CAPITOLO XXI

Mentre un numero esiguo di esseri umani stabiliva un contatto diretto, eccitante e terrorizzante, con il Vagabondo e i suoi cittadini, e mentre un numero assai superiore di terrestri studiava il nuovo corpo celeste con gli occhi ingranditori e misuratori della scienza, la maggior parte del genere umano conosceva il nuovo ospite venuto dagli spazi celesti solo in virtù della visione a occhio nudo, e delle distruzioni che esso operava. La prima parte della distruzione fu di origine vulcanica e diastrofica. Le maree, o tensioni di marea, prodotte nella crosta terrestre, produssero i loro effetti assai più rapidamente di quelle negli strati oceanici.

Sei ore dopo l'apparizione del Vagabondo, era iniziata un'attività tremenda lungo tutte le cinture sismiche che racchiudevano l'Oceano Pacifico e si stendevano lungo le rive nordiche del Mediterraneo, fino nel cuore dell'Asia. La terra era squarciata; le città venivano scosse e frantumate. Centinaia di vulcani rosseggiarono torvi, mandando fumo e fiamme e lapilli. Alcuni esplosero. Tremende scosse ebbero origine in località remote come l'Alaska e l'Antartico, molte delle quali si produssero sotto il mare. Possenti tsunami organizzarono le loro fila, marciando come un fosco esercito sugli oceani, mostruosi gonfiori neri che si tramutavano in colossali pugni d'acqua, quando raggiungevano la riva. Centinaia di migliaia di uomini perirono.

Malgrado ciò, ci furono numerose regioni, anche vicino al mare, dove tutti questi disastri e questo scatenarsi della collera della natura non furono altro che dicerie, o titoli di giornale, o forse una voce alla radio, durante ore di tregua, nelle quali il Vagabondo era ancora lontano… prima che il suo occhio sanguigno facesse capolino all'orizzonte, avvelenando il cielo delle comunicazioni radio.

Richard Hillary aveva sonnecchiato, per quasi tutto il tragitto attraverso il Berks, e soltanto ora cominciava lentamente a svegliarsi, nell'istante in cui la corriera attraversava il Tamigi, a poca distanza da Maidenhead. Si disse che quella sonnolenza non era stata prodotta dal fatto di avere camminato per quasi tutta la notte… a lui piaceva enormemente camminare, ed era difficile stancarlo… bensì dalle farneticazioni letterarie di Dai Davies.

Ora era quasi mezzogiorno, e la corriera si stava avvicinando al Tamigi e alla massa cupa e fumosa di Londra. Richard scostò finalmente le tendine, e cominciò a rimuginare malinconicamente, ma non con astio, sulle maledizioni della civiltà dell'industria, della sovrappopolazione, e della frenesia di costruire senza criterio.

«Ha perduto la notizia, amico,» disse un ometto dal cappello floscio che aveva occupato il sedile accanto a lui.

Alla domanda cortese, benché piuttosto tiepida, di Richard, l'ometto fu ben lieto di fornire un riassunto. Durante le ultime ore c'era stato un numero considerevole di terremoti in tutto il mondo… apparentemente, un sismologo aveva contato le scosse e aveva decretato, «Assolutamente senza precedenti!»… e, come risultato, delle onde di origine sismica erano una possibilità perfino lungo le coste inglesi: erano stati affissi ovunque degli avvisi ai marinai, e alcune regioni costiere particolarmente basse erano state evacuate. Numerosi scienziati, presumibilmente a caccia di notorietà con gli espedienti del più vieto sensazionalismo, avevano fatto dichiarazioni sulla possibilità di «ondate gigantesche», ma simili esagerazioni erano state respinte con fermezza dalle autorità responsabili. Gli individui più razionali avevano gioiosamente spiegato come confondere gli tsunami con le ondate era un antichissimo errore popolare.

Per lo meno, la montatura dei terremoti aveva fatto sparire il gigantesco disco volante americano dalle prime pagine dei giornali. Però, per compensare questa vittoria, la Russia stava lanciando delle feroci proteste, parlando di un misterioso attacco, sventato con successo, alla sua preziosa base lunare.

Non per la prima volta, Richard pensò che l'industria delle comunicazioni della quale l'età moderna menava vanto aveva principalmente fornito gli individui e le nazioni dei mezzi per spaventare a morte, e nello stesso tempo annoiare a morte, se stessi e gli altri.

Non informò il suo «amico» autodesignatosi tale di questo pensiero, ma invece guardò dal finestrino, quando la corriera rallentò vicino a Brentford, osservando quella cittadina con i suoi occhi di romanziere, venendo ricompensato quasi subito con quel fenomeno umano descrivibile come uno «sciamare di fontanieri»; contò tre furgoncini, con gli emblemi di quel mestiere, e cinque uomini con borse degli attrezzi o grosse cesoie, che correvano in un luogo o nell'altro. Sorrise, pensando che l'eccessiva smania di edificare portava comunque i suoi inconvenienti digestivi.

La corriera si fermò, non troppo lontano dal mercato e dalla confluenza tra il docile Brent e il Tamigi. Due donne salirono a bordo, e una disse a voce alta alla sua compagna:

«Sì, ho appena telefonato alla mamma, a Kew, e l'ho trovata sconvolta, poverina. Dice che il prato è inondato.»

E allora accadde con incredibile subitaneità: uno sgorgare di acqua plumbea dai tombini delle chiuse, e un fluire di acqua ugualmente sporca dalle entrate di numerosi edifici.

L'evento diede a Richard un particolare brivido di orrore, perché, a un livello appena al di sotto del pensiero consapevole, egli lo vide come l'escremento di case malate, troppo nutrite, indipendentemente dagli esseri umani che le occupavano, il prodotto d'i quel loro malore. Diarrea architettonica. Non stava affatto pensando che spesso il primo segno di un'inondazione è il rigurgito delle fognature.

E poi ci fu un gran movimento di gente, e alle loro calcagna un fiotto di acqua più limpida, che andava da un marciapiede all'altro, un'acqua alta una decina di centimetri, che invadeva tutta la strada, e portava via lo sporco.

Certo doveva venire dal Tamigi. Il lindo Tamigi, lo 'Sweete Themmes' di Spenser.


La seconda puntata della distruzione, assai più vasta della prima, fu offerta dal Vagabondo alla Terra, con il veicolo dei mari che coprivano quasi i tre quarti della superficie terrestre. Questa sorta di pellicola liquida può essere trascurabile, perfino ridicola, su scala cosmica, ma è sempre stata una specie di dimensione infinita, una dimensione di distanza e di profondità e di potenza, per gli abitatori della Terra. E ha sempre avuto i suoi dei: Dagon, Nun, Nodens, Ran, Rigi, Nettuno, Poseidone. E la musica degli oceani è lo scorrere delle onde e delle maree.

L'arpa degli oceani, che Diana, dea della Luna, fa vibrare con rapida solennità, ha corde fatte di fasce di acqua salata, profonde miglia e miglia, ampie miglia e miglia e miglia, lunghe migliaia di miglia.

Attraverso le sconfinate distese del Pacifico e dell'Oceano Indiano sono tese le corde dei toni bassi: dalle Filippine al Cile, dall'Alaska alla Colombia, dall'Antartide alla California, dall'Arabia all'Australia, dal Basutoland alla Tasmania. Qui vengono suonate le note più profonde, e alcune vibrazioni durano un giorno intero.

L'Atlantico offre la voce media, cantabile. Qui il tempo è più rapido e più regolare, e la misura è la mezza giornata: le maree familiari, che giungono due volte al giorno, della storia occidentale. Le fasce di risonanza legano Terranova al Brasile, la Groenlandia alla Spagna, il Sudafrica all'Antartico.

Dove le corde s'incrociano, possono soffocarsi a vicenda, come nei nodi vicino alla Norvegia e alle isole Sottovento e a Tahiti, dove soltanto il sole controlla le piccole maree… il lontanissimo Apollo che pizzica le corde più debolmente di Diana, portando sempre l'alta marea a mezzogiorno e a mezzanotte, la bassa marea al tramonto e all'alba.

Il soprano dell'arpa dell'oceano è dato dall'echeggiare e riecheggiare di maree nelle baie, negli estuari, negli stretti, e nei mari quasi totalmente racchiusi dalla terra. Queste corde più brevi sono spesso le più forti, e le più feroci, come un violino dominerà sempre il violoncello; le alte maree dell'estuario della Severn, della Francia Settentrionale e dello Stretto di Magellano, del Mar d'Arabia e del Mare d'Irlanda.

Toccate dalle dita gentili della Luna, le corde liquide vibrano gentilmente… trenta centimetri più su e più giù, un metro e mezzo, tre metri, raramente sei metri, quasi mai di più.

Ma adesso l'arpa degli oceani era stata strappata dalle mani di Diana e di Apollo, e veniva pizzicata da dita ottanta volte più forti. Durante il primo giorno di apparizione del Vagabondo, maree si alzarono e si abbassarono tra le cinque e le quindici volte più del normale, e, durante il secondo giorno, tra le dieci e le venticinque… la risposta delle acque si adattava velocemente al folle arpeggiare del Vagabondo. Le maree di un metro e ottanta diventaro di diciotto metri; le maree di nove metri, diventarono di novanta… e più.

Le gigantesche maree seguivano generalmente gli antichi schemi… c'era un diverso arpista, ma l'arpa era la stessa. Tahiti fu soltanto una delle molte regioni della Terra… non tutte lontano dal mare… a venir lasciata tranquilla dalla presenza del Vagabondo, e là nessuno quasi se ne accorse, se non sotto l'aspetto di uno spettacolo astronomico nuovo e affascinante.

Le coste sono i recipienti degli oceani, e li contengono grazie a pareti che le stesse maree contribuiscono a intagliare. In pochissimi luoghi i mari sono fronteggiati da lunghe distese di terra piatta, dove la marea può ogni giorno compiere passi di miglia e miglia, verso la terra e di nuovo nel mare: i Paesi Bassi e la Germania Settentrionale, poche altre spiagge e acquitrini salati, l'Africa Nord-Occidentale.

Ma esistono molte coste piatte, solo a pochi metri, o a poche decine di metri di altezza sull'oceano. Là le maree ingigantite e moltiplicate, sollevate dal Vagabondo, marciarono verso l'interno, percorrendo dieci, venti, cinquanta miglia e più. Con grandi masse d'acqua dietro di esse, e con valli sempre più strette davanti, alcune avanzarono rapidamente, portando distruzione, con un fronte e una cresta di relitti e rottami, colme di sabbia e di terra, con piedi di rocce rombanti e di sassi fruscianti. In altri luoghi, l'invasione della marea fu silenziosa come la morte.

Nei luoghi ove a maree alte e improvvise si opponevano pareti costiere aspre ma non troppo alte… Fundy, Bristol, gli estuari della Senna e del Tamigi… dal recipiente si versò dell'acqua intorno, traboccando dagli orli: grandi funghi d'acqua che si gonfiavano, stendendosi su tutta la terra, in tutte le direzioni.

Gli zoccoli continentali più bassi vennero spazzati dal riflusso, e la loro sabbia venne risucchiata dai fondali oceanici. Apparvero, con le basse maree, scogliere e isole sommerse da milioni di anni; altre, che erano esistite per migliaia e migliaia d'anni, vennero totalmente sommerse. I mari poco profondi, e i golfi, come quello della Persia, vennero totalmente prosciugati una o due volte al giorno. Gli stretti furono solchi più profondi. L'acqua di mare coprì degli istmi bassi. Campagne coltivate, distese di terra fertile, vennero avvelenate dall'acqua salata. Greggi e armenti vennero spazzati via e inghiottiti dalla massa liquida. Case e città vennero rase al suolo. Grandi e antichi porti vennero sommersi.

Malgrado la nebbia della catastrofe e la subitaneità del colpo astronomico, vennero compiuti autentici prodigi di soccorso. Molte organizzazioni che esistevano soprattutto per scongiurare i disastri, che erano nate dai disastri, come la guardia costiera e la Croce Rossa, funzionarono in maniera egregia; e alcuni dei preparativi compiuti in vista di una guerra atomica e di altre catastrofi ripagarono finalmente coloro che avevano speso tanti mezzi e fatica per allestirli.

Eppure, milioni di esseri umani perirono.

Alcuni videro sopraggiungere il disastro, e riuscirono a fuggire e a mettersi in salvo. Altri, perfino nelle zone più minacciate, non vi riuscirono.


Dai Davies camminava sul fondo fangoso e sporco dell'Estuario della Severn, sulla sabbia umida, attraverso la nebbia leggera, che si stava dissolvendo; camminava a grandi passi, con l'energia e la concentrazione rabbiosa di un ubriaco, al culmine delle forze date dall'alcol. Aveva gli abiti e le mani sporchi di fango e sabbia, perché era scivolato e caduto due volte, ma ogni volta si era alzato e aveva proseguito, fermandosi solo per pochi istanti. Di quando in quando si voltava, e correggeva la direzione, quando vedeva che le orme dei suoi passi accenavano a piegare di qua e di là. E di quando in quando beveva un sorso da una bottiglia piatta, senza neppure rallentare l'andatura.

La linea costiera del Somerset era svanita già da tempo, se non per un confuso nereggiare, attraverso la cortina di nebbia residua, delle costruzioni dell'industria marittima, lungo il fiume, oltre la foce dell'Avon. Da molto tempo erano cessati gli applausi insinceri e gli indifferenti avvertimenti… «Torna indietro, pazzo gallese, se non vuoi annegare!…» dei compagni di taverna conosciuti al mattino.

Di quando in quando, cantava, «Cinque miglia fino al Galles, finché la sabbia è sotto il piede, da mezzogiorno alle due, finché dura la bassa marea,» improvvisando variazioni ricche d'imprecazioni, come «Maledetta gente del Somerset!,» oppure, «Li farò arrossire di vergogna!,» e «Maledetti yankee ladri di luna!»; di quando in quando cantava frammenti e brani del suo Arrivederci Mona, composto solo a metà, quali «Mona avvolta di gonna di meteore… Chiardifanciulla, antica come Fomalhaut… Affondi dita bianche nei miei laghi… Attiri le mie acque e le respingi…»

Si udì un brontolio lontano, davanti a lui. Un elicottero passò come un fantasma, allontanandosi in direzione del fiume, ma il brontolio rimase. Dai attraversò una fossa particolarmente viscida e fangosa, nella quale la sua scarpa affondò; e quando sollevò il piede, la scarpa uscì con un plop viscido e minaccioso. Decise che doveva essere quello il canale della Severn, e che lui doveva essere arrivato sulla grande distesa sabbiosa di fondale, nota sotto il nome di «Welsh Grounds».

Ma il brontolio si fece più profondo, e più forte; il cammino si fece più facile, perché le sabbie stavano di nuovo scendendo; un ultimo velo di nebbia svanì; e improvvisamente la strada gli fu bloccata da un rapido, torbido fiume ampio più di cento metri, che ribolliva in gonfiori schiumosi, e avidamente divorava i banchi di nebbia, da entrambi i lati.

Si fermò, sbalordito. Non gli era venuto in mente, neppure vagamente che, per quanto la bassa marea potesse scoprire il fondo del Canale, la Severn era un fiume, e avrebbe continuato a scorrere. E ora capiva che non avrebbe potuto percorrere un quarto di miglio attraverso il Canale.

Lontano, vide un rabbioso gonfiore biancastro, sprizzante acqua e schiuma, dove… ma certo!… l'Avon si gettava tempestoso nel fiume più grande.

Dall'altra parte, lontano, torreggiava la prua di un vapore in secca. L'elicottero era fermo sopra lo scafo. Si udivano dei rumori soffocati, ululati o sibili di vapore.

Fece un balzo indietro, quando una larga fetta di banchina sabbiosa si spalancò come una voragine quasi ai suoi piedi. Malgrado ciò, coraggiosamente si tolse la giacca, perché apparentemente era venuto il momento di nuotare, fermandosi a metà per tirar fuori la bottiglia. Sulle acque vicine, un enorme oggetto nero stava passando, portato dalla corrente. Si portò la bottiglia alle labbra. Era vuota.

Rabbrivì, e cominciò a tremare. D'un tratto, si vide come una formica con le ambizioni di un Napoleone. La paura scese su di lui.

Si voltò. Le sue impronte erano state appiattite, erano semplici pozzanghere e rigonfi privi di forma. E c'era uno scintillio d'acqua, su tutta la sabbia, che prima non c'era stato. La marea aveva compiuto il suo giro. Ora stava ritornando.

Gettò via la bottiglia e cominciò a correre, seguendo le orme confuse lasciate nel terreno, prima che svanissero completamente. I suoi piedi affondavano nella sabbia, più profondamente di quanto non fosse accaduto all'andata.


Jake Lesher abbassò e alzò un interruttore della luce, benché ormai le prove fossero più che sufficienti per stabilire che la corrente se ne era andata. Studiò l'ascensore, nella penombra del grande soggiorno. La cabina si era abbassata di una decina di centimetri, nell'ultima scossa, e ora pareva un po' inclinata. Nell'ombra, le pareti di alluminio parevano increspate. Gli parve di veder sporgere dei sottili fili neri, e indietreggiò, rifugiandosi nel livido chiarore del sole della veranda.

«Adesso il fumo è aumentato, e riesco a vedere delle fiamme,» gli disse Sally Harris, sempre china sulla balaustra. «Le fiamme stanno salendo dall'edificio, e la gente le sta guardando dalle finestre delle case vicine, ma l'acqua sta salendo più in fretta… mi sembra. È una corsa. Accidenti, Jake, questo è un diluvio come quello della Bibbia, e l'attico di Hugo è la nostra Arca di Noè. Ecco l'idea intorno alla quale costruiremo la nostra commedia. Useremo anche l'incendio, certo!»

Egli la prese per le spalle, e cominciò a scuoterla.

«Ma questo è tutto vero, piccola idota! Siamo noi che finiremo arrosto!»

«Ma Jake,» protestò lei, «Bisogna sempre avere una situazione reale, per scrivere una commedia. L'ho letto da qualche parte.»


Su tutta la Terra, i sensi e la mente di moltissime persone erano ermeticamente chiusi di fronte all'idea di un cambiamento nelle maree. Quelli che vivevano nell'interno erano propensi a dubitarne, o a minimizzare quello che non potevano vedere con i propri occhi, e moltissimi tra loro non avevano mai visto un oceano. Gli uomini che si trovavano in mare, senza alcuna striscia di terra da vedere all'orizzonte, non potevano percepire il gonfiarsi delle maree sotto di loro… non percepivano neppure le onde sismiche molto più brevi… e così non potevano notare se l'alta marea, sulla quale le loro navi si muovevano, fosse di pochi metri o di decine di metri più alta di quanto avrebbe dovuto essere… e inversamente, lo stesso concetto si applicava alla bassa marea.

Gli insorti che si erano impadroniti della Principe Carlo avevano troppe cose da fare… occuparsi della manutenzione di un grande transatlantico atomico, tenere calmi e sotto controllo i passeggeri, sventare i tentativi compiuti dall'equipaggio per rovesciare la situazione… e così decisero di eleggere quattro di loro comandanti, con uguali poteri. Ci vollero alcune ore, prima che questo direttorio rivoluzionario riuscisse a mettere il transatlantico su una rotta per Capo St. Roque, in direzione di Rio, dove i loro capi avrebbero dovuto teoricamente rovesciare il governo nel corso della notte… cosa questa che non poteva avere conferma, a causa dell'improvviso ammutolirsi delle onde radio. L'urgente appello del capitano Sithwise, prigioniero nella sua cabina, il quale chiedeva agli insorti di dirigere senza indugi il transatlantico atomico verso il nodo di marea vicino alle Isole Sottovento, venne accolto con derisione, perché era troppo evidente l'ingenuità di quel trucco per avvicinarli agli incrociatori della Marina Britannica.

Wolf Loner osservava l'enorme banco di nuvole chiudersi tutt'intorno alla Pazienza, e abbassarsi, tanto che l'imbarcazione parve viaggiare in mezzo a una fitta cortina di nebbia. In quel piccolo cosmo d'acqua e di biancore indistinto, che aveva per centro l'imbarcazione, ebbe l'antica fantasia, l'illusione che tutto il mondo fosse svanito intorno a lui, a eccezione di quell'unico punto, o che fosse in corso una guerra atomica nella quale le città svanivano come tizzoni nel fuoco, o che un morbo tremendo, causato da virus artificiali sfuggiti agli esperti della guerra batteriologica, avesse spazzato tutti i continenti, così che lui avrebbe scoperto di essere l'unico uomo sopravvissuto, il giorno in cui avesse messo piede a terra, a Boston. Sorrise, senza apprensione, «Preparati a sostenere l'urto dei tuoi atomi,» si disse.

Eppure, moltissime menti erano chiuse ai fatti che venivano a bussare alla loro porta. Nell'Istituto delle Maree, ad Amburgo, Fritz Scher diede una spiegazione, con propria soddisfazione, e in parte con soddisfazione di Hans Opfel, di tutte le misurazioni di maree divergenti dalla norma che giungevano da ogni parte del mondo. O esisteva un precedente, per la nuova rilevazione… una marea così e così era avvenuta in quel punto quaranta o quattrocento anni prima… oppure le acque venivano gonfiate da una tempesta che quegli stupidi, ciechi meteorologi non avevano visto; oppure qualche osservatore di notoria trascuratezza aveva interpretato erroneamente gli strumenti; oppure qualcuno di notoria instabilità era impazzito; oppure qualcuno, di notorie propensioni comuniste, aveva mentito.

«Basta aspettare un poco,» disse Fritz, sorridendo, ad Hans Opfel, quando quest'ultimo indicò la catasta crescente di rapporti riguardanti il Vagabondo e la distruzione della Luna. «Basta aspettare. Quando verrà la notte, la vecchia, cara luna sarà lassù, da sola come sempre… e riderà di tutti questi stupidi!» Si appoggiò tranquillamente alla lucida parete della macchina per la previsione delle maree, e l'accarezzò con affetto, quasi abbracciandola. «Tu lo sai quanto sono stupidi, vero?» mormorò, in tono infatuato.

Altre mentì, invece, accettarono la situazione.


Barbara Katz mise gli ultimi residui di uova e salsiccia sull'ultima fetta di pane tostato, spinse la tazza del caffè attraverso il grande tavolo di cucina, verso Hester, e sospirò, manifestando così la sua riconoscenza e la sua soddisfazione. Fuori, gli uccelli stavano cantando, alla luce del sole. Il vecchio orologio a pendolo massiccio appeso alla parete indicava le otto e trenta, in numeri romani. Un grosso calendario era appeso sotto l'orologio.

Hester fece un largo sorriso a Barbara, versandole dell'altro caffè, quel caffè incredibilmente concentrato che Barbara aveva tanto apprezzato, e disse:

«Adesso sembra tutto più sano e naturale, visto che il vecchio KKK si è procurato una vera ragazza, invece che quella bambola.»

Helen, la donna negra più giovane, ridacchiò, e poi distolse lo sguardo, con aria divertita e imbarazzata a un tempo, ma Barbara sorrise.

«Credo che vengano chiamate bambole 'Barbie',» disse. «Be', guarda caso, anch'io mi chiamo Barbara… Barbara Katz.»

Hester rise di cuore, a quelle parole, ed Helen soffocò un'altra risatina.

«Perché lo chiama 'il vecchio KKK'?» domandò Barbara.

«Il secondo nome è Kelsey,» spiegò Hester. «Knolls Kelsey Kettering III. Lei si chiama Katz, ed è la quarta.» E ricominciò a ridere.

Ci fu un prolungato, sommesso scricchiolio.

«Chiudi la porta, Benjy,» disse seccamente Helen, smettendo di ridere, ma l'alto negro non si mosse. Era in piedi, a metà strada tra il corridoio e la cucina, vestito impeccabilmente, camicia bianca, pantaloni grigio-argento con una banda grigio scura lungo le cuciture.

«È la bassa marea più mostruosa che ci sia mai stata,» le informò il negro, in tono apprensivo. «La gente cammina sul fondo del mare, come se potessero raggiungere le Bahamas senza neppure bagnarsi la caviglia. Vanno in giro con delle ceste, e raccolgono il pesce ancora guizzante, che sta morendo sul fondo!»

Barbara si drizzò di scatto, posò la tazza di caffè, e fece schioccare le dita.

«Neanche i televisori dei vicini funzionano… e nemmeno le radio,» aggiunse Benjy, guardandola; anche Hester ed Helen la guardavano.

«Lei sa quando viene la bassa marea, con esattezza?» domandò Barbara, in tono ansioso.

«Circa alle sette e mezzo,» rispose Benjy, senza esitazione. «Un'ora fa. C'è tutto su quel calendario, scritto sul retro del foglio.»

«Strappi un foglio, e me lo faccia vedere,» disse Barbara. «Che tipo di auto possiede il signor K?»

«Solo due Rolls,» le disse. «Limousine e sedan.»

«Vada subito a preparare la sedan per un lungo viaggio,» gli disse, in tono urgente. «Prenda tutta la benzina di scorta che è possibile trasportare… la prenda anche dalla limousine! Avremo anche bisogno di coperte, e di tutte le medicine del Signor K, e una provvista di cibo adeguata, e dell'altro caffè, in thermos… e un paio di bottiglie d'acqua!»

La fissarono tutti, come affascinati. La sua eccitazione era contagiosa, ma tutti erano sconcertati.

«Per quale motivo, bambina?» le domandò Hester. Helen ricominciò a ridacchiare.

Barbara lanciò loro un'occhiata severa, e poi disse:

«Perché sta arrivando l'alta marea! E sarà alta, come è bassa la bassa marea… anzi, ancora più alta!»

«Questo a causa del… Vagabondo?» domandò Benjy, porgendole il foglio che aveva chiesto.

Lei annuì, decisamente, studiando il retro del foglio. Poi disse:

«Il signor K possiede un telescopio più piccolo. Dove si trova?»

«Telescopio?» domandò Hester, con ironica incredulità. Disse, «Be', ma per quale motivo… oh, già l'astronomia, quello che lei e il signor K avete in comune. Dunque, penso che abbia messo l'altro… quello che gli serve per spiare le bambine… nel suo studio.»

«Lo studio?» disse Barbara, con gli occhi che si illuminavano. «E a proposito, c'è del denaro… in contanti?»

«Sarà in una delle casseforti a muro,» disse Hester, aggrottando un po' la fronte… ma solo un poco.

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