La convertibile che portava Margo Gelhorn e la gatta Miao e Paul Hagbolt sobbalzava lungo la strada sconnessa, con la roccia brulla ed erta di nuovo a destra, la sabbia della spiaggia a sinistra, entrambe, ora, a meno di un metro di distanza. Allontanandosi dall'autostrada, la notte pareva chiudersi intorno a loro come un nero coperchio. I tre viaggiatori avvertivano pienamente, ora, la solitaria oscurità della luna in eclissi che s'inerpicava per i sentieri stellati del cielo. Anche Miao si era messa a sedere sulle zampe posteriori, per guardare avanti con occhi fosforescenti.
«Tra le altre cose, questa strada probabilmente conduce alla porta posteriore di Vandenberg Due,» stava ruminando Paul. «La porta della spiaggia, la chiamano. Naturalmente, io dovrei passare dalla porta principale, ma in un buio così…» Poi, dopo qualche secondo, «È buffo vedere come questi maniaci dei dischi volanti tengano sempre le loro riunioni accanto a qualche base missilistica, o a qualche centrale atomica. Sperano forse che un po' di chiasso e di splendore riesca a filtrare fino a loro, immagino. Sapevi che una volta l'Astronautica era sospettosa, nei loro confronti?»
I fari illuminarono una frana, che bloccava una buona metà della strada. La terra franata era alta fin quasi al cofano della macchina, e recente, a giudicare dall'aspetto umido del terriccio. Paul fermò l'auto.
«Fine della spedizione dei dischi volanti,» annunciò, allegramente.
«Ma gli altri sono andati avanti,» disse Margo, alzandosi di nuovo in piedi. «Vedi laggiù? È in quel punto che hanno aggirato la frana, per proseguire.»
«E va bene,» disse Paul, in tono scherzosamente cavernoso. «Ma se rimarremo bloccati nella sabbia, tu dovrai andare a cercare dei legni portati dalla marea, da mettere sotto gli pneumatici.»
Le ruote girarono a vuoto due volte, ma la convertibile non faticò affatto a mettersi in moto. Poco più avanti, essi ragggiunsero una specie di vallata naturale, o grande caverna, nell'altura, dove la strada si espandeva raggiungendo un'ampiezza almeno tre volte maggiore di prima. Una buona dozzina di automobili avevano usato quello spazio in più per parcheggiare, fianco a fianco, con i parafanghi quasi appoggiati alla parete naturale. Tra coloro che erano arrivati per primi si vedevano una perlina rossa, una utilitaria e un camioncino bianco aperto.
Dopo l'ultima automobile c'era un'altra lanterna verde, che illuminava un cartello vergato in eleganti caratteri: Parcheggiate qui. Poi seguite le luci verdi.
«Proprio come alla stazione della metropolitana di Times Square,» esclamò deliziata Margo. «Scommetto che tra questa gente ci sono dei nuovayorkesi.»
«Arrivati freschi freschi,» ammise Paul, squadrando con espressione diffidente la parete di roccia e terriccio, mentre parcheggiava accanto all'ultima automobile. «Non hanno avuto neppure il tempo di conoscere le frane della California.»
Margo balzò a terra, tenendo in braccio Miao. Paul la seguì porgendole il giacchettino.
«Non mi serve,» disse Margo. Senza commenti, lui lo piegò e lo appoggiò sul braccio.
La terza lanterna verde era sulla spiaggia, molto più avanti, accanto a una macchia d'erba. La spiaggia era piatta e uniforme. Finalmente essi poterono udire il fruscio delle onde… poco più d'increspature del mare, a giudicare dal rumore. Miao miagolò ansiosamente. Margo le parlò in tono sommesso e persuasivo.
Subito dopo le automobili, le alture s'inerpicavano ripide a destra, e la spiaggia livellata le seguiva verso l'interno. Paul si rese conto che dovevano trovarsi all'imboccatura del canale che avevano attraversato due volte, prima di lasciare l'autostrada. A una certa distanza, oltre il canale, il terreno ricominciava a salire. Ancor più lontano, egli poté vedere una luce rossa ammiccare, molto in alto, e, molto più in basso, riuscì a cogliere lo scintillio di un reticolato. Scoprì che queste prove dell'esistenza di Vandenberg Due producevano su di lui un effetto oscuramente rassicurante.
Si diressero verso l'oceano, oltrepassando la macchia erbosa, verso la scintilla verde della quarta lanterna, piccola quasi come un pianeta. La sabbia frusciava sotto i loro piedi dolcemente, a ogni passo. Margo prese sottobraccio Paul. Ti rendi conto che l'eclissi c'è ancora?» mormorò. Lui annuì. Lei disse, «Paul, e se le stelle intorno alla Luna ricominciassero a distorcersi?»
Paul disse:
«Credo che quella sia una luce bianca, vedi, al di là della quarta lanterna verde. E mi pare di vedere delle figure. E una specie di edificio basso.»
Proseguirono. Il basso edificio sembrava una casa sulla spiaggia abbandonata, o la vecchia sede di un circolo della spiaggia. Le finestre erano chiuse con assi di legno. All'esterno si vedeva un largo pavimento senza tetto e senza pareti, sollevato di circa mezzo metro rispetto alla spiaggia, che non poteva essere stato che una pista da ballo. Su di esso erano state sistemate almeno cento sedie pieghevoli, delle quali erano occupate solo le prime venti. Le sedie erano sistemate di fronte al mare e a un lungo tavolo, lievemente sollevato, posto su quello che un tempo doveva essere stato il palco dell'orchestra. Dietro al tavolo erano sedute tre persone, i cui volti erano illuminati da una piccola luce bianca… l'unica illuminazione, oltre alla lanterna verde sistemata in fondo allo spazio del pubblico.
Una delle tre persone era barbuta; un'altra era calva e portava gli occhiali; la terza era in abito da sera maschile, aveva una cravatta bianca e indossava un turbante verde.
Il Barba stava parlando, ma Paul e Margo non erano ancora abbastanza vicini da poterlo udire distintamente.
Margo strinse il braccio di Paul.
«Quella col turbante è una donna,» mormorò.
Una piccola figura si sollevò dalla sabbia, da un punto vicino alla lanterna, e si avvicinò a loro. Una piccola luce bianca ammiccò, ed essi videro che si trattava di una ragazzina pallida, con delle lunghe trecce rosse. Non poteva avere più di dieci anni. Aveva dei fogli di carta in mano, e teneva l'indice dell'altra mano sulle labbra. La luce bianca era quella di una piccola pila elettrica, appesa al collo della ragazzina con una fune. Avvicinandosi, lei porse i fogli ai nuovi arrivati, bisbigliando:
«Dobbiamo fare silenzio. È già iniziato. Prendete il programma.»
I suoi occhi si illuminarono, quando vide Miao.
«Oh, avete un gatto,» mormorò. «Non credo che questo dispiaccia a Ragnarok.»
Quando Margo e Paul ebbero preso un foglio a testa, la ragazzina li accompagnò a una scaletta che portava alla piattaforma, e indicò loro di sedersi davanti. Quando Margo e Paul, sorridendo ma scuotendo il capo, sedettero invece in una delle ultime file, lei si strinse nelle spalle, e si voltò.
Margo sentì che Miao s'irrigidiva. La gatta stava fissando qualcosa che giaceva disteso su due sedie della prima fila.
Ragnarok era un grosso cane poliziotto tedesco.
Il momento della prima crisi passò. Miao si rilassò un poco, pur continuando a fissare il cane con fermezza, tenendo basse le orecchie.
La ragazzina venne alle loro spalle.
«Io sono Ann,» mormorò. «Quella col turbante è mia madre. Noi veniamo da New York.»
Poi ritornò al suo posto di guardia, accanto alla lanterna verde.
Il generale Spike Stevens e tre membri del suo stato maggiore sedevano gomito a gomito in una stanza buia del Quartier Generale della Riserva dell'Astronautica degli Stati Uniti. Stavano osservando due enormi schermi televisivi, disposti l'uno accanto all'altro. Ciascuno schermo mostrava la stessa regione della Luna oscurata dall'eclissi, una regione che comprendeva il cratere Piatone. L'immagine sullo schermo di destra veniva ritrasmessa grazie a un satellite automatico per comunicazioni e osservazione, sospeso a 23.000 miglia di altezza sull'Isola di Natale, 20 gradi a sud delle Hawai, mentre l'immagine dello schermo di sinistra veniva da un analogo satellite equatoriale che si trovava al di sopra di un punto dell'Atlantico, al largo della costa brasiliana, dove il transatlantico atomico Principe Carlo stava viaggiando in direzione sud.
I quattro spettatori, con consumata perizia, incrociavano lo sguardo, fondendo le immagini che partivano da distanze di 30.000 miglia nello spazio. L'effetto era incredibilmente tridimensionale, con quella regione lunare che si stagliava in solidi particolari.
«Direi che il nuovo amplificatore elettronico ha avuto un discreto successo,» disse il generale. «I disturbi iniziali sono stati superati. Jimmy, vediamo un'immagine non ingrandita dell'intero settore dello spazio in cui si trova la Luna.»
Il colonnello Mabel Wallingford studiò di sottecchi il generale, intrecciando le lunghe dita forti. Qualcuno le aveva detto, un giorno, che possedeva mani da strangolatrice, e lei lo ricordava ogni volta che fissava il generale. Le dava un senso di acre soddisfazione il pensiero che Spike avesse un tono di così disinvolta fiducia, lo stesso che il potente Odino avrebbe avuto osservando i Nove Mondi dalla torre di Hlithskjalf ad Asgard, mentre in realtà non sapeva nulla di più di lei sul luogo in cui si trovavano: e cioè che erano entro un raggio di cinquanta miglia dalla Casa Bianca, e almeno sessanta metri nel sottosuolo. Erano stati tutti portati laggiù in macchina, ed erano entrati nell'ascensore con la testa incappucciata, e non avevano incontrato il personale al quale avevano dato il cambio.
Arab Jones e «High» Bundy e Pepe Martinez cominciarono il quarto giro, passandosi il bocchino di metallo l'uno dopo l'altro, e aspirando profondamente il fumo profumato, tenendolo a lungo nei polmoni. Erano seduti su cuscini e un tappeto, di fronte alla piccola tenda con una porta di strisce di plastica, una tenda sistemata sulla cima di un tetto, ad Harlem, non lontano da Lenox e dalla 125a Strada. Si cercarono con gli occhi, con l'amichevole vigilanza dei drogati, e poi i loro sguardi si spostarono all'unisono verso la luna in eclissi.
«Accidenti, scommetto che anche lei sta fumando,» disse «High». «Vedete quel fumo bronzeo? Quegli astronauti lunari devono essere in un bel viaggio!»
Pepe disse:
«Anche noi dobbiamo andare lassù. Tu pensi di eclissarti, Arab?»
Arab disse:
«Non c'è niente di meglio di una spinta astronomica, per un viaggio!»