«Bene, Pappy, i cavi sono stati assicurati. Questa volta abbiamo davvero superato noi stessi! Tiraci su.» Betha sollevò il mento dal pulsante dell’altoparlante e si aggrappò con il braccio al robusto cavo d’acciaio intrecciato, sicura nella cavità in mezzo ai cilindri di idrogeno. Sentì lo strappo brusco mentre i verricelli iniziavano l’ultimo carico di carburante, tirandolo verso il Ranger che scintillava in lontananza.
«Così è la sorte, Betha.» La voce di Clewell le riempì il casco. A lei parve di vederlo sorridere, aldilà dello scafo lucido come uno specchio.
«Proprio così. Ce l’abbiamo fatta, Pappy! È quasi finita!» Attraverso la visiera schermata del casco Betha vide l’argento fuso, lo scarabeo rosseggiante di Discus che si rifletteva sullo scafo del Ranger, sorgendo sopra un orizzonte color verde-pallido di cisterne raggruppate, fra le quali si scorgeva una piccola macchia nera: l’ombra di Nevi-delIa-Salvezza… o un foro frastagliato scavato nel metallo. Betha distolse lo sguardo, provando una sensazione di vertigine, e lo fissò sulla figuretta illuminata di Shadow Jack, a una estremità del fascio di cilindri largo cinquanta metri. Da lui lo spostò verso il vuoto, immaginando l’impietosa attrazione della gravità di Discus che la trascinava nella notte senza fine… come cinque altri prima di lei. Chiuse gli occhi e sì strinse al cavo; li riaprì di nuovo per guardare, sotto di sé, la superficie solida delle cisterne e accanto ad esse, verdi e anonime, il fatuo e taciturno Abdhiamal, all’altra estremità del carico. Erano ormai vicinissimi alla massiccia e protettiva sagoma del Ranger; ben presto avrebbero finito. Una volta, solo una volta ancora… Il sudore le scorreva sulla faccia, dandole una specie di prurito, e lei scosse irosamente la testa all’interno del casco. Dannazione! Non cederai…
«Betha!» Era la voce di Bird Alyn, una volta tanto chiara e udibile al disopra del rumore di fondo del suo altoparlante. Betha la vide, simile a una zanzara accanto all’immensa cremagliera di carico fissata allo scafo. «Le cisterne non salgono in maniera uniforme… Abdhiamal, la sua estremità… l’estremità del cavo si è incastrata tra due cilindri…»
«Vado a liberarla.»
«Abdhiamal, un momento!» Betha vide che lui si dirigeva verso l’estremità del cavo, e poi scompariva dietro la vampata del suo reattore di propulsione. «Pappy! Allenta il cavo di poppa, subito!» Liberò la sua unità di propulsione dal polso, premette la levetta e si lanciò al suo inseguimento verso il limite del mondo. Lo cercò con lo sguardo e lo vide fluttuare in prossimità del mozzo delle ruote delle cisterne, dove il cavo si era incastrato tra due cilindri. Lo vide afferrare saldamente il cavo, puntare i piedi e tirare… «Abdhiamal, ferma, ferma!»… vide il cavo che si liberava… vide le cisterne legate fra loro che indietreggiavano sotto di lei e il cavo che le piombava addosso, inarcandosi come un serpente pronto a colpire, senza rumore. Indietreggiò disperatamente, sapendo, sapendo…
«Clewell!» La sua faccia urtò contro il vetro della visiera in un’esplosione di stelle mentre il cavo la colpiva in pieno petto, scagliandola via dalla nave. Lottò per riprendere fiato, con la bocca piena di sangue e i polmoni pieni di dolore, mentre la nave, simile a un ago scintillante, scompariva alla sua vista… poi oscurità, sangue e argento fuso, oscurità… Annaspò in cerca della levetta che azionava l’unità a propulsione, ma le sue mani erano vuote. E lei stava precipitando.
No… Betha incominciò a gridare.
Wadie sentì il cavo che si liberava proprio mentre la voce del capitano gli ingiungeva di fermarsi. Improvvisamente privo di sostegno cadde all’indietro, sollevando lo sguardo per la sorpresa… e si accorse di quello che aveva fatto: le cisterne rimbalzavano via, il cavo guizzava come una frusta addosso a lei, scagliandola lontano… vide volare via l’unità a propulsione di Betha, una scintilla luminosa che precipitava… «Oh, mio Dio…» Udì le grida di Bird Alyn e di Shadow Jack che facevano eco alle sue, ma nessun suono da parte di Betha Torgussen; si lanciò dietro di lei nella notte, facendo cenno agli altri di tornare alla nave.
L’immensità dell’isolamento lo soffocò, riempiendo come sabbia quella desolazione nera e risplendente, trascinandolo, trattenendolo… così come l’isolamento dei suoi atteggiamenti lo aveva tagliato fuori dalla verità per tutta la vita. Si avvicinò al corpo che precipitava a spirale con agonizzante lentezza, centimetro dopo centimetro… aspettandosi di vedere una tuta lacerata, un cadavere ghiacciato, il suo volto pallido che lo fissava maledicendolo perfino nella morte per l’ipocrisia dei suoi anni sprecati. Tuttavia desiderava — più di quanto avesse mai desiderato qualcosa — di riempire quel vuoto tra loro, e vedere che non era troppo tardi…
Dopo un intervallo lungo quanto la sua vita, strinse la mano guantata intorno a una caviglia. La tirò a sé e si servì della sua unità di propulsione per frenare la caduta di Betha verso l’esterno. Prese fra le mani il casco, e la sentì che si aggrappava debolmente a lui, mentre cercava di scorgere il suo volto, magari di sfuggita, attraverso il vetro macchiato di rosso. Ripeté, fuori di sé per il sollievo:«Betha… Betha, va tutto bene?»
Il volto di lei, invisibile, si sporse in avanti, scrutando dall’interno del casco; Betha premette con il mento il pulsante dell’altoparlante. «Eric… oh, Eric.» La udì singhiozzare. «Non lasciarmi… cado… non lasciarmi, non lasciarmi…» Le sue braccia si strinsero convulsamente attorno a lui, poi cadde di nuovo il silenzio tra di loro. Lui diede un colpetto sul vetro temperato. «Io non… va tutto bene… non la lascerò andare.» La linea degli Anelli discani lo accecò di un gelido bagliore, immutabile come la morte; distolse lo sguardo, e si diresse insieme a lei verso la minuscola nave, attraverso il nero deserto di sabbia della notte. Betha mantenne il silenzio radio; lui non cercò più di guardarla in faccia, aldilà della visiera arrossata di sangue, rispettando l’intimità del suo dolore, sentendo i fantasmi di cinque esseri umani che si muovevano insieme a loro. E alla fine udì la voce di lei che pronunciava il suo nome, ringraziandolo, una volta, poi un’altra…
«Cos’è successo?»
«Sta bene?»
«Betha, sta bene?»
Le voci di Shadow Jack e di Bird Alyn gli esplosero nel casco quando si incontrarono; i loro volti nascosti erano puntati verso la donna, e anche le mani guantate erano protese verso di lei.
«È ferita. Aiutatemi a portarla dentro.» Betha si muoveva appena tra le sue braccia, e non disse nulla mentre entravano dal portello nell’astronave.
Giunsero in sala comandi, e le mani di lei erano ancora saldamente afferrate alla sua tuta. Lui ispezionò la sala, verso il quadro comandi, in cerca di Welkin; si schiarì la visiera e si rese conto all’improvviso che nulla si muoveva. «Welkin?» Vide una mano che sporgeva immobile dal bracciolo del sedile, e provò una stretta alla gola.
Betha sollevò la testa come se stesse ascoltando, ma non vi fu risposta. Allentò allora la presa e si scostò da lui. «Pappy?» Le tremava la voce; descrisse una specie di stretta mezzaluna in aria, le braccia premute contro lo stomaco. «Pappy… sei lì?» Wadie udì un leggero gemito mentre lei si sforzava di sollevare le mani. «Qualcuno… mi tolga questo casco. Non riesco a vedere. Pappy?»
«Betha… esordì Shadow Jack, poi s’interruppe.»
Bird Alyn si accostò a Betha e le sfilò lentamente il casco; nel vedere il suo volto rigato di sangue fece un balzo all’indietro.
Ma Betha si era già girata, scuotendo la testa per schiarirsi la mente confusa e togliendosi distrattamente i guanti. Si raggelò nel vedere la mano inerte del vecchio. «Oh, Gesù.» A sua volta protese la mano, afferrandosi alla tuta di Bird Alyn in cerca di un punto d’appoggio. La ragazza la cinse con un braccio e l’aiutò ad attraversare la sala. Wadie la seguì.
«Pappy…» Giunse fino a lui senza riuscire a parlare.
Welkin riaprì gli occhi quando lei sfiorò il suo volto; la fissò senza capire, cercando di metterla a fuoco, la mano destra premuta contro il petto. Lei rise, o forse singhiozzò, stringendogli la spalla. «Dio sia ringraziato! Dio sia ringraziato… credevo… sei così freddo.»
«Betha. Stai…»
«Sto bene. È tutto a posto.» Portò una mano tremante sul volto di lui, osservandosi le punte insanguinate delle dita. «Solo un… un po’ di sangue dal naso. Cosa… cosa è successo?»
«Una fitta… al petto, come se qualcosa mi schiacciasse; e poi lungo tutto il braccio… dev’essere stato il cuore. Avevo paura di muovermi. Quando ho visto… quello che ti stava succedendo sullo schermo…»
«No, non pensarci… è passata. Ce la faremo, Pappy; ce la faremo, nonostante tutto. Chiudi gli occhi, non muoverti e non preoccuparti, pensa solo a riposare. Ci prenderemo cura di te.» Si sforzò di sorridere, mentre con la mano gli accarezzava dolcemente il viso. Il sangue riprese a scorrerle sul mento.
«Sarà meglio portarlo in infermeria?» Wadie, in piedi accanto a lei, non sapeva come comportarsi, e dovette fare uno sforzo per parlare.
«No.» Welkin scosse il capo, tenendo gli occhi chiusi. «Non ancora. Finite il vostro lavoro!»
«Ha ragione. E comunque non bisogna muoverlo, per un po’. Grazie a Dio siamo a gravità zero…» Betha estrasse una sciarpa da un ripostiglio sotto il pannello, facendo volar via un fascio di carte. Si deterse il viso e sputò con cautela, sobbalzando. Appena fu uscita dalla visuale di Welkin, Wadie s’accorse che lei perdeva nuovamente il controllo, mentre il dolore riemergeva e il suo corpo si piegava in due. Bird Alyn le si portò a fianco, spalancando la bocca; Betha aggrottò la fronte, si raddrizzò e scosse il capo. «Va tutto bene. L’ha detto Pappy: dobbiamo finire il lavoro. Adesso niente ci fermerà! Io azionerò il verricello. Bird Alyn, torna fuori… e assicurati che il carico sia ben fissato. Shadow Jack, tu traccia una rotta per Lansing, e dimmi cosa hai bisogno di sapere; ricontrolleremo tutto insieme… Abdhiamal…»
Lui la fissò negli occhi, pronto a opporsi a ciò che temeva di vedere. «Devo togliermi di torno?»
Betha sembrò non badargli e gli disse, senza tradire nessuna emozione: «Vada in infermeria e mi porti su una flebo di antidolorifico per Clewell. Sono già pronte e le troverà tra i generi di pronto soccorso.» Si aggrappò allo schienale di una sedia, scuotendo la testa. «Me ne porti su due. E poi…» i suoi occhi cambiarono espressione e divennero aggressivi, «…si tolga di torno, Abdhiamal!»