Wadie osservava l’astronave che s’ingrandiva sullo schermo nella cabina angusta e maleodorante del Lansing 04. Insieme a essa s’ingrandiva la sua ammirazione… e la sua profonda gratitudine. Quella era l’Astronave che proveniva dallo Spazio Esterno, una nave in grado di attraversare lo spazio interstellare a velocità interstellari, con uno scafo aerodinamico e leggero come seta per proteggersi dal vento corrosivo delle particelle. Non aveva nulla della brutta spigolosità delle navi spaziali che lui aveva sempre visto; era la perfezione pragmatica, e da generazioni non esisteva una nave simile in tutto il sistema di Paradiso. Nel corso del conflitto civile le astronavi prebelliche della Cintura di Paradiso erano state trasformate nelle più letali navi da guerra… ed erano state distrutte, una dopo l’altra, insieme alle esigenze basilari della vita, al delicato equilibrio per la sopravvivenza. Alla fine la Cintura Principale era divenuta un enorme mausoleo, e adesso gli isolati superstiti stavano scomparendo, come chiazze di neve che si scioglie…
Abbassò lo sguardo sulla nuca di Shadow Jack. Gli doleva la testa in modo insopportabile. Tornò a fissare lo schermo, contando i secondi che mancavano al contatto. Anche se non avesse risposto in pieno alle sue aspettative, era pur sempre un porto, una via d’uscita dagli ultimi duecento chilosecondi di soffocante permanenza nella sporcizia di quella bara di rottami metallici. E una via d’uscita anche da quel ragazzo cupo e ostile, e da quella donna piccola e brusca che avrebbe anche potuto essere un uomo, come tutte le altre donne che si avventuravano nello spazio. La osservò mentre accarezzava il gatto al disopra del ronzante quadro comandi, con gli anelli che brillavano sulle sue mani. Abbassò lo sguardo sull’anello d’argento con rubino che portava al pollice, dono di quell’altra donna spaziale e del suo uomo, e si domandò stancamente perché costei si ostinasse a portare tanti anelli, quando era evidente che non si interessava affatto del suo aspetto esteriore.
L’immagine dell’astronave cancellò le stelle; con discrezione, lui usò la sua razione di acqua per pulirsi il volto e le mani.
Non una nave. Wadie fece un balzo all’indietro, quando era già all’interno del portello del Ranger, mentre la sala gli si apriva davanti. Questo è un mondo.
«Questa è la sala comandi.» Il capitano lo seguì, con la gola secca e la voce che sembrava faticare a uscire. Wadie udì Shadow Jack che si liberava rumorosamente dalla tuta a pressione, nel portello alle sue spalle. Inspirò una lunga boccata d’aria fresca, e tossì una volta mentre i suoi polmoni reagivano, colti di sorpresa.
«Salve, Pappy.»
Il capitano si spinse via dalla parete con quell’indefinibile mancanza di grazia che caratterizzava la sua estraneità più che la sua faccia e i suoi capelli. Lei si diresse attraverso l’ampio spazio della sala verso il pannello degli strumenti. L’uomo si rese conto all’improvviso che la sala non era vuota, e che una ragazza e un uomo basso dalla carnagione pallida lo stavano osservando. «Betha…» Un sorriso si formò tra la barba incanutita dell’uomo… un vecchio, troppo per essere ancora nello spazio, per essere ancora in salute… La ragazza magra e abbronzata non stava guardando affatto lui, ma fissava invece il portello alle sue spalle. Era una Cinturana, abbigliata in modo ridicolo con dei pantaloncini scoloriti stretti alla vita da una cintura svolazzante.
«Non mi dirai che questo è tutto ciò che hai portato indietro?» Il vecchio gesticolò in direzione di Wadie, mezzo scherzoso e mezzo spaventato. «Questo… bellimbusto? Hai scambiato il nostro Rusty con costui?»
Il capitano scosse la testa con aria divertita, e disse allegramente: «No, non è la favola del fagiolo magico, Pappy. Io avevo solo detto che non avremmo trovato la gallina dalle uova d’oro… e forse, in fondo, eravamo proprio noi la gallina dalle uova d’oro, e non lo sapevamo.»
Wadie sentì Shadow Jack che gli passava accanto con il gatto fra le braccia. Il ragazzo lo lanciò in aria dandogli una bella spinta, e l’animale annaspò per la stanza, perfettamente a suo agio.
«Rusty!»
La bestiola emise qualche rauco miagolio di piacere, e si diresse verso le mani familiari del vecchio.
Ma ciò che lo lasciò sbalordito fu l’espressione di sfrenata felicità sul volto della ragazza quando vide Shadow Jack. Wadie distolse poi lo sguardo da lei, posandolo sul vecchio. «Wadie Abdhiamal, rappresentante della Demarchia. E di solito migliore di come mi vede adesso. Temo che duecento chilosecondi dentro quella trappola per topi non abbiano giovato molto al mio aspetto.» Il vecchio rise.
Shadow Jack gli lanciò un’occhiataccia. «Provi a rimanerci per un paio di megasecondi, una volta o l’altra.»
Il capitano si portò verso il quadro comandi, mentre i segni della tensione tornavano a mostrarsi sul suo volto, dandole un’aria torva. «Era un inferno, Pappy. Io non volevo farti scendere nello spazio della Demarchia per riportarci su, ma non so quanto avrebbe resistito ancora il dispositivo di sostentamento vitale. Già non era adeguato per due… figuriamoci per tre…» Si deterse il volto, che trasudava sporcizia. «Gli ultimi due giorni sono stati peggiori delle ultime due settimane. Ma dovevamo portarlo con noi. Era l’unico modo per tirarci fuori da quella situazione. Il loro sistema di comunicazioni è incredibile; già sapevano ogni cosa su di noi… tutti quanti, in ciascun angolo dell’asteroide. E tutti quanti non aspettavano altro che di impadronirsi della nostra astronave e di mettersi a fare il Dio… proprio come gli Anellani. Adesso non possiamo fidarci di nessuno; se vogliamo l’idrogeno, dovremo andarcelo a prendere per conto nostro.»
«Capitano Torgussen» intervenne Wadie, «il governo vuole solamente…»
«Lo so che cosa vuole, Abdhiamal. La mia nave. Lei è stato fin troppo chiaro. Ma prima la sua Demarchia dovrà prendere noi.» I suoi occhi lo trafissero, come vetro azzurro tagliente. «Mi spiace, Abdhiamal, ma lei adesso si trova sul nostro terreno. Si consideri nostro ostaggio.»
Shadow Jack rise, seduto a mezz’aria. La ragazza si mosse dal pannello e si mise al suo fianco, inespressiva in volto.
Wadie non fece commenti, ma colse un attimo di esitazione nell’atteggiamento di Betha.
«Non sembra molto sorpreso. Non ha creduto a ciò che le ho detto su Mecca, eppure ha lasciato ugualmente che succedesse tutto questo?»
«Non sapevo se crederle o no. Dopo quello che le era successo, immaginavo che lei poteva aver realmente impartito l’ordine di distruggere la sua nave, e non volevo correre rischi. E non volevo correre rischi nemmeno con i Tiriki. Se poi ha mentito a proposito della collaborazione… be’, io sono sulla sua nave, e questo mi offre un’altra opportunità per farle cambiare idea. La Cintura di Paradiso ha bisogno del suo aiuto.»
«Noi non vi dobbiamo nulla; sulla Cintura di Paradiso abbiamo trovato soltanto ostilità e ingordigia.»
«Qual è stato il primo motivo che vi ha fatto venire qui, se non che ci immaginavate in ben altre condizioni? E perché noi non dovremmo essere altrettanto avidi? Cento milioni di persone (la maggior parte della popolazione della Cintura di Paradiso) sono perite nei primi cento megasecondi della guerra. E quelli che sono sopravvissuti…» Indicò Shadow Jack e la ragazza. «Prendete Lansing. Il loro popolo non resisterà per un’altra rivoluzione intorno a Paradiso. E tutti siamo destinati a fare la stessa fine, a meno che possiamo contare sulla sua nave.»
Lei sì accigliò, e si ancorò con una scarpa alla sbarra di sicurezza che circondava il quadro comandi. «Rimane il fatto che anche noi come esseri umani abbiamo dei diritti, incluso quello di abbandonare questo sistema se così decidiamo, e voi non avete intenzione di concederceli. È vero che siamo venuti qui per commerciare, perché pensavamo che Paradiso avesse ciò che ci serviva. Ma voi non avete nulla da offrire, e non possiamo correre il rischio di distruggere la nostra nave e le nostre vite in cambio di niente. Mattino non può permettere che ciò avvenga. Non abbiamo risorse così abbondanti da sprecarle con voi.»
«Io… riconosco che non abbiamo preso in considerazione la vostra posizione…» S’interruppe, imbarazzato dall’enormità del loro errore. «Abbiamo sbagliato, si è trattato di uno stupido sbaglio. Ma noi non siamo gli Anellani; non vogliamo semplicemente la vostra nave, desideriamo la vostra collaborazione. Forse potremmo ancora avere qualcosa di cui voi avete bisogno. Comunque, non sarebbe per sempre; useremmo la vostra nave, il suo reattore e la sala motori per centocinquanta megasecondi, più o meno. Ci comporteremo lealmente con voi.» La parte di lui che aveva discusso con MacWong sì domandò: «Ma sarà davvero così?» I due ragazzi della Cintura lo fissavano diffidenti, più solidali con gli stranieri che con un uomo del loro stesso sistema.
Il capitano si agitava in continuazione. «Non ci credo. Tutto ciò che ho visto mi fa ritenere di non potermi fidare della Demarchia. Non c’è fiducia neppure fra voi stessi. Anche se ogni parola che lei mi ha detto fosse sincera, qualcuno può sempre prenderla per menzogna e attaccarci… non sono cieca, Abdhiamal, ho visto quello che è successo, e so che voi avete davvero bisogno di aiuto. Se solo avessi un segno, che mi dimostri la buona fede della Demarchia… ma non ce l’ho. Non possiamo aiutarvi; voi non ce lo permettereste. È impossibile.»
«Capitano, io…»
«L’argomento è chiuso.» Qualcosa nella sua voce gli disse che era irrevocabilmente chiuso, e che il motivo risiedeva in ben più di un semplice tradimento della fiducia.
Senza capire, si limitò ad annuire, sconfitto dalla stanchezza e dall’esasperazione. «Allora in che senso sono suo ostaggio, capitano?»
Gli occhi di Betha s’incupirono, e lo evitarono. «Non lo so, ma immagino che qualunque sia la nostra fine, nel bene o nel male… sarà anche la sua fine. Senza volerlo, lei ci ha aiutato a uscire da una brutta situazione, Abdhiamal. In qualche modo cercherò di ricambiarla. Se riusciremo a trovare l’idrogeno che ci serve, farò in modo di farla ritornare alla Demarchia prima che lasciamo il sistema. Si tratterà soltanto di un… disturbo temporaneo.» Per un attimo lo fissò con una strana espressione; poi si voltò e toccò il braccio del vecchio. «Oh, Cristo, Pappy, sono così stanca! E così contenta di essere ritornata!» Lui la strinse a sé, anche troppo, finché lei si liberò e lo baciò una volta, con tenerezza.
È così vecchio che potrebbe essere suo padre… La sorpresa gli piegò all’ingiù la bocca in una smorfia di disgusto, che si affrettò a nascondere appena si accorse che gli altri tornavano a guardarlo. Erano solo quattro, in quella sala vasta e vuota (troppo vuota); e due di loro erano Cinturarli. «Dov’è il resto dell’equipaggio?»
Il vecchio rivolse un’occhiata al capitano, che scrollò il capo. «Non importa; immagino che comunque lo verrà a sapere abbastanza presto.» Gesticolò con la mano in direzione dello schermo, richiudendola poi a pugno. «Sono morti tutti su Discus. E noi stiamo per ritornare indietro. Pappy, tienti pronto a fare rotta per Discus. Non possiamo rischiare di restare ancora qui. Abdhiamal, prenderemo ciò che ci serve dagli Anellani, in tutti i modi possibili e convenienti.» Gli scagliò addosso quelle parole con tono di sfida, poi si voltò verso Shadow Jack e la ragazza. «Ho intenzione di allontanarmi da qui al più presto possibile, e voglio essere sicura che nessuno della Demarchia possa raggiungerci. Per cinque o sei giorni viaggeremo a gravità uno, per tornare sugli Anelli.»
«Ne varrà la pena.» Shadow Jack fece schioccare le nocche. La ragazza fece un cenno affermativo con il capo, stringendo la bocca fino a farla diventare una linea sottile, poi si avvicinò a Shadow Jack e gli sfiorò il braccio nudo. Irritato, lui le guardò la mano ma non si ritrasse.
«Hai sete?» gli domandò. Lui raddrizzò le spalle, abbandonando il suo portamento accasciato, e improvvisamente sorrise, passandosi la mano sulla bocca. «Sììì!» Si spinse via dalla parete e lasciò la sala insieme alla ragazza.
Il vecchio si era legato al sedile con le cinture di sicurezza, ed era affaccendato sul quadro comandi. Il capitano si sollevò in aria per recuperare una matita e un indefinibile cubo metallico, poi spinse il gatto in un’apertura nella parete.
«Capitano…»
La donna si girò verso il quadro comandi. «Sì?»
«Vorrei il permesso di usare la radio.»
«Rifiutato.» Lei raggiunse una sedia, e vi si sistemò sopra.
«Ma io devo…»
«Rifiutato.» Gli voltò le spalle e non si curò più di lui, dedicandosi al suo lavoro davanti al pannello. L’uomo attese, studiando l’anonima combinazione formata dalle pareti azzurrine e dal tappeto verde. Notò su una parete una striscia color blu scuro a forma di freccia, con sopra la parola GIÚ.
«La nave di Lansing è assicurata. Sono state inserite le coordinate, Pappy?»
«Sì. Quando vuoi, siamo pronti.»
«D’accordo. Accensione… trenta secondi. Piedi al suolo, tutti voi!» Le sue ultime parole echeggiarono per tutta l’estensione dell’astronave, attraverso l’intercom. Wadie osservò le sue mani che si muovevano sul quadro comandi secondo una sequenza logica, poi sentì la mano leggera e familiare della gravità che lo premeva sulle spalle. E cominciò a scendere. I suoi piedi toccarono il pavimento, e la tensione sulle sue gambe continuò, oltrepassando il livello della familiarità, poi il livello della leggerezza. Indietreggiò e si afferrò a una sbarra lungo la parete, ricordando i trenta secondi a gravità uno trascorsi a bordo di una nave Anellana, e rendendosi conto di come sarebbero stati i successivi cinquecentomila secondi. Il dolore gli torse i muscoli. La striscia blu sulla parete azzurra riempì il suo campo visivo con quella parola: GIÙ… Le sue mani si strinsero e lui si mise in piedi, sopportando il dolore, ignorando il cuore che gli pulsava contro le costole come uno stantuffo.
Rimase in piedi… e si allontanò a tentoni dalla parete, mentre la pressione che lo opprimeva tendeva a stabilizzarsi. Fu colto da un accesso di vertigini che lo fece barcollare, ma riuscì a controllarsi, e si tenne in precario equilibrio mentre il capitano e il vecchio si alzavano dai loro sedili. Lo guardarono con ansiosa commiserazione; il gatto uscì dalla parete attraverso un portello di plastica, girò attorno alle sue gambe e gli leccò lo stivale, quasi volesse consolarlo. Lui incrociò le braccia e fissò gli altri con un pallido sorriso.
Il capitano si voltò e uscì dalla sala. Il gatto la seguì saltellando, la coda eretta come una bandiera.
«Abdhiamal, non è vero?» Il vecchio si diresse verso di lui protendendo la mano. «Io mi chiamo Welkin, e sono l’ufficiale di rotta del Ranger.»
Wadie fece un cenno affermativo con la testa e gli strinse la mano, domandandosi perché mai gliela avesse offerta. Notò che le dita di Welkin risplendevano di anelli dorati come quelle di Betha Torgussen, e che la sua stretta era decisa e virile… Il vecchio doveva essere robusto, se riusciva a sopportare un’accelerazione a gravità uno: dieci metri per secondo quadrato, la gravità della Vecchia Terra. Era così che si viveva, una volta, sulla Terra. Un frastuono, e da qualche parte sotto di loro si levò l’esclamazione di dolore di Shadow Jack. «All’inferno!» Non c’è da stupirsi se abbiamo chiamato Paradiso questo sistema.