziose del santo Manifesto di Marx!»

Le notizie giungevano attraverso il cavo transatlantico, diceva lo sprezzante annunciatore… delle tempeste magnetiche di straordinaria intensità avevano reso impossibile le comunicazioni radio con l'occidente. Dai avrebbe voluto più di ogni altra cosa che Dick Hillary fosse stato con lui… questo delizioso nonsenso era proprio il genere di cosa che avrebbe fatto guaire quel nemico indefesso del volo spaziale e dei romanzi spaziali; inoltre, sarebbe stato un pubblico assai più degno e soddisfacente, per il raro ingegno di un poeta gallese, di quei pessimi bevitori del Somerset.

Ma quando, dopo altri due bicchieri colmi fino all'orlo, le notizie radio cominciarono a comprendere dei rapporti su una luna frantumata e catturata… l'annunciatore aveva un tono ancor più di derisione, ma adesso c'era una nota nervosa, nella sua voce, quasi isterica… l'umore di Dai cambiò bruscamente, e quando gridò nella sua voce c'era emozione da ubriaco, più che ingegno di poeta:

«Rubare la nostra luna, quei dannati Yankee non sono capaci d'altro! Non sanno che Mona appartiene al Galles? E se le fanno del male, noi nuoteremo fino a Manhattan, e li faremo a pezzi, non è vero, miei cari?»

Questo grido incontrò una serie di risposte: «Fa' silenzio, stupido, sta ancora parlando,» «Un gallese che parla a vanvera.» «Sbronzo, direi.» Basta così, lei è ubriaco,» quest'ultima dichiarazione veniva dall'oste.

«Vigliacchi del Somerset!» rispose forte Dai, sollevando il bicchiere come se fosse stato un'arma. «E se non mi seguite, vi inseguirò io, e vi pesterò fino a farvi diventare viola!»

La porta a vetri si spalancò, e una figura dagli occhi bianchi, che sembrava uno spaventapasseri dal lungo impermeabile e dal cappello impermeabile a tesa larga li fronteggiò, sullo sfondo della nebbia esterna.

«C'è qualcosa per radio, con le notizie sulla marea?» gridò questa apparizione all'oste. «Mancano due ore alla bassa marea, e il Canale si sta abbassando come non l'ho mai visto, parola mia! Venite, venite a dare un'occhiata anche voi. Se continua così, un uomo potrà camminare su tutta la costa a mezzogiorno, e un'ora dopo il Canale sarà quasi in secca!»

«Bene!» gridò a gran voce Dai, permettendo all'oste di portargli via il bicchiere e la bottiglia e appoggiandosi a braccia larghe al bancone, mentre gli altri si muovevano con aria curiosa e impaurita verso la porta. «Allora io andrò a piedi, per le cinque miglia di sabbia della Severn, e ritornerò nel Galles, liberandomi di voi del Somerset, smidollati che non siete altro. Perdio, lo farò!»

«E buona passeggiata,» borbottò forte qualcuno, mentre un buontempone aggiungeva, «Se è questa la sua intenzione, le consiglio di andare a est, descrivendo un giro completo… e dovrà percorrere più di cinque miglia, almeno il doppio. Andando diritto, amico, troverà Monmouth, non il Galles.»

«Per me Monmouth è ancora gallese, e maledizione all'Intesa del 1535,» rispose Dai, appoggiando il mento al bancone. «Oh, andate, andate tutti a spalancare la bocca e gli occhi di fronte a questo prodigio delle acque. Io vi dico che gli Yankee, dopo avere rotto e incatenato la luna, ora ci stanno rubando anche l'oceano.»


Il generale Spike Stevens esclamò:

«Chiama il Relé di Natale, Jimmy! Informali che anche la loro immagine comincia a confondersi.»

Gli osservatori nella sala sotterranea erano raggruppati di fronte allo schermo di destra, ignorando l'altro, che ormai da più di un'ora non era altro che un indecifrabile groviglio di disturbi.

L'immagine che veniva dal satellite sopra l'Isola di Natale mostrava il Vagabondo, con la faccia-bersaglio, e con la Luna che stava lentamente scomparendo dietro di esso, ma sia il pianeta che la luna danzavano, si gonfiavano e si distorcevano, mano a mano che le distorsioni elettroniche invadevano lo schermo.

«Ho tentato, generale, ma non riesco a ottenere risposta,» rispose il capitano James Kidley. «La radio e le onde corte sono andate. Le ultracorte se ne stanno andando… ogni tipo di comunicazione che non sia per cavo o per guida d'onda. E anche queste…»

«Ma noi siamo un quartier generale!»

«Mi dispiace, generale, ma…»

«Chiamami il Primo Comando!»

«Generale, loro non…»

Ci fu una forte vibrazione, che veniva dal pavimento, e si udì un rumore crepitante. Le luci ondeggiarono, si spensero, si riaccesero. La sala sotterranea cominciò a ballare. Dei frammenti d'intonaco caddero. Ancora una volta, le luci si spensero… tutte, a eccezione del pallido chiarore dello schermo dell'Isola di Natale.

Bruscamente, la tremolante immagine astronomica sullo schermo fu sostituita dal profilo di una grossa testa felina, con le orecchie a punta e le fauci sorridenti. Sembrava che, lassù, su quel satellite automatico a 23.000 miglia di quota sul Pacifico, una tigre nera avesse guardato con curiosità il telescopio. Per un momento, l'immagine rimase. Poi tremolò, e lo schermo si spense.

«Signore Iddio, cos'era quello?» urlò il generale, nel buio fitto.

«L'hai visto anche tu?» domandò il colonnello Mabel Wallingford. La domanda della donna fu sottolineata da una risata, per metà isterica, per metà esultante.

«Fa' silenzio, stupida cagna!» urlò il generale. «Jimmy?»

«È stata una distorsione casuale.» La voce del giovane ufficiale giunse un po' scossa, dalle fitte tenebre. «Un effetto illusorio. Non potrebbe trattarsi di…»

«Silenzio!» gridò il colonnello Willard Griswold, rivolgendosi a tutti e tre. «Ascoltate!»

Lo sentirono tutti; il rumore di acqua che gorgogliava e avanzava.


A bordo della Principe Carlo, l'agonia delle comunicazioni radio fu particolarmente avvertita.

Senza distinzioni, i ribelli che ora controllavano il transatlantico di lusso, e anche i membri dell'equipaggio fedeli, usando una trasmittente, cercarono inutilmente di trasmettere messaggi sul grande colpo, il primo gruppo indirizzando il messaggio ai suoi capi rivoluzionari, l'altro gruppo alla Marina Britannica. E Wolf Loner, tremila miglia più a nord, stava riflettendo su quanto era bello essere senza giornali e senza radio… provava un certo rammarico, davvero, al pensiero che lui e la sua imbarcazione avrebbero raggiunto Boston troppo presto.


Il campo magnetico del Vagabondo, assai più forte di quello della Terra, era sgorgato dallo spazio con la stessa rapidità del campo gravitazionale, influenzando quasi istantaneamete gli strumenti sensibili a esso. Ma oltre a questa influenza magnetica che pervadeva ogni cosa, c'erano ben più strane influenze dirette che sgorgavano dal Vagabondo, e colpivano il lato della Terra che si trovava di fronte al pianeta. Questi influssi cosmici squarciarono le fasce di Van Allen, e calarono sulla Terra in una raffica paurosa di protoni e di elettroni.

Queste potentissime influenze dirette vennero grandemente intensificate quando la Luna entrò in orbita intorno al Vagabondo, e cominciò a frantumarsi. Esse produssero una forte ionizzazione e altri, più sottili effetti, dei quali il primo risultato percettibile fu quello di rendere impossibile, nella stratosfera e anche nella più bassa atmosfera della Terra, qualsiasi comunicazione elettromagnetica.

Mentre la Prima Notte del Vagabondo avanzava verso ovest, girando intorno al mondo… o piuttosto, mentre il mondo ruotava verso oriente per entrare nella notte, questo avvelenamento del cielo per le onde radio si propagava all'intero globo, dando un enorme contributo alla nebbia della catastrofe che isolava nazione da nazione, città da città e, infine, avrebbe isolato ogni mente dalle altre menti.

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