CAPITOLO XXV

I fenomeni prodotti dalle mostruose maree furono innumerevoli, mano a mano che le acque orrendamente gonfiate dal Vagabondo si muovevano intorno al mondo.

Le correnti negli stretti, come quelli di Dover, della Florida, di Malacca e di Juan de Fuca, diventarono troppo forti per essere combattute dalle navi. Piccole imbarcazioni vennero inghiottite, come granelli di crusca in un mulino.

Altissimi ponti, costruiti per resistere a venti d'uragano, vennero messi alla prova dall'acqua corrente. Divennero barriere per le imbarcazioni, che si ammucchiarono contro di essi, e li ruppero.

Delle navi ormeggiate si sollevarono dai moli e dalle banchine, portando con loro gli ormeggi, oppure si infilarono nelle strade centrali delle città di porto, infilandosi nelle pareti dei grattacieli.

I battelli più leggeri vennero strappati dalle grandi ancore, o tirati a fondo da esse. I fari vennero inondati. Alcuni brillarono per ore negli abissi, dopo essere stati sommersi dalle acque.

I ghiacci perenni delle coste della Siberia e dell'Alaska vennero rotti dal basso, e sciolti nell'acqua salata. In America e in Russia i razzi a testata nucleare vennero sommersi nei loro ripari (Un giornale dell'interno suggerì di usare le bombe atomiche per far evaporare l'acqua). Le linee dell'alta tensione vennero sommerse, tra un crepitio di corti circuiti, e riapparvero più tardi, drappeggiate di rottami.

Le piccole maree del Mediterraneo diventarono enormi, per lo meno quanto bastava a creare disastri della medesima entità subita generalmente dai porti oceanici colpiti da uragani rinforzati da eccezionali maree lunari.

Le limpide acque del Mississippi furono come un velo sottile, sopra la marea salata che dal Golfo penetrò nel delta del fiume, invadendo le strade di New Orleans.

I fratelli Araiza e Don Guillermo Walker s'imbatterono in un fenomeno analogo sul San Juan. Più tardi, nel pomeriggio, il fiume invertì il corso della corrente, traboccò nella giungla, su entrambi i lati, e cominciò ad acquistare un sapore salmastro. Apparvero dei rottami, portati dalla corrente verso monte. Bestemmiarono, sbalorditi… i latini con un certo rispetto, lo yankee in modo teatrale, recitando un brano del Re Lear… e diressero la lancia nuovamente verso il Lago Nicaragua.

La popolazione delle grandi città portuali trovò rifugio sulle alture dell'entroterra o… in maniera assai più precaria… sui piani più alti dei grattacieli, dove vennero combattute delle guerriciole feroci per la conquista dello spazio vitale. Furono organizzati dei ponti aerei, che salvarono qua e là dei dispersi. Persone eroiche e semplicemente ostinate, o incredule, rimasero ai posti di lavoro. Una di queste persone era Fritz Scher, che rimase per tutta la notte all'Istituto delle Maree. Hans Opfer, sfidando l'acqua che invadeva le strade di Amburgo, era uscito per la cena, promettendo di ritornare con dei wurstel e un paio di bottiglie di birra, ma non fece più ritorno… sopraffatto dalle acque e dal proprio istinto di conservazione.

Così Fritz non ebbe più nessuno cui rivolgere le sue risate di scherno, quando arrivò la bassa marea, nelle ore serali. E più tardi, verso mezzanotte, ebbe soltanto la sua macchina per la previsione delle maree, con la quale dividere le sue razionalizzazioni sul motivo dell'incredibile bassa marea, segnalata dai pochissimi rapporti che continuavano ad arrivare. Ma questo gli diede uguale soddisfazione, perché il suo devoto affetto per la lunga macchina aerodinamica stava diventando fisico. Trasferì la scrivania accanto alla macchina, in modo da poterla toccare costantemente. Di quando in quando andava a una finestra e guardava brevemente fuori, ma c'era una fitta nuvolaglia, così la sua incredulità verso il Vagabondo non venne messa alla prova cruciale.

Molti di coloro che sfuggivano alle maree s'imbattevano in altri guai, che fecero loro dimenticare la minaccia delle acque. A mezzogiorno, ora del Pacifico, l'autobus scolastico e il camion che trasportavano gli studiosi dei dischi volanti erano impegnati in una corsa col fuoco. Davanti a loro, grandi muraglie di fiamme stavano scalando rapidamente i pendii sabbiosi, lungo i quali la Collinare di Santa Monica attraversava la spina dorsale delle montagne di Santa Monica.


Barbara Katz osservò la piccola ondata giungere dal lato sinistro della Rolls Royce, dall'altra parte della strada, e disperdersi tra i fili verdi dell'erba, mentre Benjy, con ostinazione ammirevole, manteneva la velocità sui cinquanta chilometri orari, con una costanza esasperante. Come comandante a bordo dell'auto, almeno secondo il parere degli altri, Barbara avrebbe dovuto sedere davanti, ma la ragazza riteneva ancor più vitale rimanere accanto al suo milionario, così era seduta dietro Benjy, con il vecchio KKK accanto a lui, ed Hester dall'altra parte; mentre Helen era sul sedile anteriore, accanto a Benjy e a una montagna di valigie,

Il sole era alto nel cielo, e i suoi raggi avevano cominciato a giungere all'interno della macchina, quando essi iniziarono una marcia verso est, attraverso le zone paludose. I finestrini erano chiusi ermeticamente, dalla parte di Barbara, e il caldo si faceva sentire. Sapeva che il lago Okeechobee doveva essere da qualche parte, a destra, verso nord, ma non poteva vedere altro che l'apparentemente infinita distesa erbosa, interrotta qua e là da macchie di neri cipressi sepolcrali, e lo stretto corridoio d'acqua, simile a uno specchio, copriva la strada diritta, livellata, con un velo di due centimetri, o al massimo otto… finora.

«Lei ha proprio ragione sull'alta marea, signorina Barbara,» disse Benjy, con voce gentile e allegra. «Arriva fin qui. Mai sentita una cosa simile.»

«Zitto, Benjy,» lo avvertì Hester. «Il signor K sta ancora dormendo.»

Barbara avrebbe voluto essere così fiduciosa, sulla propria sapienza, quanto sembrava esserlo Benjy. Controllò i due vecchi orologi da polso del vecchio KKK, che si era messa al polso… le due e dieci, dicevano… e l'ora per la seconda alta marea della giornata a Palm Beach, sul retro del foglio strappato dal calendario… l'una e quarantacinque. Ma un'alta marea che penetrava nell'interno non sarebbe stata più lenta che sulla costa? Almeno, le sembrava di ricordare che per i fiumi il ritardo esisteva. Non sapeva abbastanza, si disse.

Un'automobile aperta, che andava a una velocità doppia della loro, li sorpassò ruggendo, spruzzando la Rolls d'acqua. Continuò a filare come un proiettile, sollevando spruzzi d'acqua in ogni direzione. A bordo c'erano quattro uomini.

«Un altro maniaco della velocità,» brontolò Hester.

L'incontro svegliò il vecchio KKK, che guardò Barbara con occhietti arrossati e stanchi, che le parvero svegli per la prima volta, nel corso della giornata. Aveva attraversato il periodo dei preparativi e della partenza vera e propria in una specie di sopore ipnotico, che aveva preoccupato Barbara, ma non Hester. «Non ha dormito fino in fondo, ma starà benissimo,» le aveva detto Hester.

In quel momento, il signor K disse, bruscamente:

«Telefoni all'aeroporto, signorina Katz. Vogliamo due biglietti per Denver, con il primo aereo. Tripla tariffa per gli impiegati dell'ufficio prenotazioni, per il pilota, e per la compagnia aerea. Denver è a un miglio di altezza, lontano dalla portata di qualsiasi marea, e ho degli amici là.»

Barbara si voltò a guardarlo, spaventata, poi si limitò a indicare l'ambiente che li circondava.

«Oh, sì, adesso comincio a ricordare,» disse il milionario, lentamente, dopo un momento. «Ma perché non ha pensato all'aria, signorina Katz?» si lamentò guardando la borsetta nera della Black Ball Jetline che la ragazza teneva sulle ginocchia.

«Questa me l'ha prestata un'amica. Sono venuta con l'autostop, dai Bronx. Non vado spesso in aereo,» confessò, infelice, sentendosi ancor più infelice dentro. Ecco, lei era venuta a soccorrere così brillantemente il suo milionario… abbacinata da una sedan Rolls Royce… e aveva trascurato il metodo più ovvio per farlo, probabilmente condannandoli tutti. Santo cielo, perché lei non aveva pensato come un milionario?

In un angolo della mente, al di fuori dell'area dell'infelicità, lei si stava chiedendo se il vecchio KKK avesse fatto un piccolo sbaglio, nel menzionare solo due biglietti. Certamente aveva voluto dire cinque… be', lui parlava a Hester, a Helen e a Benjy come se fossero stati i suoi figli!

«Almeno abbiamo portato del denaro con noi?» le domandò seccamente.

«Oh, sì, signor Kettering, abbiamo preso tutto quello che c'era nella cassaforte dello studio,» gli assicurò Barbara, traendo un po' di conforto dallo spessore dei rotoli di banconote che poteva sentire, attraverso la stoffa della borsetta.

La Rolls stava rallentando. L'ultima automobile che li aveva sorpassati era bloccata, nell'erba alta, con il cofano semisommerso, e i quattro uomini che erano stati a bordo si trovavano nell'acqua fino al ginocchio, bloccavano la strada e gesticolavano.

Quella visione la galvanizzò.

«Non rallenti!» gridò, aggrappandosi allo schienale del sedile di Beniv. «Acceleri e vada diritto!»

Benjy rallentò ancora un poco.

«Fa' quello che ti dice la signorina Katz, Benjamin,» gli ordinò il vecchio K, con un'asprezza che gli fece pronunciare l'ultima parola insieme a un colpo di tosse… e l'ultima parola fu, «Svelto!»

Barbara poté vedere la testa di Benjy abbassarsi, le spalle alzarsi, e immaginò che i suoi occhi si socchiudessero, mentre il piede premeva il pedale dell'acceleratore.

I quattro uomini aspettarono, finché non si trovarono a due macchine di distanza, poi saltarono ai bordi della strada, mandando grida rabbiose. Non era stato un buon bluff.

Barbara si voltò, e vide uno di loro lottare con un altro, che aveva estratto la pistola.

Forse ho fatto una cosa sbagliata, pensò.

Col cavolo, che l'ho fatta!


Dai Davies era seduto sul bancone, osservava le sue vergini-candele versare le ultime bianche lacrime, il loro latte di vergine, con l'animo annerito che si rovesciava nelle pozze di cera e vi annegava. Gwen e Lucy erano andate, e anche Gwyneth, ora. Era una doppia perdita, perché lui aveva bisogno del loro semplice calore e della luce; il sole era tramontato, e l'oscurità limpida ma intensa si era posata pian piano sul gran prato grigio acquoso che era tutto ciò ch'egli poteva vedere attraverso i vetri sfaccettati della porta. Aveva sperato che un guizzo di luce gli giungesse dal lontano Galles, ma non era venuto.

La marea della Severn era entrata nel pub già da qualche tempo, ed era così alta, ora, che lui doveva sollevare i piedi. Due scope, uno straccio, un secchio, una cassa di sigari, e sette pezzi di legno galleggiavano intorno a lui, lentamente. Aveva pensato fuggevolmente di andar via, a un certo punto, e si era infilato due bottiglie nelle tasche, in vista di questa eventualità; ma poi aveva ricordato che quello era il terreno più alto che si trovasse intorno, per centinaia e centinaia di metri, e le candele erano state calde e gentili, e adesso lui aveva bevuto ancora, lo sapeva, aveva una nuova riserva d'alcool che per un poco lo avrebbe mantenuto leggero.

In ogni caso, era quello il luogo migliore per fare il Re Canuto sopra una bara di coccodrillo. Ancora cinque centimetri, e la marea si sarebbe fermata, e avrebbe cominciato a defluire, decise d'un tratto… e ordinò con voce potente all'acqua di farlo.

Dopotutto, all'una, o qualche minuto dopo, c'era stata la bassa marea, così ora doveva essere l'alta marea, o doveva mancarvi poco… se questo pazzo diluvio salato obbediva a qualcuna delle vecchie regole.

Annusò beatamente la bottiglia aperta che teneva in mano… importata dall'America, Kentucky Tavern di Erskine Caldwell… e guardò Eliza rabbrividire e spegnersi e poi, d'un tratto, sprizzare fiamma azzurrina e vivida.

Le finestrelle bordate di piombo si gonfiarono, per un nuovo afflusso della marea. L'acqua penetrava dal buco che aveva aperto nella porta. Poi sentì chiaramente il bancone, sotto di lui, muoversi un poco… anzi, era l'intero edificio a muoversi. Bevve un lungo sorso, e gridò, ridendo, «Una volta tanto è la taverna a ballare, e non Dai!» Poi fu pervaso da un'immensa serietà, e finalmente capì con esattezza quello che stava accadendo, e gridò, con selvaggio orgoglio, «Muori, Davies! Muori! Guadagnati il tuo nome. Ma muori gloriosamente. Muori, con una bottiglia di whisky in mano, cantando il tuo amore per la lontana Cardiff. Ma…» E poi, vincendo per la prima volta nella sua vita la strisciante gelosia per Dylan Thomas… «Non addentrarti quieto in quella buona notte. Infuria, infuria, contro il morire della luce.»

E in quel momento, mentre Eliza si spegneva in un ultimo guizzo, e l'ultima goccia di luce perlacea parve smorire su tutta la grigia pianura della Severn, si udì bussare con forza alla porta, un battito pesante, lento, triplo e autoritario.

Un terrore soprannaturale s'impadronì di lui, e gli diede la forza di muoversi, vincendo la forza del whisky, di calarsi nell'acqua gelida e guazzare in essa, immerso fino alla cintola, per aprire la porta. Là, appena fuori, premuto contro la porta dalla corrente, egli vide, alla luce morente di Mary e Jane e Leonie un piccolo scafo lungo, nero e vuoto.

Ritornò pesantemente al bancone, e l'acqua era un ostacolo ma anche un supporto, per lui; prese tre bottiglie nuove, stringendole nell'incavo del braccio, e, tornando indietro, raccolse le due scope galleggianti.

La leggera imbarcazione stava aspettando. Dai gettò a bordo le scope, vi posò le bottiglie con ogni cautela, e poi si issò a bordo, faticosamente; per poco non perse i sensi, ma l'acqua era gelida, e finalmente riuscì a salire, gettandosi a faccia in giù sul legno bagnato. E allora perse i sensi. Con un ultimo calcio in direzione della porta, riuscì a far muovere la barca, che si allontanò galleggiando.


Richard Hillary camminava, in un crepuscolo più scuro, a dieci metri da una strada rumorosa di macchine. Le auto si muovevano lentamente, quasi a contatto di parafango, in tre corsie vicinissime, e così non c'era posto per il traffico che veniva dalla direzione opposta. Era inutile tentare di ottenere un passaggio, perché le automobili erano tutte cariche di passeggeri… e se un posto vuoto fosse apparso, sarebbe stato conquistato subito da qualcuno che ne aveva più evidenti diritti, o semplicemente da qualcuno più vicino alla strada. Inoltre, lui camminava quasi più rapidamente delle automobili, e certamente più in fretta della maggior parte dei pedoni.

Automobili e gente a piedi, e lui era a qualche distanza da Uxbridge, e si dirigeva a nord-est. Era stato un sollievo, quando il sole abbacinante era tramontato, benché ogni segno del passar del tempo facesse ancor più affrettare i pedoni, e gremisse ancor più di macchine la strada.

In vita sua, Richard non aveva mai sperimentato un tale disastro rivoluzionario, né direttamente, né nello scorrere degli eventi intorno a lui… neppure ai tempi dei bombardamenti, che ricordava confusamente nelle nebbie dell'infanzia… e tutto in sei ore. Prima, la corriera che si era diretta a nord, per sfuggire alla piccola inondazione di Brentford… il brontolio del conducente alle proteste dei passeggeri, rotto soltanto da un reiterato «Ordine della Polizia Stradale!»… notizie radiofoniche di grandi inondazioni nel cuore di Londra, del disco volante americano avvistato nella Nuova Zelanda e in Australia, e chiamato «un pianeta»… la radio ammutolita da scariche di statica, proprio mentre qualcuno aveva cominciato a recitare un elenco di «direttive ai civili»… gente che si domandava, freneticamente, come mettersi in contatto con le famiglie, e lui che si sentiva per metà ferito, e per metà sollevato, al pensiero che nel suo caso non c'era nessuno che contasse davvero. Poi la corriera che si fermava al West Middlesex Hospìtal, con l'informazione che era stata requisita per trasportare i pazienti… altre proteste senza esito… il consiglio di andare a nord-ovest a piedi, «lontano dall'acqua»… il rifiuto di credere… un breve vagabondaggio tra i prati di una nuova università… automobili, e profughi pallidi come cenci lavati che venivano in sempre più gran numero da est… l'elicottero che seminava volantini… un volantino ancora fresco d'inchiostro, che diceva semplicemente, «Tutti gli abitanti del Middlesex Occidentale vadano sulle colline Chiltern. Acqua alta prevista per le due dopo mezzanotte.» Finalmente, unendosi a una carovana di viaggiatori che andavano a nord-ovest, e che ingrossava sempre di più… lui era diventato un componente di una folla attonita e frettolosa.

Richard giudicò di essere in cammino ormai da due ore. Era stanco; teneva la testa bassa, lo sguardo fisso sulle scarpe infangate. C'erano segni evidenti d'inondazioni recenti, in una distesa di terreno più basso, che avevano appena superato: pozzanghere torbide ed erba sporca e appiattita. Non aveva un'idea precisa sul luogo in cui si trovava, tranne il fatto che aveva passato già da tempo Uxbridge, e aveva attraversato la Coine e il Grand Junction Canal, e che lontano, davanti a lui, già poteva vedere le colline.

Il crepuscolo era stranamente livido. Per poco non si scontrò con un gruppo di persone che si erano fermate, e a occhi sbarrati guardavano qualcosa in alto, sopra la testa di Richard. Si voltò a sua volta, per vedere quale fosse il motivo di tanto interesse e lassù, basso sull'orizzonte orientale, egli vide finalmente l'agente della loro sciagura, grande almeno quanto la Luna doveva sembrare grande in sogno. Era quasi tutto giallo, ma con una larga sbarra purpurea che scendeva dal centro, e dalle estremità della sbarra due braccia purpuree, che si curvavano per formare una grande D. Pensò, D come disastro, D come dramma, D come distruzione. Quell'oggetto poteva essere un pianeta, ma non sembrava bello… sembrava un emblema minaccioso, come quelli che si potevano vedere in una fabbrica di bombe.

Si ritrovò a pensare a tante cose… in quale sicurezza la Terra aveva ruotato in tutta la sua solitudine, per milioni di anni, come una casa nella quale non giungono mai degli estranei, e quanto precaria fosse sempre stata in realtà quella solitudine. Quando la gente rimane sola per troppo tempo, diventa eccentrica, ed egoista, e abitudinaria… questo pensiero lo colpì, e non voleva andarsene.

Ma perché, pensò, rabbiosamente, Perché, quando infine dagli estremi limiti dell'universo giunge un intruso mortale, esso non sembra altro che uno stupido annuncio pubblicitario, una lampada circolare su di un cartellone invisibile?

Poi lo scintillare di un pensiero, giunto in ritardo: D come Dai. Ricordò in quel momento che le maree, alla foce dell'Avon, raggiungevano un'altezza di dodici metri, con la luna piena, e fuggevolmente si domandò cosa stesse facendo in quel momento il suo amico.


Dai Davies riprese i sensi, intirizzito paurosamente, e con la bocca sul legno. Riuscì ad appoggiare i gomiti sul legno… facendolo rollare, con quel movimento, e rendendosi conto di essere su una fragile imbarcazione… e a sollevare il viso dal legno, appoggiandolo sulle mani. Sopra il parapetto egli vide soltanto la nera pianura del Canale di Bristol, gonfia di acque silenziose, con alcune luci remote e piccole, che avrebbero potuto essere Monmouth o Glamorgan o Somerset, o le luci d'imbarcazioni, solo che era difficile distinguerle dal riverbero di stelle rade e fievoli.

Sentì sul petto il freddo cilindro di una bottiglia. L'aprì e bevve un sorso di Scotch. Non lo riscaldò, ma parve dargli un po' di vita. La bottiglia gli scivolò dalle mani, e cadde gorgogliando. La sua mente non stava ancora funzionando. Tutto quello che entrava era il pensiero che il Galles doveva essere sotto di lui, compresa la Stazione Sperimentale di Energia delle Maree della Severn. La prima parte di quel pensiero gli ricordò frammenti delle poesie di Dylan Thomas, che borbottò confusamente: «Solo le profonde, sommerse campane di armenti e di chiese… Acque scure su ogni campo… Sotto le stelle del Galles, Gridano, Moltitudini di Arche! (Un'arca-fuscello, Noè-Solitario.) Oltre le terre velate d'acqua chiara… e ora i fiori delle inondazioni.»

A intervalli regolari, la fragile imbarcazione sussultava. Dai, laboriosamente, riuscì a concludere che quelle piccole onde potevano essere le ondulazioni morenti delle enormi ondate dell'Atlantico, che risalivano la Manica lottando con la marea. Ma cos'era, cos'era quello che faceva scintillare le piccole creste delle onde, scintille di birra e di liquore, di sangue e d'oro?

Poi le onde fecero girare la barca, ed egli vide, nascente a est, il globo purpureo del Vagabondo, con un drago d'oro ricamato su di esso. Di fronte al drago galleggiava uno scudo d'oro, triangolare. E portato dalla rotazione di quel globo alieno stava giungendo un grosso fuso bianco, a grani, che pareva il bozzolo scintillante di qualche immensa lucciola bianca. Nella mente di Dai filtrarono i ricordi di quelle folli notizie yankee, e forse l'associazione d'idee tra lucciola, lucciola di Luna, Luna gli disse che il fuso era la stessa luna alla quale lui e Dick Hillary avevano augurato la buonanotte quindici ore prima.

Immobile e incapace di parlare, attonito, s'immerse in quella visione per tutto il tempo che poté sopportare. Poi, quando il freddo lo fece tremare convulsamente, e lo scafo girò, portato dalle onde, e muovendosi più velocemente, ora, mentre anche i sussulti si facevano più forti, egli trovò la bottiglia quasi vuota, e bevve un sorso, lentamente, prudentemente. Poi si mosse, faticosamente, fino a quando non riuscì a mettersi a sedere, trovò le due scope, le infilò al posto dei remi che non c'erano, e cominciò a remare.

Sobrio, oppure soltanto vigorosamente ubriaco dopo un riposo, forse lui avrebbe potuto uscire da quella situazione, benché il riflusso della marea fosse assai veloce, e lui si trovasse più vicino al Canale della Severn che alla riva del Somerset. Ma si limitò a remare quel tanto che bastava per mantenere quel fragile guscio in direzione del mare, e di occidente, in modo che lui potesse osservare quel magico prodigio celste. E mentre guardava, borbottava e si lamentava, «Mona, cara Luna… ti sei trovata un altro uomo, vedo… un grande imperatore, venuto a bruciare il mondo con acqua e tempesta… sei stata violata e ferita, Luna mia, ma sei più bella che mai, sai tessere un'altra e nuova forma dalla tua tragedia… vorresti essere un anello bianco?… Io sono ancora il tuo poeta, Luna, il poeta della Luna, solitario… sono un Solitario, un nuovo Solitario, il Solitario del Galles, non il navigatore, andrò con la forza dei remi in America questa notte, solo per vederti… mentre città e navi affondano, e un gran rumore si sente nella città, e poi anche questo svanisce mano a mano che giungono le onde scure, e non sono scure ma rosse di acqua chiara, luce nuova nel cielo, mentre in un sussurro il mondo affonda sotto il placido mare…»

Le onde si fecero più alte, minacciose, ruggenti di schiuma d'oro e di vino. A un quarto di miglio da lui, se si fosse voltato a guardare, avrebbe visto svilupparsi un insidioso gioco d'onde incrociate, una rete di onde scintillanti come pietre preziose che s'impennavano avide mentre le onde piccole e mortali andavano verso la riva.


Bagong Bung, piccolo al fianco del grosso ingegnere australiano, osservò la ciminiera arrugginita, spezzata, incrostata di alghe sollevarsi gradualmente, come a scatti, dall'acqua scintillante, cinquanta metri oltre la prua della Machan Lumpur, mentre il Vagabondo tramontava sopra il Vietnam, e il sole sorgeva sopra Hainan.

Una forte corrente muoveva le alghe e penetrava nei fori della ciminiera, schiumando e spingendo anche la Machan Lumpur, così che il piccolo vapore teneva in funzione l'elica solo per conservare la posizione, mentre il Golfo del Tonchino continuava a vuotarsi nel Mare della Cina.

Un suono basso e risonante veniva da sud, simile al ruggito remotissimo di un reattore. Non avevano modo di sapere che quel suono portava l'annuncio dell'esplosione dell'isoletta vulcanica di Krakatoa, nello stretto di Sunda, un'esplosione avvenuta due ore e mezzo prima.

E ora il ponte del relitto, incrostato di alghe variopinte, apparve, e la corrente, cominciò a scemare. Quando infine l'intera sagoma della nave affondata diventò visibile, Bagong Bung seppe, con certezza, che si trattava proprio della Sumatra Queen.

Allora il piccolo malese s'inginocchiò sul ponte, e s'inchinò verso ovest, nella direzione del Vagabondo e, per combinazione, anche della Mecca, e disse, sommessamente:

«Terima kasi, bagus kuning dan ungu!»

Dopo avere ringraziato il portatore di miracoli giallo e purpureo, si alzò bruscamente in piedi, e con un cenno gioioso e regale della mano gridò:

«Ci legheremo alla nostra nave del tesoro, Cobber-Hume, baik sobat e saliremo a bordo come re! Finalmente, mio buon amico, la Machan Lumpur è veramente la Tigre del Fango!»


Sally Harris si sporse dalla balaustra dell'attico, e sospirò. Le ombre erano più fitte, intorno.

A occidente, le ultime fiamme del tramonto si mescolavano a quelle del petrolio uscito dai serbatoi rotti dall'inondazione, che stava ora galleggiando e bruciando sull'acqua salata che inondava Jersey City. A est il Vagabondo stava spuntando, mostrando la sua faccia di dinosauro.

«Cosa succede, Sal?» disse Jake, che era seduto all'interno, sorseggiava dell'ottimo brandy e assaggiava numerosi, squisiti formaggi. «Non dirmi che il nostro incendio è ricominciato.»

«No, sembra proprio spento. L'acqua arriva a metà dell'edificio, e continua a salire.»

«È questo che ti preoccupa?»

«Non lo so, Jake,» disse lei, inquieta. «Stavo guardando le chiese che affondavano. Non sapevo che ce ne fossero tante. San Patrizio e l'Epifania e Cristo re e San Bartolomeo e della Grazia e il Tempio degli Attori e Santa Maria Vergine e del Calvario e di Tutte le Anime e di San Marco, e B'nai Jeshurum e la Chiesetta dietro l'Angolo e…»

«Ehi, non puoi vederle tutte da qui,» protestò Jake. «Non puoi vederne neppure la metà.»

«No, ma posso vederle con la mente.»

«Be', allora dedica la tua mente al lavoro!» le ordinò. «Ascolta, Sal, il nostro pianeta si è trovato addosso King Kong, che si alza sopra l'Empire State Building. Che ne dici, per qualcosa di folle e divertente? Forse riesco a infilare l'idea nella commedia.»

«Sono pronta a scommettere che riuscirai!» esclamò lei, rianimandosi. «À proposito, hai finito la mia canzone dell'Arca di Noè?»

«Non ancora. Santo cielo, Sal, dovrò pure riposarmi un poco, dopo l'incendio.»

«Ti sei già riposato. Avanti, mettiti al lavoro.»

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