CAPITOLO XIX RICORDI DELLA PATRIA «LE FUTURE POSSIBILITÀ» PROGETTO DI ESPLORAZIONE DELLE COSTE DELL’ISOLA «PARTENZA IL 16 APRILE» LA PENISOLA SERPENTINE VISTA DAL MARE «I BASALTI DELLA COSTA OCCIDENTALE» CATTIVO TEMPO «VIENE LA NOTTE» NUOVO INCIDENTE

GIÀ DUE ANNI! E da due anni i coloni non avevano più avuto alcuna comunicazione con i loro simili! Erano senza notizie del mondo civile, perduti su quell’isola, come se fossero stati su qualche infimo asteroide del mondo solare!

Che cosa accadeva intanto nel loro paese? L’immagine della patria era sempre presente ai loro occhi, quella patria dilaniata dalla guerra civile, quando essi l’avevano lasciata e che la ribellione del Sud insanguinava forse ancora! Questo era per loro un grande dolore e spesso parlavano di tali cose, senza tuttavia mai dubitare che la causa del Nord avesse a trionfare, per l’onore della Confederazione Americana.

Durante quei due anni non un bastimento era passato in vista dell’isola o, per lo meno, non una vela era stata scorta. Era evidente che l’isola di Lincoln si trovava fuori dalle rotte ordinariamente seguite, e inoltre ch’era sconosciuta — come, del resto, provavano anche le carte — giacché, pur non essendovi un porto, le sue acque dolci avrebbero dovuto attirare i bastimenti desiderosi di rinnovare la loro provvista d’acqua. Ma il mare che l’attorniava era sempre

deserto, fin dove si stendeva lo sguardo, e i coloni non dovevano contare che su se stessi per tornare in patria.

Nondimeno, una probabilità di salvezza esisteva, e quella probabilità fu appunto discussa dai coloni un giorno della prima settimana d’aprile, mentre erano riuniti nella sala di GraniteHouse.

Avevano per l’appunto parlato dell’America e del loro Paese natale, che avevano così poca speranza di rivedere.

«Decisamente, non avremo che un mezzo,» disse Gedeon Spilett «un solo mezzo per lasciare l’isola di Lincoln, e sarà di costruire un bastimento abbastanza grande da poter tenere il mare per alcune centinaia di miglia. Mi sembra che, quando s’è fatta una barca, si possa fare anche una nave.»

«E che si può anche andare alle Paumotu» soggiunse Harbert «quando si è andati all’isola di Tabor!»

«Non dico di no» rispose Pencroff, che aveva sempre voce in capitolo nelle questioni marittime; «non dico di no, benché non sia proprio la stessa cosa andare vicino o andar lontano! Durante il viaggio all’isola di Tabor se la nostra imbarcazione fosse stata minacciata da qualche pericolosa burrasca, sapevamo che il porto non era lontano, né da una parte né dall’altra; ma milleduecento miglia da percorrere, sono un bel tratto di strada, e la terra più vicina è almeno a questa distanza!»

«All’occorrenza, Pencroff, non tentereste l’avventura?» chiese il giornalista.

«Tenterò tutto quello che si vorrà, signor Spilett,» rispose il marinaio

«sapete che non sono uomo da tirarmi indietro!»

«Faccio notare, d’altronde, che ora abbiamo un marinaio in più» disse Nab.

«Chi?» domandò Pencroff.

«Ayrton.»

«Giusto» disse Harbert.

«Ammesso ch’egli consenta a venire con noi!» osservò Pencroff.

«Bene!» disse il giornalista «credete dunque che se lo yacht di lord Glenarvan si fosse presentato all’isola di Tabor, mentre Ayrton l’abitava ancora, egli si sarebbe rifiutato di partire?»

«Voi dimenticate, amici,» disse allora Cyrus Smith « che Ayrton aveva perso la ragione, durante gli ultimi anni della sua permanenza nell’isola. Ma il problema non sta qui. Si tratta di sapere se fra le nostre probabilità di salvezza dobbiamo contare sul ritorno della nave scozzese. Ora, lord Glenarvan ha promesso ad Ayrton di venirlo a riprendere all’isola di Tabor, quando riterrà le sue colpe sufficientemente espiate; e credo che ritornerà.»

«Sì,» disse il giornalista «e mi pare che dovrebbe tornare presto, giacché son già dodici anni che Ayrton è stato abbandonato!»

«Eh!» rispose Pencroff «anch’io ritengo come voi che il lord ritornerà, e fra poco anche. Ma dove approderà? All’isola di Tabor e non all’isola di Lincoln.»

«Questo è tanto più certo» rispose Harbert «in quanto l’isola di Lincoln non è nemmeno segnata sulle carte.»

«Perciò, amici,» riprese l’ingegnere «dobbiamo prendere le precauzioni necessarie, affinché la nostra presenza e quella di Ayrton all’isola di Lincoln siano segnalate sull’isola di Tabor.»

«Evidentemente» rispose il giornalista; «e nulla è più facile che depositare nella capanna, ex dimora del capitano Grant e di Ayrton, un breve scritto con la posizione della nostra isola, scritto che lord Glenarvan o il suo equipaggio non potranno non trovare.»

«Peccato» fece osservare il marinaio «che abbiamo dimenticato di prendere questa precauzione nel nostro primo viaggio all’isola di Tabor!»

«E perché avremmo dovuto prenderla?» rispose Harbert. «Allora non conoscevamo la storia di Ayrton; ignoravamo che un giorno dovessero venire a ricercarlo, e quando lo abbiamo saputo, la stagione era troppo avanzata per permetterci di ritornare all’isola di Tabor.»

«Sì,» rispose Cyrus Smith «era troppo tardi e bisogna rimandare questa traversata alla prossima primavera.»

«E se lo yacht scozzese venisse nel frattempo?» disse Pencroff.

«Non è probabile,» rispose l’ingegnere «giacché lord Glenarvan non sceglierebbe la stagione invernale per avventurarsi in questi mari remoti. O è già ritornato all’isola di Tabor dopo che Ayrton è giunto da noi, cioè da cinque mesi, e ne è ripartito, o non verrà che più tardi, e allora avremo il tempo, dai primi bei giorni di ottobre in avanti, per andare di nuovo all’isola di Tabor e lasciarvi uno scritto.»

«Bisogna ammettere,» disse Nab «che sarebbe proprio un malaugurato caso se il Duncan fosse ricomparso in questi mari solo negli ultimi mesi!»

«Spero che questo non sia avvenuto,» rispose Cyrus Smith «e che il. Cielo non ci abbia tolto la migliore probabilità che ci rimane!»

«Credo» osservò il cronista «che, in tutti i casi, sapremo meglio a che partito appigliarci quando saremo ritornati all’isola di Tabor, poiché se gli scozzesi vi saranno tornati, avranno necessariamente lasciato tracce del loro passaggio.»

«È evidente» rispose l’ingegnere. «Dunque, amici, poiché abbiamo questa probabilità di rimpatrio, aspettiamo con pazienza, e se la probabilità verrà a mancare, sapremo allora quel che dovremo fare.»

«A ogni modo,» disse Pencroff «è sottinteso che, se, in una maniera o nell’altra, abbandoneremo l’isola di Lincoln, non sarà perché ci troviamo male!»

«No, Pencroff,» rispose l’ingegnere «sarà perché qui siamo lungi da tutto quello che ogni uomo deve amare di più al mondo, la sua famiglia, i suoi amici, il suo paese natale!»

In seguito a queste decisioni, i coloni non pensarono più, per il momento, a intraprendere la costruzione di un bastimento abbastanza grande per spingersi fino agli arcipelaghi, al nord, o fino alla Nuova Zelanda, all’ovest, e non si occuparono che dei consueti lavori, in vista d’una terza invernata da trascorrere a GraniteHouse.

Tuttavia, fu deciso che la barca sarebbe stata adoperata, per fare un viaggio intorno all’isola, prima che venisse la cattiva stagione. L’esplorazione completa delle coste non era terminata ancora e i coloni non avevano che un’idea imperfetta del litorale a ovest e a nord, dalla foce del Creek della Cascata fino ai capi Mandibola, come pure della stretta baia che s’incuneava tra essi, simile a una bocca di pescecane.

La proposta di quest’escursione fu avanzata da Pencroff, e Cyrus Smith vi aderì pienamente, giacché voleva vedere egli stesso tutta quella parte del suo dominio.

Il tempo era variabile allora, ma il barometro non oscillava con bruschi spostamenti e si poteva, quindi, far assegnamento su di un tempo maneggevole. Infatti, durante la prima settimana d’aprile, dopo una forte discesa barometrica, la risalita fu segnalata da una forte burrasca da ovest, che durò cinque o sei giorni; poi, l’ago dello strumento ridivenne stazionario, indicando ventinove pollici e nove decimi (mm 759,45), e le circostanze parvero propizie all’esplorazione.

Il giorno della partenza fu fissato al 16 aprile e il Bonadventure, ormeggiato a Porto Pallone, venne approvvigionato per un viaggio abbastanza lungo.

Cyrus Smith avvertì Ayrton della spedizione imminente e gli propose di parteciparvi; ma, avendo Ayrton preferito rimanere a terra, fu deciso ch’egli si sarebbe trasferito a GraniteHouse durante l’assenza dei compagni. Mastro Jup doveva tenergli compagnia e non fece alcuna difficoltà.

La mattina del 16 aprile tutti i coloni, accompagnati da Top, erano imbarcati. Il vento soffiava moderatamente da sudovest, e il Bonadventure, lasciando Porto Pallone, dovette bordeggiare, per raggiungere il promontorio del Rettile. Delle novanta miglia di perimetro dell’isola, la costa sud ne contava una ventina, dal porto al promontorio. Di qui, la necessità di superare queste venti miglia navigando sui bordi, poiché il vento era assolutamente contrario.

Occorse l’intera giornata per scapolare il promontorio, giacché l’imbarcazione, lasciato il porto, non trovò che due ore di riflusso ed ebbe, invece, sei ore di flusso, cui fu difficilissimo resistere. La notte era dunque già scesa, quando il promontorio fu doppiato.

Pencroff propose allora all’ingegnere di continuare la rotta a piccola velocità, con due mani di terzarolo alla vela. Ma Cyrus Smith preferì dare fondo alla distanza di alcune gomene da terra, per veder meglio di giorno quella parte della costa. Venne anche stabilito che, trattandosi di un’esplorazione minuziosa della costa, non si sarebbe navigato di notte e che, venuta la sera, l’imbarcazione sarebbe stata ancorata presso terra, finché il tempo lo avesse permesso.

La notte passò quindi all’ancora sotto il promontorio, ed essendo il vento cessato con il sopraggiungere della nebbia, il silenzio non fu più turbato. I passeggeri, eccettuato il marinaio, dormirono forse un po’ meno bene a bordo del Bonadventure, che nelle loro camere a GraniteHouse, ma insomma dormirono.

L’indomani, 17 aprile, Pencroff salpò al levar del giorno e randeggiò lungo la costa occidentale, navigando al gran lasco, mura a sinistra.

I coloni conoscevano quella magnifica costa boscosa, perché ne avevano già percorso il margine a piedi; eppure essa suscitò ancora tutta la loro ammirazione. Costeggiavano la terra il più vicino possibile, moderando la velocità, in modo da poter osservare tutto, avendo cura soltanto di non urtare i tronchi d’albero che galleggiavano qua e là. Varie volte gettarono anche l’ancora e Gedeon Spilett prese alcune vedute fotografiche di quel magnifico litorale.

Verso mezzogiorno il Bonadventure era arrivato alla foce del fiume della Cascata. Al di là, sulla riva destra, gli alberi riapparvero, ma più rari, e tre miglia più innanzi, essi non formavano che gruppetti isolati fra i contrafforti occidentali del monte, la cui arida schiena si prolungava fino al litorale.

Quale contrasto fra la parte sud e la parte nord di quella costa! Tanto la prima era boscosa e verdeggiante, quanto l’altra era aspra e selvaggia! Si sarebbe detta una «costa ferrigna», come viene chiamata in certi paesi, e la sua struttura tormentata sembrava indicare che una vera cristallizzazione s’era bruscamente prodotta nel basalto ancora ardente delle epoche geologiche. Ammassamento dall’aspetto terribile, che avrebbe a tutta prima spaventato i coloni, se il caso li avesse gettati su questa parte dell’isola. Dalla cima del monte Franklin non avevano potuto notare l’aspetto profondamente sinistro di quella sponda, giacché la dominavano troppo dall’alto; ma, visto dal mare, quel litorale si presentava con un carattere così strano, che forse non si sarebbe trovato l’uguale in nessuna parte del mondo.

Il Bonadventure passò davanti a quella costa alla distanza di mezzo miglio. Fu facile vedere che si componeva di massi delle più svariate dimensioni, da venti fino a trecento piedi di altezza, e di tutte le forme, cilindrici come rulli, prismatici come campanili, piramidali come obelischi, conici come ciminiere di fabbriche. Una banchisa di mare glaciale non sarebbe stata più capricciosa nel suo sublime orrore! Qui, ponti gettati da uno scoglio all’altro; là, arcate disposte come quelle di una navata di cattedrale, di cui lo sguardo non poteva scoprire la profondità; in un punto, larghi incavi, le cui volte avevano un aspetto monumentale; in un altro, una vera folla di punte, di piccole piramidi, di guglie, come nessuna cattedrale gotica ha mai potuto vantare. Tutti i capricci della natura, più variati ancora di quelli dell’immaginazione, ornavano il litorale grandioso, che si prolungava per una lunghezza di otto o nove miglia.

Cyrus Smith e i suoi compagni guardavano con un sentimento di sorpresa, che confinava con la stupefazione. Ma se essi rimanevano muti, Top non si peritava di emettere latrati, che destavano i mille echi della muraglia basaltica. L’ingegnere osservò che quei latrati avevano qualche cosa di strano, proprio come quelli fatti udire dal cane alla bocca del pozzo di GraniteHouse.

«Andiamo ancora sotto costa» disse.

E il Bonadventure andò a randeggiare lungo gli scogli. Esisteva forse là qualche grotta, che conveniva esplorare? Ma Cyrus Smith non vide nulla: non una caverna, non un’anfrattuosità, che potesse servire di rifugio a un essere qualsiasi, poiché la base delle rocce era sotto il livello delle acque. Poco dopo i latrati di Top cessarono e l’imbarcazione tornò in rotta ad alcune gomene dal litorale.

Nella parte nordovest dell’isola, il lido ridivenne piano e sabbioso. Rari alberi si profilavano sopra una terra bassa e paludosa, che i coloni avevano già intravista, e, con contrasto violento con l’altra costa deserta, la vita vi si manifestava con la presenza di miriadi d’uccelli acquatici.

La sera, il Bonadventure ormeggiò in un piccolo seno della costa, a nord dell’isola, vicino a terra, talmente le acque erano profonde in quel punto. La notte passò tranquillamente, perché la brezza cessò con le ultime luci del giorno e non riprese che con le prime sfumature dell’alba.

Siccome era facile prendere terra quella mattina, i cacciatori ufficiali della colonia, cioè Harbert e Gedeon Spilett, andarono a fare una passeggiata di due ore e ritornarono con parecchie filze di beccaccini e anatre. Top aveva fatto prodigi e non un capo di selvaggina era andato perduto, grazie al suo zelo e alla sua destrezza.

Alle otto del mattino, il Bonadventure salpava e filava rapidissimamente verso il capo MandibolaNord, andando in fil di ruota mentre il vento tendeva a rinfrescare.

«Del resto,» disse Pencroff «non mi meraviglierei che si preparasse qualche burrasca da ovest. Ieri il sole è tramontato su un orizzonte molto rosso e stamane vedo delle «code di gatto» che non promettono nulla di buono.»

Le «code di gatto» erano cirri lunghi e sottili, sparpagliati allo zenit, e la cui altezza sul livello del mare non è mai inferiore ai cinquemila piedi. Si sarebbero detti leggeri batuffoli di ovatta, e la loro presenza annuncia generalmente l’approssimarsi di qualche perturbazione atmosferica.

«Bene,» disse Cyrus Smith, «spieghiamo tutta la tela possibile e andiamo a ridosso nel golfo del Pescecane. Credo che il Bonadventure vi si troverà al sicuro.»

«Benissimo» rispose Pencroff; «d’altronde, la costa nord è formata di dune di scarso interesse.»

«Non mi dispiacerebbe» soggiunse l’ingegnere «passare non solo la notte, ma anche tutta la giornata di domani in questa baia, che merita d’essere esplorata con ogni cura.»

«Credo che vi saremo costretti, lo vogliamo o no» rispose Pencroff; «giacché l’orizzonte comincia a diventare minaccioso verso ovest! Guardate come s’oscura!»

«A ogni modo, abbiamo vento favorevole per raggiungere il capo Mandibola» osservò il giornalista.

«Vento buonissimo» rispose il marinaio; «ma per entrare nel golfo, bisognerà bordeggiare, e mi piacerebbe vederci chiaro in quei paraggi che non conosco!»

«Paraggi che devono essere seminati di scogli,» aggiunse Harbert «se dobbiamo giudicare da quanto abbiamo veduto sulla costa sud del golfo del Pescecane.»

«Pencroff,» disse allora Cyrus Smith «fate ciò che credete meglio. Ci rimettiamo a voi.»

«State tranquillo, signor Cyrus,» rispose il marinaio «non mi esporrò senza necessità! Preferirei una coltellata nella mia opera viva, che andare su uno scoglio con quella del mio Bonadventure!»

Ciò che Pencroff chiamava opera viva era la parte immersa dello scafo, alla quale egli teneva più che alla sua stessa pelle!

«Che ora è?» chiese Pencroff.

«Le dieci» rispose Gedeon Spilett.

«Che distanza ci separa dal capo, signor Cyrus?»

«Circa quindici miglia» rispose l’ingegnere.

«È questione di due ore e mezzo» disse allora il marinaio. «Saremo all’altezza del capo fra mezzogiorno e l’una. Sfortunatamente, la marea diventa discendente in quel momento, e il riflusso uscirà dal golfo. Temo molto che sarà difficile entrarvi, avendo vento e mare contrari.»

«Tanto più che oggi è luna piena» fece osservare Harbert; «e le maree d’aprile sono fortissime.»

«Bene, Pencroff,» domandò Cyrus Smith «non potete dare fondo alla punta del capo?»

«Gettare l’ancora vicino a terra, con cattivo tempo in vista?» esclamò il marinaio. «Ci pensate, signor Cyrus? Sarebbe proprio voler finire in costa!»

«Allora, che cosa farete?»

«Cercherò di tenermi al largo fino all’ora del flusso, vale a dire sino alle sette della sera; e poi, se sarà ancora abbastanza chiaro, tenterò di entrare nel golfo; altrimenti, ci terremo sui bordi per tutta la notte ed entreremo domani al sorgere del sole.»

«Ve l’ho detto, Pencroff, ci rimettiamo a voi!» disse Cyrus Smith.

«Ah!» fece Pencroff «se ci fosse un faro su questa costa, sarebbe più comodo per i naviganti!»

«Sì» rispose Harbert; «ma questa volta non avremo l’ingegnere compiacente che ci accenda un fuoco per guidarci in porto!»

«To’! È vero, caro Cyrus,» disse Gedeon Spilett «non vi abbiamo mai ringraziato; ma, francamente, senza quel fuoco, non avremmo mai potuto raggiungere…»

«Un fuoco?» chiese Cyrus Smith, meravigliatissimo delle parole del cronista.

«Vogliamo dire, signor Cyrus,» spiegò Pencroff «che fummo assai preoccupati a bordo del Bonadventure durante le ultime ore che precedettero il nostro ritorno, e saremmo passati sottovento all’isola, se non fosse stato per la precauzione da voi presa, la notte dal 19 al 20 ottobre, di accendere un fuoco sull’altipiano di GraniteHouse.»

«Ah, si, si! Ebbi proprio una felice idea in quell’occasione!» rispose l’ingegnere.

«Ma questa volta,» seguitò il marinaio «a meno che questo pensiero non venga ad Ayrton, non ci sarà nessuno che ci renda questo piccolo servigio!»

«No! Nessuno!» rispose Cyrus Smith.

Ma pochi istanti dopo, trovandosi solo con il giornalista sulla prua dell’imbarcazione, l’ingegnere si chinò al suo orecchio per dirgli:

«Se c’è al mondo una cosa sicura, Spilett, è che io non ho acceso nessun fuoco nella notte dal 19 al 20 ottobre, né sull’altipiano di GraniteHouse, né in alcun’altra parte dell’isola!»

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