CAPITOLO IV I COLONI SULLA SPIAGGIA «AYRTON E PENCROFF LAVORANO AL RECUPERO DEI RESTI DEL BRIGANTINO» CONVERSAZIONE DURANTE LA COLAZIONE «I RAGIONAMENTI DI PENCROFF» VISITA MINUZIOSA DELLO SCAFO DEL BRIGANTINO «LA CALA DELLE POLVERI INTATTA» LE NUOVE RICCHEZZE «GLI ULTIMI ROTTAMI» UN PEZZO DI CILINDRO SPEZZATO

«SONO SALTATI!» gridò Harbert.

«Sì! Saltati come se Ayrton avesse dato fuoco alle polveri!» rispose Pencroff, gettandosi nell’ascensore, assieme a Nab e al ragazzo.

«Ma che cosa è accaduto?» domandò Gedeon Spilett, ancora stupefatto per quella inattesa soluzione.

«Ah! Questa volta sapremo!» rispose vivamente l’ingegnere.

«Che cosa sapremo?»

«Più tardi! Più tardi! Venite, Spilett. L’importante è che i pirati siano stati sterminati.»

E Cyrus Smith, traendo con sé il giornalista e Ayrton, raggiunse sul greto Pencroff, Nab e Harbert.

Non si vedeva più nulla del brigantino, nemmeno l’alberatura. Dopo essere stato sollevato dalla tromba, si era inclinato sul fianco ed era colato a fondo in quella posizione, senza dubbio in seguito all’improvvisa apertura di qualche enorme via d’acqua. Ma siccome il canale in quel punto non misurava più di venti piedi di profondità, era certo che il fianco del brigantino immerso sarebbe riapparso durante la bassa marea.

Alcuni relitti galleggiavano alla superficie delle acque. Si vedeva tutta una droma costituita da alberi e pennoni di rispetto, stie con i loro volatili ancora vivi, casse e barili che, a poco a poco, salivano a galla, dopo essere sfuggiti dai boccaporti; ma non c’era alla deriva nessun rottame del bastimento sommerso, né tavole del ponte, né fasciame dello scafo, il che rendeva abbastanza inesplicabile l’affondamento improvviso dello Speedy.

Tuttavia, i due alberi, ch’erano stati spezzati a pochi piedi sopra la mastra, dopo aver rotto stragli e sartie, risalirono tosto alla superficie del canale, con le loro vele, di cui alcune spiegate e altre serrate. Ma non bisognava lasciare al riflusso il tempo di portar via tutte quelle ricchezze; Ayrton e Pencroff si gettarono quindi nella piroga con l’intenzione di ormeggiare quei rottami alla spiaggia dell’isola, oppure a quella dell’isolotto.

Ma mentre stavano per imbarcarsi, una riflessione di Gedeon Spilett li arrestò.

«E i sei pirati sbarcati sulla riva destra del Mercy?» diss’egli.

Infatti, non bisognava dimenticare che i sei uomini, la cui lancia s’era spezzata sugli scogli, si erano riavuti e si erano quindi ritirati sulla punta del Relitto.

I coloni guardarono in quella direzione. Nessuno dei fuggitivi era in vista. Forse, dopo aver veduto il brigantino inabissarsi nelle acque del canale, avevano preso la fuga nell’interno dell’isola.

«Più tardi ci occuperemo anche di loro» disse allora Cyrus Smith. «Possono ancora essere pericolosi, perché sono armati; ma, insomma, sei contro sei, le forze sono uguali. Badiamo, dunque, alle cose più urgenti.»

Ayrton e Pencroff s’imbarcarono sulla piroga e vogarono vigorosamente verso i resti della nave affondata.

La marea era allora stanca e altissima, poiché la luna era nuova da due giorni. Almeno un’ora abbondante doveva, dunque, trascorrere, prima che lo scafo del brigantino emergesse dalle acque del canale.

Ayrton e Pencroff ebbero il tempo di ormeggiare gli alberi e i pennoni per mezzo di cime, la cui estremità fu portata sul greto di GraniteHouse, ove appunto i coloni, unendo i loro sforzi, riuscirono ad alare a terra quei relitti. Poi la piroga raccolse tutto quel che galleggiava: stie, barili, casse; e ogni cosa fu immediatamente trasportata ai Camini.

Anche alcuni cadaveri galleggiavano. Fra gli altri Ayrton riconobbe quello di Bob Harvey e lo mostrò al compagno, dicendo con voce commossa:

«Ecco, Pencroff! Quello che sono stato anch’io.»

«Ma quello che non siete più, mio bravo Ayrton!» rispose il marinaio.

Era, però, strano che i corpi galleggianti fossero in così piccolo numero. Se ne contavano cinque o sei appena, e il riflusso cominciava già a spingerli in alto mare. Quasi certamente i pirati, sorpresi dall’affondamento, non avevano avuto il tempo di fuggire, ed essendosi il bastimento inclinato sul fianco, erano rimasti per la maggior parte prigionieri sotto le impavesate. Il riflusso, che stava per trascinare verso l’alto mare i cadaveri di quei miserabili, avrebbe risparmiato ai coloni la triste bisogna di sotterrarli in qualche angolo della loro isola.

Per due ore, Cyrus Smith e i suoi compagni furono unicamente occupati a tirare in secco i rottami, a mollare le inferiture delle vele, che erano intatte, e a metterle ad asciugare sulla sabbia. Essi parlavano assai poco, assorti com’erano nel lavoro; ma quanti pensieri attraversavano la loro mente! Il possesso di quel brigantino, o meglio di tutto quanto esso conteneva, rappresentava una fortuna. Infatti, una nave è come un piccolo mondo completo, e il materiale della colonia stava quindi per accrescersi di un buon numero d’oggetti utili. Sarebbe stato, «in grande», l’equivalente della cassa trovata alla punta del Relitto.

«E inoltre», pensava Pencroff, «perché dovrebbe essere impossibile rimettere a galla il brigantino? Se non c’è che una via d’acqua, si può turarla, e una nave di tre o quattrocento tonnellate è un vascello in confronto al nostro Bonadventure! E si può andar lontano con essa! Si va dove si vuole! Bisognerà che il signor Cyrus, Ayrton e io esaminiamo la cosa! Ne vale la pena!»

Infatti, se il brigantino era ancora in grado di navigare, le probabilità di rimpatrio dei coloni dell’isola di Lincoln venivano a essere singolarmente accresciute. Ma per risolvere questo importante quesito, conveniva aspettare che la marea fosse del tutto discesa, affinché lo scafo del brigantino potesse essere visitato in ogni sua parte.

Quando i relitti si trovarono al sicuro sulla spiaggia, Cyrus Smith e i suoi compagni si riunirono per una rapida colazione. Morivano letteralmente di fame. Fortunatamente, la dispensa non era lontana e Nab passava per un capocuoco svelto. Si mangiò, dunque, vicino ai Camini e durante il pasto non parlarono che dell’avvenimento inatteso, che aveva miracolosamente salvato la colonia.

«Miracolosamente è la parola più adatta,» ripeteva Pencroff «giacché bisogna confessare che quei bricconi sono morti proprio al momento giusto! GraniteHouse cominciava a diventare inabitabile!»

«E immaginate, Pencroff,» chiese il giornalista «come il fatto sia avvenuto e chi abbia potuto provocare l’esplosione del brigantino?»

«Eh, signor Spilett, niente di più semplice» rispose Pencroff. «Una nave di pirati non è tenuta come una nave da guerra! E dei deportati non sono dei marinai! Le cale del brigantino erano certamente aperte, perché ci cannoneggiava senza tregua, ed è bastata un’imprudenza o una disattenzione per far saltare in aria la baracca.»

«Signor Cyrus,» disse Harbert «ciò che mi stupisce però è che questa esplosione non abbia prodotto maggiore effetto. La detonazione non è stata forte e, insomma, pochi sono i rottami e le tavole divelte. Sembrerebbe che il bastimento sia piuttosto colato a picco che saltato.»

«Ti stupisce questo, figlio mio?» domandò l’ingegnere.

«Sì, signor Cyrus.»

«E meraviglia anche me, Harbert» rispose l’ingegnere; «ma quando visiteremo lo scafo del brigantino, avremo la spiegazione del fatto.»

«Ah, diamine, signor Cyrus,» disse Pencroff «non pretenderete, spero, che lo Speedy sia colato così, semplicemente, come un bastimento che urta contro uno scoglio!»

«Perché no?» osservò Nab «Vi sono degli scogli nel canale!»

«Bravo, Nab!» rispose Pencroff. «Non hai aperto gli occhi al momento buono! Un istante prima di affondare, il brigantino — l’ho veduto perfettamente — s’è sollevato su di un’onda enorme ed è poi ricaduto, inclinandosi sulla sinistra. Ora, se avesse soltanto urtato, sarebbe colato molto tranquillamente, come ogni onesta nave che cola a picco.»

«Ma è che appunto non si trattava di un’onesta nave!» rispose Nab.

«Insomma, vedremo, Pencroff» soggiunse l’ingegnere.

«Vedremo» aggiunse il marinaio. «Ma scommetterei la testa che non ci sono rocce nel canale. Via, signor Cyrus; vorreste forse dire che c’è ancora qualcosa di misterioso in questo avvenimento?»

Cyrus Smith non rispose.

«A ogni modo,» disse Gedeon Spilett «urto o esplosione, converrete, Pencroff, che è arrivato proprio a puntino.»

«Sì!… sì…» rispose il marinaio «ma non è questa la faccenda.»

Domando al signor Smith se vede, in quanto è avvenuto, qualcosa di soprannaturale.

«Non mi pronuncio, Pencroff» disse l’ingegnere. «Questo è tutto quanto vi posso rispondere.»

Risposta che non soddisfece menomamente Pencroff. Egli propendeva per «un’esplosione», e non volle ricredersi. Mai avrebbe potuto ammettere che in quel canale, formato da un letto di sabbia fine come quella della spiaggia stessa, e ch’egli aveva spesso attraversato con la bassa marea, vi fosse uno scoglio ignorato. E d’altronde, nel momento in cui il brigantino affondava, la marea era alta, vale a dire aveva più acqua sotto la chiglia di quanta gliene occorresse per superare, senza urtarli, tutti gli scogli che si fossero mostrati scoperti a marea bassa. Dunque, non poteva esservi stato urto. Dunque, il bastimento non aveva toccato. Dunque, era saltato in aria.

E bisognava convenire che il ragionamento del marinaio non mancava di una certa logica.

Verso l’una e mezzo i coloni s’imbarcarono nella piroga e si recarono sul luogo del disastro. Era deplorevole che le due imbarcazioni del brigantino non avessero potuto essere ricuperate. Una, com’è noto, s’era fracassata alla foce del Mercy ed era assolutamente fuori uso; l’altra era sparita con il brigantino, e schiacciata indubbiamente dal medesimo, non era più riapparsa.

Intanto, lo scafo dello Speedy cominciava a mostrarsi al di sopra della linea d’acqua. Il brigantino era talmente inclinato sul fianco, che, dopo aver rotto gli alberi sotto il peso della zavorra spostata dalla caduta, si trovava quasi con la chiglia in aria. Era stato veramente capovolto dall’inesplicabile, ma spaventosa azione sottomarina, che s’era nello stesso tempo manifestata con un’enorme tromba d’acqua.

I coloni fecero il giro dello scafo, e via via che la marea calava, poterono conoscere, se non la causa che aveva provocato la catastrofe, per lo meno l’effetto prodotto.

A prua, ai due lati della chiglia, da sette ad otto piedi prima della ruota di prua, i fianchi del brigantino erano spaventevolmente squarciati per una lunghezza di venti piedi almeno. S’aprivano colà due larghe falle che sarebbe stato impossibile turare. Non solo la fodera di rame e il fasciame erano scomparsi, ridotti senza dubbio in polvere, ma persino dell’ossatura della nave, della chiodatura e delle caviglie di legno che la tenevano insieme non v’era più traccia. Lungo tutto lo scafo, sino alle forme di poppa, i corsi disgiunti non tenevano più. La falsa chiglia era stata divelta con violenza inesplicabile, e la chiglia stessa, strappata dal paramezzale in parecchi punti, era rotta in tutta la sua lunghezza.

«Per mille diavoli!» esclamò Pencroff. «Ecco una nave che sarà difficile rimettere a galla.»

«Dite impossibile» osservò Ayrton.

«In ogni caso,» fece osservare a sua volta Gedeon Spilett al marinaio «l’esplosione, se esplosione c’è stata, ha prodotto degli strani effetti. Ha provocato lo squarcio dello scafo nelle sue parti inferiori, invece di far saltare il ponte e l’opera morta! Queste larghe. aperture sembra siano state fatte piuttosto dall’urto di uno scoglio, che dall’esplosione di un deposito di polvere!»

«Non ci sono scogli nel canale!» replicò il marinaio. «Ammetto tutto quello che volete, eccetto l’urto contro una secca.»

«Cerchiamo di penetrare nell’interno del brigantino» disse l’ingegnere. «Forse sapremo che cosa pensare circa la causa della sua distruzione.»

Era la miglior decisione da prendere e, del resto, conveniva inventariare tutte le ricchezze contenute a bordo e disporre per il loro ricupero.

L’accesso nell’interno del brigantino era facile. La marea scendeva sempre e il disotto del ponte, divenuto ora il disopra per il rovesciamento dello scafo, era praticabile. La zavorra, composta di pesanti pani di ghisa, l’aveva sfondato in più punti. Si sentiva il mare rumoreggiare, passando per le fessure dello scafo.

Cyrus Smith e i suoi compagni, con l’ascia in mano, avanzarono sul ponte molto danneggiato. Casse d’ogni sorta lo ingombravano e siccome erano rimaste in acqua solo per un tempo limitato, il loro contenuto, probabilmente, non era avariato.

I coloni s’occuparono dunque di mettere tutto quel carico in un posto sicuro. L’acqua non sarebbe risalita che entro alcune ore, che furono utilizzate nel modo più profittevole. Ayrton e Pencroff avevano fissato, ad un’apertura praticata nello scafo, un paranco che serviva ad alare i barili e le casse. La piroga riceveva il materiale e lo trasportava immediatamente sulla spiaggia. Si raccoglieva tutto indistintamente, salvo fare più tardi una cernita degli oggetti ricuperati.

In ogni caso, i coloni poterono subito constatare, con viva soddisfazione, che il brigantino possedeva un carico molto svariato, un assortimento d’articoli di tutte le specie: utensili, manufatti, strumenti, il carico, cioè, dei bastimenti che fanno il grande cabotaggio della Polinesia. Forse i coloni avrebbero trovato un po’ di tutto, e bisognava convenire ch’era appunto quello che loro occorreva.

Tuttavia, e Cyrus Smith l’osservava con tacita meraviglia, non solo lo scafo del brigantino, come s’è detto, aveva sofferto enormemente per l’urto, qualunque fosse la sua origine, che aveva determinato la catastrofe, ma tutta la struttura interna era devastata, specialmente verso prua. Paratie e puntelli erano schiantati, come se qualche formidabile granata fosse scoppiata nell’interno del brigantino. I coloni poterono portarsi facilmente da prua a poppa, dopo aver rimosso le casse che venivano estratte a poco a poco. Non erano pesanti, né difficili a rimuoversi, ma semplici colli, il cui stivaggio era reso irriconoscibile.

I coloni giunsero sino a poppa del brigantino, nella parte, un tempo, sormontata dal casseretto. Secondo l’indicazione di Ayrton qui bisognava cercare la cala della polvere. Poiché Cyrus Smith pensava ch’essa non fosse esplosa, era possibile che alcuni barili potessero essere recuperati e che la polvere, ordinariamente contenuta in involucri metallici, non avesse sofferto al contatto dell’acqua.

Così era, infatti. In mezzo a una grande quantità di proiettili, i coloni trovarono una ventina di barili, internamente foderati di rame, che furono estratti con precauzione. Pencroff si convinse con i suoi propri occhi che la distruzione dello Speedy non poteva essere attribuita a un’esplosione. La parte dello scafo in cui si trovava la cala della polvere era precisamente quella che aveva sofferto meno.

«Possibile!» esclamò l’ostinato marinaio; «eppure, non può trattarsi di uno scoglio: nel canale non ci sono scogli!»

«Ma, allora, che cosa è accaduto?» chiese Harbert.

«Io, non ne so niente» rispose Pencroff; «il signor Cyrus non ne sa niente e nessuno sa, né saprà mai nulla.»

In quelle diverse ricerche erano trascorse parecchie ore e il flusso cominciava già a farsi sentire di nuovo. Bisognò sospendere i lavori di ricupero. Del resto, non c’era da temere che la carcassa del brigantino venisse portata via dal mare, giacché era già affondata nella sabbia del fondo e così solidamente piantata, come fosse ancorata.

Si poteva, dunque, senza inconvenienti, aspettare il prossimo riflusso per riprendere le operazioni. Ma il bastimento era proprio condannato e sarebbe anzi stato necessario affrettarsi a recuperare i resti dello scafo, giacché non avrebbero tardato a scomparire nelle sabbie mobili del canale.

Erano le cinque della sera. La giornata era stata dura per i lavoratori. Mangiarono con grande appetito e, per quanto stanchissimi, dopo il pasto non resistettero al desiderio di visitare le casse, di cui si componeva il carico dello Speedy.

La maggior parte di esse conteneva vestiti confezionati, i quali, come si può immaginare, furono bene accolti. C’era di che vestire un’intera colonia: biancheria per tutti gli usi, calzature per tutti i piedi.

«Eccoci fin troppo ricchi!» esclamava Pencroff. «Ma come utilizzeremo questa roba?»

E a ogni momento l’allegro marinaio prorompeva in evviva, via via che trovava barili di tafia, barili di tabacco, armi da fuoco, armi bianche, balle di cotone, strumenti agricoli, utensili da carpentiere, da falegname, da fabbro, casse di sementi d’ogni specie, che la breve permanenza in acqua non aveva danneggiato. Ah, come tutte quelle cose sarebbero venute a proposito due anni prima! Ma, insomma, anche allora, sebbene gli industriosi coloni si fossero già provveduti di utensili, quelle ricchezze avrebbero trovato il loro impiego.

Lo spazio ove collocarle non mancava nei magazzini di GraniteHouse; ma in quel giorno non si poté immagazzinare tutto, per mancanza di tempo. Non bisognava, poi, dimenticare che sei superstiti dell’equipaggio dello Speedy avevano posto piede nell’isola, che probabilmente erano dei furfanti di prim’ordine e che bisognava, quindi, stare in guardia. Benché il ponte del Mercy e i ponticelli fossero alzati, quei detenuti non erano uomini da essere imbarazzati per un fiume o un ruscello e, spinti dalla disperazione, manigoldi simili potevano essere temibili.

Più tardi si sarebbe deciso quali disposizioni convenisse prendere verso di loro, ma intanto, bisognava vegliare sulle casse e sui colli ammucchiati nei pressi dei Camini, e di questo appunto s’occuparono i coloni durante la notte, dandosi il cambio.

Tuttavia, la notte passò senza che i pirati tentassero qualche aggressione. Mastro Jup e Top, di guardia ai piedi di GraniteHouse, avrebbero subito dato l’allarme.

I tre giorni seguenti, 19, 20 e 21 ottobre, furono impiegati a mettere in salvo tutto quello che poteva avere un valore o un’utilità qualsiasi, sia del carico, sia dell’attrezzatura del brigantino, A bassa marea si vuotava la stiva. A marea alta si mettevano in magazzino gli oggetti recuperati. Gran parte del rivestimento in rame poté essere strappato dallo scafo, che s’insabbiava ogni giorno di più. Ma, prima che le sabbie avessero inghiottito gli oggetti più pesanti ch’erano colati a fondo, Ayrton e Pencroff, essendosi più volte immersi fino al letto del canale, ritrovarono le catene e le ancore del brigantino, i pani di ghisa costituenti la zavorra e persino i quattro cannoni, che, sollevati per mezzo di barili vuoti, poterono essere alati a terra.

Come si vede, l’arsenale della colonia non aveva guadagnato meno delle dispense e dei magazzini di GraniteHouse da quell’avvenimento. Pencroff, sempre entusiasta nei suoi piani, parlava già di costruire una batteria, che avrebbe dominato il canale e la foce del fiume. Con quattro cannoni, egli s’impegnava d’impedire a qualsiasi flotta, «per quanto potente», di avventurarsi nelle acque dell’isola di Lincoln!

Intanto, quando del brigantino non rimaneva ormai che una carcassa senza utilità, il tempo divenne cattivo e finì per distruggerla. Cyrus Smith aveva avuto l’intenzione di farla saltare, per poi raccoglierne i rottami sulla costa, ma un forte vento di nordest e una mareggiata gli permisero d’economizzare la polvere.

Infatti, nella notte dal 23 al 24, lo scafo del brigantino fu interamente sconquassato e una parte dei suoi resti, rigettati dal mare, s’arenò sul greto.

Quanto alle carte di bordo, è sottinteso che, sebbene Cyrus Smith avesse frugato minuziosamente gli armadi del casseretto, non ne trovò traccia. Evidentemente, i pirati avevano distrutto tutto quanto concerneva il capitano e l’armatore dello Speedy, e siccome il nome del suo porto d’iscrizione non era indicato sul quadro di poppa, nulla poteva nemmeno far supporre la sua nazionalità. Tuttavia, dalla conformazione della prora, Ayrton e Pencroff erano propensi a credere trattarsi di un brigantino di costruzione inglese.

Otto giorni dopo la catastrofe, o piuttosto dopo la felice, ma inesplicabile soluzione dell’avventura, cui la colonia doveva la sua salvezza, non si vedeva più nulla della nave, nemmeno a marea bassa. I resti erano andati dispersi e GraniteHouse s’era arricchita di quasi tutto quello che la nave aveva contenuto.

Però, il mistero che avvolgeva la sua strana distruzione indubbiamente non sarebbe stato mai chiarito, se il 30 novembre Nab, girando per il greto, non avesse trovato un pezzo di uno spesso cilindro di ferro, che portava delle tracce di esplosione. Detto cilindro era contorto e aveva gli orli slabbrati, come se avesse subito l’azione di una sostanza esplosiva.

Nab portò quel pezzo di metallo al suo padrone, che era allora occupato con i compagni nell’officina dei Camini.

Cyrus Smith esaminò attentamente il cilindro, poi, voltandosi verso Pencroff:

«Amico,» gli disse «persistete nel sostenere che lo Speedy non è perito in seguito a un urto?»

«Sì, signor Cyrus» rispose il marinaio. «Sapete quanto me che non ci sono scogli nel canale.»

«Ma se avesse urtato in questo pezzo di ferro?» disse l’ingegnere, mostrando il cilindro spezzato.

«Che cosa, questo pezzettino di tubo?» esclamò Pencroff, in tono di assoluta incredulità.

«Amici,» rispose Cyrus Smith «vi ricordate che, prima di sommergersi, il brigantino si è sollevato in cima a una vera tromba d’acqua?»

«Sì, signor Cyrus» rispose Harbert.

«Ebbene, volete sapere da che cosa era stata sollevata quella tromba? Da questo» disse l’ingegnere, mostrando il tubo spezzato.

«Questo?» replicò Pencroff.

«Sì! Questo cilindro è tutto quel che rimane d’una torpedine!»

«Una torpedine!» esclamarono i compagni dell’ingegnere.

«E chi l’aveva messa là, questa torpedine?» domandò Pencroff, che non voleva arrendersi.

«Tutto quanto posso dirvi è che non sono stato io,» rispose Cyrus Smith; «ma essa c’era, e avete potuto giudicare voi stessi la sua incomparabile potenza!»

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