Di ritorno dal lavoro, John R. Isidore si libro nel cielo del tardo pomeriggio come un arco di fuoco puro. Chissa se e ancora li, si chiese. Nel vecchio appartamento infestato dalla palta, che guarda Buster Friendly al televisore e trema di paura ogni volta che immagina che qualcuno passi nel corridoio. Compreso, mi sa, me.
Si era gia fermato a un negozio di borsa nera. Nel sedile accanto al suo, una busta piena di leccornie, tipo tofu, pesche mature, dell'ottimo formaggio molle e dal malvagio odore, oscillava avanti e indietro ogni volta che J.R. accelerava o rallentava; siccome era un po' teso, stasera, guidava in modo un po' irregolare. E la sua macchina, che pure era stata dal meccanico, ogni tanto tossiva e perdeva colpi, proprio come aveva fatto per mesi prima di essere sottoposta a revisione. Accident, esclamo Isidore tra se e se.
L'aroma delle pesche e del formaggio volteggiava nell'abitacolo, riempiendogli il naso di piacere. Erano tutte rarita per le quali aveva speso due settimane di paga - prese in prestito in anticipo dal signor Sloat. Come se non bastasse, sotto il sedile, al sicuro da rotolamenti e rotture, una bottiglia di Chablis dondolava pian piano: la rarita piu rara di tutte. L'aveva tenuta in una cassetta di sicurezza della Bank of America, resistendo alla tentazione di venderla per quanto alti fossero i prezzi che gli offrivano, proprio nell'eventualita che alla fine, dopo tanta attesa, all'ultimo momento, fosse apparsa all'orizzonte una ragazza. Non era mai successo, fino a questo momento.
Come sempre, la terrazza del suo palazzo, cosparsa di rifiuti e deserta, lo depresse un po'. Passando dalla macchina all'ascensore, cerco di attenuare la sua visione periferica; si concentro sulle preziose cose che portava, la bottiglia e la busta, assicurandosi solo di non inciampare in qualche detrito e finire nella disperazione economica piu nera e ignominiosa con un ridicolo capitombolo. Quando la cigolante cabina dell'ascensore arrivo vi sali e scese non al suo piano, ma a quello di sotto dove ora abitava Pris Stratton, la nuova inquilina. Dopo pochi secondi era gia davanti alla sua porta e bussava con la bottiglia, mentre in petto il cuore gli andava in pezzi.
«Chi e?» La voce della ragazza era attutita dalla porta eppure si sentiva chiaramente: aveva un tono spaventato, ma acuto come una lama.
«Sono J.R. Isidore», disse allegramente, adottando il tono sicuro recentemente acquisito grazie al videofono del signor Sloat. «Ho qui alcuni articoli allettanti e credo che potremmo mettere insieme una cenetta piu che ragionevole».
La porta s'apri, seppur di poco; Pris, con il buio alle spalle, scruto la penombra del corridoio. «Ha la voce un po' diversa», disse. «Piu adulta».
«Oggi al lavoro ho dovuto sistemare un paio dei soliti problemi. Niente di eccezionale. Se m-magari m-mi fa entrare...»
«Me li racconti». Comunque, la ragazza apri quel tanto la porta da lasciarlo passare. Poi, vedendo quello che portava, lancio un'esclamazione di sorpresa; il volto le s'illumino di una gioia esuberante, da folletto. Ma quasi subito, senza alcun preavviso, un'amarezza mortale le trasformo i lineamenti e le si raggrumo in faccia come cemento. La gioia era svanita.
«Che c'e?» chiese lui; s'affretto a portare la busta e la bottiglia in cucina, poso tutto sul tavolo e torno subito da lei.
Con voce atona Pris disse: «E roba sprecata per me».
«E perche?»
«Oh...» Si strinse nelle spalle e si allontano, senza una vera meta, le mani sprofondate nelle tasche della pesante gonna di antica foggia che indossava. «Magari una volta glielo spiego». Poi rialzo lo sguardo. «Ad ogni modo, e stato molto carino da parte sua. Ora, pero, vorrei che se ne andasse. Non mi va di vedere gente». Senza molta convinzione si sposto verso la porta d'ingresso; trascinava i piedi e pareva svuotata d'ogni energia, come se le sue riserve s'andassero rapidamente esaurendo. «Ah, lo so perche si sente cosi», disse lui.
«Ah si?» La sua voce, sterile e distratta, cadde ancor piu nello scoramento mentre riapriva la porta.
«E perche non ha amici. Sta molto peggio di quando l'ho vista stamattina; e perche...»
«Io ce li ho gli amici». Un improvviso tono d'autorita le irrigidi la voce; il vigore le ritorno in modo palpabile. «O almeno, li avevo. Sette amici. Almeno all'inizio, ma ormai i cacciatori di taglie hanno avuto modo di mettersi al lavoro e percio alcuni di loro - forse tutti - sono morti». Si sposto verso la finestra e fisso l'oscurita fuori, punteggiata qua e la da qualche luce. «Puo darsi che sia l'ultima rimasta tra noi otto. Cosi puo anche darsi che lei abbia ragione».
«Che cosa sono i cacciatori di taglie?»
«Ah, gia. Voialtri non dovreste saperlo. Un cacciatore di taglie e un professionista dell'omicidio a cui viene consegnato un elenco delle persone che deve ammazzare. Gli viene pagata una somma - mi pare che la tariffa attuale sia di mille dollari - per ognuna che riesce a far fuori. Di solito ha anche un contratto con il comune e percio riceve anche uno stipendio. Pero glielo tengono basso, in modo che ha un incentivo in piu per mettersi in caccia».
«Ne e sicura?» chiese Isidore
«Si», annui. «Vuoi dire se sono sicura dell'incentivo? Si, l'incentivo c'e. E poi, ci si diverte pure».
«Secondo me, si sbaglia», disse Isidore. Mai, in vita sua, aveva sentito una cosa del genere. Per esempio, Buster Friendly non ne aveva mai parlato. «Non e una cosa che s'accorda agli attuali principi etici del Mercerianesimo», le fece notare. «La vita e tutta uguale: "Nessun uomo e un'isola" come disse Shakespeare, tanto tempo fa».
«Veramente era John Donne».
Isidore era visibilmente agitato: «E la cosa piu brutta che abbia mai sentito. Ma non puo rivolgersi alla polizia?» «No».
«E danno la caccia anche a lei? Cioe, possono venire anche qui ad ammazzarla?» Adesso capiva perche la ragazza si comportava in modo cosi circospetto. «Per forza che ha paura e non vuoi vedere nessuno». Ma intanto pensava: Senz'altro si sbaglia. Deve essere matta, soffre di manie di persecuzione. Forse e una lesione cerebrale provocata dalla polvere; magari e una speciale anche lei. «Dovranno prima fare i conti con me».
«E come?» Sorrise, seppur debolmente; mise in mostra una dentatura bianchissima, minuta e regolare.
«Faro domanda per avere la licenza di portare una torcia laser. Non e difficile ottenerla, da queste parti dove non gira quasi nessuno; la polizia non pattuglia il quartiere - ci si aspetta che ognuno si difenda da solo».
«E quando e al lavoro?»
«Prendero un periodo di aspettativa!»
«E molto gentile da parte sua, J.R. Isidore. Ma se i cacciatori di taglie hanno beccato gli altri, se hanno beccato Max Polokov e Garland, Luba, Hasking e Roy Baty...» S'interruppe. «Roy e Irmgard Baty. Se sono morti anche loro, allora davvero non ne vale piu la pena. Sono i miei migliori amici. Chissa perche diavolo non si fanno vivi?» Impreco dalla rabbia.
Isidore rientro in cucina e tiro giu piatti, scodelle e bicchieri polverosi, da lungo inutilizzati; comincio a lavarli, lasciando scorrere l'acqua calda rugginosa finche non torno limpida. Ben presto arrivo anche Pris e si sedette al tavolo di cucina. Lui stappo la bottiglia di Chablis e divise le pesche, il formaggio e il tofu.
«Che cos'e quella roba bianca vicino al formaggio?» chiese lei, indicandola.
«E ricavata dal siero di soia. Vorrei tanto averne un po'...» s'interruppe e arrossi. «Una volta si mangiava mischiata alla salsa d'arrosto».
«Un androide», mormoro Pris. «Questo e un tipico lapsus da androide. Ecco come ci si tradisce». Gli si avvicino, rimase in piedi accanto a lui, poi, lasciandolo di stucco, gli cinse la vita con un braccio e per un istante si strinse a lui. «Assaggero una fetta di pesca», disse e con estrema cautela prese tra le lunghe dita una fettina rosa-arancio, liscia e vellutata. Poi, mentre la mangiava, si mise a piangere. Lacrime fredde le colarono sulle guance e andarono a infrangersi sul davanti del vestito. «Accidenti!» esclamo, furiosa. «Be'...» Si stacco da lui e comincio a camminare avanti e indietro nella stanza con passi lenti e misurati. «...Vede, noi vivevamo su Marte. Ecco perche m'intendo di androidi». La voce le tremava, ma riusci a continuare: evidentemente, avere qualcuno con cui parlare voleva dire molto per lei.
«E le uniche persone che conosce sulla Terra», intervenne Isidore, «sono i suoi amici ex emigranti?»
«Ci conoscevamo anche prima del viaggio. Una colonia vicina a Nuova NuovaYork. Roy Baty e Irmgard avevano una farmacia: lui faceva il farmacista e lei si occupava dei cosmetici, le creme e gli unguenti; su Marte si usano un sacco di prodotti dermatologici. Io...» esito, «io mi facevo dare diversi farmaci da Roy... Ne avevo bisogno, all'inizio perche... be', insomma, quel posto e tremendo. Tutto questo...» con un gesto violento indico la stanza, l'appartamento, «questo e niente, al confronto. Lei crede che io soffra perche mi sento sola. Diavolo! Su tutto Marte ci si sente soli. E molto peggio di qui».
«Ma gli androidi non vi tengono compagnia? Ho sentito la pubblicita che diceva...» Isidore si sedette e comincio a mangiare. Dopo qualche istante anche lei prese il bicchiere del vino. Lo sorseggio senza cambiare espressione. «Credevo che gli androidi fossero un po' d'aiuto».
«Gli androidi», disse lei, «soffrono la solitudine anche loro». «Le piace il vino?»
Lei poso il bicchiere sul tavolo. «Buono».
«E l'unica bottiglia che ho visto negli ultimi tre anni».
«Siamo tornati», riprese Pris, «perche nessuno dovrebbe esser costretto a vivere tassu. Non e un posto concepito per viverci, almeno non nell'ultimo paio di miliardi d'anni. E un pianeta cosi vecchio. La si avverte persino nelle pietre, la tremenda vecchiaia di quel posto. Comunque, all'inizio prendevo farmaci da Roy; vivevo per prendere quel nuovo analgesico di sintesi, la silenizina. Poi ho conosciuto Horst Hartman, che all'epoca aveva un negozio di francobolli, francobolli rari; si ha tanto di quel tempo libero a diposizione che bisogna per forza avere un hobby, qualcosa a cui dedicarsi a lungo. E Horst mi ha fatto interessare alla narrativa pre-coloniale».
«Vuoi dire libri antichi?»
«Storie scritte prima dei viaggi spaziali ma che parlano di viaggi spaziali». «Ma come e possibile che ci fossero storie sui viaggi spaziali prima che...» «Quegli scrittori», rispose Pris, «se le inventavano». «E su cosa si basavano?»
«Sull'immaginazione. Spesso s'e scoperto che si sbagliavano. Per esempio, avevano descritto Venere come una giungla del paradiso, popolata da mostri enormi e da donne vestite di corazze lucenti». Gli lancio un'occhiata. «Le interessa? Donnoni con lunghe trecce bionde e corazze scintillanti grosse come meloni».
«No», rispose lui.
«Irmgard e bionda», disse Pris. «Pero lei e piccolina. Ad ogni modo, si puo guadagnare una fortuna a contrabbandare su Marte la narrativa pre-coloniale, le vecchie riviste, i libri, I film. Non c'e niente di piu emozionante. Leggere di citta e di vaste imprese industriali, di colonizzazioni ben riuscite e organizzate. Si puo immaginare come avrebbe potuto essere. Come sarebbe dovuta essere l a vita su Marte. I canali...»
«I canali?» Ricordava vagamente di aver letto qualcosa in proposito; nell'antichita la gente credeva che ci fossero dei canali su Marte.
«Si, s'intersecavano in tutto il pianeta», preciso Pris. «E poi c'erano creature da altre stelle. Piene d'infinita saggezza. E storie sulla Terra ambientate nella nostra epoca e perfino nel futuro. Senza la polvere radioattiva».
«Secondo me, storie del genere, pero, alla fine fanno star peggio».
«Neanche per sogno», taglio corto Pris.
«Si e mica portata dietro qualcuno di questi libri pre-coloniali?» Gli era passato per la mente il pensiero che magari avrebbe dovuto leggerne qualcuno.
«Qui non valgono niente, perche qui, sulla Terra, la moda non ha mai veramente attecchito. E comunque qui ce ne sono quanti ne vuole, nelle biblioteche; e da li che ce li procuriamo noi - li rubiamo dalle biblioteche terrestri e li spariamo su Marte a bordo di razzi automatici. Di notte si vaga nei vasti spazi deserti e all'improvviso si vede una fiammata ed ecco li il razzo, spaccato a meta e le riviste di narrativa pre-coloniale sono sparse tutt'intorno. Valgono una fortuna. Ma naturalmente, prima di venderle, ce le leggiamo tutte». Cominciava a entusiasmarsi su questo argomento. «Di tutte...»
Si senti bussare alla porta d'ingresso.
Pallidissima, Pris mormoro: «Non posso andare ad aprire. Non faccia rumore. Rimanga seduto». Si mise in ascolto, sforzandosi di cogliere il minimo fruscio. «Chissa se ho chiuso a chiave la porta», disse in modo quasi impercettibile. «Oddio, speriamo di si!» Lo sguardo, possente e agitato, si fisso supplichevole su di lui, come per pregarlo di far avverare le sue speranze.
Dal corridoio giunse una voce lontana: «Pris, sei li dentro?» Era una voce maschile. «Siamo noi, Roy e Irmgard. Abbiamo avuto il tuo biglietto». Pris si alzo e ando in camera da letto, da cui fece ritorno con una penna e un pezzo di carta; si rimise a sedere e scarabocchio in fretta un messaggio: VADA ALLA PORTA.
Isidore, innervosito, le tolse la penna di mano e scrisse: E CHE GLI DICO? Infuriata, Priss scarabocchio: CONTROLLI SE SONO VERAMENTE LORO.
Isidore si alzo e a malincuore s'avvio nel soggiorno. Come faccio a sapere se sono veramente loro? si chiese. Apri la porta.
Nella penombra del corridoio c'erano due persone: una donna minuta, d'una bellezza simile a quella di Greta Garbo, dagli occhi azzurri e i capelli biondo-chiari; l'uomo, invece, era robusto, dallo sguardo intelligente ma dai lineamenti piatti, quasi mongoli, che gli conferivano un'aria brutale. La donna era vestita alla moda, stivali alti e lucenti e pantaloni attillati; l'uomo aveva una camicia stazzonata e pantaloni macchiati che davano l'impressione di una volgarita ricercata. Lancio un sorriso a Isidore, ma i suoi occhi piccoli e lucenti rimanevano sfuggenti.
«Stiamo cercando...» comincio a dire la biondina, ma poi guardo alle spalle di Isidore; un'espressione estasiata le illumino il volto e s'insinuo di corsa nell'appartamento gridando: «Pris! Come stai?» Isidore si volto. Le due donne erano abbracciate. Si tiro da parte e Roy Baty, cupo e massiccio, fece il suo ingresso con sulle labbra ancora quel sorriso sghembo e stonato.