CAPITOLO XI

Doc ansò, rapidamente:

«Non m'importa sapere quanto siamo vicini all'ingresso, so soltanto che devo riposarmi.» Abbassò il suo angolo della barella sulla sabbia, e s'inginocchiò là, appoggiando le braccia alle ginocchia, e ansando rumorosamete.

«La sua vita peccaminosa comincia a farle pagare le conseguenze,» disse allegramente Hunter, poi mormorò a Margo, «Sarà meglio che non sforziamo troppo il vecchio caprone. Generalmente fa ginnastica quanto un prosciutto affumicato.»

«Posso ritornare io,» si offrì ansiosamente quello che aveva occupato il posto di Doc poco prima… uno studente universitario dal viso allampanato, che era venuto al simposio in macchina da Oxnard, insieme a Wojtowicz.

«Sarà meglio che tiriamo tutti un po' il fiato, Harry,» disse quest'ultimo. «Professore…» si rivolgeva a Hunter. «Mi sembra che la Luna abbia rallentato di nuovo. Sia tornata alla normalità, quasi.»

Tutti, a eccezione della grassona, studiarono la situazione nel cielo occidentale. Perfino Doc sollevò il capo, pur senza smettere di ansimare. Senza alcun dubbio il nero istmo tra il Vagabondo e la Luna non si era allargato, durante la breve marcia del gruppo dopo l'ultima sosta.

«Mi sembra che la Luna stia rimpicciolendo,» disse Ann.

«Sembra anche a me,» ammise l'Omino. Sedette a terra, tenendo fermo con il braccio l'inquieto Ragnarok, e accarezzando il testone bruno del cane con dita suadenti, e sollevò il capo per osservare il cielo. «E… so benissimo che sembra fantastico, e pazzesco… ma ho l'impressione che la Luna si stia facendo oblunga, anzi, che si stia appiattendo un poco dall'alto al basso, allargandosi ai lati. Forse è solo un gioco della vista, ma sarei pronto a giurare che la Luna sta diventando ovale, e una sommità dell'uovo punta verso il nuovo pianeta.»

«Sì,» esclamò Ami, con voce un po' stridula. «E adesso vedo… oh. è una linea tenue, molto tenue, che va dalla sommità al fondo della Luna.»

«Linea?» esclamò l'Omino.

«Sì, come una spaccatura,» gli disse Ann.

L'Uovo Dischiuso e la Nascita Spaventosa, pensò Bacchetto. Così avviene come io avevo predetto. Ispan-Serpente ha fecondato, e la Bianca Vergine partorisce.

Devo confessare che questo non lo vedo,» disse l'Omino.

«Bisogna guardare con molta attenzione,» gli disse Ann.

«Ti credo sulla parola,» disse Wojtowicz. «I bambini hanno la vista acuta.»

Doc ansimò, eccitato:

«Se là c'è spaccatura che anche uno solo di noi è in grado di vedere, deve essere vasta miglia e miglia.»

Hunter disse lentamente, con voce sorda, come se le parole gli uscissero con uno sforzo tremendo:

«Io credo che la Luna stia entrando in orbita intorno al nuovo pianeta… e che stia penetrando nel limite di Roche.» Aggiunse, rapidamente. «Rudy, al di là del limite di Roche i satelliti solidi non si spezzano come se fossero liquidi?»

«Non credo che esista qualcuno che lo sappia con certezza.» rispose Doc.

«Be', allora è il momento di scoprirlo,» rispose l'uomo barbuto.

Rama Joan disse:

«E scopriremo anche cosa provano le formiche, quando qualcuno calpesta il loro formicaio.»

«La luna… si rompe?» disse Wojtowicz.

Margo strinse il braccio di Paul.

«Don!» esclamò. «Oh mio Dio, Paul, avevo dimenticato Don!»


Il Vagabondo apparve, all'inizio, a venticinquemila miglia di distanza dalla Luna; dieci volte più vicino alla Luna di quanto non fosse la Terra. I suoi effetti deformanti sulla Luna — effetti all'origine delle maree — furono perciò mille volte maggiori di quelli che la Terra esercita sulla Luna, dato che questi effetti variano inversamente al cubo della distanza tra i corpi. (Se essi non avessero variato inversamente al cubo, il massiccio sole avrebbe esercitato un effetto di marea sulla Terra molte volte maggiore della Luna, invece di essere superato, per questo effetto, dal corpo più piccolo, in proporzione di undici a cinque.)

Quando la Luna entrò in orbita intorno al Vagabondo, a una distanza di venticinquemila miglia, era cento volte più vicina a quel pianeta di quanto non lo sia la Terra. Perciò, il suo intero corpo, crosta e nucleo, veniva afferrato da una stretta gravitazionale un milione di volte più forte.


Lo schermo visore del Baba Yaga stava girando verso la Terra, quando il continuo rotolio della tuta spaziale, che batteva contro le pareti della cabina, finalmente svegliò Don Merriam, mentre lui stava rotolando in direzione dello schermo. Si svegliò con la mente lucida e pronta all'azione, riposato e tonificato dall'ossigeno fresco. Gli bastò un momento per raggiungere il sedile di pilotaggio. Legò le cinture di sicurezza, questa volta.

La bianca superficie lunare, macchiata dalle pareti dei crateri, e da qualcosa d'altro, apparve nel suo campo visuale, gonfiandosi visibilmente, avvicinandosi. Poi venne un precipizio di rocce nude e aspre e scintillanti, che scendeva, apparentemente senza limiti, verso il nucleo del satellite. Poi uno stretto nastro di oscurità abissale, diviso, in questa estensione nera, da un filo lucente, che era quasi completamente viola, ma a un'estremità si faceva di un giallo carico. Poi un altro scintillio, e un'altra interminabile parete abissale, che si tuffava verticalmente verso il centro della Luna.

Gli occhi dissero a Don che egli non si trovava a più di quindici miglia dalla superficie lunare, e continuava a precipitare verso la bianca parete a una velocità di circa un miglio al secondo. E non c'era il tempo di rallentare la caduta, facendo ruotare l'astronave e accendendo i razzi frenanti.

Mentre questi pensieri passavano come lampi nella mente di Don, le dita dell'astronauta toccarono i tasti dei razzi stabilizzatori, che fermarono la lenta rotazione del Baba Yaga, in modo che lo schermo… e Don… guardarono direttamente nell'abisso.

C'era una sola speranza, basata su qualcosa di esile come una combinazione di colori. C'era stato qualcosa di viola e giallo dietro la Luna, che aveva brillato con grande intensità. Ora c'era un filamento viola e giallo, che scintillava nell'oscurità nera del nucleo della Luna. Poteva darsi che lui riuscisse a vedere, attraverso l'abisso, dall'altra parte della Luna.

La luna… spaccata in due come un ciottolo? I nuclei planetari potevano fluire, non rompersi. Ma qualsiasi altra teoria voleva dire 'morte', per lui.

Le pareti di aspre rocce squarciate gli vennero incontro. Era troppo vicino alla parete di destra. Su quel lato del Baba Yaga, un piccolo razzo lampeggiò, facendo deviare lievemente l'astronave… e iniziando una seconda rotazione, che un'altra accensione degli stabilizzatori neutralizzò quasi nello stesso istante in cui si era manifestata.

Quando era stata ragazzo, Don Merriam aveva letto Gli Dei di Marte di Edgar Rice Burroughs. In quel romanzo di science fantasy, John Carter, il più grande spadaccino dei due pianeti, era sfuggito, insieme ai suoi compagni, dall'immenso mondo sotterraneo vulcanico che era la caverna dei Pirati Neri di Barsoom e del loro spaventoso culto di Issus, pilotando un apparecchio marziano verticalmente, attraverso il pozzo lungo miglia e miglia, e angusto, che conduceva nel mondo esterno, preferendo quella strada diretta e pericolosa all'espediente di salire lentamente e prudentemente, con la spinta di 'galleggiamento' dei serbatoi a raggi dell'apparecchio. Quest'ultima sarebbe stata l'unica strada normale e ragionevole, ma John Carter aveva trovato la salvezza per sé e i suoi compagni nella pura, folle velocità, orientandosi nel volo verticale con una stella visibile alla remota sommità della galleria.

Forse gli Dei di Marte erano gli arbitri di tutte le azioni di Don Merriam, a questo punto. In ogni modo, egli avvertì improvvisamente, intorno a sé, nella cabina del Baba Yaga, la spettrale presenza, nelle loro armature tempestate di gioielli, di Xodar il rinnegato Nero, di Chartoris, il misterioso Marziano Rosso, di Matai Shang, il sinistro Padre dei Sacri Tre, e della sua coraggiosa, bellissima, innamorata e incredibilmente traditrice figlia Phaidor. E fu un fatto che, nel momento in cui il Baba Yaga fu avvolto da pareti di nuda roccia toccate per la prima volta dai raggi del sole dopo milioni e milioni di anni di tenebra e silenzio, e mentre Don azionava i razzi principali, e fu schiacciato dall'accelerazione sul sedile, mentre usava come timone i razzi stabilizzatori e i razzi a combustibile solido, per mantenere uguale lo scintillio delle pareti a strapiombo, e il filamento viola-e-giallo al centro perfetto di due metà uguali di abisso nero, egli gridò improvvisamente, nella cabina deserta:

«Tenetevi forte, se vi è cara la vita! Sto per immergermi nell'abisso!»


Gli studiosi dei dischi volanti sentirono che la sabbia veniva sostituita da una striscia di terra dura e pressata, che si inerpicava bruscamente verso l'alto reticolato che circondava la base dell'altopiano sul quale sorgeva Vandenberg Due. Ma in quel punto… a mare del luogo in cui la rossa luce intermittente era sospesa, alla sommità del suo palo, trenta metri dopo il reticolato… e almeno sessanta metri più in alto… una rientranza vasta penetrava nella parete naturale, rendendo la salita più agevole. Molte tracce di cingoli e di pneumatici si vedevano, sul fondo della rientranza. C'era un ampio cancello, nel reticolato, dove esso attraversava la strada, e accanto al cancello, come se fosse stata costruita insieme al reticolato, c'era una torretta di guardia di due piani. Il cancello era chiuso e la torretta era priva d'illuminazione, ma la porticina, all'esterno della torretta, era aperta.

Quella visione rallegrò considerevolmente Paul. Egli raddrizzò le spalle, e il nodo della cravatta. Il piccolo corteo si fermò a una quindicina di metri dal cancello, e lui, Margo e Doc procedettero in quella direzione, preceduti dalle loro nere ombre dai contorni di porpora e d'oro.

Una voce metallica e dura uscì dalla cassetta sistemata sopra la porta, e disse:

«Fermatevi dove siete. State per violare i confini di un terreno di proprietà del Governo degli Stati Uniti. L'accesso è vietato a tutto il personale non autorizzato. Non potete oltrepassare il cancello. Ritornate da dove siete venuti. Grazie.»

«Oh, per la miseria!» esplose Doc. Da quando era stato sollevato dal peso della branda, aveva riacquistato rapidamente il suo spirito combattivo. «Credi che siamo una commissione esplorativa dei piccoli uomini verdi?» e gridò alla scatola. «Non vedi che siamo esseri umani?»

Paul toccò il braccio di Doc e scosse il capo, ma continuò ad avanzare. Chiamò, con voce cortese:

«Io sono Paul Hagbolt, 929-CW, accreditato capitano-parificato FC del Progetto Luna. Chiedo l'ammissione per me e per undici persone in condizioni di estrema necessità, a me note, e chiedo un trasporto per queste ultime.»

Un soldato uscì dall'oscurità della porta, e apparve nella luce del Vagabondo. Si trattava inconfondibilmente di un soldato, perché indossava un pesante paio di stivali, e aveva un elmetto sulla testa; una pistola, un coltello, e due granate appese alla cintura; sul braccio destro era ritto un fucile mitragliatore, e sulla schiena c'era il rigonfio… Paul notò questo senza credere ai propri occhi… di un dispositivo per il volo a razzo individuale.

Il soldato aveva il viso impassibile del giocatore di poker, e stava eretto rigidamente, ma il ginocchio destro si muoveva lievemente, rapidamente e con frequenza, come se da un momento all'altro egli avesse potuto iniziare una danza primitiva, o molto più ragionevolmente, come se egli avesse cercato di controllare un tic senza riuscirci.

«CW e JR, eh?» disse a Paul, sospettosamente, ma anche con un certo rispetto. «Vediamo i suoi documenti… signore.»

C'era un lieve odore acidulo. Miao, che era rimasta incredibilmente calma, dopo la frana, si spostò lievemente nelle braccia di Margo, guardò negli occhi il soldato, e soffiò come un vaporetto.

Porgendo al soldato i documenti, che aveva già preparato, Paul riuscì a cogliere un tremito.

Mentre il soldato studiava i documenti, tenendoli davanti agli occhi, inclinati per sfruttare la luce del Vagabondo, il suo volto era sempre inespressivo, ma Doc notò che i suoi occhi continuavano a fissare prima le carte, e poi il globo del Vagabondo.

Doc chiese, in tono discorsivo:

«Ha sentito niente su quello

Il soldato guardò Doc negli occhi, freddamente, e abbaiò:

«Sì, noi sappiamo tutto quel che c'è da sapere, su quello, e non ci siamo lasciati certo intimidire! Ma non ci lasciamo sfuggire nessuna informazione, capito?»

«Sì, capisco,» gli disse Doc, gentilmente.

Il soldato sollevò lo sguardo dai documenti.

«Benissimo, signor Hagbolt, signore, telefonerò la sua richiesta al cancello principale.» Indietreggiò, ritornando verso la porta.

«È sicuro di avere capito bene tutto?» domandò Paul, ripetendo le sue richieste, fornendo maggiori particolari, e menzionando i nomi di numerosi ufficiali.

«E il professor Morton Opperly,» intervenne Margo, con enfasi.

Paul concluse:

«E una di queste persone ha subito un attacco di cuore. Perciò vogliamo portarla nella torretta, dove è più caldo. E vorremmo dell'acqua.»

«No, voi restate tutti fuori,» disse seccamente il soldato, alzando la canna del fucile mitragliatore di qualche centimetro, e continuando a indietreggiare. «Aspetti,» disse a Paul. «Lei venga qui.» Dalle tenebre, all'interno della torretta, egli diede a Paul prima una coperta, e poi una bottiglia d'acqua. «Ma niente tazzine di carta!» aggiunse, soffocando quella che avrebbe potuto diventare una risatina stridula. «Non mi chieda delle tazzine di carta!» Sempre indietreggiando, sparì nelle tenebre, e si udì il rumore di un quadrante che girava.

Paul ritornò indietro con il suo magro bottino, e porse la coperta alla donna magra. L'acqua venne distribuita. Bevvero dalla bottiglia.

«Immagino che dovremo attendere un poco,» mormorò Paul. «Sono sicuro che il ragazzo sia in gamba, ma attualmente è nervosetto. Aveva tutta l'aria di prepararsi ad affrontare da solo il nuovo pianeta.»

Margo disse:

«Miao ha sentito a fiuto quanto era spaventato.»

«Ebbene,» fu il filosofico commento di Doc, «Se fossi stato completamente solo, quando il pianeta è apparso, ma con un po' di ferraglia a disposizione, credo che avrei spento le luci e mi sarei nascosto nell'armatura e avrei cominciato a tremare anch'io. Noi abbiamo incontrato il nuovo pianeta probabilmente nelle migliori condizioni possibili… e nelle circostanze più favorevoli. Pensate… stavamo frugando il cielo, alla ricerca di dischi volanti e altre manifestazioni soprannaturali, e discutevamo di pianeti e di iperspazio e cose simili.»

«Credo che se lei avesse paura, signor Brecht,» interloquì Ann. «Lei accenderebbe tutte le luci che ha intorno.»

«Vedi, giovane amica,» rispose Doc, «La mia idea contorta era che, se fossi stato così spaventato, non avrei voluto che qualcosa di grosso, nero e peloso vedesse dov'ero, per prendermi.»

Ann rise, contenta della risposta.

L'Omino disse a tutti con voce bassa, distante e quasi del tutto priva d'emozione:

«La Luna sta ruotando dietro il bordo del nuovo pianeta. Se ne sta… andando.»

Gli occhi confermavano ciò che era stato detto dalle parole. Un frammento del disco lunare era già nascosto dietro l'intruso purpureo e dorato.

Wojtowicz disse:

«Dio mio… Dio mio!…»

La donna magra cominciò a singhiozzare rumorosamente.

Rama Joan disse:

«Dacci coraggio.»

Le labbra di Margo formarono silenziosamente la parola, «Don», e lei rabbrividì, stringendo forte a sé Miao. Paul le circondò le spalle col braccio, ma lei si scostò, a capo chino.

Hunter disse:

«La luna si trova in un'orbita molto ristretta. La distanza tra le due superfici non può essere superiore a tremila miglia.»

Bacchetto pensò: Presa ormai dalle doglie del parto, la Vergine Bianca si ripara dietro le vesti di Ispan.

L'Omino porse le mani a coppa, e Rama Joan versò un po' d'acqua per Ragnarok.


Il colonnello Mabel Wallingford disse, con voce stridula: «Spike, ho parlato con il generale Vandamme in persona, e lui dice che questo non è un problema. Ci hanno permesso di occuparcene noi in gran parte, perché siamo stati i più pronti a reagire, e i primi disponibili. I tuoi ordini sono stati approvati e ritrasmessi.»

Spike Stevens, con gli occhi fissi sugli schermi gemelli che mostravano la luna che si spostava dietro la forma del Vagabondo, mordicchiò il sigaro spento che teneva in bocca, e ringhiò:

«D'accordo, allora, di' che ce lo dimostrino.»

«Jimmy, accendo lo schermo interno,» ordinò Mabel.

Il generale si accese il sigaro.

Un terzo schermo s'illuminò, mostrando un gentiluomo sorridente, dall'aspetto sereno e distinto, e la testa calva. Il generale si tolse di bocca il sigaro, come un fulmine, e scattò sull'attenti. Il colonnello Mabel sentì un freddo palpito di gioia, vedendolo comportarsi come il ragazzino diligente preso in fallo.

«Signor Presidente,» alitò Spike.

«Io non faccio parte di una crisi simulata, Spike,» rispose l'altro. «Benché sia difficile credere che questo possa averla infastidita, considerando il modo magistrale con il quale il suo gruppo ha operato finora.»

«Niente affatto magistrale, signore,» disse il generale. «Temo che abbiamo perduto la Base Lunare. Non ci giunge alcuna comunicazione, nemmeno una parola da più di un'ora.»

Il volto sullo schermo assunse un'espressione grave.

«Dobbiamo prepararci a subire delle perdite. Ora sto lasciando il Comando Spaziale, per incontrarmi con le autorità della Guardia Costiera. La parola che posso dirle è… continui con fede e coraggio!… per tutta la durata di questa…» Si vedeva benissimo che cercava, mentalmente, una delle sue famose frasi luccicanti ed essenziali. «…emergenza astronomica.»

Lo schermo si spense.

Il colonnello Willard Griswold, che non perdeva d'occhio gli schermi astronomici, disse:

«La Base Lunare? Diavolo, Spike, ma noi abbiamo perso la luna.»

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