CAPITOLO XXXVI

Paul Hagbolt guardava nell'abisso tenebroso senza fondo, come se la finestra circolare sulla quale si trovava fosse stata la sommità di un immenso acquario, le stelle e i sottili semicerchi della Terra e del Vagabondo una misteriosa luminescenza marina, o come se la rotondità fosse stata quella di un vetrino sotto un microscopio, e le stelle, microorganismi da studiare.

Si udì un fruscio leggero, e poi un miagolio sommesso… Miao, che aveva attraversato l'aiuola fiorita, e aveva annunciato qualche sua scoperta a Tigerishka.

Accanto a Paul, la gatta più grande disse:

«Poiché il genere umano è giovane, tu credi che anche l'universo lo sia. Ma invece è vecchio, vecchio, vecchio. Domani e domani… lentamente… l'ultima sillaba del tempo… favola narrata da un idiota… Sì!

«Tu credi che lo spazio sia vuoto, e invece è pieno. Il tuo sistema solare è uno dei pochi luoghi primitivi che rimangono, come un pezzo di terra piccolo, coperto da erbacce, circondato da grandi edifici nel cuore di una vasta e antica città che è cresciuta cancellando tutta la campagna.

«Nella galassia dove il Vagabondo è stato costruito nella sua orbita, i pianeti sono così fitti, intorno a ogni sole, che nascondono la sua luce e formano una metropoli dello spazio, una città soffocante e brulicante di palazzi grande come una galassia. È il vanto dei nostri ingegneri, 'Dovunque sfugga un raggio di sole, noi mettiamo un pianeta'. O costruiscono un campo, per sfruttare la luce solare.

«Decine di migliaia di pianeti intorno a ogni sole, che si perturbano con decine di migliaia di maree, così che l'armonizzazione delle maree è una buona metà della nostra ingegneria civile. Pianeti che si susseguono così ravvicinati, nella stessa orbita, da formare collane ellittiche, e ogni perla è un mondo. Conosci quegli oggetti filigranati che i tuoi cinesi intagliano nell'avorio, sfere entro altre sfere, in modo che tu guardi e guardi per trovare il centro, e concludi con la sensazione che là dentro sia prigioniero un po' dell'infinito? Questo c'è nei tuoi ricordi. È questo l'aspetto dei nostri sistemi solari, quasi ovunque.

«Voi della Terra non avete ancora udito questa notizia, semplicemente a causa dell'estenuante lentezza con la quale viaggia la luce. Se poteste aspettare un miliardo di anni, vedreste le galassie impallidire, non per la morte delle stelle, ma perché la loro luce è mascherata dal misero assieparsi dei padroni delle stelle.

«Quasi tutti questi pianeti che nascondono le stelle, a parte pochissimi antichi resti, sono artificiali. Miliardi di trilioni di soli morti e di lune fredde e di giganteschi pianeti gassosi sono stati scavati e scavati dai minatori delle stelle, per procurarsi la materia necessaria a crearli… le vostre piramidi egizie, moltiplicate all'infinito. Per tutto l'universo, i pianeti naturali sono rari come i pensieri giovani.

«La vostra stessa galassia, la Via Lattea, non costituisce un'eccezione. Grandi soli soffocati da grappoli di pianeti formano la grande nube oscura centrale che costituisce un enigma per i vostri astronomi.

«Uno stagno può riempirsi d'infusori con la medesima rapidità con la quale si riempie un bicchiere di acqua stagnante. Un continente può riempirsi di conigli, rapidamente, quasi quanto un solo campo. E la vita intelligente può espandersi fino ai limiti dell'universo… quei limiti che esistono ovunque… rapidamente, come può crescere e raggiungere la maturità su un solo pianeta.

«I pianeti di trilioni di soli possono riempirsi di costruttori di astronavi con la stessa rapidità con la quale se ne può riempire uno. Dieci milioni di trilioni di galassie possono venire infettate dal morbo del pensiero… quella tremenda epidemia!… rapidamente come una sola.

«La vita intelligente si espande più in fretta delle pestilenze. E la scienza cresce in maniera più incontrollabile del cancro. Su ogni pianeta naturale indisturbato, la vita striscia e palpita per miliardi di anni, poi nel giro di una notte avviene la fioritura, la veloce esplosione attraverso le immense distanze nere di semi che crescono come erbacce dovunque cadono, e poi l'esplosione dei loro semi, e così via, fino alla curva che delimita il confine dell'universo.

«C'è il dramma dell'incontro con le forme di vita… sorpresa, emozione, momenti di attonito stupore. E poi, troppo, troppo presto, viene la noia.

«Il piccolo stagno nel quale ieri nuotavano poche amebe oggi è gremito di vita brulicante… e anche il bicchiere. Le alghe sono rilucenti come gioielli. Poi, ben presto, la superficie dell'acqua è velata.» Puntò il braccio verso i grappoli di stelle. «Quei diamanti che vedi là fuori sono menzogne. I soli che hanno mandato quei raggi colorati ora sono mascherati.»

Tigerishka si voltò dalla finestra spruzzata di stelle, e guardò direttamente Paul.

«L'universo è pieno, Paul. La vita intelligente si trova dappertutto, i suoi pianeti oscurano le stelle, i suoi ingegneri consumano incessantemente la potenza dei soli per costruire un ambiente per la mente… trasmutando la materia in energia in un olocausto di fuoco ovunque, per creare nuove forme, nuove strutture, nuove menti. La Parola… chiamiamo così la mente… va avanti, e ben presto non rimane altro che la Parola. L'universo, con tutte le sue grandi, scintillanti distese, e i suoi splendidi isolamenti silenziosi, presto diventa un mostro di cemento, un florilegio di grattacieli, comincia a morire per il peso di troppe menti… benché loro non riescano mai a capire questo… proprio come una piccola baia verdeggiante e assolata può morire di troppa vita.

«L'immortalità è raggiunta, abbattendo i limiti della mente individuale verso il futuro. Il tuo mondo, Paul, è una delle poche isole di morte rimaste nell'oceano della vita eterna.

«Con il volo iperspaziale e le comunicazioni psioniche, le estremità dell'universo sono più vicine, tra loro, dei pianeti del tuo sistema solare. Le galassie separate da immensità oscure sono più centralizzate dei paesi del tuo mondo, perfino dei cinquantuno stati del tuo paese. E gli affari del cosmo sono ordinati da un governo democratico, più benigno e più terribile di quello di qualsiasi divinità immaginata.

«Può darsi che le vostre primitive visioni del paradiso… e specialmente del vostro atteggiamento ambiguo nei suoi confronti: che il paradiso sia una meraviglia indescrivibile, e nello stesso tempo un'immensa noia… altro non siano che valide intuizioni di quel governo.

«Sicurezza e stabilità sono le sue parole d'ordine. È conservatore, governato dai vecchi, che sono dappertutto, una grande maggioranza dal giorno in cui è stata raggiunta l'immortalità. È esasperante, paziente, giusto, misericordioso… ma solo con i deboli!… e infinitamente ostinato. I suoi archivi, da soli, impressi su molecole, occupano i pianeti artificiali di due ammassi stellari. Il suo scopo principale è semplicemente quello di ricordare e tesaurizzare… ma solo come un ricordo!… tutto ciò che è accaduto.

«Qualsiasi razza anche minimamente intelligente, rispettabile, sicura, di creature viventi può aspettare fiduciosamente da esso un supporto per i suoi sistemi di vita. Il governo è sempre contrario allo spreco di energia per qualsiasi scopo, all'infuori della conservazione e della sicurezza: si oppone all'esplorazione dell'iperspazio, e perfino al suo uso, se non per il trasporto delle sue forze di polizia. Il suo terrore più grande è per qualcosa che possa danneggiare seriamente, o comunque perturbare, l'universo, perché ora che… a eccezione dell'iperspazio… non è più possibile pensare alla salvezza nell'infinito e nell'inesplorato, un grande terrore cosmico della morte è nato.

«Eppure, poiché perfino gli immortali si devono riprodurre, anche se solo a un ritmo minimo, per mantenere l'illusione di essere ancora vivi, il governo deve trovare continuamente nuovo spazio per nuovi esseri. Verranno a cercare anche il tuo spazio, Paul. C'è stato un cambiamento, nella politica verso i mondi selvaggi rimasti. In passato erano chiusi come riserve di novità, erano protetti fino al giorno in cui avrebbero raggiunto una statura galattica. Ma ora c'è bisogno della loro superficie vitale, e della loro materia, e dell'energia dei loro suoli. Devono essere integrati in una superciviltà cosmica. Prudentemente, saggiamente, e con gentilezza… ma accadrà anche a voi della Terra, probabilmente prima che passino duecento dei vostri anni. E non sarà un processo lento… una volta iniziato, tutti i mondi selvaggi saranno occupati e integrati nel giro di pochi decenni.

«Per ridurre tutte le politiche del governo a una sola frase, lo scopo del governo cosmico è quello di conservare l'intelligenza fino a quando il cosmo morirà. C'era un tempo in cui questo significava 'per sempre', ma ora comprendiamo che significa soltanto fino al giorno in cui la mente avrà raggiunto il punto di saturazione, in cui tutta la materia esistente sarà stata forgiata al servizio e per il sostentamento dell'intelligenza, il giorno in cui l'entropia sarà rovesciata al massimo grado possibile entro i limiti di questo universo.

«Loro considerano questa la più grande missione. Noi la consideriamo la morte.

«Il mio popolo è quello dei Selvaggi… le razze più giovani, razze come la mia, cresciute ed evolute da solitari uccisori e predatori, che sono vissute molto vicino alla morte, e danno valore allo stile, più che alla sicurezza, alla libertà, più che alla stabilità; razze con un'appassionata venatura di sadismo; o freddamente scientifiche, che diano valore alla conoscenza quasi più che alla vita.

«Noi consideriamo la crescita più importante che l'immortalità; l'avventura più importante che la sicurezza. Grandi rischi e grandi pericoli non ci turbano.

«Noi vogliamo viaggiare con maggiore efficacia nel tempo. Non solo per osservare, ma per cambiare il passato, renderlo più pieno, ridare vita agli innumerevoli morti, vivere in una dozzina… o in un centinaio!… di presenti, e non in uno soltanto, risalire all'inizio e ricostruire.

«Vogliamo esplorare anche il futuro, non solo per rassicurarci alla vista di un caldo focolare morente, là… l'Intelligenza moribonda sull'ultimo letto. Vogliamo creare un altro cosmo, per continuare a vivere!

«Vogliamo conoscere e usare più profondamente la nostra niente… quello strano mondo cangiante che si trova all'interno del nostro cranio. Benché la telepatia e le percezioni extrasensorie siano comunissime, non sappiamo ancora se esistano altri mondi, dall'altra faccia della oscurità collettiva interiore… e come visitarli, e svelarli, e usarli.

«Noi cambieremmo tutto questo: esplorare i regni dello spirito come strani continenti, navigarli come lo spazio, scoprire se tutte le nostre menti riposano, come piccoli gusci d'arcobaleno, conchiglie sulle spiagge dello stesso mare nero, inconscio, battuto da mille tempeste. Forse da quella parte ci aspettano mondi inviolati. E poi, vogliamo delle macchine che rendano reali i pensieri… un'altra cosa che nessuno ha fatto.

«Ma sopra ogni altra cosa, noi vogliamo aprire l'iperspazio… non usarlo solo per rapidi viaggi costieri, navigando soltanto per le sue rive tempestose, e tenendo sempre in vista, anche se fievolmente, le spiagge e le linee costiere del nostro cosmo particolare… ma navigare audacemente oltre lo zoccolo universale, addentrandoci nel profondo ignoto con le sue immense tempeste. Questo è un compito per le galassie, non per i pianeti… uno oppure cento… anche se siamo pronti a correre il rischio, se sarà necessario.

«Noi crediamo che innumerevoli cosmi, oltre al nostro, viaggino nel vuoto turbinoso dell'iperspazio… un miliardo di trilioni di frammenti nel vento dell'uragano, un miliardo di trilioni di fiocchi di neve nella tormenta. Non saranno cosmi come il nostro, pensiamo, ma costruiti da particelle fondamentali diverse… o forse neppure particelle, ma continuità mutevoli. Mondi di solidità, o buchi immateriali. Mondi senza luce. Mondi nei quali la luce può muoversi lentamente come la parola, o rapidamente come il pensiero. Mondi nei quali frammenti di materia vivono di pensiero, come qui la mente sembra vivere di molecole.

«Mondi senza alcuna barriera tra niente e mente, e mondi fatti di celle di prigione più chiuse e severe delle nostre. Mondi dove il pensiero è reale, e dove ogni animale è un dio. Un universo fluido… pianeti come bolle… e mondi che si diramano nel tempo, come i viticci di liane possenti.

«Mondi dove lo spazio è attraversato da tele di ragno, invece di essere costellato di astri… un nuovo cosmo fatto di liane, o di strade. Un cosmo con dei solidi, ma senza gravità, mondi dalle dimensioni analoghe ai nostri, mondi diversi in ogni legge fisica fondamentale… una scala cromatica di universi, l'intero spettro del creato.

«Oppure, se non scoprissimo dei mondi nell'iperspazio… potremmo costruirli là!… creare la particella mostruosa che dà vita a un cosmo, esplodere da questo cosmo, come una farfalla dalla crisalide, senza curarci se esso verrà distrutto o no.

«Questi sono i nostri obiettivi più grandi. Quelli più piccoli: un riparo per tutto ciò che facciamo. Intimità, per il nostro pianeta e i nostri pensieri. Armi, secondo i nostri bisogni. Libertà di ricerca, da condurre segretamente come noi vogliamo. Nessuna ispezione! Il diritto di condurre il nostro pianeta dovunque vogliamo, anche se non ci aspetta un'orbita per la quale abbiamo già pagato l'affitto. Vivere tra le stelle, se così preferiamo, fuori, nella desolazione gelida, senza sole, brucando l'erba della prateria che è l'idrogeno… o nelle profondità oceaniche dello spazio che si stendono tra le galassie-isole. Il diritto di viaggiare sempre nell'iperspazio, ora riservato al governo e alla polizia. Il diritto di rischiare, il diritto di soffrire. Il diritto di essere stupidi e ciechi, il diritto di sbagliare, il diritto di morire.

«Questi nostri scopi sono detestabili, per il governo, che considera ogni topo spaurito e ogni passero caduto uguale a una tigre superba. Il governo vuole che una stazione di polizia mandi la sua luce azzurrina accanto a ogni sole, vuole un poliziotto che faccia la ronda intorno a ogni pianeta, autopattuglie che perlustrino il buio interstellare… polizia dappertutto, tanto da oscurare le stelle lucenti.

«Millenni or sono, il governo ha cominciato a criticare le nostre libertà… noi Selvaggi, noi Recalcitranti, noi Indomiti. Ci siamo riuniti tutti su un pianeta tutto per noi, abbiamo conquistato prestigio e potere, abbiamo alzato i nostri schermi, abbiamo vissuto la nostra vita, apparentemente abbiamo guadagnato terreno… e poi abbiamo scoperto che, così facendo, eravamo diventati un bersaglio unico e comodo per la polizia.

«Un secolo fa, siamo stati messi tutti sotto processo. Ben presto, è stato chiaro che la sentenza ci sarebbe stata sfavorevole: nessuna intimità, nessuna ricerca segreta, nessun viaggio nell'iperspazio, nessuna possibilità di risolvere da soli i problemi dell'universo.

«Arrenderci, allora… o morire? Siamo fuggiti.

«Da allora, è cominciata una caccia senza fine. I Segugi del Cielo sono sempre sulle nostre tracce: un pianeta inseguito da pianeti instancabili. Nessun luogo, in tutto il cosmo, è sicuro per noi. Nessun recesso è abbastanza lontano, in tutte le galassie, se non le tempeste dell'iperspazio che non abbiamo dominato… l'uragano della realtà.

«Pensa al mare, come se fosse l'iperspazio, e la sua superficie è l'universo che conosciamo, le sue navi i pianeti, e noi un sottomarino.

«Noi emergiamo vicino a qualche sole solitario, non ancora nascosto da globi artificiali. Allora essi appaiono, e noi dobbiamo immergerci di nuovo. A volte restiamo troppo a lungo, dobbiamo combattere una battaglia prima di svanire nell'oscurità crudele del vuoto. Abbiamo fatto esplodere tre soli, semplicemente come diversivi! Quelle novae si trovano in remote galassie. Forse abbiamo ucciso un pianeta: non ne siamo sicuri.

«A volte i nostri gelidi inseguitori stabiliscono una tregua, e ci supplicano per qualche tempo, e ci fanno delle offerte, prima di dirigere contro di noi le loro bombe e i loro raggi portatori di morte… sperando di farci vedere la luce della loro ragione, che splende sempre sopra il cortile della prigione cosmica.

«A volte i nostri gelidi inseguitori stabiliscono una tregua, e ci supplicano per qualche tempo, e ci fanno delle offerte, prima di dirigere contro di noi le loro bombe e i loro raggi portatori di morte… sperando di farci vedere la luce della loro ragione, che splende sempre sopra il cortile della prigione cosmica.

«Per due volte abbiamo rischiato tutto per scoprire un altro cosmo… ci siamo liberati da ogni ormeggio, nell'iperspazio, e abbiamo navigato alla cieca. Ma qualche mutamento dei venti dell'iperspazio ci ha respinto sempre in questo stesso universo… una foresta incantata di spine intorno a un castello, o una galleria che termina, per qualche oscuro trucco dello spazio, nella stessa cella dalla quale abbiamo iniziato a scavare.

«Noi siamo il Pianeta Vanderdecken del Cosmo, e giostriamo come cavalieri antichi intorno all'universo… ma lungo la strana curva dell'iperspazio, viene sempre, dietro di noi, quell'inseguimento freddo e instancabile.

«Cerchiamo di mantenere intatta la nostra morale, Paul, ma essa si allenta. Non avevamo necessità di fare del male al tuo pianeta, Paul!… almeno lo credo, non posso esserne certa… io sono soltanto una servitrice, sul Vagabondo. Ma pur non essendone certa, ti dirò una cosa: io spero che, prima di fare del male a un'altra creatura, noi possiamo piombare per sempre nella nera tempesta. Dicono che la terza volta si annega… Che possa essere così!»

La sua voce cambiò, e Tigerishka esclamò, d'un tratto:

«Oh, Paul, noi portiamo in tutto l'universo questi bellissimi sogni, eppure riusciamo soltanto a fare del male agli altri. Ti stupisci se, mano a mano, ci innamoriamo sempre più della morte?»

Tigerishka s'interruppe. Dopo qualche minuto, la sua voce, neutra ma tesa, come se lo sfogo fosse finito, e lei si fosse nuovamente rinchiusa in se stessa, disse:

«Ecco, ora ho detto tutto alla scimmia. La scimmia può sentirsi superiore al gatto, se vuole.»

Lentamente, sommessamente, Paul fece un profondo sospiro. Il cuore gli batteva forte. In qualsiasi altro momento avrebbe potuto mettere in dubbio la storia di Tigerishka, e la sua comprensione di quella storia, ma ora era semplicemente davanti ai suoi occhi, perfetta come lei l'aveva detta, come se le stelle che brulicavano alle sue spalle la portassero scolpita… una scrittura di diamanti, che diceva soltanto quello che aveva detto Tigerishka.

Quel fantastico castello sospeso sul più immane degli abissi era così simile a un luogo di sogno, così simile a ciò che veniva chiamato con leggerezza «l'occhio della mente», che Paul per un momento ebbe il dubbio di non trovarsi realmente là, fisicamente, ma di sognare, e nello stesso tempo sentì di essere sospeso nel cuore dell'infinito cosmo stellato; per una volta, immaginazione e realtà erano strettamente abbracciate.

Voltando le spalle alla grande finestra tiepida, con uno sforzo minore di un sospiro, egli guardò dall'alto la fantastica figura che si trovava accanto a lui, e che appariva più che mai una donna umana snella e graziosa, abbigliata per partecipare a un fantastico balletto felino. Le gambe erano allungate, le zampe anteriori… le mani… erano intrecciate sotto il mento, e così la testa era sollevata, ed egli vide il profilo del naso felino, la fronte alta e gli occhi che parevano nuove stelle. La coda si sollevava arcuata dietro di lei, e si contraeva, un lento ritmo alla luce delle stelle. Aveva l'aspetto di una giovane, snella sfinge nera.

«Tigerishka,» le disse, in tono sommesso. «C'era una volta una scimmia dai capelli lunghi, che visse affamata e morì giovane. Si chiamava Franz Schubert. Scrisse centinaia di canzoni scimmiesche… ballate di scimpanzé e lamenti di gorilla. Una di esse si adattava alle parole scritte da una scimmia dimenticata, che si chiamava Schmidt von Lubek. Ora mi sembra che quella canzone scimmiesca sia stata scritta per te, e per il tuo popolo. Per lo meno, prende il nome dal tuo pianeta… Der Wanderer… il Vagabondo. La canterò per te…»

Cominciò a intonare, «Ich komme von Gebirge her…»

«No,» disse, interrompendosi. «No, cercherò di tradurla nella mia lingua, e cambierò un poco alcune delle immagini, per renderle più appropriate, lasciando immutati i sentimenti e le parole chiave.»

Le parole e le frasi che desiderava gli vennero alla mente senza sforzo, e una nuova traduzione di quei versi dimenticati nacque nelle profondità dello spazio.

Udì un sommesso miagolio lamentoso, modulato superbamente, a più voci, e capì che Tigerishka stava prendendo l'accompagnamento del piano dalla sua mente, e lo riproduceva con la sua voce, un suono più triste e solitario di quello che il piano potesse ottenere.

Allora cominciò a cantare:


«Giungo qui, solitario, dalle stelle

La strada è incerta, piangono gli abissi

Non ho una mèta, è rara l'allegria

Ovunque io chiedo, 'Qual è la via?'

Lo spazio è oscuro, i soli sono freddi,

I fiori pallidi, e la vita è antica.

Le parole sono soltanto rumore…

In ogni luogo io sono uno straniero,

E tu dove sei, mondo tutto per me?

Sognato e cercato per tanto tempo, e mai conosciuto;

Il cosmo, verde come la speranza,

Colle di fiori audaci che salgono alle stelle;

Mondo dove i miei amici possano camminare,

I miei morti rivivere, non più bianchi come calce,

L'universo che parla le mie parole…

Dove sei?

Non ho una mèta, è rara l'allegria,

Ovunque io chiedo, 'Qual è la via?'

Il fantasma di una risposta viene dallo spazio:

'Là dove tu non sei… quello è il tuo posto'.»


Quando l'ultimo verso venne cantato, e Tigerishka ebbe sussurrato l'accompagnamento fino alla fine, lei sospirò, e disse, dolcemente:

«Siamo noi, è vero. Deve avere avuto un poco di gatto in lui, quella scimmia Schubert… e quella scimmia Schmidt, anche. Anche in te c'è un poco di gatto, Paul…»

Lui guardò per un momento la figura snella, incorniciata dalle stelle, che stava accanto a lui, e poi allungò una mano che anch'essa era incorniciata di stelle, e la posò sulla sua spalla. Non avvertì alcun irrigidimento, nessuna collera, sotto il pelo tiepido, asciutto, corto e morbido. Dopo un momento, benché non si trattasse di un'idea prestabilita… forse era quel pelo morbido a guidare le sue dita… cominciò a grattare dolcemente il margine curvo tra la spalla e il collo, esattamente come avrebbe potuto fare con Miao.

Per qualche tempo lei non si mosse, benché gli sembrasse che, sotto il pelo, i muscoli si rilassassero. Poi si udì un mormorio sommesso, come di fusa appena bisbligiate… ai limiti del suono… e Tigerishka protese la testa verso la mano di Paul, in modo che l'orecchio accarezzasse il polso dell'uomo. Spostò quelle carezze verso la nuca, e lei sollevò il capo, muovendolo da una parte e dall'altra mentre le fusa si facevano più profonde. Poi lei girò il corpo, un quarto di giro soltanto, e per un istante Paul pensò che volesse dirgli di smettere, ma scoprì rapidamente che lei voleva essere accarezzata anche sotto il mento. E poi sentì un dito di seta premergli la nuca, e scendere sofficemente lungo il suo corpo, e si accorse che era la punta della coda di Tigerishka che lo accarezzava.

«Tigerishka?» mormorò.

«Sì, Paul…» rispose lei, debolmente. Appoggiando i gomiti e le ginocchia alla calda trasparenza che lo sosteneva, Paul si avvicinò a lei, e le sue braccia si chiusero intorno alla schiena snella e soffice, mentre la punta della coda continuava ad accarezzarlo; e nello stesso tempo egli sentì le zampe soffici di Tigerishka posarsi sulla sua schiena, con in cima soltanto un fantasma di artigli. Sentì Miao miagolare lamentosamente. «È gelosa…» alitò Tigerishka, con l'ombra di una risata nella voce, quando appoggiò la guancia a quella di Paul, e lui sentì la lingua sottile e ruvida toccargli lievemente l'oreccchio, e scendere carezzevole lungo la nuca.

Fino a quel momento lui aveva fatto tutto molto gravemente, come se ogni gesto avesse fatto parte di un rituale, nel quale egli non doveva sbagliare, né doveva eccitarsi, ma ora si sentì sicuro, nel cedere a quella fantastica Venere in Pelliccia felina, e stretto a lei sentì l'eccitazione venire, e le immagini cominciarono a fluire nella sua mente, ed egli si lasciò andare completamente, senza però, stranamente, perdere il controllo. Perché le immagini venivano in uno strano ordine, come quando la sua mente era stata esplorata per la prima volta da Tigerishka, ma adesso venivano con sufficiente lentezza da permettergli di vederle tutte chiaramente, sempre, fino in fondo. Erano immagini di uomini, di donne e di animali. Erano immagini di amore erotico, di stupro e violenza, di tortura e di morte… ma si accorse che perfino le morti e le torture servivano solo a sottolineare l'intensità dei contatti, la squisita violazione di tutti i tabù del corpo, la completezza dell'unione; erano le decorazioni interne per le azioni di due corpi. Queste immagini si alternavano regolarmente con simboli che impregnavano la mente, simboli che parevano elaborati gioielli e smalti disegnati, o figure significative di un caleidoscopio ricco e colorato. Dopo molto tempo, i simboli cominciarono a dominare le immagini; cominciarono a pulsare come grandi tamburi, a rabbrividire e a risonare come immensi cembali; c'era la sensazione dell'universo intorno, dello sfrecciare verso di esso in tutte le direzioni, di espandersi fino a raggiungere la totalità, in una colossale serie di ondate che si accumulavano e diminuivano, ondate che si gonfiavano alzandosi verso le stelle, oltre le stelle, verso le tenebre di velluto.

Dopo molto tempo, egli discese lentamente, galleggiando sull'infinita dolcezza morbida di quel nero letto senza fondo, e apparvero di nuovo le stelle, e Tigerishka si sollevò un poco, sopra di lui, in modo che egli vide, molto debolmente, al chiarore delle stelle, il viola delle sue iridi che erano petali di fiori, e il verde bronzeo delle sue guance, e le sue labbra di fragola socchiuse, incuranti di mostrare i canini candidi e scintillanti; e allora lei cominciò a recitare:


«Povera scimmietta, stanotte stai ancora male.

Le parole acute, timorose ti hanno dato la febbre?

È venuto un leone in sogno a darti tanta paura?

Ed è stato il serpente Terrore a scivolare dal silenzio?

Tossisci, gemi, sento battere i tuoi piccoli denti.

Quali sono le parole che mormori mentre soffri?

Guerra, tortura, colpa, vendetta, crimine, delitto, odio?

Ti accarezzo la fronte, povera scimmietta… hai paura.

Bestie molto più sagge, sotto stelle più antiche

Hanno sofferto il tuo male, e visto le speranze negate.

Cercando Dio, combattendo il Destino, picchiando sulle sbarre,

E come te, scimmietta, un giorno sono morte,

Il ramo ondeggia nel vento, la notte è profonda.

Guarda le stelle, povera scimmietta, e dormi.»


«Tigerishka,» domandò Paul, preso da una curiosità sonnolenta. «Ho cominciato a scrivere quel sonetto anni fa, ma sono riuscito a terminare solo tre versi. Sei stata tu…»

«No,» disse lei, dolcemente. «L'hai finito da solo. L'ho trovato là, giaceva nell'oscurità dietro ai tuoi occhi, gettato là in un angolo. Riposa ora, Paul. Riposa…»

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