Cinquanta chilosecondi più tardi Wadie si stava arrampicando per il pozzo vuoto delle scale, un gradino dopo l’altro… desiderava ardentemente muoversi carponi e sapeva benissimo che nessuno lo avrebbe visto, ma era ben deciso a riguadagnare il controllo di qualcosa, se non altro della sua dignità. Aveva esplorato i livelli inferiori della zona abitata della nave: gli alloggi dell’equipaggio, l’aliena rigogliosità di un laboratorio idroponico adattato a gravità uno; la sala macchine… l’ultimo ricordo era un desiderio bruciante. Aveva visto tutto, tranne la sezione al secondo livello dietro una porta sigillata sulla quale ammiccava una luce rossa di pericolo. E dovunque era rimasto sbalordito dall’incredibile spreco — di acqua, di aria, di spazio vitale — in una matrice di uniforme austerità che era primitiva, se paragonata alla raffinatezza della Demarchia. E aveva trovato ironico che gli abitanti di Mattino si considerassero poveri, quando per certi aspetti erano le persone più ricche che lui avesse mai visto.
Raggiunse la sommità delle scale, e si appoggiò alla ringhiera finché le vertigini furono passate e il cuore ebbe rallentato il suo battito. Quando si rimise in piedi i muscoli gli dolevano atrocemente, e appena si mosse il dolore gli trafisse le gambe tremanti come un cavo incandescente. Prima di entrare in sala comandi fece del suo meglio per dare una sistemata ai suoi nuovi abiti.
Gli altri erano già lì e fissavano qualcosa sullo schermo. Il capitano e Welkin erano seduti, Shadow Jack e la ragazza stavano invece sdraiati sul tappeto, con il peso distribuito sulla maggior porzione possibile di spazio. Proprio in quel momento la ragazza stava cercando di sollevarsi sui gomiti, con il corpo rigido dalle ginocchia in su. Lui vide che le sue braccia tremavano, e subito dopo Bird Alyn si accasciò sul cuscino a faccia in giù. Sconfitta, rimase sdraiata sul pavimento a braccia aperte. «Non ce la faccio.»
«Allora non lo fare» le disse Shadow Jack; poi, più dolcemente: «Finirà presto, Bird Alyn; non è necessario che ci abituiamo.» Lanciò in aria delle carte da gioco e le osservò mentre piombavano a terra in modo incredibilmente rapido. «Guarda che si è svegliato, finalmente!» Shadow Jack sollevò lo sguardo al disopra delle spalle; il gatto gli sfiorò la testa e andò ad accucciarsi sulle carte.
Wadie improvvisò un inchino, stando bene attento a non perdere l’equilibrio. Nessuno gli restituì il saluto, e lui sentì crescere dentro di sé l’indignazione, ma poi ricordò che non poteva aspettarsi di trovare la civiltà, lì dove si trovava. Pirati… quasi sorrise, colpito dal ricordo di ciò che una volta significava essere chiamato Cinturano, quando l’unica Cintura di Asteroidi era quella di Sol. Studiò il volto del capitano (un volto adesso pulito, così come i bei capelli tagliati corti) e scorse nei suoi occhi qualcosa che lo sbalordì. Lei abbassò lo sguardo, accendendosi la pipa. La penetrante dolcezza di ciò che bruciava, qualsiasi cosa fosse, ridestò in lui dei ricordi istintivi di cose che non aveva mai visto.
«Adesso almeno lei è un affarista più presentabile» disse Welkin.
Wadie si guardò la casacca da lavoro di cotone azzurro, e i pantaloni di tela dello stesso colore che gli arrivavano a dieci centimetri dalla caviglia, accuratamente infilati dentro gli stivali lucidi. Gli stivali gli cingevano le gambe, ma le appesantivano come se fossero di piombo. «Se non altro sono pulito.» Oltrepassò cautamente la soglia e attraversò la sala, tenendo la testa alta e la schiena diritta. Raggiunse la più vicina sedia girevole e vi si adagiò, appoggiandosi poi allo schienale con un profondo respiro. La ragazza lo guardò spaventata, Shadow Jack distolse invece lo sguardo, con la fronte aggrottata; borbottò qualcosa e spinse via il gatto, sparpagliando le carte.
«Capitano…» Wadie si girò sulla sedia, riordinando le idee, ma si fermò appena si accorse di quello che gli altri avevano seguito sullo schermo. «Avete controllato le comunicazioni della Demarchia?» Sullo schermo luminoso si vedevano sei immagini distinte, ciascuna delle quali costituiva una diversa frequenza di trasmissione. Riconobbe un notiziario generale, tre comunicati di corporazioni e due dibattiti locali.
Il capitano annuì. «È stato… illuminante.»
«I Tiriki hanno trasmesso qualcosa a proposito della sua nave?»
«Sì, delle notizie; e c’è stato un…» Tornò a fissare lo schermo mentre due segmenti di trasmissione sparivano improvvisamente, sostituiti da una stella ottagonale racchiusa in un arabesco dorato, su fondo nero. Mentre guardavano, il simbolo cancellò uno dopo l’altro i segmenti rimanenti. «Cos’è questo, Abdhiamal?»
«È la convocazione di un’assemblea generale; qualsiasi demarca può parteciparvi seguendo il dibattito finale, che inizia adesso, e votando sugli argomenti in discussione.» Ricordò con inquietudine che avevano lasciato Mecca da duecentocinquanta chilosecondi; quindi erano trascorsi più di duecentocinquanta chilosecondi dal suo ultimo rapporto. «Immagino che si discuta della sua nave e di ciò che è successo su Mecca. I Tiriki hanno cominciato a darsi da fare nel momento in cui abbiamo lasciato l’asteroide, mentre nessuno ha ancora sentito da me una parola. Mi piacerebbe assistere al dibattito; e gradirei anche avere la possibilità di difendermi, se lei mi fornirà un canale libero.»
Betha posò la pipa. «Va bene, assisteremo al dibattito. Lei potrà ascoltare, ma non posso permetterle di parlare.»
«Perché no? La sua nave non ha schermi protettivi, e comunque può essere rintracciata per i gas di scarico; non c’è bisogno di un contatto radio…»
«Non voglio che lei vada a raccontar loro i nostri piani. Preferisco lasciarglieli immaginare.»
«Capitano, io debbo parlare con loro. Questa riunione potrebbe costarmi il lavoro.» Lo guardarono tutti con indifferenza, e lui dovette soffocare la sua irritazione. «Lei… ha visto di persona come funziona la nostra rete di comunicazioni; risale a prima della guerra, e continua ancora a fare il suo dovere. È questa rete che fa andare avanti la Demarchia… ogni demarca vanta su di essa la stessa priorità, e chiunque abbia qualcosa da dire può servirsene. Se è necessario, viene richiesto un voto generale, e quel voto è legge.»
«Governo della massa?» domandò Welkin. «La tirannide della maggioranza.»
«No.» Indicò con la mano la sottile goccia dorata sullo schermo, simbolo della distribuzione a goccia degli asteroidi troiani, su centoquaranta milioni di chilometri. «Non qui. Non sì può tenere insieme la massa attraverso milioni di chilometri di spazio, perché tale spazio confina nell’ambito del proprio asteroide l’interesse personale di ciascun votante. Sono tutti dannatamente indipendenti, sono informati, e giudicano. È una giuria di pari.»
«E allora perché si preoccupa di perdere il suo lavoro?»
«Perché non sono qui per difendere me stesso; i Tiriki possono affermare ciò che vogliono, e se nessuno sente la mia versione differente dei fatti, si potrà pensare che è vero quello che loro dicono. Il mio capo risponderà al posto mio, ma non sa nemmeno cosa è successo. Se non posso parlare, lo trascinerò giù insieme a me. II governo poggia i piedi sull’acqua, e basta uno scossone per farlo affondare.»
Il capitano si chinò in avanti, unendo le mani. «Mi dispiace, Abdhiamal, ma lei avrebbe dovuto considerare tutto ciò prima di venire con me. Adesso non posso correre il rischio di farla parlare… Vuole ancora ascoltare?»
Lui annuì. Tutti i simboli tranne uno erano nuovamente spariti dallo schermo; mentre lui guardava, l’intervallo di tempo si concluse e anche l’ultimo simbolo scomparve. L’assemblea generale era incominciata.
«…dovrebbe già avere inviato all’inseguimento il nostro vascello a fusione.» Wadie appoggiò la testa allo schienale, mentre sullo schermo Lije MacWong concludeva la sua argomentazione. «Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per soddisfare i desideri della Demarchia. Troppe cose ci sono ancora oscure, poi, perché noi sappiamo solo ciò che voi stessi sapete. Io sono un impiegato statale, né più né meno. Se il popolo vuole rimuovermi per aver lavorato nell’interesse del popolo, questo è un suo privilegio. Ma non credo di aver fatto nulla per tradire la vostra fiducia.» Sul fondo dello schermo apparve una banda colorata, che mutò lentamente dal viola al blu; la partecipazione dei votanti era dell’ottanta per cento, e stava ancora aumentando.
Wadie osservò le mani brune e ben curate mentre si piegavano sulla superficie arabescata della scrivania, e vide gli occhi pallidi e fascinosi che già prima d’allora avevano sfidato e vinto la Demarchia. Ma subito l’immagine scomparve. Trascorsero alcuni secondi. OBIEZIONE: ESROMTIRIKI. Queste due parole si mostrarono sullo schermo. E quando vi apparve anche il volto sereno e dorato di Tiriki, con gli occhi lucenti come metallo, Wadie sentì qualcosa stringergli la gola. «Rimane il fatto che il governo…»
Il capitano si appoggiò allo schienale, picchiettando sui braccioli senza far rumore. «È uno di quegli spiritelli, Pappy. Bello, no?» Alzò gli occhi. «E a caccia del nostro sangue. Come dice la favola? “Sento l’odore del sangue di un inglese, che sia vivo o che sia morto…”.» S’interruppe, inspirando a fondo. «Giannino Cavatappi e il Fagiolo Magico… Cos’è quella storia della nave a fusione, Abdhiamal? Mi sembrava che lei avesse parlato di energia a fissione e di razzi elettrici alimentati a fissione.»
Lui annuì. «Ci sono rimasti tre piccoli vascelli a fusione che risalgono a prima della guerra; costituiscono la nostra marina, se le piace chiamarla così. Ma lei ha un grosso vantaggio su di loro. Non potrebbero mai raggiungerla prima del suo arrivo su Discus.»
«Però ci rimarrebbe meno tempo per agire, una volta giunti là.»
«… l’agente governativo Abdhiamal ci ha minacciato e ha rapito gli Esterni che erano venuti da noi per trattare un affare. Da allora sono trascorsi duecento chilosecondi e non abbiamo più avuto sue notizie. La loro conoscenza avrebbe giovato all’intera Demarchia, avrebbe potuto salvare Paradiso… ma per colpa di questo “agente governativo” abbiamo perduto per sempre l’equipaggio e l’astronave. Ricordatevene, quando dovrete prendere la vostra decisione.» La banda luminosa sotto di lui divenne di un viola man mano più intenso.
Wadie strinse le mani sul nulla. Sullo schermo apparve un’altra scritta: OBIEZIONE FINALE: LUE MACWONG.
«Mi dispiace dire che, in tutta onestà, non posso contestare l’accusa finale del Demarca Tiriki. Wadie Abdhiamal, un negoziatore della mia agenzia, ha abusato della sua autorità a un livello che io considero criminale. In passato è già stato sospettato di dubbia lealtà e di malcelate simpatie per gli Anellani, e in verità ritengo possibile che lui abbia intenzione di aiutarli, utilizzando quella nave contro di noi. Posso solamente ripetere che stava agendo senza la mia autorizzazione, o quella di qualsiasi altro membro del governo. Questa agenzia non è, e non è mai stata complice di azioni del genere. Lui solo ha commesso il delitto e, come qualsiasi altro criminale, deve essere ritenuto colpevole…»
Wadie si raddrizzò, sentendo una specie di fastidio al collo.
«… di tradimento contro la Demarchia…»
«Lije!» bisbigliò, incredulo, desiderando che quel volto color mogano si girasse e che quegli occhi pallidi incontrassero i suoi.
«…e così, colleghi demarchi, voglio che voi consideriate l’aspetto basilare della questione, prima di prendere una decisione. Qui non si tratta di un semplice voto di sfiducia nei confronti di un governo che vi ha servito bene; qui è un giudizio sul destino di un uomo che ha tradito le speranze di noi tutti. Chiedo quindi un decreto di confisca dei beni a carico di Wadie Abdhiamal, negoziatore del governo, per tradimento…»
Bastardo… Wadie balzò in piedi e come in un incubo si avvicinò al pannello.
«…che non metta mai più piede su un territorio della Demarchia, pena la morte. Ha tradito tutti noi…»
«Mi faccia parlare.» Allungò una mano verso la pulsantiera.
Il capitano gli bloccò il braccio. «No.»
«…sollecito inoltre l’invio immediato di tutti i vascelli a fusione all’inseguimento della nave aliena; dobbiamo impedire che raggiunga i nostri nemici. Quella nave deve essere nostra!»
Sullo schermo apparve una serie di scritte. PROPOSTA.
DECRETO DI CONFISCA A CARICO DI WADIE ABDHIAMAL, NEGOZIATORE. ACCUSA: TRADIMENTO. PUNIZIONE: MORTE. ANNULLARE ACCUSA PRECEDENTE: NEGLIGENZA DEL GOVERNO.
Wadie indietreggiò, torcendosi impotentemente le mani; poi le lasciò ricadere, ritornò al suo sedile e vi si accasciò, mettendosi a guardare l’inizio delle operazioni di voto. APPROVATA, RESPINTA. E i numeri crescevano col trascorrere dei secondi. Nella parte bassa dello schermo la banda che indicava la percentuale dei votanti trascolorò dal rosso all’arancione, al giallo. Cinquecento secondi ancora prima di diventare viola intenso… cinquecento secondi prima che gli ultimi voti giungessero dagli asteroidi più remoti. Un intervallo insignificante di tempo, secondo i moduli della Cintura prebellica, così come centoquaranta milioni di chilometri costituivano una distanza irrilevante. La loro vicinanza aveva permesso la sopravvivenza degli asteroidi dopo la guerra, e adesso significava la morte per lui, poiché consentiva agli uomini di votare senza esitare, senza riflettere. Attese. Gli altri attesero con lui, senza dire nulla. I motori riempivano il silenzio di vibrazioni quasi concrete, quasi invadenti, l’unica costante nell’improvviso caos dell’universo.
PROPOSTA APPROVATA. Lo avevano ritenuto colpevole, nella proporzione di venti a uno, e lo avevano condannato a morte. Lui vide ripetuta la sentenza di morte che poi, come una cosa già dimenticata, lasciò il posto a un nuovo ciclo di discussioni sull’uso delle navi a fusione. Wadie sollevò le mani pesanti come piombo e le riabbassò subito, voltandosi a guardare gli altri. «Ora finalmente so come ha fatto MacWong a conservare il suo posto così a lungo.»
Il capitano interruppe il collegamento, riempiendo lo schermo con il vuoto del suo futuro.
«Credo di capire la distinzione fra “demarchia” e semplice “democrazia”» disse tranquillamente Welkin.
«Welkin, lei non ha il diritto di emettere giudizi morali sulla Cintura di Paradiso.»
«Ce l’ha, e come, il diritto!» intervenne Shadow Jack. Si mise a sedere, spingendo in avanti i piedi. «L’equipaggio di questa nave… erano…» Cercò affannosamente le parole giuste. «Erano tutti sposati, formavano un’unica famiglia, tutti insieme. E sono morti tutti sugli Anelli, tranne…» Diede un’occhiata a Welkin e a Betha Torgussen, poi guardò Wadie, e infine abbassò gli occhi, tormentandosi le dita. «Sono morti tutti.»
Wadie osservò il capitano, che teneva il braccio appoggiato sulla spalla del vecchio. «Io non sono sposato» disse, con voce piatta. «E ormai non lo sarò più.» Lei lo fissò senza capire, con negli occhi un’inutile espressione di scusa e un sorprendente dolore. Lui si alzò, risentito per l’intrusione dell’inaspettata e indesiderata simpatia di Betha. «Bene, capitano, lei ha sprecato la sua ultima possibilità di un accordo costruttivo con la Demarchia. Per il mio bene, spero che lei abbia più fortuna con gli Anellani di quanta ne ha avuta l’ultima volta.» Uscì dalla sala e scese lungo la scala a spirale. Nessuno lo seguì.