CAPITOLO XVIII

Mentre la Corvette scendeva per il pendio della penultima altura, prima dell'Autostrada Costiera, con Hunter al volante, il sole di smeraldo che tramontava sull'orizzonte acqueo era ancora luminoso a sufficienza per mostrare ciò che, apparentemente, era un miglio di nuova spiaggia, che si stendeva oltre quella vecchia, fino ai limiti di un mare placido. Hunter si voltò, e sorrise, senza lasciarsi turbare dall'aspetto spettrale dei volti rischiarati dalla luce verdognola. Ebbe un impulso infantile, desiderò di gridare a Hixon, che lo seguiva col camion a pochi metri, «Che cosa ti avevo detto? Bassa marea, o quasi!… ci ho preso in pieno!»

«Guarda, mammina,» disse Ann, «C'è una vite che cresce in mezzo alla strada!»

Non poteva trattarsi di una vite, Hunter lo sapeva bene, ma doveva essere qualche relitto vegetale, forse un ramo abbattuto e portato là dall'uragano del giorno prima. Si udì un sordo scoppiettio sotto le gomme, quando l'auto passò sulla massa verdeggiante. L'auto slittò un poco, e Hunter sterzò e rallentò. Lo fece quasi automaticamente, perché la sua attenzione, come quella degli altri, era quasi completamente assorbita dalla visione di quanto il mare si era ritirato. Adesso che erano più vicini, la prima valutazione… un miglio… pareva un grossolano errore per difetto. Dapprima fu sorpreso, poi affascinato, poi totalmente pervaso da una specie di sacro timore.

Scendendo verso la costa, il sole tramontava più velocemente. La luce verde si fece più cupa. Benché l'oceano fosse così incredibilmente lontano, l'odore salmastro era fortissimo, intorno. Non c'era vento, e a eccezione del ronzio dei due motori il paesaggio pareva schiacciato da una gran cappa di silenzio. Notò che nessuna automobile passava sulla Costiera… e soltanto allora si rese conto che la parte più stupida della sua mente non aveva perso la speranza di vederne.

Iniziarono l'ultima discesa. Ancora una volta l'automobile slittò un poco, e Hunter rallentò la velocità.

«Non ricordavo quella casa diroccata,» disse Rama Joan, pensierosa.

«E io non ricordo affatto la vecchia barca che vedo su quel campo,» chiamò Margo, da dietro.

Si udì un improvviso gracchiare.

«Guardate quegli uccelli bianchi, appollaiati sul pendio,» osservò con voce stridula Wanda. «Be'… sarei disposta a giurare che sono gabbiani.»

«Ecco un'altra vite,» li informò Ann. «No, due. Oh, e c'è un pesce.»

A quella parola, una morsa di orrore afferrò Hunter, e la scena intorno a lui acquistò le livide colorazioni di un incubo, benché per un attimo egli non riuscisse a comprenderne il motivo… c'era qualcosa di atrocemente ovvio e palese, che la sua mente rifiutava di vedere. Hixon stava suonando il clacson, dietro di lui. Quell'idiota voleva sorpassarlo? Una… due… tre… quattro volte. Quattro colpi di clacson volevano dire qualcosa, ma lui non riusciva a ricordare cosa, perché adesso capiva che quel senso di orrore era l'illusione di viaggiare sotto il mare… il silenzio, la fosca luce verde, la strada scura che cambiava, a impercettibili passi, trasformandosi in un pendio liscio di fanghiglia marina, il fetore di pesce («…e un pesce!»), le grandi masse d'alghe, non viti!…, che scoppiettavano sordamente sotto le gomme…

Quattro vuol dire 'fermarsi'! ecco cosa aveva detto Doc. Istantaneamente, ma con un bizzarro senso d'impaccio, Hunter frenò. Dapprima l'auto non rallentò neppure. Poi si fermò, gradualmente, scivolando e deviando malgrado le sue continue sterzate… si fermò perché le gomme stavano sollevando del sedimento, da un rivestimento liscio, che copriva per due o tre centimetri la strada.

Guardò la strada dalla quale erano venuti, semplicemente perché l'auto era adesso ferma quasi diagonalmente, sulla strada, e vide il camion, verde negli ultimi bagliori del crepuscolo, fermo, perfettamente in linea, quindici metri più indietro. Le sue mani tremavano sul volante, e il cuore batteva precipitosamente.

Fu Rama Joan a tradurre l'orribilmente ovvio in parole. Disse, in tono incredibilmente disinvolto:

«Dobbiamo aver passato il limite dell'alta marea già da un quarto di miglio.»

Era questo che gli faceva contrarre i muscoli e battere il cuore, Hunter lo capì d'un tratto… e, nel capirlo, il suo corpo cominciò a quietarsi… semplicemente, il pensiero che l'acqua salata era stata dappertutto, là, e alta tre o quattro metri, solo sei ore prima, lasciandosi dietro la sua vita marina e il suo sedimento marino e i suoi rifiuti, quell'acqua salata che sarebbe ritornata tra sei ore… l'idea stessa delle maree di pochi metri, che ora scendevano, al momento della bassa marea, sotto lo zoccolo continentale, e ritornavano gonfie, in un flusso che copriva le pendici delle montagne.

Le donne stavano accettando quell'idea con una calma incomprensibile, pensò. Sarebbe stato molto, molto più naturale se avessero urlato.

Hixon, Doddsy, Wojtowicz e McHeath erano scesi dal camion, e stavano camminando verso di loro. Camminavano in modo strano… gambe rigide e gomiti in fuori. Ma, naturalmente… la strada ricoperta di fanghiglia doveva essere terribilmente viscida.

Hixon e Doddsy si fermarono accanto a lui, mentre gli altri andarono avanti. L'Omino disse, voltandosi a guardare il mare: «Ma è…» e a questo punto, evidentemente, non riuscì a trovare le parole adatte per descrivere i suoi sentimenti.

L'ultimo spicchio di sole verde scomparve sotto l'acquoso orizzonte, ma tutto il cielo rimase verde… pallido come un'onda trasparente a ponente, nero come una cupa foresta a levante.

Soltanto allora si rese conto che tutti dovevano essere attoniti e storditi quanto lui.

Un paio di minuti più tardi, tutti cominciarono a riscuotersi dalla prima ondata di stupore. Erano scesi quasi tutti dai veicoli, ed erano in piedi, confusi e malfermi, sulla fanghiglia.

Wojtowicz e McHeath ritornarono lentamente indietro. I pantaloni del ragazzo erano coperti di fango, e le scarpe erano due grosse masse di fanghiglia.

«È impossibile passare in auto da quella parte, signor Hunter,» disse il ragazzo, allegramente. «Il fango è profondo quasi un metro, sull'autostrada.»

Wojtowicz annuì, enfaticamente.

«Il ragazzo è andato un po' più avanti di me. Guardatelo!»

«E tutto questo sedimento è stato depositato in sole tre alte maree,» disse l'Omino, scuotendo il capo. «Sorprendente.»

Hunter disse, in tono amaro.

«Non c'è altro da fare… dobbiamo tornare indietro, e prendere l'altra strada, con il cartello che indica Vandenberg.» Guardò Hixon. «Avevi ragione.»

Hixon annuì. Osservò le ruote della Corvette, immerse nella fanghiglia.

«Penso di poterti tirare fuori di là,» disse. «Ho una fune, e dove mi sono fermato il fango è molto più sottile, e quasi secco. La trazione dovrebbe bastare. E ho le catene, se ce ne fosse bisogno.»

«Non voglio fare l'uccello del malaugurio,» disse l'Omino. «Ma quando torneremo indietro, c'è il pericolo d'imbatterci in quei giovani pazzi della Valle.»

Hixon si strinse nelle spalle.

«È uno dei rischi che dobbiamo correre. Non c'è altra strada. Speriamo che il blocco stradale di Ross li trattenga, e che preferiscano dirigersi a Malibu. Vado a prendere la corda.»

Margo disse a Hunter:

«Vandenberg dista soltanto quattro miglia. Non potremmo arrivarci a piedi? Anche col fango, non dovrebbero occorrere più di due o tre ore.»

Hunter le disse, aspramente:

«Cerca di usare il cervello. Tra poche ore, non più di due o tre, tutta la strada costiera sarà sott'acqua. Anche questo punto si troverà a una profondità di quindici metri e più.»

«Oh, sto diventando stupida,» sospirò Margo, stancamente. «Vorrei…» Non disse cosa.

Hunter domandò, in tono un po' risentito.

«Vivere da sola, nella nuova realtà, non è più tanto divertente?»

Margo lo guardò negli occhi.

«No, Ross,» disse. «Non lo è più.»

L'Omino li interruppe:

«E per quanto riguarda l'idea di andare a piedi, dobbiamo ricordare che c'è da trasportare Ray Hanks. Non mi piacciono le sue condizioni, Ross. Gli ho dato tutti i barbiturici che potevo dargli, entro i limiti della prudenza. Si è assopito non appena il camion si è fermato, ma probabilmente si sveglierà non appena ripartiremo. Soffre moltissimo.»

In quel preciso istante, Pop si avvicinò zoppicando.

«Signor Hunter,» annunciò, bellicoso. «Non posso stare sul retro di quel camion neanche un minuto di più. Sono tutto un dolore.»

Hunter stava per dargli una risposta pepata, quando Ida disse:

«Può prendere il mio posto nella cabina. Voi uomini non sapete come si deve curare il signor Hanks, e comunque si tratta di un compito mio.»

Hixon lanciò l'estremità della fune.

«Legala al parafango anteriore,» disse a Hunter. «Credi di farcela?»

«Ci penso io,» disse Wojtowicz, afferrando il capo della corda prima di Hunter.

«Immagino che la Corvette sia a corto di benzina,» disse l'Omino a Hunter.

«Sì, signor Dodd,» chiamò Ann, che era accanto alla madre. «Stavo guardando la lancetta, e il serbatoio è vuoto.»

«Vado a prendere subito una delle latte di riserva,» disse l'Omino.

Hunter annuì. Si sentiva, allo stesso tempo, furibondo e impotente. Tutti si facevano in quattro per lui, parlavano per lui, facevano i suoi lavori. Non gli lasciavano dire una parola. A questo punto, Doc avrebbe trovato qualcosa di spiritoso da dire, ma lui non era Doc. Guardò Margo, che stava fissando il mare lontano, e provò un sordo desiderio.


Sally Harris e Jake Lesher, avvolti in una coperta, per maggiore sicurezza tenevano le braccia intorno al basso colmo del tetto dell'attico. Mezzo metro sotto le gronde, i piccoli frangenti scintillavano, riflettendo i raggi del Vagabondo, che mostrava la faccia ad ago, chiamata alternativamente da Jake la Mano Chiusa… per il Serpente attorcigliato… e la Torta nel Cielo… per l'Uovo Dischiuso.

«E noi che pensavamo di tirarne fuori una commedia,» disse Sally, sommessamente.

«Già,» le fece eco Jake. «Pensavamo proprio questo… di farne uno spettacolo senza precedenti, un supercolosso. Ma stavamo ancora pensando al coperto.»

Sally si guardò intorno, guardò le acque nere e increspate che coprivano Manhattan, e le rare torri basse, solitarie che spuntavano qua e là.

«Ma pensa!… ce ne sono alcune ancora illuminate,» commentò.

«Motori a gas nell'attico,» spiegò Jake. «O forse batterie.»

«Qual è quello di fronte, là?» domandò Sally. «L'Irving Trust, o il Singer Building?»

«E quale differenza fa?»

«Ma io voglio ricordare esattamente… o comunque, saperlo esattamente, se non potrò ricordare.»

«Lascia perdere, Sal. Dimentica queste cose. Ho portato una bottiglia di Napoleon, guarda. Che ne diresti di bere qualcosa?

«Sei molto caro,» gli disse, sfiorandogli la mano fredda con la sua, ancora più fredda. E poi cominciò a cantare, sommessamente, come se avesse temuto di disturbare le piccole onde sempre più alte:


«Oh, io sono la Ragazza della Zattera di Noè,

E tu sei il mio Re in Esilio, qui con me.

Il nostro amore non è grande come scintilla,

O un palpito di stella in una sera tranquilla…

Ma sei rimasto con me, e mi hai trovato da bere,

È molto grande questo nostro amore.»


Richard Hillary e Vera Carlisle erano sdraiati, a poca distanza l'uno dall'altra, su del fieno ancora verde, preso da un piccolo covone che avevano trovato in alto, sulle Malvern Hills. Richard pensò, irrequieto: Ieri notte paglia, questa notte fieno. Paglia, sterile e secca, per la morte. Fieno, acerbo e dolce, per la vita.

Il Vagabondo li guatava torvo da occidente, mostrando di nuovo la gonfia X. Il pianeta stava diventando spaventosamente familiare, come la faccia di un orologio. Tre quarti d'ora prima, Vera aveva detto: «Guarda, è già mezza D passata.»

Non era freddo. C'era una brezza quasi tiepida che spirava da sud-ovest… spettrale, innaturale, sconvolgente.

Sarebbe stato facile pensare che, osservando la gonfia massa della Severn riempire le sue valli e traboccare, come una bianca muraglia tonante scatenata dall'apertura di un ottavo sigillo nel Libro dell'Apocalisse, i sensi non avrebbero potuto resistere, sarebbero stati soffocati e confusi e soggiogati. Ma, come Richard stava scoprendo, i sensi non funzionavano a questo modo. Sperimentare l'inimmaginabile li rendeva soltanto più vivi, più acuti, più aspri.

O forse erano entrambi troppo stanchi, troppo intorpiditi dai veleni della fatica, troppo assonnati.

Vera gli aveva raccontato, prima, la sua storia. Era una dattilografa di Londra, che era stata salvata dal tetto di un palazzo a uffici durante la seconda alta marea, ed era arrivata nella valle della Severn a bordo di una piccola barca a motore, che aveva navigato nell'alta marea mentre Richard aveva camminato tra il fango della bassa marea, solo per naufragare vicino a Deerhust; solo Vera, tra coloro che erano stati a bordo, era sopravvissuta, almeno per quello che ne sapeva.

Poco prima Richard le aveva chiesto di narrargli la sua storia con maggiori particolari, ma lei aveva protestato, dicendo che era troppo stanca. Aveva ascoltato le interminabili scariche di statica nella sua radiolina a transistor per qualche tempo, e Richard aveva detto, «Getta via quell'ordigno.» Lei non lo aveva gettato via, ma lo aveva spento. Ora stava dicendo, sottovoce, «Oh, non riuscirò mai a dormire, mai. Ho la testa che scoppia, e pensa, e pensa…»

Richard si voltò, girò su se stesso, e le posò leggermente il braccio sulla vita, con il volto sopra quello di lei, poi esitò.

«Continua,» disse lei, guardandolo con un sorriso un po' amaro. «O hai delle pillole di sonnifero?»

Richard ci pensò per un momento, poi disse, piuttosto formalmente:

«Anche se le avessi, preferirei sempre, enormemente, te.»

Lei rise.

«Sei così rigido,» gli disse.

Richard l'attirò a sé, e la baciò. Il corpo della ragazza era teso, e non cedeva.

«Vera,» le disse. Poi, stringendola con decisione, «Come vezzeggiativo, ti chiamerò Veronal.»

Lei fece un'altra risatina, rise più di lui che della sua battuta, gli parve, ma il suo corpo si rilassò. Improvvisamente, le sue dita strinsero le spalle di Richard.

«Avanti, provami,» mormorò con voce calda nell'orecchio dell'uomo. «Io sono una medicina forte, fortissima, per dormire.»


Barbara Katz, all'inizio, era stata delusa dell'esiguità dell'unica cabina dell'Albatros, soffitto basso, pareti vicinissime; ma adesso era lieta di quelle dimensioni, perché significava che c'era sempre una superficie a portata di mano per puntellarsi, ogni volta che la barca rollava o beccheggiava più di quanto lei si aspettasse. E il fatto che il tetto lievemente arcuato fosse così basso le dava misteriosamente un senso di sicurezza, ogni volta che un'ondata si abbatteva fragorosamente su di esso.

La cabina era immersa nel buio, se non nei momenti in cui il livido bagliore di un lampo la rischiarava, apparendo nei quattro piccoli oblò, o quando Barbara accendeva la torcia elettrica.

Il vecchio KKK giaceva, legato con una coperta a una delle cuccette, mentre Hester era seduta precariamente accanto al capo del vecchio, cullando tra le braccia lo sconosciuto bambino. Helen era distesa sull'altra cuccetta, si lamentava e vomitava, in preda al mal di mare, mentre Barbara stava ai piedi di quella cuccetta, seduta precariamente come Hester. Di quando in quando, Barbara si abbassava a toccare il fondo, cercandovi l'acqua. Fino a quel momento, nulla di allarmante.

L'Albatros era quasi affondato, prima che la marea riuscisse a sollevarlo dalla stretta gelosa delle rizoforee. Poi c'era mancato poco che esso non venisse capovolto da un albero più alto. Dopo questi incidenti, era stato tutto divertente, fino a quando le onde di tempesta non si erano fatte così alte e minacciose da costringere tutti, a eccezione di Benjy, a rifugiarsi sottocoperta.

Dopo un lungo silenzio… cioè, un lungo periodo nel quale non si era udito nulla, all'infuori del pianto del bambino, del cigolio dei legni, delle onde e del vento che batteva la barca… Barbara domandò:

«Come sta il signor K, Hester?»

«È morto poco fa, signorina Barbara,» rispose l'altra. «Adesso zitto, bambino, hai già avuto il tuo latte in scatola.»

Barbara digerì l'informazione. Dopo qualche tempo, disse:

«Hester, forse dovremmo avvolgerlo in un telo, o qualcosa del genere, e metterlo di là… c'è spazio a sufficienza… in modo che tu possa distenderti su quella cuccetta.»

«No, signorina Barbara,» replicò con sicurezza Hester. «Non vogliamo che il suo fianco si rompa di nuovo, o qualcosa del genere. Adesso è in ottima forma, solo che è morto, e se rimarrà sdraiato non gli succederà nulla. Allora avremo la prova di avere fatto per lui tutto quello che abbiamo potuto.»

Helen si rizzò a sedere di scatto, gridando:

«Oh, Signore, c'è un morto nella cabina! Voglio uscire!»

«Sdraiati, pazza di una negra!» ordinò Hester. «Signorina Barbara, la tenga ferma!»

Non ve ne fu bisogno. Un nuovo attacco di mal di mare costrinse Helen a sdraiarsi.

Poco dopo i sussulti dell'Albatros si fecero meno violenti. Le solide masse d'acqua non si abbattevano più sulla cabina.

«Vado su, a portare un po' di caffè a Benjy,» disse Barbara.

«No, lei non può andare, signorina Barbara.»

«Sì, invece,» rispose Barbara a Hester.

Quando ebbe socchiuso cautamente il piccolo portello, sul fondo della cabina, e si fu affacciata fuori, la prima cosa che vide fu Benjy, acquattato a gambe aperte dietro il piccolo timone. Le nubi si erano aperte, in alto, e attraverso l'esigua breccia il Vagabondo mostrava la sua faccia di toro.

Barbara uscì del tutto. Il vento la colpì con forza, un vento che veniva da poppa, ma non era troppo violento, così lei chiuse il portello e avanzò verso Benjy.

Lui prese il caffè, dalla bottiglietta thermos che Barbara gli aveva portato, e la ringraziò con un cenno del capo.

Si guardò intorno. Il Vagabondo, che era svanito nuovamente tra le nubi, illuminò con i suoi ultimi raggi un deserto di acque scure e gonfie, che parevano profonde, molto profonde. E c'erano delle onde altissime, intorno.

«Credevo che il mare si fosse calmato,» gridò a Benjy, nel vento.

Lui indicò la prua.

«Ho trovato un materasso,» gridò. «E ho legato a esso il capo di una fune, e l'altro capo l'ho legato alla prua di questa barca, tendendolo forte. Tiene ferma la barca, in modo che sostenga meglio le onde e il vento.»

Barbara ricordava il nome di quell'espediente: un'ancora di mare.

«Dove pensi che siamo, Benjy?» gridò.

La risata del negro fu portata via dal vento.

«Non so se siamo nell'Atlantico, o nel Golfo, o chissà dove, signorina Barbara, ma siamo sempre a galla!»


Sally Harris e Jake Lesher si calarono dal tetto dell'attico. Malgrado l'attività fisica, tremavano violentemente di freddo. Al di là della balaustra, le onde stavano scendendo, a un ritmo quasi visibile.

Sally guardò nel soggiorno, alla luce del Vagabondo, che mostrava la faccia con le Fauci, quella che lei chiamava Rin-Tin-Tin.

«È un disastro,» annunciò a Jake. «I mobili sono capovolti. Il piano è a gambe all'aria. Il tappeto è bagnato, e tutte quelle tende nere inzuppate d'acqua danno al posto l'aspetto di un obitorio sconvolto da una tempesta. Avanti, cerchiamo un po' di legna o delle candele, o qualsiasi cosa che possa servire a fare del fuoco. Sto gelando.»

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