CAPITOLO XV

Paul Hagbolt fu costretto ad ammettere, tra sé, che camminare sulla sabbia poteva diventare noioso, anche quando si era in compagnia di nuovi amici, e sotto un cielo rischiarato da un nuovo pianeta. Il momentaneo stato di esaltazione prodotto dall'avere sfidato il colonnello Humphreys e il Progetto Luna si era consumato molto in fretta, e quella marcia spezzaossa attraverso la spiaggia pareva sensazionalmente priva di senso e deprimente.

«Ci si sente soli, vero?» gli disse gentilmente Rama Joan. «Quando si rompe il legame con il grande protettore, e si rinuncia alla propria gente… e a quella della sua amichetta… per seguire un branco di svitati, con l'unico scopo di partecipare al funerale di un cane.»

Stavano camminando in coda alla processione, molto indietro rispetto alla branda portata da Clarence Dodd e Wojtowicz.

Paul fu costretto a ridacchiare.

«Per lo meno lei è sincera,» disse. «Però Margo non è la mia ragazza… voglio dire, che i sentimenti sono soltanto dalla mia parte. Siamo solo buoni amici, davvero.»

Rama Joan lo fissò, con occhio indagatore.

«E allora? Un uomo può buttar via la sua vita per amicizia, Paul.»

Paul annuì, con aria infelice.

«Me l'ha detto anche Margo,» spiegò; «Lei afferma che io traggo soddisfazione dal farle la balìa, e dal cercare d'impedire ad altri uomini di girarle intorno. A parte Don, naturalmente… e lei pensa che il mio interesse per lui sia più che fraterno, anche se io non me ne rendo conto.»

Rama Joan si strinse nelle spalle.

«Può darsi, immagino. Il rapporto tra lei, Margo e Don sembra abbastanza innaturale.»

«No, a suo modo è perfettamente naturale,» le assicurò Paul, con una specie di torva soddisfazione. «Siamo stati compagni di liceo e di università. Avevamo interessi comuni, in campo scientifico e in altri campi. Facevamo gruppo insieme. Andavamo perfettamente d'accordo. Poi Don ha deciso di diventare ingegnere, e astronauta. Io mi sono dato al giornalismo e al lavoro di pubbliche relazioni, e Margo si è data all'arte. Ma eravamo decisi a restare assieme, così, quando Don è entrato nel Progetto Luna, ci siamo entrati anche noi, o per lo meno ci sono entrato io. Allora Margo aveva già deciso che Don le piaceva un po' più di me… o che lo amava, qualunque cosa significhi… e così si sono fidanzati. Così il problema si è risolto… forse semplicemente perché la nostra società considera ancora con diffidenza la vita a tre. Poi Don è andato sulla Luna. Noi siamo rimasti sulla Terra. Non c'è altro, non c'è stato altro fino a stasera, quando apparentemente io ho deciso di lasciare tutto e venire con voi.»

«Forse perché già da molto tempo lei avrebbe dovuto esplodere. Be', io posso dirle perché sono qui,» continuò la donna dai capelli rossi. «Potrei essere al sicuro, a Manhattan, e fare la moglie di un pezzo grosso della pubblicità; Ann frequenterebbe un collegio di lusso, in Europa, e io potrei adattarmi a qualche conferenza sul misticismo e sulla magia nei circoli femminili e nei salotti. Sarei una donna ricca, e alla moda. Invece ho divorziato, arrotondo le mie entrate… che si riducono a una rendita vitalizia che ho ereditato… con i compensi per le conferenze che tengo; e per tenere fede al misticismo, devo addobbarmi di tutti questi armamentari da carnevale.» Indicò la cravatta bianca, e le code del suo abito da sera maschile, e fece una risatina di disprezzo. «'Protesta mascolina', dicono le mie amiche. 'No, semplice protesta umana', rispondo io. Volevo poter dire cose che credevo realmente, e dirle con passione… cose che fossero state solo mie. Volevo che Ann avesse una vera madre, non solo una statistica ben vestita.»

«Ma lei crede davvero alle cose che dice?» domandò Paul. «Al buddismo, mi sembra di aver capito… e a tutto il resto?»

«Non ci credo quanto vorrei, ma ci credo quanto posso,» gli disse. «La certezza è un lusso. Se lei dice delle cose con colore e con forza, per lo meno lei è un individuo. E anche se le falsifica un poco, rimane lei stesso, e se tenta e tenta senza stancarsi, forse un giorno troverà un frammento della verità… come Charles Fulby, quando ci ha detto che sapeva dei suoi pianeti misteriosi non in virtù di viaggi a bordo di dischi volanti, come aveva sempre proclamato, ma per puro intuito.»

«Fulby è un paranoico,» borbottò Paul, lanciando uno sguardo più avanti, dove Bacchetto procedeva diritto come un fuso dietro la branda, con Wanda alla sua destra e la donna magra alla sua sinistra. «Quelle due donne sono due discepole, o patronesse, o qualcosa del genere?»

«Sono sicura anch'io che soffra di paranoia,» disse Rama Joan, «Ma lei non crederà davvero, Paul, che le persone sane di mente abbiano il monopolio della verità, immagino? No, credo che siano le sue mogli… lui è cresciuto in una setta che professa il matrimonio multiplo. Oh, Paul, lei ci trova allarmanti, vero?»

«Non proprio,» protestò lui. «Benché ci sia sempre qualcosa di rassicurante, nel muoversi con la maggioranza.»

«E con il denaro e il potere,» ammise Rama Joan. «Be', si rallegri… la maggioranza e le minoranze svitate passano quasi tutto il tempo allo stesso modo: soddisfacendo i bisogni fondamentali. Stiamo ritornando tutti al padiglione sulla spiaggia, semplicemente perché pensiamo di trovare là del caffè e dei sandwich.»

In testa alla processione, Hunter stava dicendo a Margo Gelhorn più o meno lo stesso tipo di cose:

«Ho cominciato a frequentare le riunioni dei dischi volanti per un mio progetto sociologico,» le confessò. «Sono andato a riunioni di tutti i generi: quelle delle persone che avevano contatti con gli extraterrestri, come Charles Fulby, quelle degli studiosi seri, e tutte le altre sfumature… come questo gruppo, che comprende studiosi e appassionati raziocinanti e svitati e maniaci. Volevo analizzare una sindrome sociale, e scrivere alcuni saggi sull'argomento. Ma dopo un po' di tempo, ho dovuto ammettere di fronte a me stesso che continuavo ad andare a quelle riunioni perché ero affascinato.»

«Perché, professor Hunter?» domandò Margo, stringendo più forte Miao. Aveva freddo, senza la giacchetta, e la gatta era come una borsa di acqua calda. «Stare con gli appassionati dei dischi volanti l'aiuta a sentirsi bohemien, o diverso, come portare la barba?»

«Mi chiami Ross, No, non credo, benché suppongo che una parte del motivo sia la pura vanità.» Si accarezzò la barba. «No, è stato semplicemente perché a quelle riunioni trovavo delle persone che avevano qualcosa da seguire, che le faceva appassionare, qualcosa che permetteva di essere interessati senza tornaconto… e non si tratta di una cosa molto comune, ormai, nella nostra civiltà basata sui tre pilastri Denaro-Vendite-Classe, e sulle direttrici Non Rivelarti a Nessuno e Venditi a Tutti. Il virus mi ha preso a tal punto, che anch'io ho voluto offrire un contributo… partecipare a conferenze e a tavole rotonde, per esempio. Adesso il mio tempo dedicato ai dischi volanti è quasi come quello che vi dedica Doc… che si ammazza a vendere pianoforti… è un mago, nel campo… in modo da poter dividere il resto del tempo tra i dischi volanti, gli scacchi, e le altre cose.»

«Ma Doc è scapolo, mentre mi sembra che lei abbia affermato di avere una famiglia, non è vero… Ross?» domandò Margo, con blanda malizia.

«Oh, sì,» concesse Hunter, con una certa stanchezza. «A Portland c'è una signora Hunter, e due bambini che pensano che papà sprechi troppo tempo in compagnia dei maniaci dei dischi volanti, considerando i pochissimi saggi che ha tirato fuori da questo lavoro, e il fatto che la sua reputazione accademica non sia stata migliorata neppure di una iota da questa partecipazione.»

Stava pensando di aggiungere: «E, proprio in questo momento, sono a casa, e si chiedono perché papà non sia con loro, la notte in cui i cieli sono cambiati e i dischi volanti si sono avverati…» ma in quel momento si accorse che avevano raggiunto la vecchia casa sulla spiaggia e la vecchia pista da ballo. Vide che la lanterna verde ardeva ancora, e accanto a essa c'era una sedia, con un mucchietto di programmi inutilizzati, e c'erano le sedie vuote, disposte in file ordinate, a eccezione della prima fila (quando avrebbe potuto chiedere il rimborso del deposito che era stato lasciato per il noleggio, Dodd?)… e c'era un soprabito, che qualcuno aveva dimenticato, posato sullo schienale di una delle sedie, e c'era il lungo tavolo dei conferenzieri, e sotto di esso, alcune scatole di cartone che avevano abbandonato, nella fretta della partenza. E profondamente infilato nella sabbia, vicino alla piattaforma, c'era perfino il vecchio ombrello enorme che Doc aveva usato, per costruire un rozzo astrolabio, nel primo tentativo di controllare il movimento del Vagabondo.

Quando Ross Hunter vide queste cose, che si stagliavano contro il Pacifico dalla gran massa quieta e spettrale e dai riverberi dorati e purpurei, si sentì gonfiare il cuore per un senso inatteso di affetto e nostalgia e sollievo, e improvvisamente capì perché, dopo essere stati respinti da uno smottamento e da un recinto di rete metallica e da un alto papavero dell'esercito, avevano iniziato una lunga marcia sulla spiaggia per ritornare in quel posto.

La spiegazione era semplice… quella per loro era una casa, il luogo dove erano stati insieme, sicuri e tranquilli, e dal quale avevano assistito al grande mutamento nei cieli, quel luogo che, ciascuno di loro lo sapeva intimamente, anche se confusamente, forse sarebbe stato l'ultima casa che ciascuno di loro avrebbe più avuto sulla Terra.

Senza fretta, Wanda, la donna magra e il giovane Harry McHeath andarono a prendere le scatole lasciate sotto il tavolo.

Wojtowicz e l'Omino posarono la branda che reggeva Ragnarok, il cui gran corpo era parzialmente coperto dalla giacchetta di Margo.

Wojtowicz si guardò intorno, poi puntò il braccio verso l'ombrello e disse, con voce ferma:

«Ho la sensazione che quello sia il posto giusto… cioè, se, non le dispiace?» aggiunse, rivolgendosi a Doc, che aveva camminato in silenzio per tutto il tragitto da Vandenberg Due alla piattaforma, accanto all'Omino.

«No, non mi dispiace; anzi, ne sarei fiero,» rispose ruvidamente Doc.

Portarono in quel punto la branda, e Doc recuperò il suo ombrello. Poi Wojtowicz prese un badile, e cominciò a scavare. Il badile era riposto sotto il materasso.

La donna grassa lo notò, e chiamò, dalla piattaforma:

«Adesso capisco perché sentivo qualcosa di duro sotto il fianco, per tutta la strada.»

Wojtowicz si fermò un momento, per rispondere:

«Dovrebbe ringraziarci, invece, per averla trasportata gratis quando pensavamo che avesse avuto un attacco di cuore.»

Wanda rispose, con rabbia:

«Senta, quando io ho un attacco di cuore, è terribile… e non c'è niente da dire! Ma quando l'attacco di cuore è finito, è finito.»

«D'accordo, d'accordo,» le disse Wojtowicz, senza voltarsi.

Il rumore del badile era debole, mentre l'uomo scavava. La donna magra e Harry McHeath pulirono dalla sabbia alcune tazze, e le disposero sul tavolo. Gli altri osservarono la Luna emergere dall'ombra del Vagabondo, che pareva inclinarsi, nell'affondare verso l'abbraccio con il Pacifico.

La forma della Luna era visibilmente conica… schiacciata.

E invece delle macchie consuete dei 'mari', sulla faccia della Luna si vedeva come un sottilissimo, vago reticolo di lìnee d'ombra, che qua e là riflettevano pallidamente i colori del Vagabondo. L'effetto era orrido, e suggeriva la sinistra presenza di ragni.

Un parto chirurgico, pensò Bacchetto. La Vergine Bianca, fecondata da Ispan, partorisce tra grandi doglie… e deve dar vita ancora e ancora, torturata dal travaglio. Questo non l'avevo pensato.

Margo pensò: Mi dispiace di averla chiamata cagna. Don… Rama Joan bisbigliò a Paul:

«Il suo ragazzo era lassù, no? Così adesso può essere la sua ragazza, Paul…»

Wojtowicz si rialzò:

«Ecco, è abbastanza profonda,» disse raucamente all'Omino. «Non possiamo scavare di più, altrimenti troveremmo l'acqua.»

Si voltarono verso la branda. Clarence Dodd slacciò il guinzaglio dal pesante collare, e sollevò l'orlo della giacchetta dal corpo di Ragnarok, guardando Margo; ma la ragazza scosse il capo, e l'Omino riuscì a farle un triste sorriso, e lasciò ricadere la stoffa. Lui, Wojtowicz e Doc calarono il cane così avvolto nella sua tomba. Miao si mosse, nelle braccia di Margo, e guardò la scena con visibile curiosità.

Sopra la massa oscura del Pacifico, il Vagabondo era sospeso, strano nei suoi colori vividi, ed era una perfetta sfera, per quanto la luna che riemergeva era distorta e mutata. La macchia gialla a ovest era sparita, così la faccia del globo rivolta alla Terra era diventata di tre chiazze soltanto; ma l'impressione più vivida, con le due grosse braccia della croce purpurea, a est, che si allargavano sopra e sotto la grande macchia gialla orientale, era quella della testa di una belva purpurea, con le fauci spalancate.

Fenris Lupo, pensò Harry McHeat. E ora sembra che veramente stia divorando la Luna, che orbita proprio tra le sue fauci.

«Sembra un grosso cane che stia per azzannare qualcosa,» disse Ann, pensierosa. «Mammina, tu credi che gli dei abbiano portato lassù Ragnarok, come una volta portavano gli eroi e le ninfe della Grecia tra le stelle?»

«Sì, credo che sia accaduto proprio questo, cara,» le disse Rama Joan.

L'Omino estrasse automaticamente il blocco d'appunti e la penna, e poi guardò cupamente l'ultima pagina bianca. Margo diede Miao a Paul, poi prese gli oggetti dalle mani dell'Omino, e tracciò lo schizzo del Vagabondo in vece sua, imitando il suo stile schematico.


QUATTRO ORE

Il serpente si sazia dell'Uovo, pensò Bacchetto. O forse le strade si dividono?

Wojtowicz rapidamente gettò nella fossa prima la sabbia asciutta, poi quella umida. Doc prese dalle dita dell'Omino il guinzaglio, e lo strinse intorno al manico dell'ombrello, annodandolo in alto. Quando Wojtowicz ebbe pressato la sabbia, Doc affondò l'ombrello con forza al centro della tomba.

«Ecco, Dodd,» disse, circondando con il braccio la spalla dell'Omino. «Adesso c'è un segno. Una specie di caduceo.»

Dalla piattaforma, la donna magra chiamò:

«Ehi, venite tutti! Il caffè è caldo!»


Donald Merriam si trovava di nuovo nelle tenebre. Il Baba Yaga era ritornato in eclisse, questa volta a causa della Luna che passava di fronte al Vagabondo. La piccola astronave lunare viaggiava in caduta libera tra i due corpi. Continuava a guadagnare terreno, rispetto alla Luna, ma non era ancora uscita dalla sua ombra.

La luce del sole diretta aveva rapidamente riscaldato la cabina, ma prima che il calore si fosse fatto troppo intenso, la Luna si era interposta tra il Baba Yaga e il sole.

Le tenebre dell'eclisse non erano fitte come quelle della prima, essendo pervase dai riflessi violetti e gialli del sole sul Vagabondo. Questa luce rivelava il continuo sommovimento della rocciosa superficie lunare, che pareva un mare in tempesta visto da un aeroplano, durante una notte di luna piena.

Alla sua altezza, sopra il Vagabondo… ora 1.600 miglia, secondo il controllo radar… Don poteva vedere soltanto un quinto del disco del pianeta. Passando attraverso la faccia che sulla Terra aveva ricevuto i nomi più svariati… la X, il Disco Spezzato, la Ruota, la Croce di Sant'Andrea, e il Mandala, egli vide soltanto la macchia gialla orientale, e un bordo, intorno a essa, che si allargava, più avanti… le macchie gialle polari, e quella orientale, erano nascoste in quel momento dalla curva del Vagabondo.

Osservando la macchia gialla emergere dalla faccia notturna del Vagabondo, attraverso la linea dell'aurora, Don aveva avuto conferma del fatto che il globo stesse ruotando, e che la cima e il fondo fossero in realtà i poli, mentre l'asse planetario era approssimativamente parallelo a quello della Terra.

Cronometrando la velocità di emersione della macchia, Don aveva valutato che il periodo di rotazione del Vagabondo era di sei ore… un 'giorno' lungo un quarto di quello terrestre. E stava ruotando nella stessa direzione che lui e la Luna seguivano, nelle loro orbite di due ore… con i contorni della superficie planetaria che li seguivano, ma rimanevano rapidamente indietro.

Le chiazze fosforescenti verdastre della faccia notturna del Vagabondo non parevano esistere sulla faccia diurna… forse si trattava realmente di fosforescenza, visibile soltanto al buio. Né, per quello che ricordava, c'era stata qualche indicazione di divisione tra le regioni viola e quelle gialle, sulla faccia notturna… apparentemente, ci voleva la luce del sole per mostrare quella divisione.

Una buona metà della grande macchia gialla era occupata dall'ombra della Luna… nera, e incontrovertibilmente ellittica, un'ellissi che si accentuava costantemente. Studiandola, Don notò una rotondità di un pallido verde spettrale che cominciava a intrufolarsi nel bordo più avanzato… apparentemente le chiazze verdognole continuavano a ruotare, benché invisibili alla luce del sole.

L'assurdità allucinante della sua situazione d'un tratto lo colpì… lui era un insetto tra due giganti, che si muovevano follemente in un abisso immane.

Ricordò quando era stato bambino, nella cucina della fattoria del Minnesota, con le tenebre della sera appena calata che parevano premere da ogni parte, e oscuravano la finestra, fuori; e allora lui, Donnie, aveva detto: «Mamma, ho trovato una grande fossa nera nei boschi, e so che deve arrivare dall'altra parte della terra, perché ho visto una stella scintillare sul fondo. Ho avuto paura e, lo so che non mi crederai, mamma, ma quando mi sono messo a correre verso casa, ho visto un grosso pianeta giallo e porpora dietro la stalla!»

Si riscosse da quel falso ricordo. Per quanto la situazione fosse allucinante e misteriosa, lo era un po' meno, ora che lui aveva vissuto per un mese sulla Luna, e aveva attraversato la stessa Luna pilotando un'astronave.

Rivolse la sua attenzione ai filamenti bianchi, che salivano sinuosi dalla punta della Luna. Fece ruotare l'astronave, per seguire con gli occhi il loro percorso curvo tra le stelle, che li faceva divergere all'inizio, per poi convergere di nuovo quando essi svanivano a nord, sopra l'orizzonte violetto del Vagabondo.

Be', se quei filamenti bianchi, in chissà quale misteriosa maniera tenevano legati il Vagabondo e la Luna, era ragionevole pensare che dovessero essere legati intorno a un polo del pianeta. Se fossero stati attaccati a un punto equatoriale del Vagabondo, si sarebbero tesi e spezzati, o si sarebbero attorcigliati intorno al Vagabondo, poiché la Luna stava orbitando a una velocità tre volte superiore a quella impiegata dal pianeta per una rotazione.

Legati insieme! Si sarebbero… attorcigliati! Si accorse dell'enormità di quello che lui pensava. Li considerava dei fili veri e propri, capaci di tendersi e spezzarsi e avvolgersi, come se il Vagabondo e la Luna fossero stati due ornamenti dell'albero di Natale.

Eppure, quei filamenti bianchi devono essere qualcosa di reale.

Li seguì all'inverso, fino al punto in cui raggiungevano la 'punta' della Luna. Il Baba Yaga era davanti alla Luna, ora, ma ancora nella sua ombra perché entrambi stavano ricominciando a passare dietro il Vagabondo… la nera linea del crepuscolo, che egli aveva visto per la prima volta attraverso la spaccatura della luna, era già in vista, e tagliava l'orizzonte violetto.

Così la punta della luna era in ombra, la superficie era bronzea come brace morente. Prese da un ripiano magnetico un binocolo dalle lenti potentissime, e lo regolò con cura.

Sulla punta bianca della luna si vedeva una dozzina di immensi pozzi conici, le cui superfici interne ruotavano rapidamente in senso orario, come se fossero stati dei gorghi e dei maelstrom nell'oceano di roccia che si frantumava.

Ogni sottile filamento bianco, che diventava color bronzo scuro quando entrava nell'ombra lunare, portava verso il fondo di uno dei gorghi vorticosi, continuando a girare in una specie di circuito chiuso, seguendo la velocità di rotazione del gorgo. I filamenti parevano inspessirsi, verso il punto in cui terminavano.

Intorno a ciascun pozzo c'erano tre o quattro punti luminosi, viola o color limone. Aveva già visto uno o due punti luminosi simili a quelli lungo i filamenti. Don si domandò d'un tratto se quelle non fossero immense astronavi, presumibilmente partite dal Vagabondo, e se non stessero per caso generando dei campi gravitazionali o inerziali di natura a lui ignota.

Perché la supposizione logica che si doveva fare, dall'osservazione dei gorghi lunari e dei filamenti che vi penetravano, era chiarissima: in chissà quale arcana maniera, la sostanza della luna, sotto forma di polvere e di roccia finissima e forse anche di rocce più voluminose, veniva risucchiata dalla superficie del satellite, e trasportata attraverso lo spazio verso il polo nord del Vagabondo.


Arab, Pepe e 'High' erano sulla riva dell'Hudson, e consumavano assieme un'altra dose di droga, pronti a gettarla nell'acqua limacciosa e coperta da uno strato oleoso, se qualcuno fosse venuto da quella parte.

Ma nessuno veniva. La città era immersa in un'immobilità innaturale anche per le sei del mattino. Così 'High' versò la polvere, e Arab accese un'altra pipa, e se la passarono l'un l'altro.

Il loro arrivo al fiume, dopo una deviazione a nord, per aggirare i grattacieli, e sotto l'Henry Hudson Parkway, era stato piuttosto deludente. Non c'era stato, semplicemente, nulla a ovest, all'infuori del cielo pallido e delle lontane banchine e dei moli.

«È scomparsa, chissà come,» decise 'High'. «Forse è andata a letto.» Rise. Il suo sguardo si posò sulla Tomba di Grant. «Cosa ne pensi, generale?»

«Il fiume sembra alto, ammiraglio,» giudicò Arab, corrugando la fronte, e accendendo per la terza volta la pipa.

«Sicuro,» ammise 'High'. «Guarda come arriva alle banchine!»

«Quella non è una banchina,» protestò con disprezzo Arab. «Quello è un barcone affondato.»

«Fa lo stesso, l'acqua è alta tre metri più di quando siamo venuti.»

«Sei pazzo!»

«So anche dove lei è scomparsa,» esclamò d'un tratto Pepe. «Quella grossa cosa purpurea e dorata è anfibia… un pallone sottomarino! Si immerge. Per questo il fiume è alto… lo ha fatto gonfiare lei. Adesso è nascosta laggiù, e sta brillando al buio e all'umido.»

Mentre gli altri tremavano, per il delizioso orrore prodotto da quel pensiero, Pepe si fregò la guancia con le dita ingiallite della mano, ed esclamò di nuovo:

«No, aspettate! Non è come ho detto. Quella è un'esplosione atomica congelata. Hanno dato inizio all'esplosione, poi hanno congelato la palla di fuoco. Così lei galleggia qua e là, come un fulmine sferico, prima sopra il fiume, poi sotto. Quando sarà sgelata, la città farà bum! Guardate là!»

Il sole rosseggiante riverberava da file di finestre, dall'altra parte del fiume, finestre così basse che parevano far parte dell'acqua. Improvvisamente, l'orrore simulato diventò per tutti loro spaventosamente reale… l'improvviso terrore, contro il quale nessun fumatore di 'erba' può essere completamente sicuro.

«Venite!» Arab bisbigliò, e il bisbiglio era un grido raggelato dal terrore.

Si voltarono, e si misero a correre disperatamente verso Harlem.


Jake Lesher guardò ironicamente la folla che si assottigliava. Con la calata del Vagabondo, e la discesa sulla Terra della grigia, fredda luce del mattino, l'eccitazione era lentamente svanita da Times Square. I detriti lasciati dal terremoto parevano soltanto immondizie, dovute alla trascuratezza della folla… uno dei tanti progetti di demolizione di Manhattan.

Con incredulità, come se fossero state immagini uscite da qualche oscura divagazione musicale per metà sognata, per metà vissuta, egli ricordò la canzone di Sal, e la folla ondeggiante sotto la grande luce purpurea e ambrata. Poi il suo viso si distese, e gli occhi si allargarono, ma smisero di fissare ciò che li circondava, quando egli sentì sul bordo della sua immaginazione la carezza vaga dei primi, sottili filamenti di un sogno… o di una trama, perché le due cose erano molto vicine, nell'universo di Jake.

Sally Harris bruscamente lo prese sottobraccio. Facendolo girare su se stesso, gli bisbigliò rapidamente all'orecchio:

«Vieni, andiamo via da qui prima che quegli altri lupi mi trovino. Ci sono solo quattro isolati.»

«Non dovresti prendermi così di sorpresa, Sal,» si lamentò Jake. «Mi stava venendo un'idea… un'idea da soldi. Dove andiamo?»

«Avevi appena detto che ormai nulla avrebbe potuto sorprenderti. Ah! Stiamo andando a fare colazione, nell'attico di Hugh Hasseltine… io, e la mia chiave. Dopo quel terremoto, più in alto vado, meglio mi sento.»

«Più in alto sei, più in basso cadi,» rispose giudiziosamente Jake.

«Già, ma gli oggetti non mi cadranno addosso. Avanti, la tua idea verrà meglio a stomaco pieno.»

In alto, nel cielo, cominciavano ad apparire dei filamenti rosati.

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